Il Sacramento della Confessione


Il perdono dei peccati e la piena riconciliazione dell’uomo con Dio sono avvenuti in Cristo, per la Sua Croce e Risurrezione. In noi avvengono per opera dello Spirito Santo, mediante la mediazione e il ministero della Chiesa.

Il sacramento che toglie tutti i peccati, sia il peccato originale (anche per i neonati) che i peccati personali (di chi ha già l’uso di ragione) è  quello del Battesimo: esso ci purifica dai peccati e ci inserisce nella vita divina della SS.ma Trinità. Così dice Gesù (cfr. Mc 16,16) e così professiamo di credere anche nel Credo: “Professo un solo battesimo per il perdono del peccati”.

Per i peccati, specie se gravi (mortali), che purtroppo possiamo ancora commettere anche se battezzati e cristiani (resi cioè figli di Dio, uniti a Cristo e abitati dallo Spirito Santo) Gesù ha istituito un nuovo sacramento, quello della Penitenza, detto anche della Riconciliazione o Confessione (cfr. Gv 20,21-23).

Dio, che conosce il nostro cuore, vede subito se siamo davvero pentiti dei nostri peccati e ci accoglie; ma il perdono oggettivo dei peccati mortali commessi ci è dato solo attraverso il Sacramento della Riconciliazione, confessandoli cioè davanti al sacerdote e ricevendone da lui l’assoluzione.

Nel sacramento il sacerdote agisce “in persona Christi”, cioè è Gesù stesso che agisce in lui, tanto è vero che al momento dell’assoluzione il sacerdote usa il primo pronome personale ““Io ti assolvo”.

Il sacerdote, in modo subordinato al Vescovo (*), può e deve assolvere tutti i peccati che un penitente (battezzato) confessa, purché questi ne sia pentito ed abbia il proposito, con l’aiuto di Dio, di non commetterli più; altrimenti non ci sarebbe un vero pentimento, cioè non sarebbe ancora convinto che quella scelta è peccato e come tale è davvero il proprio male!
Quando mancasse tale pentimento e soprattutto tale proposito, come nel caso di chi vive stabilmente in una situazione di peccato, il sacerdote non può e non deve assolvere, come prescrive lo stesso Gesù (cfr. ancora Gv 20,21-23).  Tale impedimento non è dato tanto o soltanto dalla gravità del peccato, visto che la misericordia di Dio è infinita, ma appunto dalla situazione di stabilità del peccato, che di fatto rende falso il proposito (necessario per essere perdonati da Dio) di non commetterlo più

È ad esempio il caso di chi stabilmente vive coniugalmente (cioè con rapporti sessuali) con una persona che non ha sposato col sacramento del Matrimonio (conviventi, sposi civili, divorziati risposati), ma anche quello di chi appartiene pubblicamente a gruppi esplicitamente contrari alla fede o alla morale cristiana cattolica (associazioni dichiaratamente atee o contrarie alla morale cristiana o addirittura malavitose).

Diverso invece è il caso di chi, conoscendo la propria debolezza, sa che purtroppo potrebbe ricommettere, nonostante il proposito, un tale peccato: questi è sempre perdonato, anche se se ne confessasse tutti i giorni; anzi, è proprio la costanza – senza scoraggiarsi! – nel ricorrere alla misericordia di Dio che potrà un giorno far conseguire la vittoria sul peccato. 

(*): La subordinazione al Vescovo – e in casi limiti addirittura al Papa – circa il poter “lecitamente” amministrare il sacramento della Confessione (anche se il potere spirituale il sacerdote l’ha ricevuto indelebilmente nel sacramento dell’Ordine, da un vescovo, nella “successione apostolica”) si evidenzia quando il Vescovo (o un gruppo di Vescovi) impedisce a un sacerdote, per gravi motivi, di poterlo esercitare; o riserva a sé l’assoluzione di alcuni peccati (si chiamano infatti “peccati riservati”), per sottolinearne la gravità (come nel caso dell’aborto) [il Papa può riservare a sé l’assoluzione di peccati particolarmente gravi e sacrileghi, come i più gravi che può commettere un sacerdote]. Sia il Vescovo (che il Papa) può delegare poi un particolare sacerdote (detto “penitenziere” vescovile, o papale) per concedere tali assoluzioni. In certi casi si parla di “scomunica”,  cioè di esclusione dalla comunione ecclesiale, per sottolineare la gravità di certi peccati; si capisce però che è la persona colpevole di un tale peccato che di fatto si è auto-esclusa dalla comunione.

I peccati “mortali”, che si distinguono per gravità da quelli detti “veniali”, tolgono la grazia di Dio e se non vengono confessati impediscono di fare la S. Comunione e perfino di andare in Paradiso. E’ dunque sommamente importante e urgente sapere quali siano i peccati mortali e, se si sono commessi, confessarli bene e quanto prima! (v. un elenco di peccati “mortali” nell’esame di coscienza proposto nel sito, così come sono indicati dalla Parola di Dio e dall’insegnamento della Chiesa). E’ dunque molto importante, anzi decisivo, imparare a fare bene l’esame di coscienza.

Il peccato

Dio è il nostro Creatore e Signore. Creandoci, Dio ha immesso nella nostra stessa natura delle norme oggettive (cfr. il discorso di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio, in cui si riferisce alla nostra natura “creata” con quella  norma, in Mt 19,1-9), che in moltissimi casi anche solo la coscienza e la retta ragione possono cogliere.
Quando poi Dio si “rivela” – già al popolo ebraico nell’Antico Testamento e poi in pienezza venendo Egli stesso (Gesù) – ci rivela anche la sua Legge, cioè anche cosa dobbiamo fare (bene) e cosa dobbiamo evitare (male).
Questa legge morale non è dunque qualche cosa estrinseca a noi, come se fosse una norma particolare di un qualche gruppo, che potrei non osservare se non vi facessi parte, ma di profondamente inscritta nella nostra stessa natura umana; come, per così dire, se fossero delle “istruzioni per l’uso”. Per questo la legge di Dio riguarda tutti gli uomini – che infatti saranno tutti giudicati da Dio, anche se non vi avessero creduto – e tutto l’uomo, cioè tutti gli aspetti della persona e della vita (v. nel sito l’Introduzione alla morale cristiana o anche le domande sulla vita cristiana).
In Gesù, Dio stesso fatto uomo, non solo la legge morale, la legge dell’amore, viene portata alla perfezione; ma la comunione con Lui (nuova Alleanza) e la presenza in noi dello Spirito Santo ci permettono pure di avere una forza soprannaturale (“grazia”) che ci rende “creature nuove” e capaci di una vita nuova (cfr. 2Cor 5,17).

Per individuare i propri peccati non dobbiamo quindi confrontarci con quel che fanno gli altri, con quel che oggi si fa, con quel che oggi viene creduto giusto o sbagliato, e neppure con quel che “io sento” o “mi va”, ma con la Legge di Dio.

I peccati

Il peccato è disobbedienza a Dio, che si esplicita anche nella disobbedienza alla Sua legge.  E’ il segno della nostra poca (o addirittura nulla) fede o del nostro poco amore per Lui (cfr. Gv 14,15).

Qual è la <legge di Dio>?

Molte di queste norme morali sono esplicitamente elencate nella Sacra Scrittura, specie nel Vangelo.

Non siamo tenuti a seguire tutta la Legge – Torah – data al popolo ebraico nell’Antico Testamento; rimangono certo validi i <10 Comandamenti> o Decalogo. Gesù (nei Vangeli) porta a compimento la legge morale dell’A.T. (cfr. Mt 5,17-48). Nel Nuovo Testamento, oltre ai 4 Vangeli, si esplicita il mistero di Cristo e la nuova legge morale (per questo anche gli altri 23 libri del N.T. sono “Parola di Dio” e la Rivelazione si conclude con la morte dell’ultimo Apostolo e con il libro dell’Apocalisse).

Altre norme morali si esplicitano, a partire dalla Sacra Scrittura, attraverso l’insegnamento (ufficiale, del Magisterodella Chiesa Cattolica

Essa non può aggiungere o togliere nulla alla legge divina – a costo di non essere capita, seguita o di venire anche perseguitata – ma solo comprendere ed esplicitare sempre meglio la volontà di Dio, anche in riferimento alle nuove problematiche. Questo insegnamento della volontà di Dio, cui dobbiamo obbedienza come condizione della nostra salvezza, è garantito nella sua autenticità dallo Spirito Santo (cfr. Gv 16,13); ed è segno dell’amore di Dio, che ci vuole salvare.

Ad esempio, in riferimento ai 10 Comandamenti letti alla luce dell’insegnamento di Gesù, possiamo e dobbiamo vedere cosa implichino, anche per nuove situazioni, imparando la III parte (nn. 2052-2557) del  Catechismo della Chiesa Cattolica, che va dunque consultato anche per fare un serio esame di coscienza. 

Teniamo presente che, se perfino in riferimento alla legge civile non è ammessa l’ignoranza, sarebbe gravissimo non conoscere bene la legge di Dio!

I peccati mortali – che come abbiamo detto tolgono la grazia di Dio, vanno necessariamente confessati, impediscono di fare la Comunione e, se rimasti nell’anima al momento della morte, portano alla dannazione eterna – sono normalmente individuabili anche solo in riferimento ai 10 Comandamenti (Decalogo) [cfr. esame di coscienza].

I peccati veniali possono essere invece perdonati anche solo attraverso un sincero interiore pentimento di fronte a Dio. Essi non impediscono di fare la Comunione. E’ però assai utile confessarli, tanto più che tutta la vita cristiana è un cammino di continua purificazione e santificazione.

Possiamo infine peccare in pensieri (se volontariamente accolti o coltivati), paroleopere ed omissioni (cioè ciò che dobbiamo fare e non facciamo).

Anche se ogni peccato è ultimamente contro Dio e provoca danno alla nostra anima e anche alla Chiesa intera (essendo tutti noi “un solo Corpo in Cristo”, cfr. Rm 12,5), possiamo distinguere quelli che si oppongono all’amore di Dio, all’amore degli altri ed anche di se stessi.

Perché vi sia peccato mortale si richiedono 3 elementi:

1) materia grave (che sia oggettivamente un peccato mortale);

2) piena avvertenza (che se ne sia consapevoli);

3) deliberato consenso (che sia una libera scelta).


Quando e come fare la S. Confessione

Quando bisogna confessarsi?

La Chiesa insegna che è moralmente obbligatorio confessarsi almeno una volta all’anno. E’ però cosa buona confessarsi almeno una volta al mese.
E’ moralmente obbligatorio confessare tutti i peccati mortali commessi. E’ però assai utile confessare pure i peccati veniali. La Confessione frequente è poi indispensabile per il proprio cammino spirituale. 
E’ decisivo confessare bene e al più presto i peccati mortali commessi, anche per il tremendo pericolo della dannazione eterna che comporta il continuare a vivere in stato di peccato mortale, col rischio di morire con tali peccati sulla coscienza e quindi di perdersi eternamente. Questo significa “stare pronti”, come ci ordina spesso Gesù (Lc 12,35-40; Mt 24 e 25,1-13)!
Teniamo anche presente che il tacerli, il passare del tempo o la dimenticanza (se dovuta a negligenza o trascuratezza) non possano in alcun modo cancellarli.

Per fare bene la Confessione, cioè con validità, è necessario rispettare 5 condizioni:

1) Esame di coscienza: accurata e sincera analisi dei peccati commessi dall’ultima Confessione, che vanno poi accusati esplicitamente davanti al Confessore; si vedano e si accusino anche eventuali peccati di cui si fosse omessa o dimenticata l’accusa nelle precedenti Confessioni. 
Per fare questa analisi, come abbiamo osservato, non basta certo confrontarsi con la propria coscienza, perché potrebbe essere offuscata da molti fattori interni ed esterni, ma è necessario riferirsi alla “legge” di Dio, così come emerge dalla Parola di Dio e dall’insegnamento della Chiesa, la quale, guidata per questo in modo infallibile dallo Spirito Santo, ne è l’autentica interprete e annunciatrice.

2) Contrizionedolore di aver offeso Dio e partecipato con i propri peccati alla crocifissione di Gesù (che è morto per ottenerne il perdono); per la validità del sacramento è però sufficiente anche l’attrizione (dispiacere di esserci rovinati con i peccati).

3) Proponimento fermo e deciso che, con l’aiuto della grazia di Dio, non commetteremo più quei peccati.

4) Accusa dei peccati di fronte al sacerdote e loro assoluzione (è questo il momento in cui siamo raggiunti dal perdono oggettivo di Dio, che ci scioglie – appunto ab-solve – dai nostri peccati).

5) Penitenza (o soddisfazione): è un modo con cui partecipiamo alla Croce di Gesù (che ci ha  meritato il perdono dei peccati), lo ringraziamo della Sua infinita misericordia e diamo segno della nostra volontà di conversione. Siamo per questo tenuti a compierla. Essa può essere una preghiera o un particolare compito da assolvere, anche come “medicinale” nella lotta contro un particolare peccato. 
In caso di danni causati ad altri coi propri peccati, se possibile siamo chiamati a risarcirli (ad esempio, nel caso del furto non basta confessarmi, devo anche ridare, se possibile, quanto ho rubato).

Come ci si confessa?

La S. Confessione non è una chiacchierata, un dialogo o un discorso spirituale o psicologico, ma un Sacramento, cioè un’azione liturgica, e quindi un’opera divina

Il sacerdote agisce “in persona Christi”, cioè è Gesù stesso che agisce in lui, tanto è vero che al momento culminante dell’<assoluzione> usa il primo pronome personale “io ti assolvo”. Deve quindi possibilmente indossare anche l’abito liturgico (camice) e soprattutto la “stola” (che indica il sacerdozio) di colore viola.
Possibilmente sia fatta nel luogo sacro idoneo, detto Confessionale (anche se il sacerdote può assolvere ovunque). 

Il penitente (cioè colui che si confessa) deve stare possibilmente in ginocchio, indicando anche con questa posizione del corpo il proprio pentimento e la sacralità del gesto che compie. Possibilmente si faccia davanti al Crocifisso, perché la Croce di Gesù è stata causata dai nostri peccati ed è dalla Croce di Gesù che ci giunge il perdono dei peccati. Il sacerdote normalmente sta seduto, poiché indica Cristo stesso, giudice misericordioso. Il penitente ha il diritto, se vuole, anche di non essere conosciuto o visto dal Confessore, cioè di confessarsi anche da sacerdoti che non lo conoscono e di confessarsi in un Confessionale con la grata.

L’esame di coscienza deve essere già stato accuratamente fatto in precedenza.
Si tenga presente che si devono confessare anzitutto e necessariamente i peccati mortali. Essi devono essere accusati in modo non generico ma esplicito (ad esempio: non solo “non ho amato il mio prossimo” se invece “sono stato cattivo, violento, ho calunniato, non sono stato onesto”; non genericamente “ho commesso atti impuri” se invece “ho avuto rapporti sessuali” fuori dal matrimonio o addirittura con prostitute). Occorre possibilmente dirne anche il numero, cioè quante volte sono stati commessi, perché ciò aumenta o diminuisce la gravità (due volte è già più grave di una).
Si devono anche accusare quei peccati gravi che avessimo omesso di confessare (per dimenticanza o addirittura per volontaria omissione, per vergogna) o che non avessimo mai confessato; fossero anche stati commessi molti anni addietro, essi rimangono nell’anima fino a quando non sono confessati e assolti; non si pensi che il tempo li possa sbiadire di fronte a Dio.

Se ne abbiamo bisogno, possiamo anche chiedere al Confessore di aiutarci a fare l’esame di coscienza o di farci delle domande in proposito (il sacerdote è autorizzato tra l’altro a farle, se non è chiara l’accusa o prevede che non sia completa).

Come iniziare?

La Confessione inizia dicendo da quanto tempo non mi confesso, perché i peccati che sto per confessare sono quelli commessi in quell’arco di tempo (a meno che non dobba confessare anche peccati omessi in precedenti Confessioni), individuati appunto nell’esame di coscienza, e questo ha un’incidenza sulla gravità o meno della nostra situazione morale (un solo peccato mortale in un mese è meno grave di un solo peccato mortale in un giorno). Se poi fosse più di un anno dall’ultima Confessione, già questo sarebbe un peccato (visto l’obbligo morale di confessarsi almeno una volta all’anno).
Se il Confessore non mi conosce, devo anche indicare il mio stato di vita (sposato, genitore, celibe, studente, lavoratore), in quanto ogni stato di vita ha anche i propri doveri (i cosiddetti “doveri del proprio stato”) e può richiedere specifici gravi obblighi morali (e gravi peccati se omessi).

Come fare l’accusa dei peccati?

Abbiamo già detto che, una volta fatto previamente e accuratamente l’esame di coscienza, il penitente deve accusarsi soprattutto e anzitutto di tutti i peccati mortali commessi e possibilmente anche del loro numero; può ovviamente (e proficuamente) confessare anche i peccati veniali.
E’ bene essere sintetici e chiari, dicendo cioè bene i peccati commesi, senza dilungarsi in considerazioni generali, a meno che ciò non sia richiesto per specificare al Confessore ciò che è utile per comprendere meglio il nostro peccato e la situazione in cui è stato commesso (all’interno del cammino di conversione che stiamo compiendo). 
Non è per sè questo il momento di fare “direzione spirituale”, anche se la Confessione è talora legata anche ad essa (in tal caso non si faccia quando ci sono altri penitenti in attesa ma in tempi diversi).
Non attardarsi in sfoghi psicologici, tanto meno in chiacchiere. Non è poi lecito accusare i peccati degli altri, a meno che non sia utile per specificare i propri!

Cosa fare dopo?

Nell’immensa gioia di essere stati perdonati dai peccati, di essere stati riconciliati con Dio, di aver fatto l’esperienza viva del Suo amore misericordioso ed anche sperimentato la pace di essere tornati “in grazia di Dio”, non disperdiamoci subito come se fosse accaduta una cosa da poco, ma stupiti e quasi storditi dal miracolo d’amore appena sperimentato, continuiamo ancora un poco nel clima spirituale adatto, nella preghiera e nel ringraziamento a Dio.
Se il sacerdote ci ha dato per “penitenza” una preghiera o comunque un atto spirituale che possiamo compiere subito, è bene farla subito. Se invece è un compito che dobbiamo fare dopo o nel tempo, non dimentichiamoci di compierlo e bene, in quanto parte integrante del Sacramento stesso. 

Il Rito del 

Sacramento della Confessione


Inizio: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Il penitente può dire: Padre, perdonami perché ho peccato!

Dove c’è l’opportunità è bene ascoltare anche un breve brano della Parola di Dio.

Il Sacerdote può ad esempio così pregare per noi: “Il Signore, che illumina con la fede i nostri cuori, ti dia una vera conoscenza dei tuoi peccati e della Sua misericordia“. 

Penitente: Amen.

Il penitente si accusa di tutti i peccati commessi. 

(Si veda appena sopra come fare l’accusa e cosa evitare)

Il penitente ascolta quindi dal Confessore (eventuali) indicazioni e consigli utili che vorrà dargli per il proprio cammino di conversione (e risponde a eventuali sue domande) e quale sia la “penitenza”” che dovrà poi soddisfare.

Il penitente chiede quindi umilmente perdono a Dio dei propri peccati, dicendo ad alta voce l’Atto  di dolore (o altra preghiera di pentimento):

“Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso Te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo, con il tuo santo aiuto, di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime del peccato. Signore, misericordia, perdonami!”

Si giunge così al momento culminante del sacramento, cioè l’Assoluzione, in cui Gesù stesso ci perdona e ci libera dai peccati. Il sacerdote, che agisce “in persona Christi” (cioè è Gesù) pronuncia questa formula sacramentale, tenendo possibilmente le mani (o la mano destra) stese sul capo del penitente, come segno del dono dello Spirito Santo e del perdono di Dio:

Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a Sé il mondo nella morte e risurrezione del Suo Figlio e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del figlio e dello Spirito Santo

Il sacerdote, mentre dice le ultime fondamentali parole dell’Assoluzione, traccia il Segno della Croce sul penitente, che ascolta con immensa attenzione e commozione Gesù che lo perdona.

Il sacerdote può concludere dicendo: Lodiamo il Signore perché è buono.

Il penitente risponde: Eterna è la sua misericordia.

Il sacerdote dà il commiato, dicendo ad esempio: Il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va’ in pace (e annuncia le grandi opere di Dio che ti ha salvato).

Il penitente risponde: Amen.