Le crociate

Le Crociate


Anche quello delle Crociate è un tema che dall’Illuminismo in poi viene continuamente assunto e propagandato come vergogna della storia della Chiesa e segno della sua intolleranza e violenza, e quindi della falsità del cristianesimo.

Ancor oggi il laicismo definisce come “Crociata” qualsiasi intervento da parte della Chiesa teso anche solo a promuovere socialmente e politicamente alcuni valori fondamentali.

Ed anche l’attuale fondamentalismo islamico assai spesso definisce “Crociati” gli occidentali, contro cui si sente di fatto in guerra.

Qui non vogliamo ovviamente entrare nel merito di un’analisi dettagliata di tali avvenimenti storici – le Crociate, appunto – ma solo chiarirci qualche idea (per amore della verità … e  della Chiesa) e sfatare alcuni luoghi comuni che la cultura anticlericale ha di fatto imposto e sono tuttora dominanti, troppo spesso perfino tra gli stessi cattolici.


Nel sito vedi anche un documento più sintetico in Fede e cultura


Indice


1) Alcune premesse

1.2 – Cos’è implicito in chi accusa certi fatti della storia della Chiesa

Chi accusa oggi la Chiesa di ciò che ha (o avrebbe) fatto nel Medioevo o in altre epoche storiche, anzitutto riconosce implicitamente la permanenza storica di questo stesso Soggetto. Nessuno infatti si metterebbe ad accusare un’amministrazione comunale di oggi di ciò che ha fatto lo stesso tale Comune nel Medioevo. 
L’asprezza e la polemica con cui tali denuncie vengono poi tuttora espresse, anche sui media e perfino nei libri di testo scolastici – spesso amplificando e talora perfino inventando certi eventi negativi e quasi sempre tacendo invece sulle innumerevoli e straordinarie opere di bene operate dalla Chiesa nella storia e nel presente – evidenzia poi, oltre ad un odio sospetto (non è certo semplicemente l’amore per la verità storica!), un implicito attacco proprio contro la “pretesa” soprannaturalità della Chiesa, cioè contro colei che si presenta nella storia come “Corpo mistico di Cristo” e Suo strumento per la salvezza di ogni uomo. Infatti nessuno grida ad esempio allo scandalo per gli innumerevoli “sacrifici umani” operati ovunque dalle religioni primitive. 
Chi poi accusa di “incoerenza” la Chiesa in fondo riconosce il valore e la verità della dottrina cristiana, altrimenti dovrebbe addirittura rallegrarsi dell’incoerenza ad una dottrina sbagliata (come vedremo più sotto).

1.2 – Come giudicare la storia

Una seria analisi storica deve poi sempre evitare di giudicare il passato con le categorie dell’oggi, perché ciò impedisce di cogliere il senso e le dinamiche profonde che hanno determinato gli avvenimenti storici. Bisogna entrare il più possibile nello spirito e nella cultura del tempo per cogliere più correttamente e in profondità il perché di ciò che è accaduto.

Non devo ad esempio giudicare le guerre tra le città italiane, così come tra le nazioni europee, alla luce dell’attuale sensibilità e unità.

Anche per capire le Crociate, devo immedesimarmi in un tempo – specie quello medievale europeo – in cui è diventato praticamente ovvio (per convinzione, non per imposizione) che il cristianesimo è vero, cioè che Cristo è davvero Dio, l’unico salvatore dell’uomo, e che la Chiesa ci dona la vita vera che viene da Lui ed è eterna, ci offre cioè la vita stessa di Dio e ci salva dalla dannazione eterna.
Per questo, nel Medioevo ogni attacco contro la fede cristiana viene giustamente inteso come un danno enorme non solo per il singolo uomo e per la sua salvezza eterna, ma anche per la stessa vita sociale, che trova nei valori cristiani il proprio fondamento.  

1.3 – Il “dogma illuminista” del relativismo e i suoi pregiudizi anticristiani

L’Illuminismo, oltre a distaccarsi progressivamente dalla fede cristiana fino ad opporvisi violentemente, nega sempre più che esista la verità o che si possa comunque conoscere.
Ciò apparentemente sembra possa generare un più profondo rispetto (tolleranza) tra i diversi popoli o identità culturali e religiose; in realtà tale relativismo – oggi imperante e inesorabilmente inclinato verso il nichilismo – rende impossibile non solo affermare alcun valore come oggettivo e universale, ma anche un vero dialogo tra le diverse identità (quale dialogo è mai possibile se a priori si nega la possibilità di conoscere il vero?).

In questo modo, come possiamo ormai anche storicamente constatare, non si giunge ad un vero dialogo tra identità, culture e religioni, ma ad una perdita di qualsiasi identità – come appunto l’Europa contemporanea dimostra – cioè ad uno spaventoso vuoto di ideali, ad un pericolosissimo impoverimento dello spirito e delle coscienze, dove pare non possa regnare altro che un esasperato permissivismo (“tutto è permesso”) e individualismo (“ciascuno è libero di fare quel che vuole”), che rende impossibile la costruzione stessa di una società, che non si edifica infatti certo solo sulle leggi dell’economia, e neppure su una politica fine a se stessa, ma su valori condivisi.

Questo dogma relativista, nato nell’Illuminismo ed oggi particolarmente imperante, pur predicando continuamente la tolleranza e manifestando ufficialmente anche un rispetto per le religioni, non può tollerare che ci sia una religione “rivelata” (come già quella ebraica), tanto meno un Dio incarnato (Gesù Cristo), con la pretesa quindi di essere la Verità e l’unico salvatore dell’uomo (cfr. Gv 14,6).

Questa visione illuminista è tuttora caratterizzante il “credo” massonico.

In altri termini, secondo tale pregiudizio, mentre non può dunque essere vero che Gesù Cristo sia Dio (l’unico e vero Dio), tutte le religioni sono considerate uguali e perfino equivalenti.

Non ci sarebbe ad esempio differenza tra chi predica l’amore e chi predica l’odio?

Anzi si giunge ad affermare che proprio le religioni, con le loro pretese assolutiste, sono state e sono causa di violenze e di guerre

Storicamente saranno invece proprio gli “assolutismi statali” nati dall’Illuminismo a provocare le più inaudite ed immani violenze e guerre, basti pensare a quelle del XX secolo.

In tal senso vengono invece promosse religioni e sette, come la New Age, che vorrebbero appunto accomunare tutte le religioni sotto un unico denominatore comune (e proprio questa potrebbe essere la moderna forma dell’Anticristo, come bene profetizzano Solovjev o Benson).

Dobbiamo tener presente questo dogma relativista per comprendere i pregiudizi che si celano anche dietro il dominante giudizio storico sulla civiltà medievale cristiana (che proprio l’Illuminismo ha chiamato polemicamente “secoli bui”), come pure sulle stesse Crociate.

Il laicismo post-illuminista, unitamente alla critica marxista, vede infatti nelle Crociate “il tipico frutto dell’ignoranza e del fanatismo religioso medievale” e la riprova di come appunto siano le religioni a provocare le guerre. Anche il film di R. Scott “Le Crociate” (2005) è dentro questo pregiudizio e assomiglia in questo senso più ad una invenzione che ad un serio riferimento storico.

Alla luce di questi pregiudizi, è difficile che si colga come la civiltà cristiana medievale sentisse non solo il dovere di difendere se stessa da un attacco (addirittura armato) contro la propria identità, cultura e religione, ma di andare a difendere quei fratelli nella fede che erano già stati invasi dall’Islam. Ancor più difficile che si comprenda l’importanza di quella “Terra Santa”, dove Dio stesso si era fatto uomo ed era vissuto.

1.4 – A proposito delle reali o presunte “incoerenze” dei cristiani

Come abbiamo sopra accennato, contrariamente a quanto spesso si pensa l’incoerenza non è sempre un male, anche se psicologicamente può infastidire, come la coerenza non è sempre un bene. 
Solo dentro il relativismo, cioè la negazione di una verità oggettiva e universale, la coerenza può assumere un valore assoluto: se non c’è un bene e un male oggettivi, ciò che conta è allora che ciascuno sia coerente con quello in cui dice di credere.

Ricordiamo che il relativista si costringe però al silenzio, altrimenti affermerebbe una verità. 

In realtà, là dove c’è una dottrina (filosofica, religiosa, morale) errata – là dove ad esempio ci fosse una dottrina che predica l’odio e la violenza – sarebbe infatti perfino auspicabile l’incoerenza di chi la segue, perché la sua incoerenza farebbe meno male a se stesso ed agli altri che la sua coerenza. 
Per questo, chi accusa i cristiani di essere o di essere stati “incoerenti”, paradossalmente ammette che il cristianesimo (Vangelo) sia vero; perché se esso non fosse vero sarebbe appunto auspicabile l’incoerenza ad esso.

Infatti per Nietzsche, che si opponeva drasticamente alla morale cristiana in quanto sarebbe per lui una “morale dei deboli” e antivitale, l’incoerenza di certi Papi medievali o rinascimentali (normalmente citati come scandalo e riprova della falsità della Chiesa) era particolarmente lodevole, perché appunto più vitale!

Si capisce allora che anche se ci fossero o ci fossero stati scandali e contro-testimonianze cristiane, essi non potrebbero essere assunti come “alibi” per non confrontarsi con la verità del Vangelo, tanto più che proprio dalla fede in Cristo (e non nei cristiani) dipende la propria salvezza eterna [v. nel sito al punto 5.7 della sezione “Un aiuto per capire … la fede” e al punto 12 della “Introduzione alla morale”].
Se ad esempio molti Crociati hanno compiuto violenze e saccheggi possono certo essere accusati di incoerenza (non essendo questo ciò che dice il Vangelo, che dunque rimane vero). Se invece molti musulmani fanno la “guerra agli infedeli” (non musulmani) non possono essere accusati di incoerenza, perché proprio il Corano predica questo ed il musulmano ne è pienamente coerente. 
Rimane dunque “bene” rispettare il credo religioso degli altri (come predica il Vangelo, pur essendo Gesù la Verità suprema e l’unico Dio, e avendo pure il diritto di difendersi da un’invasione straniera) e “male” pensare al mondo come terra di conquista anche “militare” al credo musulmano (come predica invece il Corano). 
Come si vede, pur nel rispetto reciproco, non si tratta tanto di coerenza o incoerenza, quanto di ciò che è bene o male , cioè proprio la questione della verità (questione che il dominante relativismo europeo non sa più porsi e risolvere).
Potremmo inoltre osservare come molte volte, e ciò è avvenuto più che mai proprio nelle Crociate, passino come “opere dei cristiani” (o addirittura della Chiesa in quanto tale) certi avvenimenti o anche istituzioni, che pur definendosi cattoliche e pur avendo originariamente un’ispirazione cristiana, vedono poi progressivamente coinvolte persone e fatti che sempre meno hanno a che vedere con la fede e con l’ispirazione cristiane; su questo semmai la Chiesa deve essere vigilante, sia pur nella comprensione della possibile debolezza morale di chiunque, pena il vedersi coinvolta in opere che solo ufficialmente o nominalmente sono compiute da suoi figli, ma che nella società e nella storia si presentano comunque come compiute dai cristiani o dalla Chiesa stessa, mentre possono essersi talmente involute da aver perso non solo la propria identità ma da costituire vere e proprie contro-testimonianze.

Come vedremo, nell’arruolarsi alla diverse Crociate di migliaia e migliaia di persone e perfino di interessi che poco o nulla avevano poi a che fare con l’autentico spirito della Crociata ha infatti  notevolmente influito sulla degenerazione anche morale di questi eventi storici e viene tuttora a turbare il giudizio storico su di essi.

In proposito, potremmo raccogliere un monito anche per il presente. Infatti, senza attenderci una perfezione morale che in questo pellegrinaggio terreno possiamo contemplare solo in Gesù e per grazia anche nella Sua Santissima Madre, e quindi mettendo certo in conto la debolezza e il peccato dell’uomo, una maggiore vigilanza nel “reclutamento” di chi aderisce ad un’opera cristiana (da un’associazione ad un’istituzione, fino alle vocazioni di speciale consacrazione) e nel mantenimento dell’ideale originario – impresa certo tanto più ardua quanto più alto è l’ideale – eviterebbe di andare poi incontro a scandali e contro-testimonianze, che purtroppo non riguardano solo le Crociate o eventi del passato, ma anche fatti ed istituzioni ecclesiali del presente.

1.5 – Santità della Chiesa, infallibilità del Papa, e discutibili scelte storiche

Come abbiamo già altrove osservato [v. il punto 5.3 di Chiesa Cattolica, del “caso” Galileo e il punto 15 del relativo Dossier] la Chiesa Cattolica è santa – come si dice nel Credo: “una, santa, cattolica e apostolica” – non perché i suoi membri siano tutti e sempre santi, ma perché essa è comunque il “Corpo mistico” di Cristo stesso, che attraverso di essa (il suo Catechismo ed i Sacramenti) ci dona la Sua salvezza eterna.
Così quando parliamo di infallibilità del Papa – dono dello Spirito Santo garantito da Gesù a Pietro ed ai suoi successori fino alla fine del mondo – ci si riferisce alla garanzia dell’autentica dottrina che salva (fede e morale) e che Gesù non ha voluto affidare ad un libro (che non ha scritto) ma ad una comunità viva (Chiesa) guidata dallo Spirito Santo e fondata su Pietro (primo Papa) e sui suoi successori.
Quando invece il Papa prende decisioni di tipo storico – tanto più quando si trattava di governare anche dal punto di vista “temporale” – non ha certo la garanzia dell’infallibilità, anche se rimane comunque il più autorevole punto di riferimento della cristianità (Magistero).

1.5.1 – “Mea culpa” della Chiesa?

Come abbiamo già osservato anche riguardo ad un altro “caso” storico [v. il punto 20 del caso Galileo e relativo Dossier], spesso si sente dire che finalmente la Chiesa (ad esempio in occasione del Giubileo del 2000, con Giovanni Paolo II) ha riconosciuto i suoi torti, i suoi errori ed il male che ha compiuto nella storia, chiedendone pubblicamente (e tardivamente) perdono. Questo è falso! oltre ad essere particolarmente pericoloso per la fede (e quindi per la salvezza della propria anima), perché crollerebbe in questo modo la certezza che la Chiesa annuncia senza possibilità di errore la Verità che salva ed in essa opera lo Spirito Santo per il bene eterno delle nostre anime. Questa ammissione di errori nel passato ci autorizzerebbe inoltre a dissentire da ciò che la Chiesa ci annuncia oggi, perché un domani potrebbe appunto riconoscere di aver sbagliato a dirci quello oggi che ci dice!

Così arriva infatti a pensare la gente, ben guidata – senza forse neppure accorgersene – da un pensiero ostile alla Chiesa e ai fondamenti stessi del cristianesimo: la Chiesa è arretrata, si sbaglia continuamente … e dopo secoli ci arriva pure lei stessa finalmente a riconoscerlo!

Chiariamo allora ancora una volta questo pericoloso equivoco.

La Chiesa è santa perché è il Corpo stesso di Cristo e Suo segno e strumento; mentre i suoi componenti (cristiani) possono essere santi (come lo sono stati migliaia e migliaia, in ogni tempo e luogo, anche se il laicismo si ostina a non volerli neppure conoscere) ma anche peccatori e quindi sempre bisognosi di conversione (anche i Crociati). Così il Papa è infallibile quando insegna la via di Dio (fede e morale) ma non quando prende decisioni su questioni temporali (ad esempio se indice una Crociata).

L’umile richiesta di perdono a Dio per i peccati compiuti dai cristiani, così come pure per certi metodi talora usati per difendere la Verità, non intacca dunque assolutamente la verità del Vangelo e la santità della Chiesa Cattolica.

Il Papa Giovanni Paolo II – che proprio durante il suo pontificato ha compiuto il maggior numero di beatificazioni e canonizzazioni (proclamato cioè Santi o Beati) nella storia della Chiesa e proprio in occasione del Giubileo del 2000 ha voluto ci fosse anche un giorno (questo non è invece ricordato da nessuno!) di solenne memoria degli innumerevoli (40 milioni!) di martiri cristiani del XX secolo – ha  desiderato che in occasione dello stesso Giubileo ci fossa anche una “purificazione della memoria” ed una richiesta di perdono a Dio dei peccati dei cristiani (in particolare quelli che hanno avuto appunto anche un grande risvolto storico) e se talora i metodi per annunciare la Verità (!) non sono sempre stati evangelici. In riferimento a certe questioni storiche, proprio in preparazione al Giubileo del 2000, così scrisse Giovanni Paolo II: “È vero che un corretto giudizio storico non può prescindere da un’attenta considerazione dei condizionamenti culturali del momento, sotto il cui influsso molti possono aver ritenuto in buona fede che un’autentica testimonianza alla verità comportasse il soffocamento dell’altrui opinione o almeno la sua emarginazione. Molteplici motivi spesso convergevano nel creare premesse di intolleranza, alimentando un’atmosfera passionale alla quale solo grandi spiriti veramente liberi e pieni di Dio riuscivano in qualche modo a sottrarsi. Ma la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l’immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza. Da quei tratti dolorosi del passato emerge una lezione per il futuro, che deve indurre ogni cristiano a tenersi ben saldo all’aureo principio dettato dal Concilio: «La verità non si impone che in forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore»” [Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente, 10.11.1994, n.35].

Dunque nessun passo indietro (sarebbe eretico ed assurdo, un suicidio del cristianesimo stesso) nei confronti della Verità da sempre annunciata e donata dalla Chiesa, cioè della fede cristiana, ma un dolore per le gravi incoerenze di tanti cristiani e di certi metodi talora usati (in buona fede e a fin di bene, in fondo per la salvezza stessa delle anime!) per diffondere e difendere la Verità, senza per questo dimenticare l’influsso di condizionamenti culturali del momento, da cui non può appunto prescindere un corretto giudizio storico. 

1.6 – La fondamentale differenza morale tra guerra di conquista e guerra di difesa

Un altro equivoco è dato dalla confusione tra il male fatto e il male subìto.  
Se è moralmente proibito compiere il male, non è moralmente proibito (ma in certi casi è perfino obbligatorio, specie se riguarda altre persone o intere società) difendersi dal male e far riparare il male subìto. È in fondo la questione della “legittima difesa”.

Gesù, con le sue espressioni forti e talora persino paradossali (cfr. Lc 6,27-38), ci insegna l’amore vero, che è libero da ogni rancore e spirito di vendetta, ma arriva ad amare anche i nemici.

Nella via personale, pur essendo moralmente lecita la “legittima difesa” (anche dei propri diritti; infatti proprio la Chiesa se ne fa più che mai paladina), è possibile giungere, sulle orme di Gesù, anche all’eroicità morale di lasciarsi privare di tutto (non però della fede e della virtù, come dimostrano i martiri). Quando invece sono coinvolti altri e perfino un’intera società, allora vige perfino il dovere morale della difesa (altrimenti si potrebbe essere perfino corresponsabili del male arrecato, se non altro per omissione di soccorso o di aiuto, perfino preventivo). Ecco perché – pur promuovendo in ogni modo (ma non ad ogni costo) la pace – è lecito avere anche adeguati strumenti di difesa (forze dell’ordine, forze militari, armamenti) e in certi casi estremi ricorrere persino alla guerra.

 Ecco il giudizio del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), nel suo Compendio (2005):

“L’uso della forza militare è moralmente giustificato dalla contemporanea presenza delle seguenti condizioni: certezza di un durevole e grave danno subito; inefficacia di ogni alternativa pacifica; fondate possibilità di successo; assenza di mali peggiori, considerata l’odierna potenza dei mezzi di distruzione” (n. 483).

“(la valutazione rigorosa di tali condizioni) spetta al giudizio prudente dei governanti, cui compete anche il diritto di imporre ai cittadini l’obbligo della difesa nazionale, fatto salvo il diritto personale all’obiezione di coscienza …” (n. 484).

“La legge morale rimane sempre valida, anche in caso di guerra. Essa chiede che si trattino con umanità i non combattenti, i soldati feriti e i prigionieri … le distruzioni di massa, come pure lo sterminio di un popolo o di una minoranza etnica, sono peccati gravissimi e si è moralmente in obbligo di fare resistenza agli ordini di chi li comanda” (n. 485).

Nonostante la presa di posizione contraria da parte di alcuni autori cristiani (Tertulliano, Origene, Ippolito) e la scelta del martirio da parte di alcuni pur di non assumere le armi, già la Chiesa primitiva non vieta il servizio militare a coloro che diventano cristiani. Dopo l’editto costantiniano del 313 si precisa (Concilio di Arles del 314) addirittura non solo la liceità ma persino l’obbligo morale (esclusi i chierici) di portare armi per legittima difesa, persino in tempo di pace, anche se uccidere rimane comunque un peccato grave da espiare con gravi penitenze. Dalla fine del IV secolo la difesa (anche armata) dell’impero viene sempre più a coincidere con difesa della cristianità stessa. S. Agostino (354-430) giudica moralmente lecita la guerra non solo di difesa ma anche riparatrice (recupero di terre e diritti usurpati), ma è affidata ai poteri laici (anche da parte dei Papi). Nel 1052 Leone IX riunisce (per la prima volta in prima persona) un esercito contro l’invasione normanna del sud d’Italia (ma verrà sconfitto). Anche la lotta antimusulmana in Spagna è vista sempre più come meritoria. Dopo la Prima Crociata si afferma quindi giuridicamente (Graziano, ca. 1140) la “guerra giusta” cristiana.

Anche il “pacifismo” è un derivato del relativismo e come esso è contraddittorio: come infatti il relativismo dice di non credere alla verità e rende tutto opinione (ma poi afferma se stesso come verità, addirittura obbligatoria, dittatura del relativismo!), così paradossalmente anche il pacifismo, volendo la pace “ad ogni costo”, provoca la guerra, non solo perché potrebbe non essere più in grado di garantire certi diritti violati, ma perché non dovrebbe neppure respingere chi fa la guerra, quindi favorendola.

Non c’è dunque assolutamente una equivalenza morale, cioè non possiamo giudicare allo steso modo, una guerra di conquista ed una guerra di difesa.
Dobbiamo fin d’ora osservare come la rapidissima ed enorme espansione dell’Islam, nato 6 secoli dopo Cristo, è dovuta soprattutto a continue guerre di conquista: lo stesso Maometto invase con eserciti l’Arabia Saudita e nell’arco di un secolo i suoi seguaci invasero militarmente la Palestina, tutto il Medio Oriente, la Turchia e l’Africa settentrionale (dove esistevano fiorenti e importanti comunità cristiane), per cercare poi di invadere l’Europa (giungendo fino a conquistare la Spagna ad occidente ed i Balcani ad oriente).
Si potrà discutere sulle degenerazioni delle Crociate e sugli interessi che vi sono subentrati, ma non si può negare che esse sono anzitutto guerre di difesa, per difendere appunto da questi attacchi musulmani l’Oriente cristiano e le terre e le comunità cristiane della Palestina e in difesa della stessa Europa, seriamente e più volte minacciata dall’avanzata militare musulmana. 
Le Crociate non si sono mai prefisse di conquistare alla fede cristiana popoli non cristiani (tanto meno musulmani), mentre l’invasione armata dei musulmani si prefigge proprio la conquista del mondo all’Islam!

1.7 – La fondamentale differenza tra imposizione della fede e difesa della fede

La libertà di coscienza (e di religione) è un fondamentale e inalienabile diritto dell’uomo.
Nessuna fede religiosa può e deve essere imposta con forza. Sarebbe quindi immorale, anti-evangelico e perfino impossibile (visto che deve nascere dal cuore dell’uomo, dove nessuno può entrare e comandare) l’imposizione della fede cristiana (e ovviamente anche quella musulmana).
Le Crociate non si sono assolutamente mai prefisse questo scopo.

“La Crociata non ha mai avuto come scopo la conversione dei musulmani” (F. Cardini, autorevole storico medievale).

Vedremo invece se e come la fede musulmana sia stata imposta nei paesi conquistati (potremmo vedere addirittura anche nel presente).
Diverso anche in questo caso è invece il giudizio sulla difesa della fede cristiana! E per difesa si può intendere sia la difesa “fisica” delle persone e delle comunità cristiane minacciate (specie se spinte all’apostasia, cioè a passare ad un’altra fede) che la difesa dell’autentica dottrina, cioè dell’autentica fede cristiana (e questo riguarda soprattutto altri eventi storici della Chiesa, oggi incompresi e denigrati, quali la difesa contro le minacce alla vera fede che sempre sorgono all’interno stesso del cristianesimo, cioè le “eresie”). 
Se poi si pensa al destino eterno dell’uomo ed alla salvezza eterna che si può avere (secondo le parole stesse di Gesù, cfr. Mc 16,15-16) solo nell’adesione alla vera fede (cristiana cattolica) – cosa appunto incomprensibile e irritante per il dogma relativista contemporaneo – allora si capisce come tale difesa, unitamente all’obbligo morale della missione (cioè la libera propagazione della vera fede), sia avvertito come un dovere supremo, un segno stesso dell’autentico amore per le persone, visto che non c’è appunto bene più prezioso della salvezza eterna dell’anima! 

1.8 – Le “laiche” Crociate contemporanee

È poi paradossale e sconcertante che il tanto sbandierato orrore e scandalo per le Crociate medievali giunga (e si imponga come pensiero dominante, assunto acriticamente perfino da molti cattolici) da parte di quella cultura anticristiana contemporanea che ha prodotto, dalla rivoluzione francese in poi, tanto “terrore” ideologico, tante distruzioni e morti, ideologie che solo nel secolo scorso (e non nel Medioevo!) hanno causato inaudite sofferenze a miliardi di persone, sistemi totalitari che hanno prodotto più di 150 milioni di morti, due “Guerre Mondiali” e lo “sterminio” di interi popoli!
Se poi pensiamo ai giorni d’oggi, ufficialmente tanto sensibili ai diritti umani e al rispetto dei popoli e di chiunque, e a un relativismo che tanto si scandalizza se si è osato difendere anche militarmente una fede e grida ancora non solo contro le Crociate medievali ma che chiama con questo termine – usato come dispregiativo – qualsiasi difesa o promozione persino di semplici e fondamentali valori umani (come la vita e la famiglia), è ancora più sconcertante e contraddittorio vederci poi obbligati a inchinarci – anche con immensi sacrifici – a qualsiasi  diktat delle “Borse” e dei giochi finanziari, capaci di colonizzare o distruggere in pochi giorni intere economie con un click sul computer (un potere ormai globalizzato e senza identificabili padroni, per cui ancor più inafferrabile e ingovernabile), un potere economico che costringe al silenzio sui più elementari diritti umani calpestati (v. la libertà religiosa in Cina, ma anche proprio in Arabia Saudita), per non parlare delle moderne Crociate (vere e proprie guerre) – certo anche in risposta ai terribili attacchi terroristici ad opera di fondamentalisti musulmani – ufficialmente attuate per difendere ed esportare la “democrazia” (e proprio contro un certo potere islamico), ma che nascondo anche enormi interessi economici [come il petrolio in Iraq o in Libia, o la droga in Afghanistan (dove la produzione di oppio si è decuplicata dopo l’attacco americano)]. Ebbene, tutti costoro abbiano almeno il pudore di non fare gli “scandalizzati” quando si parla delle Crociate medievali.


2) L’Islam 

Com’è abbiamo altrove osservato – v. punto 3.3 di Religioni –  Dio si è rivelato al popolo ebraico, dalle sue origini (Abramo, sec. XIX a.C.) all’anno <0>. Questo è creduto ovviamente dagli Ebrei, ma anche dai Cristiani e dai Musulmani (le tre grandi religioni monoteiste, che insieme formano tuttora la maggioranza assoluta della popolazione mondiale).
Per gli Ebrei la Rivelazione di Dio si interrompe misteriosamente 20 secoli fa e ancora si attende il Messia promesso. Gesù per loro era (ed è) solo un bestemmiatore, che ha osato proclamarsi Dio.
Cristiani riconoscono in Gesù non solo il Messia promesso, ma il Figlio di Dio, cioè Dio stesso fatto uomo. Per questo, e secondo le parole stesse di Gesù (cfr. ad esempio Mt 5,17 e Mt 24,4-5.23-27; Mc 14,61-62; Lc 17,23; Gv 16,28 e 17,3), in Lui non solo si porta a compimento e si supera tutta la Rivelazione dell’Antico testamento (agli Ebrei), che in vista in Lui era stata data, ma non ci può essere altra Rivelazione di Dio al mondo fino alla fine del mondo (cfr. Ap 1,17; 1 Tm 6,14; Tt 2,13 – cfr. anche Conc. Vat. II Dei Verbum, 4), quando Cristo “di nuovo verrà nella gloria, per giudicare i vivi e i morti” (Simbolo niceno-costantinopolitano).

San Giovanni della Croce ha espresso questa verità in modo mirabile: “Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire … Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l’ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità” (Salita al Monte Carmelo, II, 22).

Per i Musulmani (Islam) Gesù era invece solo un grande profeta, non è vero che è risorto (era morto un suo sosia), e non è vero che sarebbe quindi il culmine insuperabile della Rivelazione di Dio agli uomini. Dio (Allah) ha dato la vera e piena Rivelazione al suo profeta Maometto, mediante il Corano

2.1 – Maometto

Maometto (Muhammad, che significa “il degno di lode”) era un arabo nato a La Mecca (Arabia Saudita), città creduta fondata da Abramo, nel 571 d.C. (o 569). Venuto a contatto con comunità giudaiche e cristiane, e forse anche con alcuni “monaci del deserto” della cristianità, conosceva dunque qualcosa della Rivelazione biblica, di cui si sentì poi il continuatore ed il culmine. Pare però che fosse analfabeta.
A 25 anni sposa una ricca vedova, più anziana di lui di 15 anni e di cui era l’amministratore dei numerosi beni, dalla quale ebbe 7 figli (3 maschi, che moriranno tutti in tenera età, e 4 femmine, delle quali l’ultima, Fatima, fu la prediletta); per questo poteva condurre una vita agiata.
Durante uno dei suoi abituali ritiri in solitudine e preghiera, il 26-27 del mese di “ramadan” del 610, dice di avere avuto la Rivelazione dall’Arcangelo Gabriele, che gli parlò di Dio e della missione “profetica” che Dio gli affidava. Si sente sulla scia della rivelazione biblica, e quindi nel solco dell’ebraismo e del cristianesimo. Il Dio (Allah, in lingua araba) è ancora il Dio che parlò per mezzo dei profeti (Antico Testamento) e dello stesso Gesù (considerato solo un grande profeta, grande ma penultimo), il Dio uno ed unico, ma questa Rivelazione di Allah a lui, per mezzo dell’Arcangelo, è quella suprema e definitiva. Questo è infatti il cuore della fede musulmana: Allah è l’unico Dio e Maometto è il suo Profeta. 
Queste rivelazioni si protrarranno lungo tutto il resto della sua vita (cioè dal 610 al 632).

Nel periodo dal 615 al 619 avrebbe addirittura compiuto un viaggio (“viaggio notturno”) nell’Aldilà.

Credono subito a questa rivelazione divina la prima moglie ed alcuni amici, ma sarà fieramente avversata dai potenti arabi locali (tra cui uno zio paterno), che lo consideravano pazzo. 
Maometto si ritira allora a 350 km a nord di La Mecca, in quella città che si chiamerà Medina (che significa “la città”, cioè la città per antonomasia). Il suo arrivo a Medina, dove riesce a far fare pace tra due tribù arabe in lotta tra loro, il 16 luglio 622 d.C. (anno dell’Egira) è considerato l’inizio dell’era musulmana e quindi del conteggio musulmano degli anni. 
La sua prima moglie morì nel 619. Secondo l’uso del tempo, Maometto prende diverse mogli (12 o forse addirittura 15, assai di più di quante ne permetterà la sua stessa dottrina). Alcune di queste, come la seconda, sono ancora bambine (non aveva neppure 9 anni). Altre sono figlie di suoi consiglieri. Una era forse addirittura moglie di un suo figlio! Maometto si vantava di questa sua predilezione per le donne; diceva infatti che “dopo Dio, le donne e il profumo erano le cose che gli stavano a cuore”. 
Maometto, oltre a definirsi il Profeta, assunse anche il potere politico – nell’Islam non ci sarà infatti  distinzione tra potere religioso e potere politico – e fu anche un vero e proprio capo militare. 
Negli ultimi 10 anni di vita (622-632) da Medina, con i suoi primi seguaci (che si consideravano dei guerrieri) iniziò dapprima delle razzie e poi vere e proprie guerre di invasione dei territori vicini. Maometto comanderà personalmente 9 guerre e ne ordinerà 26! Nel 630 attaccò e vinse La Mecca e, dopo aver conquistato e coinvolto nella sua dottrina le molteplici e nemiche tribù nomadi della penisola arabica, conquistò lo Yemen e molti altri paesi arabi..
L’anno della sua morte (632) Maometto fece un pellegrinaggio alla “Pietra Nera” de La Mecca (era un uso arabo già precedente, ma diventerà con Maometto addirittura uno dei 5 obblighi della vita musulmana). Tornato infine ormai ammalato a Medina, muore il 8.06.632, lasciando ben 9 mogli (ma non figli maschi).

Come si può constatare, con tutta onestà e obiettività, non solo la personalità ma la stessa vita morale di Maometto è imparagonabile con l’assoluta perfezione morale e l’infinito amore di Gesù di Nazareth (una perfezione unica e irripetibile, riconosciuta perfino dai non cristiani)!

2.2 – Il Corano e la dottrina musulmana

Pur essendo stato dettato interiormente dall’Arcangelo Gabriele a Maometto (così lui dice), il Corano non è scritto da Maometto, ma si coaguleranno posteriormente in questo libro sacro i diversi suoi insegnamenti.

L’Arcangelo Gabriele avrebbe comunicato tale “Rivelazione” a Maometto interiormente, poiché era forse analfabeta, ma gli dice “leggi” (iqra, da cui la parola qur’an e quindi Corano, che alla lettera significa “recitazione”). Si tratta dunque di una rivelazione “orale”.

In un primo tempo si pensava di lasciarlo orale. Poi, dopo la morte di Maometto, si decise di metterlo per iscritto, raccogliendo i ricordi e le testimonianze di coloro che lo avevano sentito proclamare da Maometto stesso, cominciando dal suo segretario. Sotto il califfo Omar (634-644) esisteva già un Corano scritto, ma poi circolavano versioni discordanti. Così il 3° califfo Othman (644-656) decise quale dovesse essere la trascrizione autentica e fece  bruciare tutte le altre scritture esistenti. 
Si discusse se, essendo “divino”, dovesse essere considerato creato (dato agli uomini) o increato (coeterno a Dio, come il suo pensiero) e prevalse questa seconda idea, così che tale testo venne considerato una vera “dettatura” da parte di Dio e come tale non dovesse essere possibile alcuna traduzione (dall’arabo) e interpretazione, ma dovesse essere preso alla lettera.

Si cominciò a tradurlo in Occidente con il colonialismo, per poterlo capire. La prima copia stampata è stata però significativamente in Occidente (Venezia, in un’edizione curata da Paganino da Brescia) agli inizi del ‘500.

Si osservi invece che la Bibbia, pur essendo Parola di Dio (e l’Antico Testamento è considerato tale da Ebrei, Cristiani e dagli stessi Musulmani), non è considerato una semplice “dettatura”; e quindi, per coglierne il senso vero, occorre anche una corretta interpretazione. Non a caso Gesù stesso, che non scrive alcun libro, affida il Vangelo ad una comunità viva (la Chiesa), guidata dagli Apostoli e dai loro successori (Vescovi) ed in particolare da Pietro (Papa), che sarà garante della sua autentica trasmissione e interpretazione. Anche quando il Vangelo sarà messo anche per iscritto, è ancora la Chiesa (del I secolo) ad accoglierne 4 (Mc, Mt, Lc, Gv) come canonici, cioè autentici. Con tutto ciò, è sempre possibile e doveroso un approfondimento, sia mediante gli studi esegetici e teologici come pure attraverso la meditazione personale. (Cfr. nel sito: Un aiuto per < per capire la fede < questioni 4.35.3). 

Questa convinzione – di una dettatura letterale del Corano da parte di Dio stesso – impedisce non solo ogni interpretazione, ma anche un qualsiasi “dialogo” teologico.
Infatti, persino quando il Corano parla di Gesù e del Vangelo, ha dunque la pretesa di dire il vero, senza possibilità di confronto: è il Vangelo e sono i cristiani a dire il falso su Gesù. Insomma, è Maometto a capire 600 anni dopo “chi” era Gesù, e non gli Apostoli, gli Evangelisti, la Chiesa, il cristianesimo. E quindi su quale base religiosa si potrebbe discutere e confrontarsi? (Semmai è possibile un dialogo a livello culturale. E infatti storicamente c’è stato).
Maometto pensa che i cristiani siano usciti dal monoteismo assoluto credendo alla SS.ma Trinità (che ignorantemente crede sia formata dal Padre, dal Figlio e da Maria!) e bestemmino parlando di Gesù come del “Figlio di Dio” (pensando ignorantemente che si tratti di “figlio” in senso fisico). Per lui, che solo sa chi era veramente Gesù, era solo un grande profeta; sulla Croce è morto un sosia, per questo è stato rivisto vivo dopo la sua morte e creduto risorto (quindi non è vero che è risorto; chiaramente crolla qui il centro del cristianesimo). Rimane paradossalmente una stima per la Madonna (venerata infatti anche dai musulmani), essendo tra l’altro l’unica donna di cui parli il Corano.
Anzi, Gesù stesso avrebbe preannunciato la venuta di Maometto – l’ultimo ed unico vero profeta di Dio – quando disse che avrebbe dato il “Paraclito” (cioè quando Gesù parla dello Spirito Santo che avrebbe inviato e che avrebbe condotto alla verità tutta intera, cfr. Gv 15,26 e 16,13).

Secondo Maometto Gesù avrebbe dato “il lieto annuncio di un messaggero che verrà dopo di me  e che sarà chiamato Ahmad” (Corano 61,6). Ahmad e Muhammad (Maometto) in arabo sono sinonimi e significano “degno di lode” e “famoso”. Certi esegeti musulmani hanno accusato i cristiani, ovviamente senza alcuna prova storico-letteraria, di aver cambiato il termine greco periclytos (“famoso”, appunto in arabo Muhammad) col termine parakletos (Consolatore, avvocato, riferito sempre allo Spirito Santo).

Il Corano non è solo libro religioso, ma regola tutta la vita, personale e sociale, politica compresa.
Composto da 144 capitoli (sure), non ha una struttura unitaria, una linea logica o teologica, ma si presenta in modo molto caotico, risentendo pure dei diversi periodi della vita di Maometto (dal 610 al 632).

Nel terzo periodo della formazione orale del Corano (anni 619-622), si pone in continuità con l’ebraismo e il cristianesimo: si giunge persino a dire che come Mosè è stato profeta del mondo ebraico e Gesù del mondo ellenistico, così lui (Maometto) è profeta del mondo arabo.

Nell’ultimo periodo di formazione orale del Corano (anni 622-632) Maometto parla di sé non più solo come il Profeta ma come capo di stato e condottiero (con tanto di regole per le battaglie). In questa fase – pur mantenendo un legame con la Bibbia (Antico Testamento) –  aumenta il contrasto con l’ebraismo (e da qui per pregare non ci si volterà più verso Gerusalemme ma verso La Mecca).

2.2.1 – Dottrina islamica

La dottrina musulmana è in realtà molto semplice (e questo contribuì non poco alla sua diffusione, specie tra la popolazioni arabe): c’è un solo Dio (Allah), che aveva già parlato nella Bibbia (ebraismo e cristianesimo) e Maometto è il suo Profeta.
Il Corano, rivelazione suprema di Dio a Maometto attraverso l’arcangelo Gabriele, non è stato dato per far conoscere Dio, uno e unico, poiché Dio è talmente trascendente (al di sopra di tutto) che rimane inconoscibile e irraggiungibile (neppure dopo questa vita). L’Islam non conduce quindi ad un reale rapporto con Dio, tanto meno ad una comunione con Lui (come nel cristianesimo), ma alla “sottomissione” (questo il significato della parola islam), camminando sulla retta via (shari’a).
Nonostante ciò, rimangono nel Corano molti antropomorfismi, cioè semplicistiche visioni di Dio sul modello umano (mani, viso, occhi, trono), anche se questo per molti non è da intendersi in senso letterale.
Il musulmano (muslim) è il fedele “sottomesso” ad Allah.
La preghiera, come indica anche la posizione del corpo (inginocchiato e con il capo a terra), è sottomissione a Dio; la stessa preghiera litanica musulmana (sembra un rosario) è un elenco di 99 titoli di Dio (il 100° è indicibile, appunto per sottolinearne la trascendenza e inconoscibilità). 

Non ci sono molte regole morali:
1) la professione di fede: Allah è uno e l’unico Dio e Maometto è il Suo Profeta;
2) le preghiera 5 volte al giorno (versetti coranici, ritmata dal muezzin dall’alto dei minareti e rivolti verso La Mecca; il venerdì a mezzogiorno viene fatta nella moschea, scalzi, ed è guidata da un imam, cioè capo-coro) [si noti che, essendo l’Islam fondamentalmente maschilista, la preghiera pubblica spetta ai soli uomini];
3) il digiuno nel mese (lunare) del Ramadan (rimanendo cioè senza mangiare, bere, fumare e atti sessuali, dall’alba al tramonto);
4) l’elemosina legale;
5) almeno una volta nella vita, se possibile, il pellegrinaggio a La Mecca.
La monogamia è solo preferita; in realtà il Corano permette (ovviamente solo all’uomo) la poligamia, fino ad avere 9 mogli, se si possono mantenere (ma lo stesso Maometto superò questo numero).
La donna non ha la stessa dignità dell’uomo (anzi, può valere meno dell’asino), è sua proprietà e deve essere velata. Se infedele o adultera deve essere lapidata.
Alla fedele vita musulmana è promessa una ricompensa eterna (paradiso), che non si tratta ovviamente (come nel cristianesimo) del raggiungimento di Dio (impossibile!) ma di una terra di godimenti (perfino sessuali).

2.3 – I diversi gruppi musulmani

In realtà, nonostante questa dottrina unitaria (che comprende non solo contenuti religiosi, ma anche culturali, sociali, politici e perfino militari), l’Islam non è omogeneo come potrebbe sembrare, ma si divide in gruppi diversi (taluni considerati eretici o perfino scismatici), talora perfino in lotta tra loro.

Talune divisioni interne all’Islam appaiono già dopo la morte di Maometto, ma durante la storia spesso si acuiscono. Anche al tempo delle Crociate esse diversificano anche geograficamente la possente realtà del mondo musulmano, anche se spesso per l’Europa Occidentale esse non sono che semplicemente l’Islam, o i Musulmani (talora perfino i “Turchi”), mentre tali gruppi musulmani assumevano pure differenti posizioni nei confronti del cristianesimo e dell’Occidente.

Anche nel presente momento storico, quanto mai in fibrillazione proprio per il rapporto tra Islam ed Occidente, noi vediamo questi gruppi storici divisi e perfino in lotte cruenti tra loro per raggiungere il potere politico o militare (come in Iraq e in tutto il Medio Oriente)

Tali divisioni sono sorte talora fin dall’inizio, per questioni dottrinali, etniche, o perfino per individuare chi sia il Califfo (cioè il vero successore di Maometto, anche se l’Islam non possiede un capo religioso unitario e neppure un sacerdozio, essendo tutti ugualmente “sottomessi” ad Allah).

Maometto, l’unico e definitivo Profeta, muore nel 632. I suoi primi sostituti (Califfi) furono ancora legati alla sua parentela: Abu Bakr (632-634), Omar (634-644, conosciuto da Maometto e padre della sua terza moglie), Othman (644-656, molto ricco e marito di due figlie di Maometto).

Il gruppo fortemente maggioritario (90% dei musulmani) è quello dei Sunniti (così chiamati in quanto alla “sunna”, considerata la vera tradizione di Maometto). 
L’altro importante gruppo musulmano, minoritario (9%) ma tuttora persistente e in lotta col precedente, è quello degli Sciiti. Essi sostengono che nella messa per iscritto del Corano furono lasciati appositamente fuori intere “sure” (capitoli) riguardanti proprio il diritto di Alì al califfato, cosa negata dai Sunniti.
Abbiamo poi il gruppo degli  Ommayadi (califfato persiano e iracheno, con capitale Damasco), sostituiti nel 750 dagli Abbassidi (cioè i discendenti di Abbas, zio di Maometto), con capitale Bagdad. 
Nel 1055 il popolo nomade e musulmano dei Selgiuchidi conquista Bagdad, senza distruggere la dinastia Abbasside, ma sovrapponendo il sistema dei sultanati ai quello dei califfati. 
Nel 1258 Baghdad sarà conquistata dai mongoli e quei califfi si ritireranno in Egitto.

Si osservi, anche in riferimento all’attuale difficile situazione irachena (in cui peraltro si manifesta ancora la lotta tra sunniti e sciiti), che nella rivendicazione del territorio da parte dei musulmani, con tanto di pulizia etnica nei confronti dei cristiani, che all’apparire dell’Islam in Iraq il cristianesimo vi era già presente da 6 secoli.

La setta degli Assassini, particolarmente presente in Siria, era particolarmente violenta e utilizzava sistematicamente l’assassinio politico per eliminare gli avversari.

Non a caso il loro nome, che deriva dal loro abituale uso di hashish, è rimasto nella lingua italiana per indicare appunto gli omicidi.

La setta dei Drusi, che fu presente specialmente in Libano ed in Palestina, viene considerata eretica dalla maggior parte dell’Islam; essa fu particolarmente agguerrita e fu protagonista di violente persecuzioni anticristiane.

Tra le scuole teologiche islamiche potremmo ad esempio distinguere il Mu’tazolismo (che mantiene un legame con la ragione e la filosofia, ma è minoritaria e avversata), l’Hanbalismo (che è maggioritaria e non ammette che un’interpretazione letterale del Corano), l’Ash’arismo (intermedia tra le due e fu maggioritaria dal XII al XIX secolo), il Maturidismo (più tarda, ma rara nel mondo arabo). Tra le scuole di diritto islamico e della Shari’a abbiamo la hanafita, la malikita, la shafi’ita, la hanbalita (e, tra gli Sciiti, la Zaydita e la Ja’farita).

Al tempo delle Crociate esistono diverse fazioni islamiche, tra cui principalmente i Selgiucidi e i Fatimidi  (sciiti considerati eretici), peraltro in lotta tra loro. La setta degli Almoravidi (cioè abitanti nei monastri fortezza) era particolarmente presente nel Maghreb; mentre in Spagna dominava il califfato di Cordoba.
Le lotte interne tra questi gruppi islamici furono talora talmente aspre da indurli perfino a chiedere l’ausilio dei cristiani!

Se una certa eterogeneità caratterizza le componenti etniche della Crociata (italiana, franca, tedesca, ungherese, normanna, bizantina), ancor più variegato è il panorama dei diversi gruppi e sultanati musulmani e dei rispettivi comportamenti (dai feroci Drusi, Assassini, Almoravidi ai più miti Abbassidi e Fatimidi; Sunniti e Sciiti; arabi, siriani, turchi, egiziani).

E i Crociati faticavano a cogliere tali distinzioni, per cui l’Islam veniva compreso come un tutto omogeneo (forse ancor oggi in Occidente), così per i musulmani i Crociati erano semplicemente gli Europei (che in genere  denominavamo “Franchi”), distinguendo al massimo i Bizantini.

2.4 – Le “guerre” di espansione dell’Islam

Come abbiamo già osservato, Maometto si considerò, oltre che l’unico e definitivo Profeta di Allah, anche un capo militare, al fine di espandere l’Islam (vera religione) nel mondo intero. Per questo, negli ultimi 10 anni di vita (622-632) comandò personalmente 9 guerre di invasione e ne ordinò 26, così da portare moltissime tribù arabe (dell’intera penisola araba, dello Yemen e di altri territori arabi) ad abbracciare la sua dottrina e diventare musulmane.

I suoi stessi seguaci si consideravano “guerrieri” e le sue prime biografie vengono infatti chiamate razzie (“maghazi”).

Questa idea di dover esportare progressivamente l’Islam al mondo intero anche con la guerra non è un’incoerenza alla loro dottrina (come lo sarebbe invece nel cristianesimo), ma è proprio parte di essa e la caratterizza, sia pur con sfumature diverse. 
Nell’Islam è infatti presente non solo la certezza assoluta della verità della propria religione (questo è certo ovvio per qualsiasi fede religiosa, che altrimenti non sarebbe tale) – una verità che però in questo caso non ammette possibilità di dialogo, e quindi mediazioni razionali, in quanto considerata “dettata” da Dio stesso e una cosa sola con Lui – ma una concezione del mondo fondamentalmente diviso in due parti: quella musulmana e quella che deve essere invasa per renderla tale!

Per il Corano la Terra si divide in due: quella dei sottomessi a Dio (muslim, cioè i musulmani) e quella degli “infedeli” (kafir), cioè il “territorio della sottomissione” (dar al-Islam) e quello della “guerra” (dar al-harb). Esistono quindi i Paesi musulmani e quelli che lo devono diventare.

2.4.1 – La “guerra santa”

Si tratta della “jihad”, intesa come vera e propria guerra santa contro gli “infedeli” (cioè i non-musulmani), per portare l’Islam nel mondo intero.

Per sé il Corano (II, 256) esclude la conversione forzata degli infedeli, ma insegna la “guerra santa” (Jjhad), cioè il combattimento (II, 190-193.244) contro gli infedeli, la loro umiliazione e il sottometterli al tributo (IX, 29; VIII, 39), uccidendo gli idolatri e i non credenti.

“Uccidete gli idolatri ovunque li troviate. Prendeteli, assediateli e tendete loro ogni sorta di insidie. Se invece si convertono, fanno la preghiera e pagano la decima, lasciateli in pace, perché Dio è indulgente e misericordioso (Corano, IX, 5).

“Combattete quelli che non credono in Dio … combatteteli (coloro cui fu dato il Libro, cioè ebrei e cristiani) finché non paghino umilmente il tributo, a uno a uno” (IX, 29).

“O voi che credete! Perché mai quando vi si dice: <lanciatevi all’attacco per la causa di Dio!> stramazzate a terra? Preferite forse la vita terrena a quella futura? … Se non vi lanciate all’attacco, Dio v’infliggerà un castigo doloroso … Lanciatevi dunque all’attacco con armi leggere e con armi pesanti e lottate con i vostri beni e le vostre persone per la causa di Dio!” (IX, 38-39.41).

“Combatteteli (quelli che non credono) finché non ci sia più sedizione, e il culto sia reso tutto e solo a Dio” (VIII, 39).

“Quando dunque incontrate in battaglia quelli che non credono, colpiteli al collo e dopo averli massacrati di colpi, stringete bene i ceppi” (XLVII, 4).

“Combattano dunque per la causa di Dio quelli che sono pronti a vendere questa vita terrena per comprare l’altra vita, perché colui che combatte per la causa di Dio e sarà ucciso o vincerà daremo una mercede immensa” (IV, 74).

Il termine jiahd (che significa sforzo e lotta per camminare sulla via di Dio) si riferisce anzitutto alla dimensione interiore e spirituale, ma si estende poi anche alla “guerra santa” o legale (Corano, VIII, 39). Di che si tratta? Il Corano non dice di forzare i popoli a convertirsi all’Islam, anzi per sé lo esclude (II, 256), ma di fare “guerra agli infedeli”, espandendo l’Islam al mondo intero, anche con la forza. Concretamente questo significa che, una volta conquistati anche militarmente i territori non ancora musulmani, chi non si converte all’Islam o emigra o può essere ucciso; se si tratta però di un ebreo o di un cristiano (appartenente dunque a quelle che loro chiamano le “religioni del Libro”, rifacentesi cioè alla Bibbia cui anche il Corano si riferisce), se non si converte all’Islam, può assoggettarsi pagando la jizya (una tassa onerosa) che lo rende dhimmi (protetto) e soggetto di alcuni diritti, come la possibilità di rimanere in territorio musulmano pur continuando ad avere privatamente la propria religione (senza però manifestarla pubblicamente o fare proseliti) e rimando escluso dai diritti pubblici.

Si tratta di un vero e proprio obbligo morale, che cesserà solo quando tutti i popoli della terra saranno diventati musulmani.

Combattere la jihad (guerra santa) è un dovere che compete in quanto tale non al singolo (tranne che per difesa) ma alla “comunità dei credenti” (umma). Il “combattente” (mujahid, pl. mujaheddin), se è troppo giovane, deve avere l’autorizzazione dei genitori; se muore deve essere considerato un “martire” ed avrà un posto privilegiato in paradiso.

Ci sono però delle scuole coraniche in cui tale “guerra” viene intesa non in senso militare.

2.5 – La repentina espansione militare dell’Islam

Se alla morte di Maometto (632) l’Islam aveva già conquistato militarmente gran parte dell’Arabia e dei territori limitrofi, la “guerra santa” è più che mai all’opera dopo la morte del Profeta condottiero.
Il primo califfo Abu Bakr (632-634) orienta le proprie conquiste militari verso l’Iraq e la Palestina (quindi già in territori allora bizantini, cioè di Bisanzio). Il secondo califfo Omar (634-644) organizza meglio l’esercito e va alla conquista di popoli persiani e nel 638 occupa la stessa Gerusalemme (v. la moschea di Omar, tuttora esistente, proprio sulla spianata del tempio ebraico distrutto dai Romani nel 70 d.C.), così come nel 640 l’Egitto, concludendo con quei territori occupati accordi statali e commerciali e facendo comunque stazionare le proprie forze militari. Morì assassinato nel 644 all’età di 70 anni. Il terzo califfo Othman (644-656), assai ricco, organizza militarmente la Siria (strategicamente fondamentale per l’avanzata verso altri territori orientali) e spinge le conquiste islamiche ad oriente e ad occidente. Inizia inoltre ad organizzare meglio i territori occupati, anche sotto il profilo fiscale, concedendo privilegi fiscali a tutti ai musulmani (occupanti e coloro che si sarebbero convertiti all’Islam, cosa che avvenne rapidamente e in moltissimi). Alla sua morte (morì anch’egli assassinato da dissidenti arabi nella sua residenza di Medina, nel 656) sono diventati territori musulmani la Persia, le propaggini dell’India, la Mesopotamia, l’Armenia, l’Anatolia, la Siria, l’Egitto, l’attuale Libia e Tunisia!
Nel 674 i musulmani giungono già ad assediare Costantinopoli (che vinse nel 740). Nel 700 tutta l’Africa settentrionale (da 6 secoli ricca di prestigiose comunità cristiane) è già conquistata dall’Islam, che giunge nel 700 addirittura fino a Gibilterra, per sbarcare l’anno successivo in Spagna (i musulmani occuperanno la Spagna, che divenne califfato indipendente con capitale Cordoba, per ben 7 secoli) e poi varcare gli stessi Pirenei nel 714, con l’intento di occupare anche la Francia (nel 732/733 verranno però sconfitti a Poitiers da Carlo Martello e inizieranno la ritirata).

Ricordiamo che l’invasione militare musulmana continuerà nei secoli e tenterà di conquistare l’Europa, minacciandola “a tenaglia” da occidente e da oriente. Ad occidente, la Spagna rimarrà occupata dai musulmani fino a tutto il XV secolo. Ad oriente gli attacchi musulmani furono più minacciosi e penetranti: nel 1453 conquistarono Costantinopoli e si spinsero fin oltre i Balcani, ma la sconfitta subita nella battaglia navale di Lepanto (7.10.1571) impedì l’occupazione militare musulmana dell’Europa, così come la battaglia di Vienna del 1683. La Turchia, tuttora musulmana, è rimasta califfato fino al 3.03.1924 quando il presidente Ataturk creò ufficialmente uno Stato laico.

2.5.1 – Come è stato possibile?

Insomma, se in soli 20 anni dalla morte di Maometto, l’Islam infligge ferite mortali all’impero bizantino e distrugge quello persiano, in un secolo riesce ad occupare territori che vanno dall’Oceano Atlantico alle cateratte del Nilo, dalla Turchia all’Indo, e in Europa da Lisbona al confine francese! Come è stato possibile? 
Al di là delle guerre e delle conversioni forzate, l’Islam fece comunque subito molta presa sulle popolazioni arabe (in genere retrograde e misere), quasi fosse una religione particolarmente adatta a loro e capace di unificare le diverse tribù sotto questa fede semplice e forte allo stesso tempo.

Infatti, nonostante che il Corano si dilunghi anche in innumerevoli leggi che riguardano in fondo tutta la vita, non solo personale ma anche sociale, senza alcuna distinzione tra religione e politica (essendo la seconda riassorbita nella prima), spesso senza mediazioni tra religione e diritto civile e penale (shari’a), e con indicazioni persino sanitarie e di alimentazione (anche questa con chiaro riferimento a popolazioni che vivono in territori normalmente molto caldi, si pensi alle proibizioni circa gli alcolici e la carne suina), la dottrina islamica è fondamentalmente semplice (solo 5 pratiche), senza elucubrazioni teologiche (che il popolo normalmente non capisce), e fortemente maschilista, con grandi concessioni sessuali (solo ai maschi, si pensi alla poligamia) ed allo spirito guerriero. Persino l’Aldilà islamico era semplice e particolarmente attraente per il semplice uomo arabo (un paradiso immaginato come un’oasi lussureggiante con tante donne sempre vergini e sessualmente disponibili) [De Rosa, autorevole storico].

Il cristianesimo, specie d’Oriente, aveva invece un’ardita teologia, fortemente connessa con la filosofia, ed una morale che obiettivamente rappresenta talmente il culmine della perfezione umana da sembrare quasi irraggiungibile (ed infatti la si raggiunge solo “in Cristo”, cioè con l’aiuto della “grazia”). Certe dispute teologiche tra le diverse scuole cristiane (specie nell’impero bizantino), giunte talora a vere e proprie eresie e scismi, non erano certo comprese dalle masse popolari, pur essendo decisive sul piano della dottrina (e quindi della stessa salvezza delle anime) [le popolazioni cristiane del Medio Oriente erano assai spesso “monofisite”, quindi eretiche, senza neppure saperlo].

Da un punto di vista geopolitico, potremmo osservare come l’Impero bizantino (ma anche quello persiano) desse chiari segni di crisi, mentre cresceva il malcontento nelle popolazioni suddite a motivo di una eccessiva pressione fiscale. Il crollo dell’Impero Romano d’Occidente aveva reso particolarmente vulnerabile l’Egitto (appartenente all’Impero Romano d’Oriente e quindi sotto Bisanzio, ma già resosi autonomi per questioni teologiche, v. monofisismo), mentre l’Algeria e il Marocco risultavano addirittura già indebolite sotto il dominio romano.
Con tutto ciò, l’incredibile e repentina espansione musulmana è dovuta certo ad una loro indubbia capacità militare, accresciuta e sostenuta dalle loro motivazioni religiose (la “guerra agli infedeli”, voluta da Allah per portare il mondo intero alla la Sua sottomissione), che creava progressivamente l’impressione di una invincibile armata destinata a dominare in poco tempo il mondo intero.

Rispetto agli storici cristiani della stessa epoca i musulmani posseggono obbiettivamente una scarsa profondità di analisi storica, un’inferiore capacità di comprensione degli avvenimenti, e soprattutto una pressoché totale mancanza di obbiettività: non vi è traccia di autocritica, tutto sembra inquadrato in una quasi favolistica lotta tra bene e male.

Dal XVI secolo l’espansione dell’Islam verso Oriente è invece realizzata più dai mercanti che dai guerrieri. Oggi, oltre che per l’enorme potere dato dal possesso del petrolio e dagli esorbitanti quanto imprevedibili atti  terroristici (posti in atto dalle frange più estremistiche), l’invasione musulmana avviene certamente anche per emigrazione (come in Europa – si tratta certo attualmente di un’invasione pacifica, che però sostanzialmente mantiene la medesima visione del mondo e vorrebbe attuare lo stesso diritto, sia matrimoniale che civile), oltre che per la conquista del potere politico e militare (come in Africa e nell’estremo Oriente).

Inoltre, una volta conquistato un territorio, il potere musulmano garantiva particolari privilegi fiscali solo a coloro che erano musulmani o si facevano tali, mentre per gli altri la vita poteva divenire così difficile da preferire l’esilio (i pagani potevano infatti rischiare la vita, mentre gli ebrei e i cristiani venivano gravati di pesantissime tasse, oltre ad essere privati di molti diritti pubblici).
Anche questo spostava ovviamente enormi masse popolari ad abbracciare la fede musulmana. 
Agli europei questo straordinario successo musulmano, che conquistava anche terre fino ad allora cristiane e ormai minacciava “a tenaglia” (Spagna e Balcani), oltre che dal mare, la stessa Europa e quindi la sua stessa identità cristiana, poteva certo dare l’impressione quasi di un apocalittico attacco dell’Anticristo al cristianesimo intero (e quindi alla salvezza eterna dell’uomo), con l’evidente obbligo morale di difendere le proprie terra, identità e fede cristiane.
Dobbiamo certo tener conto di tutto questo, anche per comprendere lo “spirito” delle Crociate.

2.6 – I cristiani dei territori occupati dall’Islam 

Dobbiamo anzitutto tener presente che l’Islam nasce 6 secoli dopo Cristo, quando il cristianesimo è già presente non solo in Europa, ma nell’Africa settentrionale (dove vivono fiorentissime comunità e importantissime scuole teologiche e culturali, basti pensare al Patriarcato di Alessandria d’Egitto, ai “monaci del deserto”, per non parlare dello stesso S. Agostino d’Ippona [354-430]), nel Medio Oriente (a cominciare dalla stessa Terra Santa dove visse Gesù) e nell’Asia, dalla Turchia (evangelizzata da S. Paolo) al’India (evangelizzata dall’apostolo Tommaso). 
Al tempo dell’invasione musulmana, solo in Medio Oriente esistevano ben 600 diocesi.
Questo dovrebbe già far capire che invasione musulmana e Crociate non possono essere messe sullo stesso piano, anche dal punto di vista morale, in quanto la prima è appunto l’invasione militare islamica di territorio cristiani e la seconda è semmai la (legittima) difesa di tali comunità cristiane o la riconquista militare di tali territori occupati.
Abbiamo già detto che l’invasione musulmana, sia pur tesa a portare tutto il mondo nella sottomissione (islam) ad Allah, non si prefiggeva per sé di convertire all’Islam con la forza. 
Diverso era poi l’atteggiamento dei dominatori musulmani nei confronti dei seguaci delle altre religioni: erano in genere fortemente intransigenti nei confronti delle religioni non bibliche, cioè quelle pagane od orientali, così da costringerli a convertirsi all’Islam o ad espatriare; erano invece più tolleranti, per motivi religiosi (stessa radice biblica), nei confronti degli ebrei e dei cristiani (i primi in quanto fermi alla prima Rivelazione; i secondi fermi alla seconda Rivelazione; entrambi – secondo loro – non ancora giungi alla terza e definitiva Rivelazione, quella del Corano). Ebrei e cristiani non erano dunque costretti a convertirsi all’Islam, ma dovevano comunque sottomettersi al dominio musulmano, subendo forti discriminazioni.

I cristiani non possono fare proseliti (in pratica nessuno può convertirsi al cristianesimo), non possono costruire chiese né aggiustare quelle vecchie (quindi costringendoli nel tempo a non avere più propri luoghi di culto) e non possono accedere a cariche pubbliche.

Secondo il diritto matrimoniale musulmano, cui tutti dovevano sottostare, la donna musulmana non può sposare un ebreo o un cristiano, mentre un uomo musulmano può sposare anche una non-musulmana, con l’obbligo però che i figli siano musulmani.

Soprattutto ebrei e cristiani, se non si convertono all’Islam, sono gravati da un’esorbitante pressione fiscale, da cui sono esenti i musulmani.

Chiunque si fa musulmano gode invece degli stessi diritti e privilegi dei musulmani.

Tutto ciò ha esercitato indubbiamente un’enorme pressione psicologica, sociale ed economica, così da ottenere massicce conversioni all’Islam da parte dei popoli invasi dai musulmani.

A onor del vero, si deve però sottolineare che queste norme non erano applicate con il medesimo rigore in tutti i territori occupati o da tutti i califfati.

Nel panorama mediorientale ed africano del tempo, dobbiamo compiere poi una significativa distinzione, i cui effetti sono tuttora visibili, dopo 14 secoli! L’invasione musulmana del Medio Oriente (Palestina, Libano, Siria, Mesopotamia e Caucaso) e dello stesso Egitto, pur con quelle forti discriminazioni sopra accennate per chi non si fosse convertito all’Islam, lasciò però in vita molte e importanti comunità cristiane (anche se talora ereticali). Ed esse sono sopravvissute fino ad oggi!

Si pensi ai copti in Egitto, ai maroniti in Libano, alle chiese armene nel Caucaso, così come comunità monofisite in Siria e nestoriane in Mesopotamia; rimasero inoltre comunità cristiane in Persia e perfino in Etiopia.

Quando al dominio musulmano arabo subentrò (nel 1516) quello del califfato turco (ottomano), la situazione dei cristiani peggiorò comunque notevolmente.

Invece nell’Africa settentrionale, ad oriente dell’Egitto e fino all’Atlantico, la distruzione musulmana del cristianesimo fu così radicale che mai più vi è rinato!

L’estinzione totale dei cristiani nell’Africa Latina rimane l’unico grande caso di estinzione totale di una religione nella storia [V. Messori].

Potremmo in proposito forse osservare come, mentre nel medio Oriente il cristianesimo (che lì è nato) seppe meglio coniugarsi con la realtà sociale e culturale locale, nell’Africa mediterranea ad oriente dell’Egitto, e quindi sotto l’influsso latino romano, la fede non permeò a sufficienza la mentalità di quei popoli.


3) Il panorama “medievale”

3.1 – I rapporti culturali tra Cristianesimo ed Islam

Nonostante le tensioni sopra descritte, durante il Medioevo l’Occidente cristiano, ricco della propria fede e del proprio impareggiabile patrimonio culturale, seppe apprezzare pure i pregi della cultura, dell’arte, della matematica e perfino della filosofia (poi da loro stessi rifiutata) musulmane, mostrando senza dubbio una maggiore capacità di confronto e di dialogo culturale rispetto a quanto non avvenisse invece da parte dell’Islam.

È significativo ad esempio che proprio nel Medioevo si sia sviluppato un fecondo confronto filosofico tra il pensiero cristiano e quello non solo classico greco (prima Platone e poi Aristotele) ma persino arabo, basti pensare alla sintesi del XIII secolo di S. Tommaso d’Aquino, che tiene conto anche dei commentatori arabi di Aristotele Avicenna e Averroè.

Con ciò viene a dimostrarsi, anche storicamente, che una precisa identità culturale e religiosa non impedisce affatto un vero dialogo culturale e religioso – come oggi il laicismo relativista vorrebbe far credere –  e che proprio la fede cristiana (pienezza della Verità, che è Cristo Signore) non censura nulla ma purifica e valorizza tutto ciò che di buono, di bello e di vero esiste in ogni altra identità, cultura e religione.

Non mancarono talora perfino alleanze ed accordi economici tra Occidente ed Islam. In alcuni casi tra il Papato e certi regni musulmani esistevano pure dei rapporti diplomatici, oltre che culturali.

Abbiamo poi già osservato che in certi casi fu addirittura chiesto l’aiuto militare occidentale da parte di un gruppo musulmano in opposizione ad un altro gruppo musulmano.

3.2 – L’importanza della “Terra Santa” nella fede cristiana

Se in ogni religione riveste una particolare importanza il luogo dove essa ha avuto origine, così che spesso è meta di pellegrinaggi e di devozione (basti pensare appunto a La Mecca per i musulmani), per il cristianesimo il significato e l’importanza della “Terra Santa”, cioè della Palestina (Israele), sono assai più pregnanti.
Poiché il cristianesimo non è una religione che ha un fondatore “umano” (come in tutte le religioni, così che ad esempio Buddha è semplicemente un “Illuminato” per gli stessi buddhisti, come Maometto è solo il Profeta per gli stessi musulmani), ma è la venuta di Dio stesso sulla terra, l’Incarnazione di Dio (Gesù, vero Dio e vero uomo), lo spazio-tempo in cui è avvenuto questo “avvenimento” acquista quindi un valore del tutto eccezionale: si tratta del tempo storico e dell’ambito geografico dove il Creatore e Signore dell’universo e unico salvatore dell’uomo si è “fatto carne” (cfr. Gv 1,14). E come l’anno della Sua nascita è stato ed è considerato (a partire dai cristiani ma di fatto nel mondo intero) l’anno <0>, contando gli anni prima (a.C.) e dopo (d.C.) quel fatto, così lo spazio geografico dove ciò è avvenuto – cioè la regione dove Gesù è vissuto per circa 33 anni (Palestina) e la città dov’è morto e risuscitato (fatto unico nella storia dell’universo e decisivo per il destino eterno dell’uomo di ogni tempo), cioè Gerusalemme – rivestono un’enorme importanza.
Il cristianesimo infatti non nasce da un libro e non è semplicemente una dottrina religiosa e morale, ma è un avvenimento (storico, spazio-temporale), in quanto è la persona stessa di Gesù Cristo.

Per questo, anche se la fede cristiana si basa sul Vangelo anche scritto, insieme a tutto il Nuovo Testamento e mantiene pure come Parola di Dio l’Antico Testamento (che ha quindi in comune con l’ebraismo e a cui fa riferimento lo stesso Islam) e quindi ha la Bibbia  come testo sacro, non è però esatto dire – come dicono i musulmani e come talvolta si sente dire oggi anche dai cristiani – che il cristianesimo è una delle “religioni del Libro”.

Per questo quei territori sono stati definiti “Terra Santa” fin dalla cristianità primitiva.
Lì non solo è vissuto Gesù e si è realizzata la nostra salvezza, ma è nata la Chiesa (50 giorni dopo la risurrezione di Cristo e per la particolare effusione dello Spirito Santo), e da lì, sia pur subito perseguitata, si è espansa immediatamente al mondo intero.

Nel 70 d.C. i Romani – con insolita ferocia e contrariamente al loro costume e governo (in un Impero che aveva raggiunto la massima espansione e comprendeva gran parte del mondo allora conosciuto) – distrussero completamente la Palestina, rasero al suolo Gerusalemme (si attuò così la profezia di Gesù: cfr. Lc 21,20-24) e cacciarono gli ebrei dal loro territorio (iniziando una “diaspora” che sarebbe terminata solo dopo la Seconda Guerra Mondiale).

La distruzione della Palestina e in particolare di Gerusalemme (e dello stesso tempio ebraico, di cui rimase e tuttora rimane solo il famoso muro occidentale o “muro del pianto”) ha solo apparentemente distrutto i luoghi “chiave” della geografia evangelica: se certamente gli Apostoli e i discepoli conservarono come preziose reliquie i segni della passione, morte e risurrezione di Gesù (come la Croce e la Sindone, non essendoci certo qualcosa del corpo di Gesù che era appunto risorto!) lo stesso Santo Sepolcro rimase volutamente sepolto dai Romani sotto un enorme cumulo di macerie.

Quando il cristianesimo poté uscire dalla clandestinità in tutto l’Impero Romano (nel 313), con l’imperatore Costantino, e con il particolare influsso della sua madre Sant’Elena, si ebbe una particolare attenzione a riportare alla luce i luoghi santi (a cominciare proprio dal Santo Sepolcro) ed ha conservare con particolare venerazione proprio le reliquie della passione e morte di Gesù (molte di queste furono poi trasportate a Costantinopoli e a Roma, così che molte di esse sono tuttora presenti nella basilica romana di S. Croce in Gerusalemme, significativamente detta la “Gerusalemme romana”, oltre che la cosiddetta Scala Santa, percorsa da Gesù nella salita al Pretorio romano durante il suo processo).

Conquistata nel 638 dal califfo Omar, Gerusalemme acquista una particolare importanza anche per l’Islam, che la considera sua terza città santa dopo La Mecca e Medina. E sulla spianata dove era il celebre Tempio di Gerusalemme (centrale per la religione ebraica), di cui rimane appunto il muro occidentale (“del pianto”) e dove poi era sorta già una chiesa cristiana (S. Maria), venne edificata la grande moschea di Omar (o “cupola della roccia”, che tuttora domina “dorata” il panorama della Gerusalemme antica) e quella di Al-Aqsa.

Secondo una tradizione musulmana, lì Maometto sarebbe salito al cielo (per il “viaggio notturno nell’Aldilà” del 616), ma ciò non ha alcuna base storica: infatti per il Corano Maometto non è mai uscito dall’Arabia e non viene mai citata Gerusalemme, se non che nell’ultima fase la direzione di chi prega Allah passa da Gerusalemme a La Mecca. Quanto basta però perché gli arabi musulmani, rivendichino quella spianata (con le ovvie tensioni rispetto agli ebrei che vanno con devozione a pregare al “muro occidentale”) e considerino Gerusalemme la terza città islamica.

Questo fa sì che Gerusalemme rivesta un’enorme importanza per  gli ebrei (che sono 13 milioni), per i musulmani (che sono 1 miliardo e 200 milioni) e per i cristiani (che sono 2 miliardi e 300 milioni), cioè per le tre grandi religioni monoteista, che insieme sono tuttora la maggioranza assoluta della popolazione mondiale.

Quando, dopo lo sterminio di sei milioni di ebrei (“shoah”) avvenuto ad opera dei nazisti nella Seconda Guerra Mondiale, l’O.N.U. decise di costituire lo Stato di Israele, così da permettere a questo popolo di tornare nella loro terra (secondo quella spinta di riunificazione chiamata “sionismo”, dal biblico monte Sion di Gerusalemme), dovette contemporaneamente pensare di istituire anche uno Stato Palestinese, per quel popolo arabo e prevalentemente musulmano che da oltre 13 secoli si era appunto installato in quei territori.

I cristiani in Terra Santa sono una minoranza, costituita prevalentemente da arabi-palestinesi. Attualmente, a motivo della difficile congiuntura politica ed economica (e dello scontro tra israeliani e palestinesi) sono persino a rischio di estinzione; è però significativo che sia proprio la presenza cattolica dei “Francescani”, sulla scia ancora di S. Francesco d’Assisi che sì recò lì proprio durante le Crociate, a “custodire” i luoghi santi della cristianità (Custodia di Terra Santa).

Tutto ciò – non solo per motivi religiosi ma prevalentemente per questioni politiche ed economiche – rende la situazione della <Terra Santa> particolarmente difficile e perfino incandescente, non solo per il Medio Oriente, ma nello stesso panorama internazionale. E proprio la città di Gerusalemme, il cui nome significa paradossalmente “città della pace” (e perfino la questione della spianata del Tempio!) rappresenta un punto particolarmente delicato di scontro (è rivendicata come capitale sia da Israeliani che da Palestinesi). Per questo la Santa Sede (Vaticano) auspica ormai da anni che essa venga internazionalmente riconosciuta come Città “a Statuto speciale”, a motivo proprio della sua unicità nel panorama religioso e culturale mondiale.

Ecco perché la difesa di quei luoghi e delle stesse comunità cristiane che vi risiedevano era dunque sentita come decisiva e doverosa dall’intera cristianità medievale.
Se l’iniziale spinta delle Crociate fu quella di difendere Costantinopoli dagli attacchi musulmani (già arrivati in Turchia e protesi verso l’invasione dell’Europa), non tardò di presentarsi l’obbligo morale di difendere le comunità cristiane della Palestina e i luoghi stessi dove Gesù era vissuto, era morto e risorto (la Terra Santa!). 

3.3 – I pellegrinaggi medievali

Metafora della vita, faticoso pellegrinaggio terreno verso la grande meta del “paradiso”, il pellegrinaggio trasforma “la strada” da semplice percorso di comunicazione e commerciale – pensiamo già alla straordinaria rete delle strade “consolari” romane – a valore spirituale, trascinando con sé anche un immenso apporto di cultura e di unificazione dei popoli.
Possiamo certamente dire che, se certamente l’immenso proliferare dei monasteri ha costituito un impareggiabile strumento di comunione spirituale e culturale della nascente Europa (e non a caso S. Benedetto da Norcia, patriarca del monachesimo occidentale, è patrono d’Europa), non di meno lo sono stati i grandi pellegrinaggi cristiani medievali. 
Oltre a produrre frutti spirituali, erano anche incontri di popoli, incontri culturali, e rigeneravano l’Europa, producendo o migliorando sistemi di trasporti, perfino apparati ospedalieri e alberghieri, addirittura il miglioramento dei sistemi agricoli. Questi percorsi erano ritmati e costellati da luoghi di culto, spesso anche artisticamente pregevoli, e da opere di ospitalità (da cui l’idea stessa di “ospedale” e di ospizio) – opere spesso tuttora esistenti ed affascinanti – secondo la stessa visione evangelica del “pellegrino” (“ero forestiero e mi avete ospitato”, dice Gesù), unita pure alla tradizionale ospitalità dei monasteri (secondo la Regola di S. Benedetto l’ospite o il pellegrino è davvero un segno della visita di Gesù).
Sono soprattutto <tre> le grandi mete del pellegrinaggio medievale. 
Quello al centro della cristianità (Roma), sul percorso delle grandi vie “romee” (da cui il detto “tutte le strade portano a Roma”), come la “via francigena” (da Canterbury a Roma!), di recente riscoperta e rivalutata. 
Il pellegrinaggio alla tomba di S. Giacomo apostolo (Santiago de Compostela, nella Galizia spagnola), che dai Pirenei raccoglieva i pellegrini provenienti dai diversi paesi europei per condurli al lembo occidentale del mondo allora conosciuto (“finis terræ”). 
E poi proprio il lunghissimo pellegrinaggio in Terra Santa, cioè proprio la terra di Gesù!, che conduceva in genere da Roma a Brindisi (secondo il percorso romano della Via Appia), per poi imbarcarsi, quasi mai diretti in Palestina interamente via mare, ma attraverso l’impero bizantino, approdando in Grecia, quindi per Costantinopoli, la Turchia e la Siria.
Quando nel 950 ci fu la conversione cristiana degli Ungheresi, si aprì anche una nuova via, questa volta interamente via terra, per raggiungere dall’Europa Bisanzio e la Terra Santa.

I pellegrini, ovviamente assai essenziali nei loro carichi – normalmente avevano solo un piccolo sacco (scarsella, in latino “pera”) appeso ad un tipico bastone (bordone, dal latino “baculum”) – portavano sul proprio abito anche dei segni distintivi, come ad esempio quello delle “chiavi” (S. Pietro) per chi era diretto a Roma, la “conchiglia” per quelli diretti a Santiago e appunto la “Croce” per i pellegrini in Terra Santa!

Non mancavano ovviamente anche pellegrinaggi “minori”, quali ad esempio quelli al <Volto Santo> di Lucca o ai Santuario dell’Arcangelo Michele, posti a presidio dell’Europa (in Normandia, in Valle Susa o più comunemente sul Gargano).

Quello del “pellegrinaggio” era un aspetto non secondario della spiritualità cristiana medievale, nonostante gli immensi sacrifici ed i lunghissimi tempi che esso comportava. Era normalmente una pratica non solo devozionale ma penitenziale, segno di conversione, di amore a Cristo ed alla Chiesa, spesso anche con valore di espiazione per i propri peccati.

Dopo il 1000 troviamo spesso tra i pellegrini anche nobili, cortigiani e nobili che compivano tale pellegrinaggio per espiare le proprie colpe (talora anche per riconciliarsi con la Chiesa espiando e annullando così la propria “scomunica”).

Il pellegrinaggio poteva ovviamente durare mesi e mesi e poteva prevedere anche gravi pericoli, persino della propria vita (per questo si partiva confessati e comunicati; inoltre la fatica stessa del pellegrinaggio permetteva di ottenere anche l’indulgenza plenaria delle proprie colpe).  
Chi partiva per il pellegrinaggio spesso lo faceva non solo a titolo personale, ma anche a nome di intere comunità: andava cioè a pregare e fare penitenza per tutti. Per questo, e per il lungo tempo che richiedeva, il pellegrino o partiva con l’intera propria famiglia o, più spesso, l’intera comunità (e lo stesso vescovo del posto) si impegnava a custodire e mantenere la famiglia del pellegrino.

3.4 – Il pellegrinaggio in “Terra Santa” (invasa e occupata dai musulmani)

Occorre tenere presente questa spiritualità del “pellegrinaggio” per comprendere il pellegrinaggio in Terra Santa (quello cioè più lungo, faticoso e pericoloso!), oltre all’importanza stessa di quella Terra di Gesù, e pure per cogliere un aspetto essenziale dello stesso fenomeno storico delle Crociate (appunto i “crociati” erano inizialmente proprio i pellegrini in terra Santa).
Nel lungo viaggio si incontravano innumerevoli pericoli, sia naturali che umani, quali gruppi etnici incomprensibili ed ostili, pirati barbari, Vandali e in seguito anche i corsari arabi.
Per questo, dopo una prima ondata di entusiasmo tra 600 e 700 si ebbe un declino del pellegrinaggio in Terra Santa, tanto più che l’invasione musulmana della Palestina costituiva un forte deterrente.
Quando Carlo Magno nel IX secolo intraprese rapporti diplomatici con il sultano Harin-Al-Rashid, califfo di Bagdad, ci fu una ripresa del flusso di pellegrini: ci furono aiuti e garanzie contro i pirati e nella stessa Gerusalemme si costituì un discreto sistema di ospitalità.
Dal 1020, per merito del nuovo ordine benedettino dei Cluniacensi, ci fu un rinnovato entusiasmo per il pellegrinaggio in Terra Santa e già nel 1050 si organizzarono persino imponenti viaggi per 7000 pellegrini. Nel 1065 l’arcivescovo Gunther organizzò un pellegrinaggio composto addirittura da 12.000 uomini!

Con questi imponenti numeri di pellegrini si capisce anche perché, almeno inizialmente, i Crociati fossero identificati come pellegrini o almeno parte di essi.

Tali imponenti pellegrinaggi riuscivano normalmente a raggiungere la meta della Terra Santa, dove in genere non trovavano particolari ostacoli da parte musulmana (forse era per loro persino vantaggioso accogliere tali imponenti gruppi di pellegrini, considerandone pure il vantaggio economico). Ma un particolare pericolo, oltre ai pericoli naturali e all’incontro con numerosi e diversi gruppi di briganti, era dovuto, specie lungo il percorso in terra turca, proprio alle diverse fazioni islamiche, spesso persino in lotta tra loro (i turcomanni, i rozzi Selgiuchidi e gli Abbassiti), come l’incontro con feroci gruppi ereticali musulmani in Siria, Libano e talora persino in Palestina. Una volta tali gruppi musulmani massacrarono ad esempio 5000 pellegrini cristiani. Non si trattava però in genere di attacchi per motivi religiosi.

Queste difficoltà e violenze non sono di per sé così sistematiche da giustificare però un intervento armato di difesa quale poi si tradurrà nello spirito delle Crociate.

Anche in Spagna, già da secoli caduta in gran parte sotto il dominio musulmano, i cluniacensi ebbero una grande incidenza sociale ed incrementarono pure lo spirito del pellegrinaggio, specie a Compostella, qui anche in chiave di “Reconquista” alla fede cattolica di quei territori. Il significato anche espiativo dei propri peccati e il dono dell’indulgenza, legati al pellegrinaggio, fu sancito nel 1063 dal Papa Alessandro II, assai legato ai cluniacensi, con la bolla “Eos qui in Ispaniam”, che dettava le precise condizioni di concessione di indulgenza per chi si fosse arruolato in Spagna per la riconquista alla fede cattolica spagnola contro l’invasione musulmana. Come si può osservare, comincia a farsi strada l’idea e lo spirito della Crociata.

3.5 – La situazione dei cristiani e dei pellegrini in “Terra Santa”

Come abbiamo osservato, l’invasione musulmana della Palestina e di tutto il Medio Oriente (attuata già nel VII secolo) non comportò una violenza fisica contro la presenza cristiana, semmai una forte discriminazione sociale, oltre al pericolo di perdere la venerazione dei luoghi santi legati alla vita di Gesù e della primitiva comunità cristiana. E i numerosi pellegrini cristiani venivano normalmente accolti senza particolari violenze.
Non mancarono però avvenimenti particolarmente dolorosi. Nel 938 la processione della domenica delle Palme di Gerusalemme fu violentemente repressa dai musulmani e lo stesso Santo Sepolcro venne bruciato. Nel 966 un analogo assalto porta all’uccisione dello stesso Patriarca di Gerusalemme e di nuovo al saccheggio del Sepolcro. Nel 1009 il neo Califfo fatimide al-Hakim, fondatore dell’eresia musulmana dei Drusi, si rese subito responsabile di atti violenti nei confronti di cristiani (ed ebrei) e il 28 settembre dello stesso anno fece distruggere di nuovo il Sepolcro; fino al 1014 scatenò forte persecuzione anticristiana, che raggiunse perfino l’Egitto.
Per la prima volta l’Europa venne a conoscenza di tali violenti soprusi musulmani.

Dopo un tentativo bizantino di controllare Antiochia, dal 970 la Terra Santa (Palestina) è sotto i musulmani sciiti del gruppo fatimide egiziano, ma sempre contesa anche dal gruppo sunnita del califfato di Bagdad; ma a metà dell’XI secolo arrivano i turcomanni (seminomadi e destabilizzanti) e turchi, riconosciuti da Bagdad nel 1055. Il tentativo di intervento da parte di Bisanzio si risolve nel 1071 in una catastrofe: l’esercito viene distrutto e l’imperatore catturato. I turcomanni massacrano le città che vi si ribellano (come al-Kuds da parte di Atsiz). Nel 1086 i dominatori di Gerusalemme sono i Selgiuchidi.

3.6 – Lotte interne all’Europa

L’identità cristiana dell’Europa non le risparmiava però aspre lotte al suo stesso interno, soprattutto per la pretesa dei diversi poteri di comandare all’interno stesso della Chiesa Cattolica. Infatti molti sovrani, spesso in lotta tra loro, avanzavano perfino la pretesa di nominare i Vescovi delle proprie diocesi (si tratta della logorante questione della “lotta per le investiture”; come quella ad esempio di Enrico IV, il quale, scomunicato per questa illecita pretesa, voleva addirittura deporre il Papa; e ne seguirono in Germania tre anni di guerra civile). 
Nello stesso tempo i Normanni invadevano sempre nuove terre (tra cui la stessa Italia), rendendo la situazione politica sempre precaria e talora incandescente.

3.7 – Gli Ordini cavallereschi cristiani e i Crociati

Un altro elemento storico che dobbiamo tenere presente, in ordine ad un giudizio sulle Crociate, è offerto dall’istituzione degli Ordini Cavallereschi, tipico dello spirito medievale.
Lo spirito cristiano, pur fondato sulla legge dell’amore, non era così ingenuo da non capire che oltre certi limiti il male nella società va combattuto, anche con la forza, così come i deboli vanno difesi, anche con la forza, dai violenti che vorrebbero saccheggiarli o ucciderli.
Se era (ed è) dunque lecito talora anche armarsi e pure lottare contro i soprusi al diritto (personale e sociale); si deve però vigilare affinché tale diritto e persino dovere della difesa non degeneri e non abbiano il sopravvento passioni e cattiverie che nulla hanno a che fare con tale impegno civile e militare. Per questo devono sorgere delle regole ben precise che ne determinino i confini. Esse costituiscono per così dire un’etica cristiana dell’intervento armato. Questo fu lo spirito cristiano che diede origine ed animò gli Ordini religiosi cavallereschi del Medioevo.
Già nella prima Crociata, come vedremo, oltre ai veri Crociati, che obbedivano a quell’etica dell’intervento armato sopra citata, si associarono anche componenti rozze (anche barbare, come i Normanni da poco convertiti) e mercenari, persino briganti in cerca di avventure, magari abili nella spada ma non addestrati ad una disciplina morale. Questo portò a degenerazioni che certo poco hanno a che fare con la morale cristiana ed anche con l’autentico spirito delle Crociate. 
Per questo, anche se tali mescolanze si ripeteranno pure nelle altre Crociate, dopo la prima sorsero ufficialmente i “codici cavallereschi” e chi voleva aderire a tali Ordini cavallereschi veniva educato per anni prima di essere ritenuto pronto anche a combattere, se fosse stato necessario, ma in modo degno di un cristiano.
Chi aderiva a tali Ordini cavallereschi cristiani doveva avere una fede forte ed essere un uomo di fervida e costante preghiera. Se si trattava di nobili, dovevano imparare ad esercitare l’umiltà, svolgendo anche umili servizi nei confronti dei più poveri. Mai dovevano essere mossi da spirito di possesso e dovevano sottostare solo ai comandi militari che fossero motivati dalla giustizia e dalla pietà. Dovevano sottostare ad una disciplina non solo militare ma morale, così che all’abilità della spada (se fosse stato necessario) si unisse anche quella della carità. In caso di lotta armata, mai si doveva scordare il fine per cui si svolgeva (mai doveva essere compiuta per altri interessi egoistici o fine a se stessa), mai ci si doveva abbandonare alla foga del combattimento o farsi accecare dall’ira o dall’odio, mai doveva coinvolgere civili, donne, bambini, anziani, poveri o ammalati (che anzi, si dovevano soccorrere, anche se nemici, anche a costo di lasciare la battaglia). Oltre al divieto di uccidere i civili, vigeva pure il divieto assoluto di torturare o anche solo umiliare il nemico. In caso di duello, si doveva combattere sempre con correttezza, senza ricorrere a trucchi, senza mai colpire alle spalle, accettando sempre la richiesta di grazia da parte del nemico, e smettendo di combattere con coloro che non avevano più armi indosso.

Non a caso forse ancor oggi diciamo “essere cavaliere” per significare gentilezza e rispetto, oltre che capacità di aiutare e difendere il prossimo.

Gli appartenenti a quelli che diventeranno gli ordini cavallereschi [internazionali: Templari (soppressi all’inizio del XIV sec.), Ospedalieri (tuttora: sovrano ordine di Malta), cavalieri di S. Lazzaro (in quanto inizialmente si occupavano dei lebbrosi); o nazionali: Teutonici (di origine tedesca, inizialmente ospedalieri in Terra Santa), cavalieri di S. Tommaso (Becket)] verranno educati duramente per anni prima di poter arrivare a combattere, allo scopo di non ripetere mai più gli errori commessi nel passato. 
Anche il vero Crociato doveva attenersi a tali principi.

3.8 – Lo “scisma d’Oriente” e le Crociate

Infine, per comprendere il tempo e lo spirito delle Crociate, dobbiamo tener presente quella grande ferita costituita dal cosiddetto “Scisma d’Oriente”, consumatosi all’interno della cristianità stessa proprio nel 1054, quando una parte enorme di chiese cristiane – specie appunto in Europa Orientale – si separò dalla Chiesa Cattolica, dando origine alla Chiesa Ortodossa.

Ricordiamo come tale scisma, dovuto soprattutto per motivi storici e politici (appunto la questione dell’Impero Bizantino), non compromise per sé la “successione apostolica” (che risale soprattutto all’apostolo S. Andrea, per cui rimangono validi l’episcopato e il sacerdozio, come pure i sacramenti) e sostanzialmente neppure la “dottrina” (tranne la questione cosiddetta del “Filioque”, riferentesi cioè al procedere dello Spirito Santo solo dal Padre e non anche dal Figlio, all’interno delle “Processioni Trinitarie”) – come sarà invece lo scisma e le eresie della Riforma protestante del XVI secolo – ma compromise fortemente la visione della Chiesa, non riconoscendo più l’autorità di Pietro (e quindi del Papa, vescovo di Roma), voluta invece da Gesù (cfr. Mt 16,18-19; Lc 22,31-32; Gv 21,15-17), su tutti gli apostoli (e quindi i Vescovi) e sull’intera Chiesa.

Dobbiamo tener presente questo dolore nel cuore stesso della Chiesa Cattolica e del Papa; da cui gli innumerevoli tentativi da parte del Papa per ricondurre il “gregge di Cristo” alla piena unità.
Per questo, una richiesta d’aiuto (anche se non è ben chiaro in quale modalità) giunta al Papa nel 1095 da parte di Alessio I di Bisanzio, per far fronte all’avanzata musulmana dalla Turchia, poteva assumere anche il tono di una speciale e irrinunciabile opportunità non solo quindi per far fronte al comune nemico musulmano ma anche per rinsaldare i legami di comunione, da poco infranti, con la Chiesa di Bisanzio.

Bisanzio, considerata la “seconda Roma”, poi chiamata dai Romani Costantinopoli e quindi Istanbul (che significa “la Città”) dai musulmani, era poi appunto crocevia dei pellegrini diretti in Terra Santa, cui poi proprio il transito attraverso la Turchia costitutiva un particolare pericolo proprio a motivo della presenza delle diverse fazioni musulmane, spesso in lotta cruenta tra loro e contro i cristiani.

In realtà, invece, furono proprio le Crociate ad acuire invece di risolvere il distacco di Bisanzio da Roma! Infatti, specialmente la IV Crociata (del 1203), orientata subito su Costantinopoli (per richiesta stessa di Alessio il Giovane di Bisanzio) invece che su Gerusalemme – e contro il parere stesso del Papa (Innocenzo III) – si capovolse, per convenienza politica del doge di Venezia che aveva fornito la flotta, in una lotta proprio contro Costantinopoli, che venne addirittura saccheggiata anche con atroci violenze (anche se non come ne parla la vulgata anticattolica).


4) Le Crociate

Come abbiamo osservato, nonostante che la Palestina fosse già stata invasa dalle truppe musulmane nel 638 d.C., permanevano in Terra Santa delle comunità cristiane, che si facevano pure custodi e garanti del luoghi-memoria del mistero stesso dell’Incarnazione (Gesù, Dio fatto uomo, l’Eterno entrato nello spazio-tempo per la salvezza di tutti gli uomini) e continuavano lungo il Medioevo i pellegrinaggi in quella Terra, pellegrinaggi che nel corso del XI secolo erano organizzati in gruppi composti anche da migliaia di uomini. Il segno di tali pellegrini era proprio la “Croce”.
Anche i Crociati erano in fondo dei pellegrini, sia pur talora armati.

La Crociata assumeva quindi l’insolita veste di “pellegrinaggio armato”, una sorta di pellegrinaggio sotto scorta militare. Fu sempre in bilico tra la forma del pellegrinaggio e quella della campagna militare. Il Crociato era comunque in genere considerato più un pellegrino che un soldato. Si stima ad esempio che nella Prima Crociata i crociati armati fossero solo il 10% rispetto al totale e che quindi i semplici pellegrini fossero il 90% dei partecipanti.

Anche i Crociati, sia pellegrini che militari, portarono dunque questo distintivo sacro, in genere di stoffa e cucito sulla spalla. Fin dalla prima spedizione, vennero dunque spesso chiamati “Cruce Signati” (invece in senso proprio il termine Crociata verrà usato solo dal XIV secolo).

Il “Cruce Signatus” veniva anche chiamato semplicemente “peregrinus”, ma anche “athleta Dei”, oppure “miles Christi” (termine che fino all’XI secolo aveva un tono più mistico e veniva attribuito al monaco, perché la vera “Militia christiana” era invece considerata la vita monastica).

Il simbolo della Croce veniva ufficialmente ricevuto dal Vescovo (dal XIII secolo fu elaborato un vero e proprio rito liturgico della consegna della Croce: la “Crucesignatio” – non veniva invece assegnata alcuna arma), in seguito ad un voto solenne, volontario e vincolante, che assegnava diritti e doveri. 
I Crociati – persone di ogni rango, nobili, cavalieri, contadini – godevano dell’indulgenza plenaria e persino della completa remissione dei peccati in caso di morte improvvisa durante la missione, oltre alla sospensione delle condanne penali o di moratorie per i debiti contratti.
Anche se non si può parlare di una reale continua minaccia da parte musulmana, né per i cristiani residenti in Terra Santa né per i pellegrini che là si recavano, le otto Crociate organizzate nei secoli XI-XIII saranno motivate come difesa dei cristiani che là vivevano o si recavano, ma anche come liberazione dal dominio musulmano di quelle terre così care e importanti per la fede cristiana.
Il fatto poi di vedere l’Europa stessa attanagliata da oriente (Turchia) e da occidente (Spagna) dal potere islamico, spesso intransigente, contribuiva a far sentire quello della Crociata anche come un dovere di difesa dell’Europa stessa.

Tra gli elementi che venivano a costituire “lo spirito della Crociata”, c’era senza dubbio anche quello di uscire finalmente dalle lotte intestine europee (per motivi dinastici), per far fronte al comune nemico musulmano, specie poi quando Bisanzio chiese in proposito aiuto all’Occidente.

Oltre alle motivazioni religiose e ad un autentico spirito di penitenza, cioè come riscatto dai propri errori e peccati e quindi come segno di conversione, molti (specie nobili in decadenza) vi videro certamente anche l’occasione per un riscatto sociale. Anche alcuni cavalieri erranti vi cercavano la gloria e la fama. Inoltre molti civili fuggivano così dalla povertà. L’evento poi si corredò di un immaginario collettivo e di un’aurea epica, che generava la forte impressione ed attrattiva di partecipare ad un evento storico straordinario, forse persino all’apocalittica lotta contro l’Anticristo (ancora sulla scia del “millenarismo”).

Si associarono purtroppo anche nobili desiderosi solo di personali conquiste, avidi di potere, persino briganti e criminali comuni desiderosi di accalappiare bottini di guerra; addirittura discepoli di dottrine ereticali.

Si noti però (come fa osservare anche lo storico F. Cardini) che mai le Crociate hanno avuto lo scopo della conversione dei musulmani, a differenza invece della “guerra santa” musulmana, che si prefigge proprio lo scopo di portare nella “sottomissione” ad Allah tutti i popoli della terra.

4.1 – La Prima Crociata

Una delle prioritarie preoccupazioni di Urbano II, Papa francese eletto nel 1088, era proprio quella di fare tutto il possibile per ricucire il doloroso strappo da poco avvenuto all’interno della cristianità (lo “Scisma d’Oriente”). Giunse a togliere persino la scomunica all’imperatore di Bisanzio Alessio I.
Quando poi nel marzo del 1095 il Papa convocò a Piacenza un Concilio, vi parteciparono pure – sia pure in modo non ufficiale – alcuni legati bizantini (di Alessio I). Furono essi a chiedere al Papa e all’Europa, come segno della volontà di riconciliazione, un aiuto militare per difendersi dagli attacchi musulmani (presenti in Turchia) e per riappropriarsi dell’Anatolia. Probabilmente per convincere della necessità di questo aiuto militare occidentale, ingigantirono il pericolo e le persecuzioni subite da questi gruppi musulmani (forse Alessio I non chiedeva altro che servigi militari sotto vassallaggio).

È comunque vero che la setta musulmana dei Selgiuchidi, installatasi in Anatolia, costituiva il braccio armato del già potente Sultanato Abbasside di Bagdad.

Dentro questo frangente e questo desiderio soprattutto ecumenico, una tale domanda da parte dell’Oriente non poteva essere rifiutata. E in quel contesto si cominciò persino a parlare del dovere di “liberare” la stessa Gerusalemme.
Una tale opera, inoltre, poteva sopire le lotte intestine europee e convogliare le forze politiche e militari verso un obiettivo comune, quale la difesa dell’Oriente, dell’Europa stessa (presa appunto a tenaglia dai musulmani presenti in Turchia e ai confini della Romania, come in Spagna), fino a considerare la possibilità di riprendere o liberare la Terra Santa dal dominio dell’Islam.
Solo pochi mesi dopo (27.11.1095), quando il Papa convocò in Francia (a Clermont) un nuovo Concilio, l’idea di organizzare concretamente una spedizione di aiuto a Bisanzio e perfino di “liberazione” della Terra Santa si ripresentò e infiammò gli animi al di là di ogni aspettativa.
Si giunse così nientemeno che a fissare la data della partenza della spedizione (il 15.08.1096, cioè nella festa dell’Assunzione di Maria al cielo, da Le Puy, sotto la guida del Vescovo).
Il Papa quasi sicuramente non pensava che il sassolino lanciato a Clermont sarebbe diventato una valanga di tali proporzioni. 
Principi e cavalieri si accesero d’entusiasmo per tale opera, che diventava sempre più imponente!
Ne nacque un vero movimento di popolo, sospinto dalla forza della propria fede cristiana e dal desiderio non solo di venire in aiuto ai fratelli nella fede di Bisanzio (sia pur da poco separatisi dalla Chiesa Cattolica) e della stessa Palestina, ma anche dalla volontà di recarsi pellegrini in Terra Santa e ridonarla all’autentica fede, che proprio là aveva avuto le sue origini (dove era vissuto, morto e risorto Gesù stesso).
Molti uomini, pur di partecipare all’impresa, lasciavano beni e famiglia.

Ad un uomo sposato l’autorizzazione a partire veniva concessa dal sacerdote solo col consenso della moglie; la sua famiglia veniva allora affidata alla comunità cristiana e spesso sotto il patrocinio dello stesso vescovo; i suoi beni erano messi sotto “fiduciato” pontificio, assicurati fino a fine impresa.

L’autorizzazione a partire veniva invece negata agli anziani e ai malati, sennò alcuni di loro sarebbero partiti ugualmente!

Persino novizi di interi monasteri chiedevano di partire. 
Chi ne aveva la possibilità doveva pensare alla spesa (si prevedeva una spesa pari a 5 anni di uno stipendio medio); ma chi non poteva non doveva preoccuparsi, perché equipaggiamento, vitto e denaro venivano forniti dai nobili presenti all’impresa o dalla stessa comunità cristiana di partenza.
Per chi fosse stato disonesto, fruendo dei diritti ma venendo meno ai propri doveri, era prevista la pena della scomunica.
Certo, tra le immense moltitudini di coloro che si arruolarono volontariamente per l’impresa delle Crociate c’erano pure, oltre a pubblici peccatori penitenti, persone in cerca di riscatto sociale, aristocratici in crisi, principi semifalliti, anche cavalieri incolti e persino fanatici straccioni.
Rimase però il problema di chi dovesse comandare effettivamente una tale grandiosa spedizione. Doveva unire abilità militare e disinteresse personale, capacità di comando e diplomatica, garantendo l’autentico scopo dell’iniziativa e preservandola da possibili degenerazioni. In realtà non si trovò un capo unico, ma solo singoli capi d’armata.

Formalmente il ruolo privilegiato di guida, sotto l’autorità papale, fu assegnato al vescovo di Le Puy (Ademaro) e al vassallo del Papa Raimondo di Tolosa. Questo ruolo più formale che reale fu un errore fatale, che non solo privò la Crociata di un reale comando militare unificato, ma contribuì non poco a molte sue degenerazioni.

Proprio la Francia assume un ruolo di prima promotrice (tanto è vero che i musulmani chiamarono gli Europei semplicemente “i Franchi”), con il grande condottiero Goffredo di Buglione.

4.1.1. – Crociate abusive

L’entusiasmo popolare europeo per la grande impresa delle Crociate fu tale che in alcuni casi si organizzarono e partirono persino delle Crociate non autorizzate, quindi abusive, anche se talora dette “popolari”.
Tra queste, divenne celebre quella organizzata da Pietro detto l’Eremita.

Il monaco predicatore Pietro l’Eremita formò in poco tempo una schiera di circa 200.000 Crociati!

In questa moltitudine c’erano certamente numerosissimi e sinceri pellegrini, persino dei chierici, ma anche semplici contadini o cavalieri erranti e perfino dei briganti; ad essi mancava però una vera disciplina. Si diressero senza alcuna autorizzazione verso Costantinopoli, percorrendo la nuova via dell’Ungheria (e già nel suo attraversamento, mancando di viveri, si abbandonarono al saccheggio). Quando Alessio I si trovò di fronte non i “crociati del Papa”, che attendeva per iniziare l’impresa in Turchia e che non erano invece ancora giunti a Costantinopoli, ma quella moltitudine disordinata e scalpitante per la battaglia, ma anche facile ai saccheggi, decise controvoglia di lasciarli partire per l’Anatolia, concedendo loro piena libertà d’azione. Là questa Crociata abusiva andò incontro alla catastrofe: furono non solo immediatamente vinti dai Turchi, ma vennero uccisi tutti coloro che non si convertirono all’Islam (almeno 20.000 morti). Con tutto ciò, coloro che riuscirono a ritornare a Costantinopoli (solo 3.000) si riunirono poi ai crociati “ufficiali”.

Decisamente aberrante fu invece la Crociata abusiva organizzata da Emich di Leiningen.

Questo nobile tedesco, invasato ma già famoso per illecite attività, si inventò addirittura la propria investitura divina (una croce gli si sarebbe impressa sul corpo), ma tale sedicente Crociata ebbe come scopo principale nientemeno che la cacciata degli Ebrei dall’Europa. Riteneva infatti che prima di liberare Gerusalemme dai musulmani, si dovesse liberare l’Europa dagli ebrei (che da secoli l’infettavano). Molti antisemiti risposero alla sua chiamata, ma i vescovi (e le autorità locali) non  solo si opposero apertamente a tale opera, ma, onde evitare pericoli, posero le comunità ebraiche sotto la loro stessa protezione episcopale.

4.1.2 – La storia della Prima Crociata (1096-1099)

È difficile sapere quanti Crociati effettivamente partirono nel 1096 e raggiunsero Costantinopoli: per alcuni circa 100.000 uomini, per altri addirittura 600.000.

Certe fonti cristiane forniscono cifre esagerate e impensabili (centinaia di migliaia). Dati storici più attendibili parlano della partenza di circa 100.000 uomini, di cui il 10% sono cavalieri. In Turchia sono già scesi a 45.000, ad Antiochia rimangono 25.000. A Gerusalemme dovrebbero essere giunti 1.200 cavalieri e 12.000 fanti (poi scesi a 9.000), senza contare gli aiuti poi sopraggiunti.

Giunti a Bisanzio, non tutti accettarono di giurare vassallaggio all’imperatore Alessio I.

Tra le spedizioni, v’era nientemeno che quella normanna (tradizionali nemici dei Bizantini), guidata da Boemondo, il cui ruolo non fu certo secondario nella prima Crociata. Le sue truppe furono le uniche formate da soldati professionisti. Nel loro percorso verso Costantinopoli non commisero però alcuna violenza. Con grande abilità diplomatica, Boemondo giurò vassallaggio ad Alessio I, ma chiese in compenso di essere nominato a capo della spedizione in Terra Santa!

Pronte dunque ad entrare in Turchia e liberare l’Anatolia dal dominio della feroce etnia musulmana dei Selgiuchidi non c’erano solo le truppe bizantine e quelle crociate, ma perfino quelle musulmane del califfato fatimide d’Egitto. Le prime battaglie in terra turca furono condotte con piena armonia tra i comandanti. 
Mentre Nissa stava per cadere in mano crociata, Alessio I ne trattò diplomaticamente la resa, senza spargimento di sangue e compensando egli stesso i Crociati in sostituzione del bottino. 
L’abilità militare delle truppe turche musulmane si fece però subito sentire. Le successive battaglie furono subito difficili e cruente, lasciando sul campo 4000 Crociati e 3000 Turchi, nonostante la vittoria crociata.

Giunti nelle terre della primitiva predicazione di S. Paolo, fu concessa ai Crociati-pellegrini una pausa, per visitare con devozione quei luoghi santi.

Riconquistata l’Anatolia, i Crociati, contro ogni previsione, entrarono tranquillamente in Armenia (sede di una delle più antiche comunità cristiane).

Entrati poi in zone desertiche, i Crociati si sostenevano nel cammino cantando Salmi, pensando all’esperienza biblica dell’Esodo.

Il 21.10.1097 i Crociati erano già alle porte di Antiochia, ricca città dove la comunità cristiana fu subito presente fin dal tempo degli Apostoli e dove i cristiani erano ancora la maggioranza, nonostante il dominio musulmano. La forte resistenza musulmana protrasse l’assedio crociato per mesi. Molti Crociati, per sopravvivere, fecero razzie nelle zone limitrofe. I musulmani giunsero a esporre spesso il patriarca (vescovo) di Antiochia in una gabbia sopra le mura e condannavano al terribile supplizio dell’impalamento i crociati che riuscivano a catturare. Il 3.06.1098, dopo 226 giorni di assedio, una porta fu aperta (con la collaborazione di un funzionario corrotto da Boemondo) e ne seguì una battaglia che costò la vita a decine di migliaia di persone (musulmani, ebrei e cristiani) e anche molti Crociati si abbandonarono a feroci violenze.

Nell’assedio di Antiochia i Bizantini si ritirarono, probabilmente per motivi contingenti, ma la cosa fu vista come un tradimento e di conseguenza molti Crociati si sentirono svincolati dal giuramento di vassallaggio al loro imperatore. Alessio informò allora i regni musulmani della sua presa di distanza dal seguito della Crociata e ponendo sotto protezione musulmana i cristiani orientali colà residenti.

Solo dopo otto giorni, Antiochia fu nuovamente assediata dal potente esercito turco e i Crociati sembravano di nuovo soccombere, quando dissero di avere avuto la visione di alcuni santi scesi a comandare il loro esercito. Di fatto, al di là di un soccorso giunto persino da un contingente arabo fatimide, la loro repentina e definitiva vittoria (il 28.06.1098) ha del miracoloso.

Ormai l’obiettivo era la liberazione di Gerusalemme.

A questo punto, è evidente che l’aiuto a Bisanzio non c’entra più. Anzi, anche chi aveva giurato vassallaggio ad Alessio I (come Boemondo) non ebbe scrupolo a scioglierlo.

Contemporaneamente, anche a causa della morte del vescovo di Le Puy che ufficialmente guidava l’impresa, assistiamo ad una degenerazione della Crociata e ad uno sfaldamento delle stesse truppe. Il franco Baldovino riuscì a ritagliarsi un regno tutto suo, la Contea di Edessa, che Alessio non aveva chiesto di conquistare poiché era uno stato vassallo dei Bizantini. Molti aristocratici, attratti dalla spartizione (tra franchi e normanni) dei territori conquistati, temporeggiano sull’avanzata verso Gerusalemme, tentando di appropriarsi di qualcosa. Antiochia risulterà infine un regno Normanno in Oriente (Principato di Antiochia).

Il 13.12.1098 si riprende comunque il cammino verso Gerusalemme.

Entrata finalmente nella Terra Santa, la Crociata manifesta però pienamente anche la sua dimensione di pellegrinaggio: nei luoghi santi della Palestina, raggiunti senza troppi problemi, i Crociati celebrano con molto fervore giganteschi e commoventi momenti di preghiera.
La Prima Crociata giunse infine a Gerusalemme martedì 7.06.1099.

La situazione della città era assai problematica, poiché proprio in quel periodo la città era aspramente contesa tra le diverse fazioni musulmane (il califfato fatimide del Cairo l’aveva riconquistata ai turchi abbassidi, sultanato di Baghdad, e tentò persino un accordo coi Crociati, che prevedeva la spartizione del territorio con la Siria ai cristiani e la Palestina agli arabi; accordo non accettato). Tra i due contendenti musulmani, ci rimisero i cristiani latini, che furono costretti ad abbandonare la città. I pochi pozzi d’acqua esterni erano stati avvelenati. La situazione era dunque critica. Meno male che giunsero dal Mediterraneo (Giaffa) i rinforzi di Genova (non solo viveri ma anche potenti macchine d’assedio).

L’8 luglio i cristiani erano tutti in processione lungo le mura, scalzi, con croci e reliquie in mano, mentre i musulmani li dileggiavano distruggendone altre sulle mura.

Il 14.07.1099, sotto la guida di Goffredo di Buglione, i Crociati riuscirono ad entrare e conquistare Gerusalemme.

I morti furono decine di migliaia. Furono uccisi moltissimi musulmani, ebrei e perfino cristiani orientali (non  facilmente riconoscibili dai Crociati).

Si costituiva così il terzo e più importante Stato crociato, che a dispetto del modo in cui fu conquistato si distinse poi per tolleranza, e divenne un importante centro di scambio culturale con l’Islam.

Goffredo di Buglione, rifiutato il titolo di re di Gerusalemme che gli era stato riconosciuto ed assunto il titolo di advocatus sancti sepulchri,  affrontò e vinse anche la battaglia di Ascalona contro l’esercito egiziano.

[cfr. un’autentica e bella biografia di Goffredo di Buglione ad opera di Pierre Aubert, autorevole storico universalmente riconosciuto – Salerno Editrice (Roma), 1987].

Nonostante l’incredibile numero di partecipanti, assai eterogeneo e difficilmente governabile (tanto più che non vi fu un vero e proprio unico comandante) e quindi fosse la meno organizzata dal punto di vista militare, la Prima Crociata fu di fatto l’unica che riuscì nell’intento, cioè la liberazione dal dominio musulmano non solo della Turchia, ma della Siria e soprattutto della Terra Santa.


4.2 – Le altre 7 Crociate

La altre Crociate sono certamente innescate dalla prima e ne dipendono. Il fine di ciascuna dipende poi dagli esiti di quella immediatamente precedente e il suo svolgimento risente delle condizioni particolari in cui si sviluppa e delle vicende a cui ciascuna va incontro. Tutto ciò rende la storia di ogni Crociata a sé stante ed assai molto complessa. In realtà vi furono poi molte più spedizioni di quelle ufficiali, ma esse non erano coordinate e nascondevano più che mai altri fini rispetto a quelli dichiarati.

L’Oriente latino, dopo la Prima Crociata, comprendeva la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia (fuso nel 1187 con la Contea di Tripoli) ed il Regno di Gerusalemme.
 

4.2.1 – La seconda Crociata

Approfittando degli screzi tra la contea di Edessa ed il principato normanno di Antiochia, nel 1144 i turchi musulmani riconquistano la contea di Edessa e uccidono la maggior parte dei cristiani. Si trattava dunque di liberare di nuovo Edessa.
In seguito ad un appello da parte del Papa Eugenio III, la seconda Crociata fu caldamente predicata da S. Bernardo di Clairvaux, il grande riformatore dell’ordine benedettino (cluniacense, cistercense) il quale però fece di tutto perché essa non fosse intesa come una guerra ai musulmani (e tanto meno agli ebrei), come qualche focoso asseriva. Partita nel 1147 alla volta di Edessa, questa volta alla guida della Crociata si pongono nientemeno che il re di Francia Luigi VII e quello tedesco Corrado III di Hohenstaufen. Con tutto ciò, si infrange già nel 1148 alle porte di Damasco, inutilmente assediata, così che Corrado III prima (nel 1148) e Luigi VII (nel 1149) abbandonarono l’impresa.

4.2.2 – La terza Crociata

Nel 1176 l’esercito musulmano, guidato dal sultano Salah ed-Din (il famoso Saladino, condottiero curdo al servizio del califfo di Bagdad), riconquista la Palestina e nel 1187, dopo quasi un mese di assedio e praticamente senza combattere (visto che i cristiani si arresero subito) riprese la stessa Gerusalemme. Cristiani ed ebrei, se non si convertivano all’Islam o non pagavano un cospicuo riscatto, venivano resi schiavi, compreso i bambini (e le donne venivano quasi sempre violentate). 
Si doveva dunque liberare di nuovo Gerusalemme dal giogo musulmano.
Proprio nel 1187 morì Urbano III ed il nuovo Papa Gregorio VIII morì dopo appena due mesi di pontificato. Fece però in tempo ad indire la nuova Crociata, appello subito ripreso dal successore Clemente III. Nel 1188 si era pronti per la partenza, al fine di liberare di nuovo Gerusalemme.
Partì anche l’imperatore Federico I di Hohenstaufen (il “Barbarossa”), già quasi settantenne ed alla sua seconda spedizione, ufficialmente come semplice soldato, non potendo assumere il comando in quanto scomunicato per la sua precedente opposizione al papato; nel 1190, attraversando il fiume Calicando per entrare a Seleucia, morì annegato ed il suo valido esercito, già temuto dal Saladino, si sciolse inesorabilmente (e venne sepolto ad Alessandria d’Egitto). Partono anche il re di Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e quello di Francia Filippo II Augusto. Dopo aver riconquistato il porto di S. Giovanni d’Acri, nel 1192 fu ripresa Gerusalemme. Secondo un inspiegabile trattato di pace, la città tornò però sotto il dominio del Saladino; per cui, nonostante le sue epiche eroicità, la Crociata si concluse senza aver raggiunto effettivamente il suo scopo.

4.2.3 – La quarta Crociata

Nel 1198 un nuovo appello per liberare Gerusalemme fatto da Papa Innocenzo III non ebbe alcuna risposta (come si può osservare, nella società cristiana europea l’entusiasmo per le Crociate viene progressivamente scemando).

Nel 1203 una nuova Crociata, ancora su richiesta d’aiuto da parte bizantina (da Alessio il Giovane ingiustamente detronizzato da Alessio III), si arenò proprio a Costantinopoli. Questa volta il Papa, che non approvava l’idea, vi si adattò, pensando di nuovo ad una possibile soluzione dello scisma. Ma proprio a Costantinopoli avvenne invece l’irreparabile (con gravi conseguenze proprio nei confronti degli Ortodossi, che mai dimenticheranno). Infatti più che mai si evidenziarono qui gli interessi politici e commerciali, specie da parte delle Repubbliche Marinare, e soverchiarono l’autentico spirito religioso dell’impresa: il Doge di Venezia, infatti, fornì ai Crociati la flotta per muoversi via mare, ma in realtà si prefiggeva proprio di vincere la potenza di Costantinopoli per imporre l’egemonia di Venezia sul Mediterraneo orientale. La Crociata, dunque, abbandonato definitivamente lo scopo di liberare Gerusalemme, non solo si diresse ipocritamente contro la cristiana Bisanzio, ma si tradusse anche in atti di inaudita violenza (anche se minori rispetto a quelli normalmente citati), fino alla caduta della città. Si instaurò così un provvisorio (durerà fino al 1261) Impero Latino d’Oriente, guarda caso proprio sotto il potere delle Repubbliche Marinare di Venezia e di Genova. 

4.2.4 – La quinta Crociata

Anche la nuova Crociata, pensata nel 1215 da Papa Innocenzo III e dal successore Onorio III, invece di dirigersi effettivamente verso Gerusalemme, sotto la guida del re ungherese Andrea II,  del duca d’Austria Leopoldo VI e di altri sovrani europei, si volse verso l’Egitto, considerato porta d’ingresso alla Palestina (allora sotto il sultanato egiziano). Dopo alcune battaglie in terra egiziana (epica quella di Damietta), anche la quinta Crociata finì con un nulla di fatto nel 1221.

A questa Crociata partecipò addirittura, e secondo il suo spirito, S. Francesco d’Assisi!

4.2.5 – La sesta Crociata

Una sia pur provvisoria ripresa di Gerusalemme si ottenne con una nuova Crociata. Nel 1227 Federico II (nipote del Barbarossa) partì per la liberazione di Gerusalemme, ma dovette ben presto ritirarsi per malattia; guarito e ripartito nel 1228, l’anno seguente ottenne, senza combattere ma per un accordo siglato col Sultano El-Kamil (discendente di Saladino), la giurisdizione di Gerusalemme (come pure di Betlemme e di Nazareth), che però 10 anni dopo (nel 1239) furono riconquistate dai musulmani.

4.2.6 – La settima Crociata

Nel 1248 guidò una nuova Crociata nientemeno che il santo re di Francia Luigi IX. Anche in questo caso si decise di raggiungere la Terra Santa conquistando prima l’Egitto. Pur ottenendo vittoria sia a Damietta che a Il Cairo, non si riuscì nell’intento di liberare la Palestina, ma anzi nel 1250 fu fatto prigioniero lo stesso re Luigi IX (sarà liberato solo 4 anni dopo, dietro pagamento di un ingente riscatto) e si perse anche il porto palestinese di S. Giovanni d’Acri.
Nel 1265 l’eroico e santo Luigi IX organizzò una nuova Crociata, che si concluse però nel 1270 a Tunisi con la sua morte (contraendo un’epidemia). 

4.2.7 – L’ottava Crociata

Dopo che nel 1289 gli eserciti musulmani assalirono e distrussero Tripoli ed Antiochia, uccidendo tutti i cristiani (!), il Papa Nicola IV si decise di indire una nuova Crociata (che sarà l’ultima).
Scemato ulteriormente l’entusiasmo per queste imprese, visti i fallimenti precedenti oltre che l’immane perdita di vite umane, questa volta risposero all’appello solo la Lombardia e la Toscana, che peraltro non riuscirono che ad arruolare che un’accozzaglia di contadini e di falliti, interessati assai più a fare fortuna (anche col saccheggio) che ai nobili motivi della Crociata. Ripresa S. Giovanni d’Acri, in cui vivevano molti cristiani, i Crociati risposero alle violenze dei musulmani con altrettante violenze. 
Grazie anche alle nuove tecniche di guerra sviluppate dai Mammalucchi (come l’uso di catapulte con recipienti contenenti miscele esplosive), e nonostante l’arrivo di rinforzi dall’Europa, i musulmani ripresero definitivamente la Terra Santa, sterminando i cristiani e decretando la fine dei Regni latini d’Oriente.
 

Un’altra Crociata, voluta e perfino finanziata dal Papa nel 1310, non riuscì neppure a partire.


4.3 – S. Francesco d’Assisi alla Crociata

Come abbiamo sopra accennato, non fu il Francesco pre-conversione a voler partire come cavaliere in cerca d’avventura e di gloria o più cristianamente in soccorso dei deboli, ma proprio il Santo d’Assisi già toccato dalla grazia di Cristo e convertitosi ad una vita evangelica “sine glossa” a partire con la V Crociata, tanto da trovarlo in Egitto, al campo del 1219-1220, addirittura in dialogo col Sultano!
Nell’attuale immaginario collettivo, persino di moltissimi cattolici, S. Francesco d’Assisi era una sorta di “giullare di Dio”, romanticamente povero, ecologista e pacifista. In realtà ciò ha poco a che vedere con l’autentico S. Francesco e la reale sua eccezionale santità.

[v. anche solo quanto riportato nel sito su (e di ) S. Francesco d’Assisi]

E se in questa falsa immagine del Santo non si riesce a tacere sulla sua presenza alla Crociata, subito si sottolinea che vi partecipò proprio per contrapporsi a quanto i cristiani in essa compivano. In realtà, come del resto per tutti i santi, non si capisce nulla di S. Francesco se non a partire dal suo immenso amore per Cristo Signore, unico salvatore dell’uomo, che lo aveva conquistato e col quale sempre più si immedesimava, fino a portarne un giorno l’immagine nel suo stesso corpo (stigmate).
S. Francesco non solo percorre le terre dell’Italia centrale per predicare a tutti Gesù e chiamare tutti alla conversione (il suo nuovo ordine, come quello di S. Domenico, verrà infatti denominato “dei predicatori”), ma si imbarca per la Terra Santa dietro alla V Crociata nientemeno che per convertire a Cristo i musulmani!

Molti dei suoi primi seguaci (i “Francescani”) attraversavano perfino la Spagna e il Portogallo per recarsi nientemeno che in Marocco, proprio per convertire i musulmani, andando incontro quasi sempre al martirio. Fu proprio il passaggio in Portogallo di alcuni di loro, ed il loro martirio, che calamitò lo spirito religioso di un giovane monaco agostiniano portoghese, tanto da farsi anch’esso francescano e decidere di andare anch’egli a morire per Cristo in Marocco. La Provvidenza, attraverso una malattia ed un naufragio, portò invece quel giovane frate in Italia e sarà nientemeno che S. Antonio da Padova!

S. Francesco non pensa certo di convertire i musulmani all’autentica fede cristiana con la forza delle armi, ma con quella della testimonianza e della predicazione.
Se mai lo spirito delle Crociate fu quello di convertire con la forza al cristianesimo – come invece è sostanzialmente lo spirito della “guerra santa” musulmana – proprio la successiva presenza dei Francescani e dei Domenicani (appunto gli “Ordini predicatori” nati nel XIII secolo) unì allo spirito di Crociata, sostanzialmente di difesa e della liberazione della Terra Santa, quello “missionario”, mirando cioè proprio alla conversione dei musulmani, sia pur solo con la “debolezza” della predicazione. Per questo S. Francesco parte con la V Crociata.

Ecco un dialogo tra S. Francesco e lo stesso Sultano del Cairo (il Saladino!):

Il Saladino dice a Francesco: “Il vostro Vangelo insegna che non dovete rispondere al male col male e che a chi ti toglie il mantello dovete dare anche la tunica”.

Risponde S. Francesco: “Ma se aveste davvero letto il Vangelo sapreste che subito dopo Gesù dice di <cavare l’occhio che ti scandalizza e gettarlo via>. Ecco perché è giusto che i cristiani invadano le terre che abitate: perché bestemmiate il nome di Gesù Cristo e allontanate dalla sua adorazione tutti coloro che vi riesce; ma se foste disposti a confessarvi, a riconoscere e adorare il Creatore e Redentore, i cristiani vi amerebbero più che se stessi”.

Il Sultano fu certamente colpito dalla radicale testimonianza evangelica di S. Francesco – che, come si vede, non era assolutamente irenico né andava troppo per il sottile quando si trattava di annunciare la vera fede cristiana, condizione per la salvezza eterna di ogni uomo (come talora oggi si intende falsamente il dialogo interreligioso) – tanto che col suo benestare venne poi concesso ai Francescani la Custodia dei “luoghi santi” (della Palestina), cosa che perdura ancor oggi! 


5) Una conclusione

Come abbiamo detto all’inizio, mentre dobbiamo evitare di giudicare le Crociate con le categorie e la sensibilità attuali, dobbiamo anche liberarci da quei luoghi comuni che si ostinano a presentarcele – secondo la vulgata propria dell’Illuminismo prima e del comunismo e laicismo poi – come un’ulteriore prova storica dell’intolleranza cattolica e della contro-testimonianza evangelica della Chiesa, o del segno chiaro che siano proprio le religioni a generare le guerre.
Ovviamente, decisioni storiche come quella di indire le Crociate possono benissimo essere discusse e non trovarci consenzienti (anche come Cattolici), non implicando certo l’infallibilità del Papa, che invece è garantita da Gesù per mezzo dello Spirito quando si tratta di interventi ufficiali su questioni di fede o di morale, necessarie quindi per camminare sulla via della nostra salvezza eterna.
Così, trattandosi di cose umane, sia pur promosse da cristiani, è da mettersi certo in conto anche la debolezza, il peccato, e quindi purtroppo anche le degenerazioni dall’autentico spirito che animò inizialmente le Crociate, fino in certi casi a scadere in esecrabili violenze. Tanto più che, al di là di ogni attesa, divennero movimenti di massa tanto estesi da potersi poi difficilmente distinguere – nonostante le precise condizioni poste all’inizio della Prima Crociata – chi decideva di partire per un autentico e perfino eroico spirito religioso (di aiuto a fratelli nella fede in pericolo o di commozione per la situazione della stessa Terra di Gesù, dove cioè Dio stesso si era incarnato, era morto e risorto per la nostra salvezza, e caduta da secoli in mano musulmana), da chi era mosso da altri interessi, commerciali o di potere, come pure da chi vi vedeva un’occasione di riscatto sociale o ancor più banalmente per semplice spirito d’avventura.

Le Crociate, mentre facevano fronte al pericolo musulmano, contribuivano a riappacificare ed unificare i diversi regni europei, spesso in lotto tra loro, ed offrivano anche una preziosa opportunità per ritrovare la piena unità anche con la Chiesa Ortodossa (Bisanzio), da poco separatasi dalla Chiesa Cattolica.

Con tutto ciò, non si può certo dire che le Crociate sia state una forma di “imperialismo religioso”, cioè una sorta di diffusione violenta della fede cristiana,- come qualcuno si ostina a dire – perché mai le Crociate sono state pensate ed attuate per convertire i musulmani.

Non si è dunque trattato di scontro tra due religioni, come spesso viene invece inteso e divulgato, sia dal laicismo europeo che dallo stesso mondo islamico.

Tale “moderna” accusa risulta poi sorprendente quando viene mossa da chi, per motivi politici ed economici, non nel Medioevo ma nella storia contemporanea non ha esitato a compiere ben altre Crociate, con decine e decine di milioni di morti (!), per esportare con violenza il proprio credo politico (come nel caso del comunismo) o i propri interessi economici (come molte guerre del XX e già del XXI secolo).
Ancor più sorprendente quando tale accusa venga ancor oggi mossa (addirittura chiamando ancora Crociate le azioni politiche, economiche e militari dell’Occidente in Medio Oriente) proprio dai fondamentalisti islamici, quando è invece propria dell’Islam (e non una sua degenerazione) l’idea di “guerra santa” per esportare violentemente la fede musulmana in tutto il mondo.
Persino la riduzione dello spirito della Crociata ad un coacervo di interessi economico-sociali può essere storicamente smentito, nonostante vi si insinuasse certo anche questa componente.
Al di là degli interessi strategici delle grandi potenze coinvolte (dai Franchi ai Tedeschi, dai Normanni agli Ungheresi, da Bisanzio alle Repubbliche Marinare; e quindi soprattutto dei Sultanati islamici che difendevano il loro potere religioso ed economico su un vastissimo territorio occupato con violenza già dal VII secolo), non si può certo dire che le decine e decine di migliaia di persone che si arruolavano nelle Crociate avessero di mira particolari interessi, probabilmente neppure da parte dei nobili, viste non solo le spese che richiedevano ma soprattutto il forte ed evidente pericolo di rimetterci non solo del denaro ma la stessa vita (furono centinaia di migliaia i Crociati uccisi)!
Il gran numero di semplici contadini o poveracci che si arruolavano nelle Crociate, e che fanno di tali imprese (specie della Prima) un immenso “movimento di popolo”, non poteva certo sperare di tornare, se tornava!, con delle ricchezze o vantaggi sociali. Tale movimento non si spiega se non a partire da un autentico spirito religioso, da una forte esperienza di fede cristiana.

“Fare una Crociata non era cosa da quattro soldi. Anche i ricchi avrebbero potuto facilmente impoverire, rovinando loro stessi e le loro famiglie”. La maggior parte dei Crociati, compresi i nobili, “non facevano ciò perché si aspettassero ricchezze materiali (che molti di loro già avevano), ma perché contavano su quel <tesoro> che il tarlo non sbriciola e che la tignola non corrode (Mt 6,29). Erano acutamente consapevoli dei loro peccati ed ansiosi di intraprendere le fatiche della Crociata come un atto penitenziale di carità e d’amore. L’Europa è letteralmente stipata di carteggi medievali che attestano questi sentimenti, carteggi nei quali questi uomini ancor oggi ci parlerebbero, se noi ascoltassimo. Chiaramente, non si sarebbero rifiutati di accettare un bottino, potendolo avere. Ma la verità è che le Crociate si rivelarono scarse quanto all’entità dei saccheggi. Alcuni si arricchirono, è vero, ma la stragrande maggioranza dei Crociati tornò a casa (se riuscì a tornare) con nulla in tasca” (Thomas F. Madden, Professore di storia alla Saint Louis University USA e autore di molti autorevoli studi sulle Crociate).

5.1 – Islam, cristianesimo e le Crociate

Nonostante non si trattasse di guerre di religione (almeno da parte dei Crociati, perché i cristiani non volevano fare la guerra all’Islam), non dobbiamo dimenticare come già fin dal suo apparire nel VII secolo l’Islam aveva certamente impressionato i cristiani per la sua rapida espansione “militare” (a cominciare da Maometto stesso, che combatté personalmente 9 guerre e ne ordinò altre 26, e dai suoi immediati successori, che occuparono militarmente in breve tempo tutto il Medio Oriente, la Turchia, la Persia e tutta l’Africa settentrionale, giungendo ad invadere la stessa Spagna e tentando di invadere la Francia) e dunque l’Europa stessa si sentisse con ragione minacciata!
E se è vero che nei territori occupati dai musulmani non si giungeva quasi mai ad obbligare fisicamente i cristiani a farsi musulmani (questo il Corano non lo prevedeva, mentre prevedeva certamente l’espansione militare dell’Islam al mondo intero!), è altrettanto vero che la pressione sociale (la perdita di diritti sociali e il divieto di manifestare la fede cristiana pubblicamente e di annunciarla ad altri) e quella fiscale (esorbitanti tasse, da cui sarebbero stati esonerati se si fossero invece fatti cristiani) inducevano la maggior parte dei cristiani o ad espatriare in altre terre o a farsi musulmani, fino al punto che intere e importanti comunità cristiane (come nel caso dell’Africa settentrionale latina, quindi ad occidente dell’Egitto) sono definitivamente scomparse (come attesta anche la situazione attuale di quelle terre).
Il tentativo musulmano di invadere l’Europa sia da oriente (dalla Turchia alla Macedonia, fino poi a raggiungere i Balcani, così che ne vediamo la presenza storica anche nell’attuale Serbia ed Erzegovina ) che da Occidente (penetrarono in Francia fin quando furono sconfitti nel 733 da Carlo Martello a Poitiers) ci permette di capire come tale pericolo musulmano non fosse una leggenda nera per giustificare le Crociate.

Teniamo poi sempre presente che non si comprendono non solo le Crociate ma l’intero Medioevo se non si comprende come il cristianesimo avesse plasmato a tal punto la civiltà europea che ogni attacco contro l’autentica fede in Cristo veniva giustamente considerato non solo come tremendo pericolo per la salvezza eterna della propria anima, ma come vero e proprio attacco contro i fondamenti della vita sociale.

Conclusesi peraltro senza reali successi le Crociate in Terra Santa dei secoli XI-XIII, nei secoli seguenti l’avanzata militare musulmana in Europa ad opera dei Turchi (e quindi da oriente) costituì un reale e tremendo pericolo per l’intera civiltà europea e per la stessa fede cristiana.

Persino ancora nell’attuale linguaggio e immaginario popolare italiano, “turco” è rimasto spesso sinonimo di incivile e minaccioso (“cose turche”, “bestemmiare” o “fumare come un turco”…).

Fortunatamente – ma i cristiani dicono “provvidenzialmente”, tant’è che vi videro perfino il chiaro ausilio della Madonna, come nel caso di Lepanto (da cui l’istituzione della festa della “Madonna del Rosario” proprio in quella data, il 7 ottobre) – l’Europa cristiana riuscì a fermare questa avanzata militare musulmana, combattendo a Belgrado (nel 1456), appunto a Lepanto (il 7.10.1571) e poi ancora perfino a Vienna (1683) dove i Turchi era riusciti ad arrivare, ponendo sotto assedio la città. 
Probabilmente dobbiamo a queste vittorie – come già a quella di Carlo Martello a Poitiers in Francia nel 733 (da cui iniziò la ritirata delle forze musulmane dall’Europa occidentale), ma in fondo alle stesse Crociate – se oggi possiamo vivere in un’Europa dove permane (anche se spesso in crisi) la fede cristiana ma anche la libertà religiosa e la stessa vita democratica.

C’è chi, anche tra autorevolissimi storici contemporanei (come R. Grousset), riconosce che “con le Crociate la Chiesa ha ricoperto un ruolo enorme per garantire il bene dell’Occidente e del mondo intero. Ha ritardato infatti di tre secoli, e per certi versi in modo determinante per l’Europa e per l’Occidente, l’invasione musulmana (turca) con la sua sostanziale incapacità di garantire una autentica libertà religiosa e una distinzione tra potere religioso e potere politico”.