Sacramento dell’Ordine
Qualche chiarimento
No, non preoccupatevi! Non siamo ancora arrivati a questo punto nella Chiesa Cattolica. La foto non riguarda però un’irriverente maschera carnevalesca. Si tratta infatti nientemeno che del Vescovo (o Vescova?) di Londra, ovviamente anglicano: Signora (o Reverenda come si deve dire) Sarah Elisabeth Mullally, sposata e con due figli, vescovo di Londra dal 12.05.2018.
Però, quando si aprono “processi”, come si sente oggi dire anche ai più alti livelli, pure in occasione di augusti consessi ecclesiali, senza quasi tenere neppure più conto della volontà fondativa e immutabile di Cristo Signore, non si sa poi più dove essi possano portare (come vedremo appunto più sotto).
Manteniamo però un poco l’attenzione sulla Chiesa anglicana, perché ci offre già lo spunto per fare qualche precisazione sul Sacramento dell’Ordine, sulle condizioni della sua validità, come della validità o meno dell’Eucaristia celebrata.
Sulla questione della cosiddetta Chiesa anglicana siamo intervenuti ampiamente con un apposito documento (vedi), che spazia dalla sua nascita (voluta nel 1534 dal re Enrico VIII, che se ne è posto a capo, come restano tutti i sovrani inglesi) alla feroce persecuzione contro i Cattolici che ne è seguita per almeno 150 anni, alle questioni dottrinali e liturgiche che ne derivano, fino all’attuale situazione spesso degenerata di tale Confessione cristiana. Ne abbiamo parlato brevemente anche nelle News pubblicate in occasione della morte della regina Elisabetta II (vedi) e dell’incoronazione del nuovo re Carlo III (vedi). Al termine di quell’ampio documento (vedi i capitoli “Chiesa anglicana: cosa succede oggi?” e “Non tutti i mali vengono per nuocere”) abbiamo anche fatto cenno alla situazione di totale confusione che in genere regna appunto nella cosiddetta Chiesa anglicana, nonostante le sontuose liturgie talora poste in atto (da far persino invidia a quelle di certa attuale Chiesa cattolica, come abbiamo visto pure in Westminster Abbey in occasione appunto degli ultimi solenni eventi reali). Tale stato confusionale si evidenzia particolarmente proprio in riferimento al Sacramento dell’Ordine, che la Confessione anglicana non ha abolito, a differenza della cosiddetta Riforma protestante, ma l’ha totalmente sottomesso ai sovrani, capi appunto di tale Chiesa e che ne nominano addirittura i vescovi. Però, come qui ricorderemo, mancando la “successione apostolica”, tali Ordinazioni episcopali (e ci riferiamo ovviamente a quelle maschili, perché quelle femminili sono addirittura contrarie, come preciseremo, alla stessa volontà fondativa di Cristo) e di conseguenza anche quelle sacerdotali, e quindi l’Eucaristia da essi celebrata, sono non solo “illecite”, mancando la comunione col Papa, ma anche “invalide” , cioè di fatto essi non sono vescovi e sacerdoti e nelle loro celebrazioni eucaristiche non si realizza dunque il miracolo della “transustanziazione” (la trasformazione del pane e il vino nel Santissimo Corpo e Sangue di N. S. Gesù Cristo), nonostante che ciò sia in genere da loro in qualche modo creduto. Negli ultimi decenni la cosiddetta Chiesa anglicana ha poi appunto conosciuto una tale degenerazione del sacramento dell’Ordine da far rabbrividire; e ciò non tanto nel senso morale (immoralità dei suoi ministri, che possono peraltro esserci anche nella Chiesa Cattolica, ma che non inficiano il sacramento celebrato), ma proprio a livello canonico, liturgico, istituzionale (come appunto anche la foto iniziale dimostra). Sono così passati dall’abolizione del celibato dei sacerdoti a quello dei vescovi stessi (cosa sempre proibita, anche dagli Ortodossi), fino all’Ordinazione conferita anche ai conviventi, ai divorziati risposati, perfino agli omosessuali conviventi, per giungere appunto anche all’Ordinazione sacerdotale e poi pure episcopale delle donne.
Però, come abbiamo osservato appunto anche nel lungo documento sull’Anglicanesimo (vedi), di fronte anche a tale progressivo degrado dottrinale e pastorale, una parte cospicua e crescente di Anglicani, compreso vescovi e sacerdoti, hanno ufficialmente deciso e chiesto di tornare nella Chiesa Cattolica, riconoscendo che essa è quella vera fondata dal Signore Gesù (si tenga pure presente che tra essi c’erano alcuni prelati di notevole importanza, come ad esempio il Vescovo che fu anche Cappellano della Regina, vedi nella News). In questo frangente, peraltro provvisorio (perché poi i nuovi sacerdoti e vescovi avranno le stesse disposizioni di tutti gli altri della Chiesa Cattolica latina), doveva essere canonicamente chiarito come comportarsi nei confronti di tali presunti vescovi e sacerdoti provenienti dalla Chiesa Anglicana, di cui moltissimi erano sposati e anche con prole. La risposta, autorevole e canonica, venne data dal Papa Benedetto XVI [che tra l’altro nel 2010 fece nel Regno Unito un sorprendente e seguitissimo viaggio, in occasione della canonizzazione di Henry Newman (vedi in fondo al documento citato)] con la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, del 4.11.2009 (vedi).
Come abbiamo accennato, anche se la sedicente Chiesa anglicana (scisma creato appunto da Enrico VIII nel 1534, peraltro per questioni personali, e mai più rientrato) contempla delle eresie oggettivamente meno gravi di quelle emerse dalla Riforma protestante (vedi) e ha mantenuto appunto il Sacramento dell’Ordine (abolito invece da Lutero) e in certo qual modo anche la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia (mentre quella Protestante è sostanzialmente solo una rievocazione della “Cena del Signore”), i loro vescovi e sacerdoti non possiedono però la “successione apostolica” (che trasmette il potere sacerdotale di celebrare l’Eucaristia e di Confessare, ricevuto appunto dagli Apostoli come essi da Cristo stesso); dunque di fatto non sono vescovi e sacerdoti e quindi i sacramenti da loro celebrati sono invalidi cioè nulli (ciò fu ribadito ancora da Papa Leone XIII con queste parole: “gli Anglicani non possono celebrare validamente alcun sacramento”)!
In conseguenza di ciò, Benedetto ha stabilito (nella Anglicanorum coetibus) che tali vescovi e sacerdoti, se vogliono essere tali anche nella Chiesa Cattolica in cui desiderano tornare, debbano essere ordinati tali. Ciò appunto perché di fatto la loro presunta Ordinazione nella Chiesa Anglicana era stata invalida e nulla e dunque non sono mai stati realmente sacerdoti e vescovi e i Sacramenti da loro celebrati erano nulli, cioè inesistenti. Ricordiamo in proposito che il Sacramento dell’Ordine, nei suoi singoli tre gradi, può essere ricevuto una volta sola, in quanto imprime nell’anima della persona che lo riceve un “carattere” indelebile (come imprimono un carattere indelebile anche i sacramenti del Battesimo e della Cresima, che possono infatti essere ricevuti una volta sola nella vita). Ovviamente è stato ribadito che tale possibilità è riservata poi agli uomini, perché ciò è nella stessa volontà fondativa di Cristo per tale Sacramento. Data però la particolare e provvisoria situazione è stato concesso che quelli che attualmente risultano sposati e con prole possano continuare a tenere la propria famiglia (perché in sé non c’è incompatibilità di principio tra Sacramento del Matrimonio e quello dell’Ordine, come vedremo, anche se il “celibato sacerdotale” è consolidata scelta della Chiesa Cattolica, specie latina).
Ciò rende ulteriormente evidente, se fosse necessario, che i vescovi e sacerdoti anglicani di fatto non sono davvero vescovi e sacerdoti e di conseguenza le loro celebrazioni eucaristiche non realizzano l’Eucaristia (il pane e il vino rimangono tali)! Dunque nei tabernacoli delle chiese anglicane – anche quelle storiche, gotiche e gloriose usurpate come le altre alla Chiesa cattolica nel sec. XVI e mai più riconsegnate (da quella “primaziale”, stupenda e immensa, di Canterbury a quella “reale” di Westminster Abbey a Londra, come pure tutte la altre stupende chiese gotiche di cui è ricca la Gran Bretagna, tanto da far persino invidia a quelle numerose e stupende della Francia) la presenza sacramentale di Gesù non c’è, anche se da loro sostanzialmente creduto!
Ricordata tale dolorosa “questione anglicana” – questione che, come si comprende facilmente, non è marginale ma sostanziale e decisiva e su cui è appunto costantemente e solennemente intervenuto il Magistero della Chiesa – si coglie ancor meglio la gravità di alcuni episodi recentemente accaduti nella Chiesa Cattolica a proposito di tale decisiva questione (vedi anche in un’altra News), segno dello “stato confusionale” in cui sembra sempre più precipitare. Eccone tre.
Il 18.04.2023 un vescovo anglicano (Jonathan Baker, pervicacemente anglicano, cioè senza alcuna volontà di tornare nella Chiesa cattolica, peraltro persino divorziato-risposato e notoriamente legato alla massoneria), che appunto sacerdote e vescovo non è, insieme a 50 preti anglicani (del gruppo cosiddetto di “vetero-anglicani”, ma pur sempre scismatici e che sacerdoti appunto non sono), ha celebrato la (presunta) Eucaristia nientemeno che all’altare della Cattedrale di Roma (S. Giovanni in Laterano, “Mater et Caput omnium Ecclesiarum”). Tale pseudo-vescovo è andato addirittura a sedersi sulla sede papale (che nessuno può occupare, neanche i sacerdoti e vescovi cattolici, ma solo il Papa) che troneggia nell’abside della Cattedrale stessa e di cui prende solennemente possesso il Papa all’inizio del suo Pontificato. Nell’imbarazzo generale, e resa pubblica la notizia di tale gravissimo e sacrilego atto canonico e morale, alla fine s’è data la responsabilità ai cerimonieri della basilica, che non avrebbero capito l’inglese e avrebbero dato tale gravissima concessione (cosa ovviamente e assolutamente inverosimile e non credibile)!
Nella stessa News (vedi) avevamo anche sottolineato, sempre a proposito della questione anglicana, anche un altro fatto increscioso se non blasfemo. Poiché i Reali inglesi continuino a pretendere di essere Capi della Chiesa anglicana, anche nella recente incoronazione di Carlo III c’è stata una sorta di sua “consacrazione” appunto non solo come re ma anche come capo di tale Chiesa inglese e scozzese. [Ricordiamo peraltro che nessun Cattolico può accedere alla “famiglia reale”, non solo ovviamente il sovrano, ma anche gli altri membri, fossero anche nei gradi di successione più remoti; in occasione ad esempio del matrimonio del Principe Henry (19.05.2018) abbiamo infatti constatato (vedi la News e nel documento sugli Anglicani) che la sposa cattolica Meghan ha dovuto antecedentemente e ufficialmente “abiurare” dalla Chiesa Cattolica e farsi anglicana per poter sposare il Principe]. Ebbene, in occasione appunto della recente incoronazione di Carlo III, la Santa Sede ha regalato al nuovo sovrano nientemeno che una reliquia della S. Croce di N. S. Gesù Cristo, che il sovrano ha provveduto a far incastonare nella sua corona! [Così il direttore della Sala Stampa Vaticana: “Posso confermare che i frammenti della reliquia della Vera Croce sono stati donati dalla Santa Sede all’inizio di aprile, tramite la Nunziatura Apostolica, a Sua Maestà il Re Carlo III, Supreme Governor della Chiesa d’Inghilterra, come gesto ecumenico in occasione del centenario della Chiesa Anglicana in Galles”].
Infine, terzo e ultimo episodio, peraltro nel quadro della preparazione dell’imminente II Parte del “Sinodo sulla sinodalità”, che si occuperà anche del ruolo delle donne nella Chiesa Cattolica, emerge un’altra notizia paradossale e ufficiale. Eccola. In occasione della sessione del Consiglio ristretto di Cardinali (il gruppo più ristretto di Cardinali che collabora col Papa), tenutasi con Francesco nei giorni 5, 6 e 7 febbraio 2024 a Casa Santa Marta sulla questione del “ruolo femminile nella Chiesa”, la mattina del 5, alla presenza appunto del Papa, hanno partecipato attivamente, oltre a due suore, anche la “Rev.da Dott.ssa Jo Bailey Wells, Vescovo della Chiesa d’Inghilterra e Sottosegretario Generale della Comunione Anglicana”! (vedi la comunicazione della Sala stampa Vaticana).
Prima di proseguire, compiamo anzitutto tre brevi considerazioni su altrettante parole “mantra” oggi circolanti nella Chiesa cattolica, anche ai più alti livelli.
Al di là dell’apparente positività di tali parole e della buona o cattiva fede di chi le usa (che solo Dio conosce davvero, ma i fatti molte volte parlano da soli), occorre anzitutto notare come sussista alla loro base la censura della vera “questione di fondo”, cioè la fondamentale negazione della verità, oggettiva, unica e immutabile. Questa è la questione di fondo, da cui tutto consegue, che emerge dalla Modernità (vedi), lautamente promossa dalla Massoneria (vedi), ed oggi arrivata al suo catastrofico epilogo (nichilismo), come spesso qui ricordiamo.
Avviare processi
Il pensiero moderno, in particolare la filosofia di Hegel, una volta persa appunto la concezione stessa della verità (oggettiva, unica, immutabile) e accantonato (a parole, perché di fatto non si può) lo stesso “principio di non contraddizione” (non ci possono essere due verità opposte, perché “essere” si oppone a “non-essere”), cioè dopo aver perso una sana concezione della metafisica – tutto ciò viene oggi inteso come “fissità”, incapacità di comprendere la situazione reale e soggettiva, sempre mutevole e inclassificabile, e dunque come posizione incapace di “accoglienza” e di “inclusione”, se non addirittura come intollerabile posizione contro la carità – affida il continuo avvicendarsi delle più disparate “opinioni” alla dialettica storica, in un continuo susseguirsi di tesi, antitesi e sintesi, che a loro volta generano altre tesi, all’infinito, senza concludere a nulla, senza appunto poter conoscere la verità. Tutto è affossato e continuamente travolto dal processo storico e nella “prassi”.
Tutto ciò sembra appunto oggi largamente penetrato e diffuso anche all’interno della Chiesa, che pur dovrebbe essere fecondamente ancorata non solo alla capacità della ragione (certo anche fallibile e pur sempre estensibile) di cogliere il vero (metafisica, non solo logica) ma soprattutto all’indubitabile e perenne Verità rivelata da Dio stesso (che ovviamente non sbaglia e non ci inganna), cioè alla “fides et ratio” (vedi). Questo crollo dell’autentica metafisica, questo prevalere della prassi sulle idee, cioè sulla “verità”, nella Chiesa si chiama oggi “teologia della prassi” e si concretizza nel predominio della “pastorale” sulla “dottrina”.
Ecco cosa può tragicamente nascondersi dietro l’incensata e ostentata posizione che vuole “avviare processi”. Pare appunto essersi definitivamente eclissata la questione della “verità”; restano solo opinioni sempre mutevoli (anche se poi se ne impone spesso una, in genere quella voluta dalla cultura o potere dominante), come mutevoli sono le situazioni storiche, sociali e personali (non importa se poi esse sono lette e persino inventate a tavolino e sono proprio tali impostazioni ideologiche ad essere lontani dalla realtà e persino dal tanto incensato “popolo”). In questo progressivo e ormai totale eclissarsi della questione della verità, pare persino che non sia neppure più determinante cosa ci abbia rivelato lo stesso Signore Gesù, cioè Dio stesso! Alla fine non si ha nemmeno più il pudore di apertamente contraddirsi, anche ai più alti livelli e in pochissimo tempo (vedremo tra poco un esempio eclatante di ciò).
Non importa neppure dove tali processi possano alla fine condurre (ma forse “qualcuno” lo sa invece benissimo, anche se astutamente lo nasconde, e persino lo impone).
Si tratta di una sorta di “finestra di Overton”, che prevedeva questo progetto culturale e sociale: come far cioè progressivamente passare un’idea, nella mentalità comune, dall’essere considerata “inconcepibile” ed “estrema” ad essere poi pensata come “accettabile”, perfino “ragionevole”, per giungere alla fine ad essere considerata “normale” (tanto da far considerare “anormale” e “retrograda” la posizione iniziale, da emarginare e censurare come ostile al bene personale e sociale).
Potrebbe essere anche la nota logica della “rana bollita”: com’è noto se si getta una rana nell’acqua molto calda essa salta via immediatamente, ma se viene invece messa nell’acqua fredda e poi la si scalda lentamente, a motivo della sua particolare circolazione sanguigna, la rana vi rimane dentro fino a morire bollita senza neppure accorgersene.
Satana, come sappiamo e come si può vedere bene anche nell’astuta logica della “tentazione” in genere da lui posta in atto, è un maestro insuperabile in questo metodo di “seduzione”.
Ecco cosa può nascondersi nella perversa logica dell’innescare “processi”. Qualcosa appunto di ancor più grave che il semplice spirito antimetafisico, immanentistico e storicistico di Hegel.
Dentro questa logica, può poi oggi stoltamente nascondersi pure il gusto della novità che sorprende, del “cambiare per cambiare”, cioè fine a se stesso; fino appunto a contraddirsi in breve tempo. Questo indiscusso sottofondo hegeliano (se non appunto persino diabolico) fa immediatamente avvertire il divenire storico come un continuo “progresso” (non importa se poi la storia umana, sia personale che planetaria, a differenza del progresso scientifico e tecnologico, registra invece anche terrificanti “regressi” e “involuzioni”), il “nuovo” come un valore in sé e senz’altro sinonimo di “migliore” (chiunque può invece constatare che, laddove c’entra la libertà dell’uomo, non è assolutamente sempre così).
Anche il marxismo, filosoficamente e storicamente erede del pensiero hegeliano, si muoveva dogmaticamente in questa logica (materialismo dialettico). Ma oggi, a ben vedere, è anche la logica appunto del prevalere della “pastorale” sulla “dottrina”, cioè sulla verità. Essa (verità) viene considerata appunto come opposta alla carità, quando invece ne è la condizione (cfr. Gv 8,32: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, dice il Signore Gesù). Dentro questa logica non si ha nemmeno più il pudore non solo di contraddire Gesù stesso e la perenne Tradizione della Chiesa. Ma il tanto citato Spirito, che dovremmo ascoltare nei nostri incontri ecclesiali, è poi ancora davvero lo Spirito Santo? Oppure non è più vero che Gesù è il Verbo incarnato (2^ Persona della SS.ma Trinità)? Lo Spirito Santo (3^ Persona della SS.ma Trinità) è stato assente per duemila anni? Dio, l’Assoluto, appunto hegelianamente si contraddice?
Questa logica, come purtroppo sappiamo, è giunta da tempo e sempre più gravemente ad invadere non solo la teologia e soprattutto la prassi (pastorale) della “nuova” Chiesa, ma è ampiamente penetrata persino nella Liturgia (che pur è “opus Dei”, cioè opera divina, sacra per eccellenza). Certi “processi”, peraltro aperti già da decenni, hanno oggi raggiunto, in nome addirittura di una presunta e illecita “creatività liturgica”, delle «deformazioni della liturgia al limite del sopportabile» (come disse Benedetto XVI, leggi), addirittura ad una sorta di “spettacoli” indegni e addirittura blasfemi (vedi, vedi).
Tali “processi”, che hanno appunto ampiamente e talora tragicamente inondato anche la Liturgia, in certi casi rasentano addirittura il banale, se non persino il ridicolo (se non fosse tragico), pure nei documenti ufficiali e negli stessi nuovi riti liturgici.
Questa ossessiva volontà di cambiare proprio tanto per cambiare (se non addirittura per volontariamente confondere!) la si può osservare persino nella continua pubblicazione, secondo le lingue volgari (anche per la traduzione italiana), di nuovi Messali. Prima duravano secoli, ora pochi anni. L’ultima edizione è stata poi l’apoteosi dei cambiamenti. Oltre alle gravi questioni – che hanno toccato persino la “Preghiera del Signore” (un “Padre nostro” che non corrisponde più a quello realmente dettatoci da Cristo, vedi quanto sottolineato sul Padre nostro nella nostra pagina sulle Preghiere quotidiane) e da tempo persino le parole della Consacrazione (il Sangue di Cristo “pro multis effundetur” tradotto erroneamente e pervicacemente con “versato per tutti”) – talora si scade appunto persino nel ridicolo; l’importante è cambiare, magari anche semplicemente una parola (anche se spesso vi si nasconde una non trascurabile rilevanza teologica e dottrinale, se non un’eresia), magari anche solo anticipare o posticipare un aggettivo, persino una bimillenaria successione [ecco un solo esempio, non grave ma eloquente: nella Colletta della XVI settimana del T.O, è stato così mutato l’usuale e storico riferimento alle tre virtù teologali: dal noto e bimillenario ”fede, speranza e carità” a “speranza, fede e carità”). Quanto basta comunque per destabilizzare quanto fissato lungo i secoli nella coscienza, mente e memoria dei fedeli, che ne sanno infatti sempre meno, anche delle più elementari questioni di fede, di morale e liturgiche.
Aperture
Dentro questa logica, talora gravissima, altre volte perfino bassa e banale, più elegantemente antimetafisica ed hegeliana, dobbiamo pure registrare il continuo emergere di un’altra parola-mantra, che da sola, senza neppur aver bisogno di spiegazioni, serve a scaldare gli animi e ad entusiasmare molti cristiani, importanti incontri ecclesiali, con l’evidente ed incontenibile appoggio del sistema mediatico (ora stranamente sempre ossequioso alla rivoluzione vaticana in corso, mentre fino a Benedetto XVI esso era sempre immediatamente pronto a denigrare e attaccare ogni intervento e decisione papale … chissà perché?!).
Chi non vibra di commozione a sentire infatti finalmente risuonare la parola “apertura”!?
“Aprire” offre immediatamente l’impressione di luce e di aria nuova e buona che entra, come da una finestra finalmente spalancata, che permette di liberarci dal buio e dall’aria viziata. Aprire infatti si contrappone evidentemente a “rimanere chiusi”, come la luce al buio (ma siamo ancora all’illuministica accusa di “oscurantismo”, dato alla fede, alla Chiesa e soprattutto alla civiltà cristiana medievale? vedi invece ad esempio il dossier sull’autentico Medioevo). “Chiuso” è sinonimo di “ottuso”, di “intollerante” e perfino “privo di carità” nei confronti delle persone concrete e delle mutevoli e soggettive questioni particolari. Lo sarebbe chiunque osi anche solo ricordare la verità, la dottrina, cioè la vera fede, l’autentica morale, la perenne Tradizione della Chiesa (che secondo la fede cattolica, ricordiamolo, è essa stessa Parola di Dio e guidata dallo Spirito Santo) e perfino la stessa volontà di Dio, rivelata pienamente in Cristo. In questi giorni sentiamo perfino affermare che di tale “chiusura”, di questo riferimento alla dottrina (verità che sarebbero come “pietre” lanciate contro gli altri) si dovrà chiedere scusa e pubblico perdono! In altri termini, “chiuso” è paradossalmente considerato proprio colui che aiuta l’altro a salvarsi eternamente, che è invece la forma suprema di carità!
Si contrappone appunto verità e carità; anche se il problema reale è che proprio la parola verità si è eclissata! Verità è ormai parola proibita e impronunciabile (persino la stessa Parola di Dio, a meno che non sia interpretata a piacimento o secondo l’ottica dei nuovi dogmi laicisti).
Come non accorgersi però che per il potere e la cultura dominanti, “apertura” è in realtà sinonimo di consenso al mondo, ora finalmente accordato anche dalla “nuova” Chiesa, a ciò che essi diffondono e impongono, cioè ai nuovi dogmi laicisti e persino anti-cristici del pensiero e cultura dominanti (appunto gli “Idòla theatri”, vedi), mentre “chiusura” è appunto osare e ostinarsi a dissentire dalla menzogna dominante.
Se fossimo invece un poco più astuti (“semplici e astuti”, ci ammonisce Gesù, cfr. Mt 10,16), date queste premesse ideologiche, già al solo sentire ridondare la parola “apertura”, data dal mondo e auspicata se non imposta anche alla Chiesa, dovremmo insospettirci, tapparci il naso e chiudere le finestre, per evitare appunto che entri non la luce della Verità che illumina ed edifica o l’aria buona e nuova che ristora, ma spesso proprio il “fumo di Satana” (penetrato anche all’interno della Chiesa, secondo la nota accorata espressione usata già da Paolo VI, vedi).
Sinodalità
Com’è noto, anche se la maggior parte della gente, per non dire dei giovani, vive in realtà su un altro pianeta, non ne sa nulla e non gli interessa nulla di quello che sta succedendo nella Chiesa (quest’estate è stato realizzato dal Vaticano stesso un sondaggio su cosa pensi la gente del Sinodo; ma poiché è risultato che all’84% “non interessa proprio niente”, anzi molti “non sanno neppure di che cosa si stia parlando”, tale risultato dopo qualche giorno è stato censurato), però la parola “sinodalità” sta ormai diventando un irrinunciabile “dogma” della Chiesa, a tal punto che si parla, anche da parte di decisivi Cardinali, di “Chiesa sinodale” e persino di “conversione sinodale” (in questi giorni si parla addirittura di “peccati contro la sinodalità”, di cui chiedere pubblicamente perdono), che, insieme alla “conversione ecologica”, pare vada pian piano perfino a sostituirsi alla necessità della “conversione a Gesù Cristo” (peraltro sempre meno nominato, perché il Verbo oggi è Francesco).
Torneremo tra poco a delucidare meglio cosa sia in sé un “Sinodo dei Vescovi”, perché il Papa Paolo VI li abbia voluti per la Chiesa universale (Sinodi locali o diocesani ci sono sempre stati, ad esempio allo scopo di chiarire meglio o più efficacemente applicare in una Diocesi, ovviamente sotto l’autorità del Vescovo, le indicazioni universali e autorevoli del Magistero; in altri termini, perché si potesse sempre meglio diffondere e vivere la vera fede cristiana, anche appunto tenendo conto delle particolari situazioni e difficoltà locali o storiche), come siano diventati quasi abituali (in genere con cadenza triennale) e, come vedremo, cosa abbiano rappresentato certi Sinodi di questo ultimo decennio. Qua sottolineiamo invece solo i presupposti spesso ideologici anche di questa nuova parola-mantra, che vanno appunto ad eclissare la questione ben più decisiva della “verità”.
Sinodo significa infatti “camminare insieme”; ma pare che non abbia poi tanta importanza dove si stia andando, cioè appunto la questione della via e della meta, cioè della verità (v. Gv 8,32: “Io sono la via, la verità e la vita”). L’importante sarebbe solo “camminare insieme”. Però, nonostante questo spirito “sinodale”, dopo che per decenni siamo stati spesso ingannati dal presunto “spirito del Concilio” (che talora aveva poco a che fare col Concilio stesso), in realtà qualcuno, occultamente, la meta la sa benissimo e la vuole ad ogni costo far raggiungere… (e pare che non si tratti proprio del Paradiso)!
Negli anni ‘60/’70 del secolo scorso, certamente anche per un influsso esercitato dal marxismo allora dominante (e relativo comunismo, allora al potere in URSS e Paesi satelliti, ma con grande influsso anche in Europa occidentale, soprattutto in Italia), la parola “comunità” sembrava quella più decisiva. C’era addirittura chi predicava, anche in chiesa, che era persino “meglio sbagliare insieme” che “camminare sulla strada giusta ma da soli”! Praticamente un gravissimo equivoco sulla parola “comunità”, nettamente contrario al Vangelo ma anche semplicemente al buonsenso, che poteva benissimo accordarsi persino col termine “complicità” e come tale sarebbe stato condivisibile anche da un mafioso o da una qualsiasi “associazione a delinquere”!
Negli stessi anni e sotto gli stessi influssi ideologici, ci fu pure l’esaltazione unilaterale e ossessiva delle “assemblee” (studentesche, operaie, sindacali); ma tutti sapevano che dietro quella facciata democratica, si nascondevano poteri occulti di ristrette oligarchie ideologiche, che avevano già deciso tutto, anche se poi ufficialmente le “mozioni” passavano ai voti; ma chi osava dissentire, visto che in tal caso sarebbe stato messo alla gogna o peggio?
In modo molto più raffinato lo fanno oggi anche i grandi centri internazionali di potere (Parlamenti, UE, ONU, OMS, WEF di Davos, ecc.), ma in fondo anche tutte le associazioni professionali. Le scelte dei singoli devono essere sempre più esautorate. Tutti devono discutere ossessivamente di tutto, purché passi però solo quello che qualcuno, magari dietro le quinte, ha già deciso!
Che però oggi si scada in questo, persino con gli stessi metodi e talora con gli stessi scopi, anche nella Chiesa (vedi News “Idòla theatri”), è drammatico, forse luciferino; a ben vedere persino grottesco, nel suo essere retrogrado proprio quando si maschera di progressismo e di inseguimento del mondo. Ma su certi nuovi metodi “assembleari”, che ricalcano questo metodo, solo apparentemente comunitario, col loro ossessivo moltiplicarsi di incontri (e documenti) che saturano persino la vita della Chiesa, come degli stessi vescovi e sacerdoti, torniamo tra poco.
A questo punto, e prima ancora di entrare nel merito della questione del Sacramento dell’Ordine, dato anche ciò che sta di nuovo albeggiando da Roma (un nuovo “sol dell’avvenire”?), non possiamo non fare qualche umile ma doverosa osservazione su alcuni recenti Sinodi, visto che le tematiche affrontate, al di là dei titoli ufficiali, sono di fondamentale importanza per la vita della Chiesa e per la stessa salvezza eterna delle anime. Compiamo un sintetico panorama sui principali ultimi Sinodi, con particolare attenzione proprio sui Sacramenti. Come ben si dovrebbe comprendere, non si tratta semplicemente di questioni pastorali o di organizzazione ecclesiale, ma proprio dei fondamenti stessi della fede e delle condizioni per la salvezza eterna della anime. Essi ci stati infatti donati da Cristo Signore per la nostra salvezza eterna; e la Chiesa non ne è assolutamente padrona ma deve esserne solo fedele dispensatrice.
Sinodi, Sacramenti e … confusione
La parola Sinodo significa appunto “camminare insieme”.
I Sinodi dei Vescovi sono stati ideati immediatamente dopo il Concilio Vaticano II da Papa Paolo VI, vista anche l’esperienza stessa del Concilio – data anche la nuova possibilità offerta dai voli civili pure intercontinentali [che certo hanno pure un loro costo, di cui si dovrebbe pure tener conto, specie nella cosiddetta attuale “Chiesa dei poveri”, anche per organizzare certi eventi o certi viaggi (vedi)] – che nel 1962/1965 riunì in Vaticano appunto circa 2500 Vescovi da tutto il mondo.
Il Sinodo dei Vescovi, di autorevolezza assai minore rispetto ad un Concilio Ecumenico (in duemila anni di storia della Chiesa ci sono stati solo 21 Concili ecumenici, di cui solo 3 negli ultimi 5 secoli), riguarda solo una rappresentanza dei Vescovi del mondo. Esso ha ovviamente solo valore consultivo (non decisionale o esecutivo) ed è convocato dal Papa con cadenze ravvicinate (in genere triennale), perché tali Vescovi possano discutere di tematiche appunto indicate dal Pontefice e considerate particolarmente importanti per la vita della Chiesa e del mondo. Le loro eventuali conclusioni, talora messe anche per iscritto in una “Relazione finale”, vengono affidate al Papa (che in genere segue personalmente gli stessi lavori sinodali), perché, se lo ritiene opportuno e nei modi e contenuti che ritiene giusto attivare, possa anche redigere un documento ufficiale di sintesi, chiamato in genere “Esortazione apostolica post-sinodale” (che non ha cioè l’autorità di un’Enciclica).
Questo perché la Chiesa che Cristo ha voluto non è “sinodale” ma “apostolica”, non è “democratica” ma “gerarchica” e piramidale, come ricorderemo dopo. Infatti, pur parlando alle folle, Gesù aveva 72 discepoli (simbolicamente in rappresentanza del mondo intero), ma la comunità più ristretta e decisiva era costituita appunto dai 12 Apostoli. Essi, che sono considerati le “colonne” della Chiesa (che è infatti detta “apostolica” anche nel Credo), hanno come loro successori (appunto nell’ininterrotta “successione apostolica”) i Vescovi. Poiché il Signore Gesù ha messo però a capo della Chiesa e degli stessi Apostoli Pietro [da cui persino il soprannome dato da Cristo a Simone, appunto “pietra”, la roccia su cui si regge la Chiesa (cfr. Lc 22,31-32 e Mt 16,18-19)] e visto il particolare compito affidatogli da Cristo stesso (cfr. Gv 21,15-17), di cui è il Vicario (titolo recentemente eclissato), il successore di Pietro nella sede di Roma (di cui Pietro fu appunto primo vescovo) continua e continuerà ad avere uno specialissimo compito di guida e capo di tutta la Chiesa (lo chiamiamo per questo “Papa”).
Ovviamente non vogliamo fare qui alcuna analisi né tanto meno entrare nel merito degli argomenti trattati negli ultimi Sinodi. Come pure, circa alcune questioni qui menzionate, rimandiamo semmai al nostro esteso documento “Quale Chiesa?” (vedi).
Qui riproponiamo solo qualche dato, oggettivo ed inequivocabile, inerente ad alcuni degli ultimi Sinodi generali dei Vescovi e con particolare attenzione al tema dei Sacramenti, soprattutto a quello dell’Ordine, su cui qui vogliamo brevemente soffermare la nostra attenzione.
Nel Sinodo del Vescovi tenutosi nell’ottobre 2015 sulla “Vocazione e missione della famiglia” (ne abbiamo parlato più diffusamente appunto nella 5^ parte del documento “Quale Chiesa?”, vedi), tutto com’è noto si concentrò, anche per la pressione mediatica, sulla questione della possibilità o meno di accedere alla Comunione (in realtà si tratta di poter essere assolti in Confessione) da parte dei cosiddetti “divorziati risposati” (espressione peraltro cristianamente impropria, perché un cristiano non può né divorziare né tanto meno “risposarsi”, tant’è vero che se lo fa può farlo solo civilmente e disobbedendo gravemente a Dio). Si tratta cioè di quei cristiani che avevano già celebrato validamente il sacramento del Matrimonio, che è unico e indissolubile per volere stesso di Cristo (vedi Mc 10,2-12), e che l’avevano invece poi distrutto (per colpa di uno o dell’altro o di entrambi), arrivando poi a nuove unioni coniugali (cioè con rapporti sessuali stabili), sia mediante convivenze che con un matrimonio civile. La questione, messa ossessivamente alla ribalta – quando semmai si dovevano maggiormente analizzare e risolvere le cause remote, in genere di origine spirituale (cioè proprio le condizioni delle anime di tali persone), ma anche culturali (le mentalità indotte dal potere culturale dominante), per non dire come si vive oggi il “fidanzamento” o comunque la fase pre-matrimoniale, che portano all’attuale terribile tracollo dei matrimoni e delle famiglie! – s’è focalizzata invece sul “presunto” incontenibile desiderio di ricevere sacramentalmente Gesù nella S. Comunione (quanto poi tale desiderio è reale e numericamente rilevante?) per chi si trova in tali situazioni moralmente “irregolari” (cioè moralmente contrarie alla “legge di Dio”). La questione andava però a toccare le condizioni stesse per essere assolti (in Confessione), cioè il pentimento e il proposito di non più commettere tali peccati, e per ricevere Gesù nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia (che si può ricevere solo “in stato di grazia”, cioè senza “peccati mortali” sulla coscienza).
In realtà il circo mediatico (e non solo quello) stava ossessivamente spiando per vedere se finalmente ora la “nuova Chiesa di Francesco” (ma la Chiesa non è di Cristo?) apriva al divorzio e diventava un po’ più moderna riguardo alla morale sessuale (vedi)!
Non entriamo qui nel merito di tali gravi e importanti questioni. Osserviamo però solo che qui si toccano punti di una profondità e gravità eccezionale, che sono e rimangono indisponibili a qualsiasi volontà umana ed ecclesiale (non solo di un Sinodo ma anche del Papa stesso), perché infatti qui si sta parlando nientemeno che di 3 Sacramenti (Matrimonio, Confessione, Eucaristia) e di 2 Comandamenti (il 6° e il 9°), cioè di elementi fondamentali della vita cristiana e condizioni per la salvezza eterna delle anime!
Il Matrimonio, secondo il volere esplicito di Cristo Signore, che in ciò supera persino i Comandamenti dati a Mosè e si rifà nientemeno che alla Creazione (Mt 19,3-9), è unico e indissolubile, sia per l’uomo che per la donna. Nella Confessione non ci può essere “assoluzione” (valida) del peccato senza il sincero pentimento di averlo fatto e il proposito fermo di non commetterlo più; senza queste condizioni, il sacerdote non può assolvere (perché è contrario al Vangelo che debba assolvere sempre, cfr. Gv 20,22-23). Ricevere l’Eucaristia (fare la S. Comunione) senza essere “in grazia di Dio” (cioè con peccati mortali sulla coscienza) è non solo proibito ma addirittura dannoso (cfr. 1Cor 11,29).
Al di là del Sinodo (che ovviamente non ha alcun potere sui Sacramenti, come non ce l’ha neppure il Papa, essendo di istituzione divina), tutta l’attenzione, anche mediatica, era protesa verso cosa avrebbe quindi poi detto il Papa nella consueta Esortazione apostolica post-sinodale, se cioè avesse appunto “aperto” a tale possibilità (di Confessarsi e di Comunicarsi, pur essendo in una situazione permanente di adulterio). Trattandosi appunto nientemeno che di tre Sacramenti e di due Comandamenti, cioè della stessa volontà di Dio, espressa dalla Sua Parola e fedelmente trasmessa nella perenne Tradizione della Chiesa, se tale cosiddetta “apertura” fosse stata esplicitamente affermata, si sarebbe trattato di una conclamata eresia (e ogni Papa, per il mandato di Cristo a Pietro e per la particolare e continua assistenza dello Spirito Santo a lui garantita, non può proferirla, pena non essere e non fare realmente il Papa) e persino provocare uno scisma (la pretesa nascita di una nuova Chiesa, contraria al Vangelo stesso e che dunque non costituisce più la vera Chiesa di Cristo, ma di un’anti-Chiesa guidata da un Antipapa, cioè da uno che Papa realmente non è)!
L’attesa Esortazione apostolica fu pubblicata il 19.03.2016 col titolo di Amoris letitia (vedi). Si tratta di un documento lunghissimo (325 punti), quindi cercarvi il punto critico è già come cercare il famoso “ago nel pagliaio”; ma alla fine, il fatidico ago, anzi la bomba, c’è, sia pur ben nascosta e mascherata solo in una nota (351) del capitolo 8°. Dopo aver messo l’accento, come spesso viene fatto, su una misericordia senza condizioni (cioè che non richiede il desiderio di conversione, il che è già un’eresia perché contraria al Vangelo e ai dogmi della Chiesa), così che il Confessionale non sembri una “sala di tortura”, e sull’Eucaristia che “non è il sacramento dei perfetti” (dimenticando che la sua ricezione “in grazia di Dio” è Parola di Dio e dogma della Chiesa, dunque un’altra posizione eretica), in quella nota sembra ammettersi che in certi casi anche coloro che vivono stabilmente rapporti sessuali fuori dal matrimonio (appunto conviventi e sposi civili, tanto più se già sposati precedentemente con un valido Matrimonio cristiano) e senza nessuna volontà di rinunciarvi, possono ricevere tali Sacramenti!
Ovviamente, al di là del plauso del mondo e di chi da tempo anche nella Chiesa segue il mondo (cioè si pone contro la volontà di Dio e i Suoi Comandamenti), la bomba era scoppiata, sia pur abilmente nascosta e mimetizzata, tanto da creare non solo sconcerto, ma anche divisione e confusione nella Chiesa intera.
A ben pensarci, quanto affermato in quella fatidica “nota” riguarderebbe comunque una casistica assai rara: si tratterebbe di chi riconosce di aver comunque gravemente disobbedito a Dio rompendo il Matrimonio istituito da Cristo, poi magari s’è davvero sinceramente convertito ed è sinceramente pentito di quanto fatto, ma ormai è nell’impossibilità reale di poter tornare col coniuge cristiano abbandonato (o da cui è stato abbandonato), ma è profondamente e sinceramente desideroso di tornare a Dio, di ricevere la Sua grazia e di obbedirgli (tra l’altro se lo fosse davvero dovrebbe essere anche disposto a vivere, col Suo aiuto, nella continenza sessuale, così da poter appunto accedere ai Sacramenti, in quanto non vivrebbe coniugalmente, a livello sessuale, la nuova unione). Uno stato morale dunque di fatto molto raro a trovarsi. Questa eccezione, oltre ad essere contraria alla legge di Dio e al perenne insegnamento della Chiesa (dunque eretica), apre però un pericolosissimo varco, così che appunto si “apra un processo”, si diffonda la confusione, si creda possibile ciò che non lo è e pian piano diventi una regola generale (appunto la “finestra di Overton”).
Supportati dal potente circo mediatico e resi incoscienti dalla diffusa totale ignoranza della fede, la gente crede quindi che sia realmente giunta la grande novità: la Chiesa ha finalmente “aperto” al divorzio (Papa Francesco sì che è bravo e va incontro all’uomo contemporaneo)! Però, ammettere che il divorziato-riaccompagnato possa ricevere i Sacramenti di Cristo equivale né più né meno a negare ciò che Cristo stesso ha invece detto al riguardo!
Di fronte a questa sconcertante e gravissima possibilità, apertamente contraria al Vangelo, alcuni Cardinali chiesero dunque al Papa di chiarire meglio il documento (i famosi Dubia vedi), ma incredibilmente non ricevettero alcuna risposta e non furono neppure ricevuti.
Interi Episcopati si opposero tra loro: ad esempio quello tedesco, che interpretò il documento come un avvallo al poter dare i Sacramenti in tali condizioni di grave “irregolarità” morale, e quello polacco, che invece vi si oppose (eppure per passare da uno all’altro di tali Paesi basta attraversare una strada o un piccolo corso d’acqua vedi, vedi, vedi).
Alla fine, intervennero alcuni vescovi argentini, chiedendo al Papa se avevano interpretato bene la famosa nota 351 di Amoris letitia pensando di poter ora dare la Comunione ai cosiddetti “divorziati risposati”. A questo punto Bergoglio invece risponde positivamente e lo fa in modo talmente ufficiale da far inserire tale risposta negli Acta Apostolicae Sedis (vedi vol. 2016/10, pp. 1071/1074), cioè nella annuale raccolta “ufficiale” dei documenti della S. Sede.
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Appare invece strano, ma forse anche significativo, che il Sinodo dei Vescovi del 2018 (3-28 ottobre) sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, non abbia praticamente avuto alcun rilievo ecclesiale e sociale, come neppure alcun risalto mediatico, tanto da essere praticamente dimenticato.
Nell’ ottobre 2019 si tenne poi in Vaticano, per sottolinearne la valenza per la Chiesa mondiale e non certo solo per la regione amazzonica, il famoso Sinodo sull’Amazzonia. In proposito ricordiamo con sconcerto e dolore che nell’occasione, alla presenza del Pontefice, col pretesto di un riferimento alla cultura indigena andino-amazzonica, si venerò [con apposito rito nei Giardini vaticani (vedi) e incredibile processione nella basilica di S. Pietro (vedi)] persino il feticcio pagano o addirittura satanico di Pachamama! In tale Sinodo, col pretesto delle necessità pastorali di quella zona del Brasile, si mise fortemente in risalto, anche mediaticamente, la questione della possibile “apertura” al sacerdozio agli uomini sposati. In altri termini, l’eliminazione o la facoltatività del celibato per i preti (altro tema che si vuole mantenere rovente e che il potere mediatico ripete quasi ossessivamente). Anche in questo caso si attendeva che la “rivoluzione” arrivasse poi con l’Esortazione apostolica post-sinodale del Pontefice. Tutto pareva già andare in questa direzione. Ma a quel tempo, c’era ancora in Vaticano, vestito di bianco e con l’inaudito e incomprensibile titolo di “Papa emerito”, Benedetto XVI; il quale intervenne in merito con una tempestività tale da rivelare ancora una volta come non si fosse davvero “ritirato” nel silenzio dalla vita della Chiesa ma ne avesse fattivamente e dolorosamente a cuore le sorti, per quel che poteva [lo aveva già fatto pochi mesi prima con gli Appunti (vedi), quasi una sorta di enciclica, sulla questione degli scandali dei preti, della pedofilia; perché su questo problema erano stati convocati in Vaticano molti vescovi del mondo per parlarne e pareva che la colpa di tali abusi fosse un certo “clericalismo”, mentre Benedetto XVI sottolineò invece le lontani radici teologiche di tale piaga, cioè su cosa si insegnava e si faceva in molti Seminari da decenni!]. Così, mediante un libro scritto dal card. Sarah (Dal profondo del nostro cuore vedi), corredato con ampie e decise pagine scritte appunto da Benedetto XVI (si cercò di negarlo ma non ci si riuscì), fatto pubblicare e reso noto al mondo intero poche settimane prima dell’annunciata Esortazione apostolica post-sinodale, Benedetto XVI veniva a sottolineare come le scelta di abolire o rendere facoltativo il celibato dei sacerdoti era contraria alla perenne e consolidata Tradizione della Chiesa. Così, quando il 2.02.2020 fu pubblicata l’Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia (vedi), nonostante le attese di “apertura” in tal senso, non vi era in essa alcuna traccia della questione!
Com’è però tristemente noto, il 31.12.2022 Benedetto XVI è morto. E ora pare non vi sia più alcun ostacolo (katechon) alla “rivoluzione” progressista, fortemente appoggiata dai poteri forti mondiali.
Sulla questione delle “paradossali” Esequie di Benedetto XVI, da lui stesso predisposte come semplici ma “papali”, siamo intervenuti con un’apposita News-documento (vedi) proprio in occasione delle Sue Esequie (5.01.2023). Esequie papali appunto “paradossali” (e rivelatrici!) perché un Papa non può celebrare il funerale di un Papa: perché un nuovo Papa può essere eletto solo dal 21° giorno dopo la morte del predecessore, mentre se un Papa ha validamente rinunciato al Pontificato egli semplicemente non è più il Papa, come vedremo più sotto, ma torna ad essere Cardinale o semplicemente rimane un “Vescovo emerito”, non certo un “Papa emerito” (titolo che appunto non esiste, nella storia della Chiesa e neppure nel Diritto Canonico).
Siamo così giunti all’attuale “Sinodo sulla sinodalità”, da tenersi in due Parti (ottobre 2023 e ottobre 2024), con un’ampia fase preparatoria locale avviata addirittura nel 2021.
In vista già della I Parte di tali lavori sinodali, anche a fronte del Documento preparatorio (vedi), nel luglio 2023 ancora 5 Cardinali hanno ufficialmente comunicato a Francesco le loro gravi perplessità (Dubia) (vedi). Questa volta il Pontefice ha risposto immediatamente e ufficialmente, ma in modo ancora evasivo, lasciando ancora spazio a gravi perplessità (“è vero che la Parola di Dio dice e la perenne Tradizione della Chiesa insegna, tuttavia ….” !!). I Cardinali hanno allora presentato ufficialmente una seconda richiesta di chiarimento, nello storico modo per cui la risposta agli stringati quesiti, senza girare attorno ai problemi, potesse essere stringatamente o affermativa o negativa (vedi). A tale autorevole richiesta non è però pervenuta alcuna risposta.
La Prima Parte del Sinodo (ottobre 2023) ha voluto intanto segnare pure delle evidenti novità di procedura. A farne parte, oltre alla presenza di religiosi e religiose (suore), sono stati chiamati anche dei laici, tra cui una presenza assai discutibile (1) e che non partecipa neppure alla vita della Chiesa (ma non si tratta del Sinodo dei Vescovi?). La seconda novità, solo di impatto psicologico e mediatico ma assai significativa, è stata di tipo logistico, cioè in riferimento al luogo e strutturazione dell’aula sinodale (2). Una terza novità, persino contraria alla tanto declamata apertura, trasparenza e partecipazione stessa del popolo di Dio ai lavori sinodali, è stata l’esclusione della stampa dai lavori riservando la trasmissione di ciò che avveniva o sarebbe avvenuto nell’aula sinodale alle comunicazioni ufficiali della Sala stampa vaticana (3).
(1) Tra i membri (“padri sinodali”?) del Sinodo (confermato anche in questa 2^ fase) c’è infatti nientemeno che Luca Casarin, il noto attivista italiano di estrema sinistra, già leader dei “Disobbedienti” e del movimento “No-global”, che nel 2019 fu pure indagato con l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedire all’ordine imposto dalle autorità di arrestare l’imbarcazione”, cioè la nave “Mar Ionio”, che nel marzo 2019, nella missione da lui capeggiata, aveva raccolto 49 migranti al largo delle coste libiche e fatti sbarcare illegalmente a Lampedusa. Ma l’ideologia, al di là di inconfessabili interessi, si ammanta di slogan e di belle parole, da ripetere appunto acriticamente, e, non andando mai alle cause reali e profonde dei problemi sociali, li perpetua e persino li peggiora (sul problema dell’immigrazione clandestina vedi molte News).
(2) Poiché il linguaggio dei segni ha psicologicamente e mediaticamente tanta incidenza sulle masse, anche la logistica del Sinodo ha subito già dallo scorso anno una significativa rivoluzione. Il Papa Paolo VI, che appunto aveva introdotto i “Sinodi dei Vescovi”, mentre aveva fatto costruire in Vaticano l’immensa e avveniristica Aula delle Udienze (che porta infatti il suo nome e fu realizzata dal celebre ing. P. L. Nervi), fece realizzare, attigua a detta immensa sala, anche una dignitosa ed attrezzata “Aula del Sinodo”, dove appunto i Sinodi si sono da allora sempre tenuti (vedi). Invece le sedute dell’attuale “Sinodo sulla sinodalità”, per esprimere anche in modo plastico tale concetto ora ossessivamente ripetuto, già lo scorso anno (2023) si sono tenute in fantomatici piccoli tavoli, sistemati nell’aula Paolo VI debitamente e costosamente smantellata dei suoi usuali 10.000 posti a sedere (vedi).
(3) Circa la presenza invasiva e depistante (per la Chiesa e per il mondo) della stampa in tali eventi ecclesiali, potremmo effettivamente auspicare che essa sia più circoscritta se non eliminata. Essa infatti contribuisce non poco, certo assai più dei documenti ecclesiali e persino della realtà stessa dei fatti, a deformare a livello mondiale gli argomenti trattati, oltre a contribuire a far perdere la consapevolezza della sacralità della Chiesa e dei suoi eventi. In tal senso, sia pur inventate da Giovanni Paolo II per i suoi innumerevoli viaggi, sarebbero finalmente da eliminare le celebri e spesso nefaste “conferenze stampa” tenute dai Pontefici durante i voli papali, tanto più che in esse si parla pochissimo del viaggio stesso ma si affrontano tutte le problematiche, anche le più gravi e scottanti, della vita della Chiesa e del mondo, ed è assai pericoloso per un Papa rispondere a braccio su tali questioni, anche se non si tratta ovviamente di Magistero, oltre a far sì che si eclissi sempre più l’idea della sacralità di colui che è il Vicario di Cristo e la guida suprema di 1,4 miliardi di Cattolici! In questi quasi 12 anni abbiamo poi ascoltato, proprio in tali occasioni, delle esternazioni che hanno gettato nello sconcerto e nel totale disorientamento lo stesso Popolo di Dio!
Essendo appunto vietata la presenza della stampa, non si è potuto sapere con certezza quale fosse stato realmente l’andamento dei lavori sinodali (I Parte), perché le comunicazioni sono state appunto solo quelle ufficiali della Sala stampa vaticana. C’è però stato qualche Cardinale, anche di spessore (come il Card. Müller), che ha espresso serie preoccupazioni sia sui contenuti affrontati (temi contrari alla fede cattolica?) che sul metodo dei lavori (discussioni blindate e documenti preconfezionati obbligatoriamente da firmare?) (vedi) (vedi) (vedi).
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In tale I Parte del Sinodo il tema principale in agenda pareva dovesse essere la questione dell’omosessualità, della teoria gender e del mondo Lgbtq+ (appunto gli “idòla theatri” del momento vedi); o almeno questo era quello che il “circo mediatico” voleva che fosse al centro dell’attenzione e trasmetteva al grande pubblico.
Questa volta però – rivoluzionata previamente la Congregazione (ora Dicastero) della Dottrina della fede con la nomina del nuovo Prefetto Víctor Manuel Fernández [argentino, peraltro anni fa indagato dalla stessa Congregazione per eresia e scandali (leggi), anche se poi difeso da Bergoglio a Buenos Aires], creato subito cardinale – non si è attesa neppure la conclusione del Sinodo o qualche suo pronunciamento per arrivare ad una gravissima e ufficiale conclusione: il 18.12.2023, con una sorprendente tempestività, il ‘nuovo’ Dicastero per la Dottrina della fede, attraverso appunto il suo nuovo Prefetto Card. Fernández, ha subito e persino anticipatamente partorito in merito un documento ufficiale (Dichiarazione), controfirmato dal Pontefice, intitolato Fiducia supplicans (vedi), che permette la Benedizione alle coppie irregolari, cioè in stato di vita stabilmente, moralmente e oggettivamente disordinato, dunque peccaminoso e opposto all’esplicita volontà di Dio e alla perenne Tradizione della Chiesa, come nel caso non solo di sposi cristiani passati a nuove unioni o nozze civili, ma anche a coppie di conviventi e persino a coppie dello stesso sesso!
Qui non si tratta in realtà di Sacramenti (anche se molti spingono in questo senso e da alcune parti, persino nella Chiesa cattolica, pare che già si faccia tranquillamente anche questo: stiamo parlando pure dei “matrimoni gay”), ma di Sacramentali, quali sono appunto le Benedizioni. Si tratta comunque di atti “sacri” e di Benedizioni “divine”! Comunque, quando si innescano “processi”, si arriva persino al paradosso. Come abbiamo infatti già sopra ricordato, non c’è nemmeno più il pudore non solo di contraddire la Parola di Dio e il perenne insegnamento della Chiesa, ma addirittura di contraddire dei pronunciamenti ufficiali espressi solo poco prima dallo stesso Dicastero e Pontefice. Non si tratta di illazioni, ma di dati oggettivi e di documenti ufficiali. Così, ad esempio, di fronte allo stesso quesito in merito (di grave spessore dottrinale, morale e liturgico) in soli 33 mesi abbiamo avuto dalla S. Sede due risposte tra loro antitetiche, cosa che invece non è avvenuto mai nel corso di 2000 anni!
Ecco il quesito, posto alla Congregazione della Dottrina della fede nel 2021, per chiedere chiarezza su un punto tanto delicato e invece già ampiamente diffuso a livello pastorale in molti Paesi (vedi ad es. nella Chiesa cattolica tedesca): “è possibile benedire le unioni omosessuali?”. Risposta ufficiale della S. Sede (Congregazione/Dicastero per la Dottrina della fede, con la firma di Francesco): negativa il 22.02.2021 (vedi) e appunto positiva il 18.12.2023 (vedi)!
Di fronte allo scandalo e alla forte reazione di interi episcopati (ad esempio la maggioranza di quello africano), s’è allora goffamente precisato che si tratta di Benedizioni brevi (“pochi secondi!”) o, mentendo, che si tratta di Benedizioni ai singoli e non alle coppie in quanto tali (quando il documento è invece in tal senso esplicito; tanto più che per la Benedizione ad una singola persona non c’è bisogno di alcun permesso).
Ora andiamo incontro (dopo mesi di un misterioso silenzio) alla II Parte del Sinodo sulla sinodalità (che si terrà in Vaticano dal 2 al 27 ottobre 2024), dove si vocifera che il tema principale da affrontare dovrebbe essere appunto quello del “celibato sacerdotale” (visto che non gli è riuscito col Sinodo del 2019 ritentano con questo?) come quello del “ruolo della donna nella Chiesa” (e forse pure delle cosiddette “diaconesse”). Ma su questo abbiamo già fatto qualche sottolineatura, e comunque vi torneremo più ampiamente nel presente documento sul Sacramento dell’Ordine. Staremo comunque a vedere (pure pregando fortemente perché il Signore si affretti a salvarci da tale inudita e apocalittica situazione).
Intanto, come abbiamo ricordato all’inizio, in vista appunto di questa 2^ fase del Sinodo, un Vescovo-donna della Chiesa Anglicana ha partecipato all’apposito incontro preparatorio del gruppo più ristretto dei Cardinali collaboratori del Papa e alla sua presenza (vedi).
È pure lecito porci in proposito delle semplici (ingenue o impertinenti) domande.
È poi proprio vero che questi sono temi così scottanti e attesi?
Come si può però facilmente notare, alcuni temi ossessivamente portati alla ribalta, specie mediatica ma anche sociale e persino ecclesiale, certe parole o giudizi ripetuti appunto come “mantra”, sono in realtà spesso appunto delle questioni soprattutto volute e pilotate dai poteri forti, cui pare ci si debba adeguare e su cui sembra si debba sempre discutere; una sorta di acritico ossequio agli “Idòla theatri”, come li chiamava Bacone e su cui ci siamo soffermati in un’apposita News (vedi), già più volte sopra ricordata.
Però, a ben vedere, basterebbero appunto delle semplici domande per smentirli. Proviamo a farne alcune:
– gli adulti così desiderosi di Confessarsi e fare la Comunione sono solo quelli che non possono farlo (perché in stato permanente di peccato, senza volontà di smettere, come nel caso delle stabili unioni sessuali fuori dal matrimonio, specie i divorziati riaccompagnati)?
– nell’abbandono generale del matrimonio, vogliono sposarsi solo gli omosessuali?
– dentro lo spaventoso calo di sacerdoti e di vocazioni sacerdotali vogliono farsi prete solo le donne?
– visto il calo vertiginoso anche dei pastori “sposati” delle Confessioni protestanti e anglicana, è proprio vero che la difficoltà della vocazione sacerdotale sarebbe data dal celibato?
– come mai la donna sarebbe così desiderosa di accedere all’altare, quando siamo di fronte ad uno spaventoso tracollo del numero delle suore e delle relative vocazioni?
Sul Sacramento dell’Ordine
(sul celibato dei preti e sulla possibilità delle donne di accedervi)
Visto appunto che tale importantissima tematica dovrebbe essere pure al centro dell’imminente II Parte del “Sinodo sulla sinodalità” – dove evidentemente la parola “sinodalità” pare solo un pretesto, perché in realtà sono in discussione temi assai più rilevanti per la vita di fede e della Chiesa – e dopo quanto abbiamo già sopra sottolineato, offriamo qualche osservazione (una sorta di breve catechesi) sui Sacramenti, soffermando qui la nostra attenzione su quello dell’Ordine.
Anzitutto … Sacramenti
Cioè realtà “sacre”, cose di Dio!
Come sappiamo, o dobbiamo sapere, tutti i 7 Sacramenti sono istituiti da N. S. Gesù Cristo, come strumenti della Sua grazia e donatici per la nostra salvezza.
La loro istituzione “divina”, ad opera di Cristo Signore, spesso è esplicita nelle Sue stesse scelte e parole [come nel caso del Battesimo (Mc 16,16), dell’Eucaristia (Gv 6,53-54; Lc 22,19), della Penitenza (Gv 20,22-23) e dell’Ordine stesso (come vedremo tra poco)]; altre volte è deducibile dagli Apostoli e da altri testi del Nuovo Testamento [come nel caso della Cresima (At 2; 4,31; 10,44; 11,15; 15,8; 19,2-6) e dell’Unzione degli Infermi (Gc 5,14)] o ancora, partendo dalle parole stesse di Gesù (Mt 19,5-6), si è meglio evidenziata la sua istituzione divina come Sacramento già nella Chiesa primitiva (come nel caso del Sacramento del Matrimonio). Certo sarà poi il cammino della Chiesa, guidata più che mai per questo dallo Spirito Santo, visto che è proprio lo Spirito Santo l’agente principale che produce i Sacramenti e dona la loro grazia specifica, a capire ed indicare sempre meglio anche queste supreme realtà divine, che appunto la Chiesa amministra per la santificazione dei credenti in Cristo, siglando appunto autorevolmente, dogmaticamente e liturgicamente queste realtà sommamente “sacre”.
Non si trattano dunque i Sacramenti come “cosa nostra”, come iniziative umane, disponibili ad essere interpretati, celebrati e vissuti a piacimento o secondo le sensibilità personali o del tempo.
Sono iniziative di Dio, sono opera sua (“opus Dei”, come del resto tutta la Liturgia, di cui sono parte preponderante ed eminente); e sono istituiti da N. S. Gesù Cristo per la nostra salvezza; sono dunque opera dello Spirito Santo.
Nessuno, né vescovo (che ne è il primo responsabile nella propria diocesi) né sacerdote (in modo subordinato al vescovo) ma neppure il Papa, ha il potere di manomettere queste realtà sacre e divine! I ministri sacri possono e devono solo somministrarli, come semplice “causa strumentale”.
A noi spetta di riceverli e parteciparvi, con immensa gratitudine, rispetto, riverenza, con l’ossequio della nostra ragione (occorre sapere ciò che si sta ricevendo, almeno per quanto è possibile ad una povera creatura come noi e secondo le capacità di ciascuno, ma anche con tutta la preparazione dovuta e possibile) e della nostra volontà (fondamentalmente sono celebrati e ricevuti in “obbedienza” a Dio e alla Sua Parola, come pure in obbedienza alla perenne Tradizione e all’autentico Magistero della Chiesa, fino ad obbedire pure alle norme canoniche e liturgiche stabilite dalla Chiesa, secondo i diversi Riti della Chiesa Cattolica riconosciuti).
Non si tratta appunto di realtà da interpretare, celebrare e vivere a piacimento e, come si dice oggi, con “creatività” liturgica, tanto meno canonica. Esistono infatti delle leggi canoniche, oltre alle norme liturgiche, che regolano i Sacramenti e la loro amministrazione, celebrazione e ricezione. Sono leggi e norme che indicano in proposito i doveri dei fedeli (la maggior parte dei Sacramenti non sono facoltativi ma sussiste l’obbligo morale di riceverli) e le condizioni oggettive per riceverli; non c’è infatti un diritto di riceverli, tanto meno senza le dovute condizioni e disposizioni interiori (sarebbe addirittura sacrilegio farlo) [se tali condizioni e disposizioni sono invece presenti, allora il fedele ha pure il diritto di riceverli (nessun ministro sacro può rifiutarglielo), laddove ovviamente è materialmente e canonicamente possibile (ovviamente da parte del lecito “ministro” del sacramento e con la “materia” e “forma” proprie di ciascun sacramento).
[Sull’importanza e necessità dei Sacramenti per la vita cristiana vedi anche la catechesi sulla “Chiesa Cattolica” e vedi pure quella su “La vita cristiana” (corredate pure delle comuni domande e corrette risposte in merito); per un approfondimento del Sacramento della Confessione vedi gli aiuti appositi, come vedi quelli per vivere bene l’Eucaristia]
Ribadito quanto sopra, soffermiamo allora brevemente la nostra attenzione appunto sul Sacramento dell’Ordine.
Circa l’istituzione “divina” di tale Sacramento, cioè da parte di N. S. Gesù Cristo, possiamo certamente rifarci alla “chiamata” cioè alla scelta dei 12 Apostoli (Lc 6,13), chiamata cui come noto ha fatto libero seguito la loro fedele “sequela” del Maestro per i circa 3 anni della Sua vita pubblica; ma è particolarmente significativa la loro “esclusiva” presenza nell’Ultima Cena (Mc 14,17-26), quando il Signore, alle soglie del compimento della Sua missione nel Mistero pasquale (morte in Croce e Risurrezione), per renderne perennemente presente il Suo Sacrificio e operante la sua grazia salvifica, istituisce il Sacramento dell’Eucaristia, lo celebra, lo dona e lo affida loro (e a tutti coloro che nella storia, per la “successione apostolica”, riceveranno tale potere sacerdotale), istituendo così pure il sacerdozio (anche se Gesù è l’unico vero Sacerdote della Nuova Alleanza) e quindi il Sacramento dell’Ordine sacro; ancora agli Apostoli (e ai loro successori) il Signore risorto dona pure il potere sacerdotale di rimettere i peccati (Gv 20,22-23), istituendo e donando così ai fedeli di tutti i tempi, attraverso la Chiesa, pure il Sacramento della Penitenza.
Che poi questi poteri sacerdotali, ricevuti dagli Apostoli da parte di Gesù, siano appunto da loro “trasmissibili” ai loro successori (Vescovi), e da questi ai sacerdoti, attraverso l’imposizione delle mani (Sacramento dell’Ordinazione), è un dato ovvio, visto che certamente Gesù non pensava certo di donare questi necessari strumenti dell’eterna nostra salvezza (Sacerdozio, Eucaristia e Confessione) solo a loro e a quei pochi contemporanei che essi avrebbero incontrato ed evangelizzato, ma appunto a tutti gli esseri umani del mondo e della storia!
Circa la tripartizione del Sacramento dell’Ordine, cioè i suoi tre gradi gerarchicamente strutturati (Episcopato, Presbiterato e Diaconato), è sufficientemente chiaro che essi sussistono già dai tempi apostolici: i Vescovi (Episcopato) sono i successori degli Apostoli (e la Chiesa rimane fondata su di loro, con a capo Pietro, cioè il Vescovo di Roma o Papa); ma gli Apostoli istituiscono subito, come ministero “ordinato” (mediante l’imposizione delle mani) i “Diaconi” (At 6), come pure degli “anziani” (“Presbiteri”) a capo delle piccole comunità (At 14,23).
I tre gradi del Sacramento dell’Ordine
Questa triplice strutturazione del Sacramento dell’Ordine, se trova appunto già le sue autorevoli radici appunto fin dai tempo apostolici (come si evince appunto già dai testi del Nuovo Testamento), è pienamente evidente sin dall’inizio del II secolo: si pensi ad esempio a quanto espresso dal vescovo e martire S. Ignazio d’Antiochia, come pure, sempre nel II secolo, da S. Ireneo vescovo di Lione.
Il 1° grado (per importanza) è quello dell’Episcopato, cioè i Vescovi (nome che significa “sentinelle”, nel senso che vigilano sulla vita della Chiesa perché segua l’autentica volontà di Dio e trasmetta la Sua grazia). Essi sono nella storia i veri successori degli Apostoli, con una documentabile e ininterrotta linea chiamata appunto “successione apostolica”, che è garanzia della partecipazione all’autentica e piena Chiesa di Cristo, cioè quella Cattolica, e della vera trasmissione del potere spirituale dato appunto da Cristo Signore agli Apostoli.
Non c’è un livello più alto di questa tripartizione del Sacramento dell’Ordine, cioè un grado del Sacramento più alto dell’Episcopato (Vescovo). Il termine Arcivescovo e gli stessi Cardinali non possiedono un superiore grado sacramentale ma, per istituzione solo ecclesiale, sono tali o per l’importanza della loro sede o per l’ufficio che ricoprono. I Cardinali (appunto un’istituzione non divina o sacramentale) sono coloro che nella Chiesa di Roma – ancora oggi, nonostante siano pure in tutto il mondo, conservano infatti il titolo di una Parrocchia di Roma (secondo il relativo titolo di arcivescovo, presbitero e diacono); nella storia ci sono stati peraltro anche cardinali laici – sono i primi collaboratori del Papa e da lui creati, disposti a versare il sangue (da cui la porpora del loro abito) per difendere il vero Papa, l’autentica fede e Chiesa cattolica; e da circa un millennio spetta a loro la sua elezione. Persino il Papa, pur essendo la prima autorità della Chiesa, dal punto di vista del Sacramento, è semplicemente un Vescovo (di Roma, successore di S. Pietro che ne fu appunto il primo Vescovo). L’elezione del Papa e la sua stessa investitura come tale (inizio di Pontificato e presa di possesso della Cattedrale di Roma, che è S. Giovanni in Laterano) né un segno ma non è affatto un Sacramento.
Già tra i 12 Apostoli è evidente che Gesù dà il primato, la guida e la suprema garanzia di essere “Sua Chiesa” a Pietro (vedi Mt 16,18, dandogli persino questo soprannome) e sin dai primi giorni della Chiesa questo primato petrino si riscontra esplicitamente, così come rimarrà nei secoli e sarà fino alla fine del mondo; ed essendo Pietro stato poi il primo Vescovo di Roma, i suoi autentici successori (chiamati Papi, cioè Padri, Santo Padre) conservano, nell’autentica fede e nella vera Chiesa di Cristo, questo supremo compito di guida della Chiesa universale, ovviamente nella sottomissione a Cristo, alla Sua Parola divina e al perenne insegnamento e Tradizione della Chiesa stessa (che non è del Papa ma di Cristo). Il Papato non è semplicemente un grado onorifico più alto rispetto a tutti gli altri vescovi (come vorrebbero gli Ortodossi, separatisi per questo dalla Chiesa cattolica nel 1054), ma costituisce la guida suprema di tutta la Chiesa (certo come “Vicario di Cristo”, titolo peraltro recentemente abolito! Il Vicario, non il Sostituto!). Non è neppure l’Autorità che deve semplicemente fare sintesi delle diverse posizioni ecclesiali, ma, pur ascoltando tutti e specialmente i Vescovi, a lui spetta la decisione ultima, specie su decisive questioni dottrinali, morali, ecclesiali e canoniche, e per questo gode, a diversi gradi, di “una speciale assistenza dello Spirito Santo” (e non solo per le affermazioni dogmatiche, come oggi alcuni falsamente dicono), garantitagli da Cristo stesso.
Come si può notare appunto già nel Vangelo, Gesù non lascia i Suoi seguaci (discepoli) in una sequela semplicemente individuale e secondo interpretazioni soggettive della sua Parola (come ha poi voluto la cosiddetta Riforma protestante), né fonda una comunità (Chiesa, che significa “assemblea” dei discepoli) anonima, anarchica e neppure “sinodale” (come se la volontà di Dio fosse di volta in volta decisa comunitariamente e persino messa ai voti!), ma gerarchicamente strutturata, cioè con i discepoli (i battezzati, i fedeli), gli Apostoli (oggi appunto i Vescovi e, in modo a loro subordinato, i sacerdoti) e tra questi il primato (non solo onorifico ma effettivo) e la guida suprema è costituita dal Papa.
Come abbiamo sopra ricordato, in riferimento alla vicenda “anglicana”, l’Episcopato, poiché il Sacramento dell’Ordine imprime un “carattere” indelebile nell’anima di chi lo riceve (come imprime un carattere indelebile il Sacramento del Battesimo e quello della Cresima), può essere ricevuto una volta sola nella vita (come appunto pure il Battesimo e la Cresima) e dura fino alla morte. Un battezzato non può appunto ricevere due volte il sacramento dell’Ordine (per ciascun grado). Quindi un Vescovo non può essere ordinato ancora Vescovo (pare che ci sia stato ultimamente chi abbia voluto farlo, rinnegando quindi di esserlo stato prima e persino il Papa che l’ha consacrato!) – come abbiamo appunto ricordato all’inizio di questa News a proposito dei sedicenti vescovi anglicani che ora hanno voluto lodevolmente tornare nella Chiesa Cattolica e che hanno dovuto appunto essere ordinati tali, evidentemente per la prima volta perché di fatto prima non erano vescovi né sacerdoti – ma una volta ordinato Vescovo, non smetterà mai di esserlo, neppure quando per motivi contingenti, ad esempio di salute o di vecchiaia, non esercitasse più questo ministero episcopale. Ecco perché oggi, quando un Vescovo va per così dire a riposo (in genere a 75 anni), cioè non esercita più il suo ministero di guida (anche fosse solo titolare) di una Diocesi, conserva il titolo di Vescovo “emerito” di quella Diocesi (si dice anche “Vescovo già di …”, non certo “già vescovo di …”, che farebbe appunto pensare che uno ha smesso di essere vescovo, mentre invece continua ad esserlo).
Questa precisazione dovrebbe anche offrire qualche lume su quanto purtroppo ha vissuto e stia vivendo la Chiesa Cattolica contemporanea.
Visto appunto che il Papato, pur di importanza primaria e indispensabile per la vita della Chiesa (e quindi per la stessa vita cristiana e la salvezza eterna delle anime), non è un sacramento, tanto meno indelebile, può anche cessare [nella singola persona (Papa), non il Papato in sé, che è di origine divina e poggia su una solenne promessa stessa di Cristo (cfr. Mt 16,18 e Mt 24,35)]. Secondo la bimillenaria Tradizione della Chiesa, il Papa è però “eletto a vita” e quindi solo per motivi gravi ed eccezionali può rinunciare al Pontificato (munus petrino). Infatti è successo solo 7 volte in 2000 anni e tra 265 Papi. Non è dunque fondato che oggi si possa pensare, come qualcuno afferma, ad una sorta di normale “pensionamento papale”, neanche a causa dell’età avanzata o delle difficili condizioni fisiche (come ci ha eroicamente testimoniato Giovanni Paolo II negli ultimi 10 anni del suo lungo Pontificato). [Tra l’altro, in genere anche i Reali stanno sul trono fino alla fine dei loro giorni (lo abbiamo infatti visto anche di recente, con la Regina Elisabetta, rimasta sul trono inglese fino alla fine dei suoi giorni, giunta l’8.09.2022 alla veneranda età di 96 anni; e ancora poche ore prima ha ricevuto un nuovo Primo Ministro vedi)].
Nel caso comunque di una “rinuncia” al Papato, possibilità appunto remota ed eccezionale ma comunque prevista dal Codice di Diritto Canonico e da altri Documenti ufficiali della Chiesa (che indicano però chiaramente le condizioni, i criteri e le modalità di tale grave, eccezionale e decisivo atto per la vita della Chiesa stessa), il Papa cessa “immediatamente” di essere Papa e non può più esercitarne le funzioni né mantenerne i segni. Egli continua ad essere semplicemente un Vescovo; perché ovviamente l’episcopato, come abbiamo sopra ricordato, è un sacramento indelebile per chi l’ha validamente ricevuto. In questo senso, il titolo di “Papa emerito” è privo di significato; e infatti è assente nella storia della Chiesa e nello stesso Diritto Canonico! Semmai, al limite, si potrebbe definire, al pari di tutti i vescovi emeriti, “Vescovo emerito di Roma” o “Vescovo già di Roma”. Una qualsiasi forma che facesse pensare ancora a costui come al Papa (titolo, insegne, abito, abitazione, firma e Benedizione apostolica) sarebbe ovviamente un grave abuso e pure fonte di confusione per lo stesso popolo di Dio (a meno che non sia il vero Papa ma in “Sede impedita”). Dopo 21 giorni dalla valida Rinuncia di un Papa, come avviene anche nel caso della sua morte, si può già convocare un Conclave per eleggerne il legittimo successore (successore stesso di S. Pietro, Vicario di Cristo e vescovo di Roma) [sulla “Sede vacante” e su cosa si debba rigorosamente fare o non fare in quel frangente in cui la Chiesa non ha un Papa vedi la Costituzione Apostolica di Giovanni Paolo II “Universi Dominici Gregis” del 22.02.1996]. C’è però un caso, rarissimo ma accaduto nella storia della Chiesa e tuttora contemplato dal Codice di Diritto Canonico, in cui il Papa rimane tale (ne conserva cioè il “munus”, l’essere Papa) ma non può esercitarne realmente il compito (“ministerium”): è il tristissimo caso, comunque appunto accaduto qualche volta nella storia della Chiesa (anche a causa dell’intervento di poteri politici che interferivano in tal senso), della cosiddetta “Sede impedita”. In tale drammatico caso, il Papa rimane tale (e non se ne può appunto eleggere un altro, pena creare uno scisma) ma non può esercitare effettivamente il compito (appunto “ministerium”) di Papa. In attesa della soluzione di questa eventuale, rarissima e tristissima evenienza, il Papa potrebbe semmai delegare alcuni oneri del suo pontificato, sempre sotto la sua responsabilità e autorità, a qualcuno che possa supplirlo in qualche compito. In tale circostanza, rara ma possibile, se si eleggesse nel frattempo un altro Papa, egli non lo sarebbe, ma sarebbe un usurpatore e un Antipapa, perché non ci possono essere due o più Papi. [Si tenga presente che di Antipapi nella storia della Chiesa ce ne sono stati una quarantina, magari anche non subito riconosciuti tali. Si pensi ad esempio al caso del presunto Papa Giovanni XXIII del sec. XV, riconosciuto come Antipapa dopo molto tempo, così che nel 1958 il card. Roncalli eletto Papa ha potuto prendere questo stesso nome]. Evidentemente, passata tale grave contingenza storica (Sede impedita o presenza di un Antipapa), il vero Papa, che è appunto rimasto ovviamente tale anche in questo increscioso periodo, riprende a pieno titolo (ed è già successo nella storia) anche il suo “ministerium”, cioè il suo “fare il Papa” (oltre che appunto “esserlo”). Solo invece nel caso che tale Pontefice “impedito” muoia prima che tale incresciosa situazione possa essere risolta, solo allora si procede alla elezione canonica del nuovo Papa, perché il vero Papa è appunto morto. Solo in questo caso sarebbe eletto un vero papa, cioè un legittimo successore (non chi appunto fosse stato eletto invece Papa prima della morte del Papa autentico, sia pur in sede impedita) [vedi pure quanto ricordato il 5.01.2023, in occasione delle Esequie di Benedetto XVI].
L’Episcopato, pienezza del sacerdozio donata da Cristo Signore agli Apostoli, come segno e partecipazione dell’unico e perfetto sacerdozio di Cristo, viene dagli Apostoli trasmesso ai loro successori (chiamati appunto “Vescovi”, cioè “sentinelle” e custodi della vera fede e della vera Chiesa cattolica) (cfr. At 20,28; Ef 1,1; 1Tm 3,2; Tt 1,7; Paolo lascia infatti Timoteo come Vescovo di Efeso e Tito vescovo di Creta; Giovanni ordina Policarpo come vescovo di Smirne e da Policarpo deriva l’episcopato di Ireneo, primo vescovo di Lione, quando dunque il cristianesimo ha appena raggiunto la Francia!) e da questi appunto ancora ad altri Vescovi, per tutta la terra e fino alla fine del mondo, secondo una “successione”, ininterrotta e documentata, che si chiama appunto “apostolica”. Tale successione apostolica, una catena ininterrotta, una sorta di albero genealogico spirituale, che trasmette tale potere attraverso appunto il Sacramento dell’Ordine, garantisce che un Vescovo sia “validamente” tale e che la Chiesa locale (diocesi) a lui affidata sia autenticamente “parte” o meglio “nella” Chiesa Cattolica.
Poiché però Cristo stesso ha stabilito tra gli Apostoli il “primato” di Pietro, anche i successori di Pietro nella sede di Roma (di cui appunto S. Pietro fu il primo Vescovo), cioè i Papi, rivestono un tale “primato” e godano di una particolare e continua “assistenza dello Spirito Santo” per confermare nella fede la Chiesa intera (cfr. Lc 22,32). Tale “primato” non è solo “onorifico” – come ha poi creduto la Chiesa Ortodossa, separandosi appunto per questo dal Papa e dalla Chiesa cattolica nel 1054 (in realtà anche per motivi politici, in riferimento all’Impero Romano d’Oriente), pur mantenendo la “successione apostolica” e quindi la validità dell’Ordine e degli altri Sacramenti – ma reale e di governo. Per questo motivo è consolidata tradizione della Chiesa Cattolica che sia il Papa a nominare i vescovi di tutto il mondo, anche se per la validità dell’Ordinazione episcopale basta un altro vescovo (in genere i vescovi consacranti sono 3), nell’autentica successione apostolica. Se un vescovo venisse consacrato, cioè “ordinato” tale da un altro legittimo vescovo (appunto nella successione apostolica) ma senza il mandato (permesso, nomina) del Papa, tale ordinazione episcopale sarebbe “valida” (il sacerdote ordinato vescovo sarebbe cioè veramente vescovo) ma “illecita” (cioè proibita), non potrebbe esercitare l’episcopato e tale ordinazione episcopale, oltre a far incorrere nella “scomunica”, provocherebbe uno “scisma”. Il riconoscimento di tale “primato di Pietro” e la comunione (e obbedienza) col Papa legittimo è condizione di appartenenza all’autentica Chiesa di Cristo, cioè alla Chiesa Cattolica. Questo è pure il solenne motivo per cui durante la S. Messa, e proprio nella Liturgia Eucaristica che permette e realizza la reale venuta di Cristo nelle specie eucaristiche, si deve espressamente nominare (per nome) il Papa e il Vescovo della Diocesi dove la S. Messa viene celebrata, nella piena comunione con loro. Proprio per questo “primato petrino” e nonostante la responsabilità del vescovo in ogni propria diocesi a lui affidata, il governo del Papa riguarda la Chiesa cattolica di tutto il mondo e non solo della diocesi di Roma. Per questo motivo, il Papa interviene anche nella vita di ogni diocesi del mondo; e può anche visitare ogni chiesa cattolica del mondo (ora che i mezzi di trasporto lo permettono), non come ospite e non deve chiedere il permesso al vescovo locale, come invece avviene per qualsiasi altro vescovo, che tenesse un incontro o celebrazione pubblica in un’altra diocesi che non sia la sua.
Nella propria Diocesi (o Chiesa locale) il Vescovo è il primo e unico responsabile, soprattutto di fronte a Dio stesso, nell’obbedienza al Papa e nel solco della perenne Tradizione della Chiesa. Ecco il motivo per cui appunto nella stessa Preghiera eucaristica (consacratoria) della S. Messa, la Chiesa cattolica viene nominata appunto “in unione” con il Papa, citato per nome, e il proprio Vescovo, anch’egli citato per nome. Non c’è traccia di Conferenze Episcopali o di Sinodi (che oggi invece rischiano di fagocitare la responsabilità del singolo vescovo di fronte a Dio stesso). Nella propria diocesi il Vescovo, che ha la pienezza del sacramento dell’Ordine ed è il Successore degli Apostoli, è il primo sacerdote (potere di santificare; è quindi responsabile anche dei Sacramenti), maestro (compito “profetico”, garante dell’autentica fede cattolica e della vera dottrina) e capo (potere regale, cioè di guida della comunità cristiana).
Il 2° grado del Sacramento dell’Ordine, che è come abbiamo sopra ricordato il Presbiterato (“presbitero”, da cui il termine “prete”, significa “anziano”, perché con tale termine, al di là dell’età anagrafica, si indica il capo della comunità, in quanto l’anziano se non altro per l’età ha una propria saggezza e responsabilità; anche nella vita civile e politica infatti una grande autorità rivestono i “senatori”, già dai tempi dell’impero romano, parola che significa ancora “anziani”).
L’esistenza dei “presbiteri” si evince, come ricordato, già in Atti degli Apostoli (At 14,23).
Il Presbitero è il sacerdote messo in genere a capo (da e in nome del Vescovo) di una più piccola comunità di una Diocesi (anche se un presbitero avesse incarichi non parrocchiali o persino extra-diocesani, rimane sempre presbitero di tale Diocesi e nell’obbedienza al Vescovo pro-tempore della stessa) [stiamo ovviamente parlando dei “Presbiteri diocesani“; perché nel caso di “sacerdoti-religiosi”, appartenenti cioè ad un Ordine religioso, l’obbedienza è dovuta all’Abate o Superiore di tale Ordine religioso]. Pur quindi in modo subordinato al Vescovo, il 2° grado del Sacramento dell’Ordine (non a caso tale Ordinazione “presbiterale” è detta anche “sacerdotale”) conferisce ad un uomo, ben preparato (anche teologicamente: sono in genere previsti 5-6 anni di studi filosofico-teologici), per l’imposizione delle mani del vescovo e l’unzione delle mani col sacro Crisma, il potere di celebrare l’Eucaristia (S. Messa, che rende realmente presente Cristo stesso) e di perdonare a nome di Dio i peccati (nella Confessione o Penitenza), cioè il perdono sacramentale e oggettivo dei peccati da parte di Gesù stesso avviene solo attraverso di lui! In questo il sacerdote agisce proprio “in persona Christi” (cioè Cristo opera oggettivamente in lui, persino al di là dei suoi meriti). È il suo “ufficio (compito o missione) sacerdotale”, cioè il compito primario di santificare le anime attraverso soprattutto i sacramenti (specie con la Confessione e l’Eucaristia).
In modo sempre subordinato al Vescovo, come segno dell’appartenenza all’unica vera Chiesa di Cristo e all’autentico Magistero della Chiesa, il sacerdote ha anche il compito e l’autorità di insegnare (“ufficio profetico”), cioè di predicare l’autentico Vangelo di Cristo, di dare l’autentica interpretazione della Parola di Dio (data dalla Chiesa) e la vera ed integrale dottrina della Chiesa (Catechismo). Non deve quindi portare avanti idee personali, ma neppure essere uno tra i tanti che in comunità fa delle riflessioni bibliche o spirituali (come cioè se il suo insegnamento equivalesse a quello anche dell’ultimo arrivato e neppure di un catechista o una suora).
Sempre in modo subordinato al Vescovo il sacerdote ha in genere, specie se è Parroco, anche il compito di “guida” della comunità (“ufficio regale”), ne è cioè il “capo”; e anche per questo, pur nell’amorevole accoglienza, rispetto e ascolto di tutti, specie di chi ha la vera fede, la sua presenza non è semplicemente di uno tra i tanti cristiani presenti e di raccordo tra le diverse posizioni (come se fosse il Sindaco di un Comune). È significativo che il sacerdote non sia infatti eletto dalla Comunità ma inviato dal Vescovo.
Ricordiamo, a proposito del triplice “ufficio” (sacerdotale, profetico e regale) del Vescovo e in modo subordinato del Presbitero, che esso è ovviamente segno e partecipazione di quello di Cristo, unico, vero e supremo Sacerdote, Profeta e Re!
Anche il 3° grado del Sacramento dell’Ordine, cioè il Diaconato (parola che significa “servizio”) partecipa appunto in modo ridotto della dignità e del potere spirituale di tale Sacramento. Pur potendo già effettuare, in modo subordinato al Vescovo e in una particolare Parrocchia anche al Parroco, anche delle specifiche funzioni “sacre” (come proclamare il Vangelo nella liturgia, predicare, amministrare il Battesimo e presiedere al Sacramento del Matrimonio), il compito del Diacono è soprattutto legato al servizio della carità, a nome della Chiesa stessa, del Vescovo, o di una specifica comunità cristiana; tale carità può essere diretta anche a categorie specifiche di bisognosi, della comunità cristiana stessa come pure dell’intera società. Lo si vede fin dalla loro istituzione da parte degli Apostoli (e quindi per ispirazione dello Spirito Santo e per volere stesso di Cristo), nei primissimi giorni della Chiesa (cfr. At 6) e proprio per essere di aiuto nella gestione della stessa carità interna alla comunità cristiana; ed è significativo che il primo martire (protomartire) della Chiesa sia proprio il santo diacono Stefano (che non a caso celebriamo, come tutti sappiamo, proprio il giorno dopo il Santo Natale del Signore). Nella gloriosa storia della Chiesa dei primissimi secoli, in genere segnata dal martirio, è poi ad esempio noto e venerato, specialmente a Roma ma nel mondo intero, l’esempio e il glorioso martirio del santo diacono San Lorenzo (menzionato nel Canone Romano della S. Messa, cioè solennemente e a livello universale).
Anche l’Ordinazione diaconale (3° grado del Sacramento dell’Ordine o 1° in ordine ascendente) è esclusivamente riservata a un maschio, come tutto il Sacramento dell’Ordine. Se l’Ordinazione diaconale viene ricevuta da un celibe, lo impegna al celibato per tutta la vita, cioè non potrà più accedere al matrimonio. Ecco perché chi riceve il Diaconato da celibe e in vista del sacerdozio, già da questa prima Ordinazione si impegna solennemente al celibato per tutta la vita; ma lo impegna al celibato permanente anche chi rimanesse semplicemente Diacono. Colui che invece riceve il “Diaconato permanente” da vivere nel matrimonio cristiano, deve essere già sposato prima dell’Ordinazione diaconale. Con l’Ordinazione diaconale, sia in vista del sacerdozio che per il diaconato permanente (nel matrimonio o celibe), ci si assume anche l’impegno di una particolare “obbedienza” al Vescovo, come pure il grave obbligo morale di recitare ogni giorno, a nome e per tutta la Chiesa, la Liturgia delle Ore (il cosiddetto Breviario, cioè Ufficio delle Letture, Lodi, Ora Media, Vespri e Compieta).
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Sottolineiamo infine che, diversamente da quanto forse molti pensano, sia quella del celibato (già dal Diaconato, se celibe al momento dell’Ordinazione), come quella dell’obbedienza al Vescovo, sono “promesse” e non “voti” (il voto è di fronte Dio più impegnativo della promessa). Sbagliato quindi dire che il prete ha il “voto di castità”, perché dal diaconato ha la “promessa di celibato” (anche se concretamente essi coincidono, visto che l’esercizio della sessualità è per tutti moralmente lecita solo all’interno del matrimonio). Circa poi la “povertà”, al di là delle doverosa sobrietà (distacco dal denaro) e propensione alla carità che devono caratterizzare peraltro ogni cristiano, non c’è neppure la promessa: il sacerdote può infatti avere sue proprietà. Invece i famosi “tre voti” (povertà, castità e obbedienza), secondo quelli che si chiamano i “consigli evangelici”, sono propri dei “Religiosi” (monaci o monache, frati o suore, speciali consacrazioni anche laicali), cioè di quella forma radicale di consacrazione verginale per il Regno di Dio, che è, come ricorderemo più sotto, una nuova vocazione per così dire inventata da Gesù (cfr. Mt 19,12) perché non c’era nell’Antico Testamento. Il Religioso/a, con il voto di castità si offre totalmente a Cristo (unico Sposo), con il voto di obbedienza rinuncia alla propria volontà (obbedendo al proprio superiore) e con quello di povertà rinuncia ad ogni proprietà personale (solo la sua comunità o il suo Ordine religioso può avere delle proprietà). I voti religiosi si emettono in genere in forma pubblica e liturgica, in quel Rito che si chiama “Professione religiosa” (prima temporanea e poi perpetua), che non è un Sacramento ma un Sacramentale. Un Religioso (maschio), col permesso del suo superiore e dopo un’adeguata preparazione, può anche accedere al Sacramento dell’Ordine e diventare diacono (S. Francesco d’Assisi, ad esempio, ha voluto rimanere a questo grado, non sentendosi degno di diventare sacerdote!), poi sacerdote e persino, se eletto, Vescovo; può anche capitare che sia nominato cardinale e persino Papa (come Bergoglio, che è un religioso della Compagnia di Gesù, cioè un Gesuita).
La questione del celibato dei preti e del Sacramento dell’Ordine riservato ai soli uomini
Torniamo a fare qualche delucidazione su queste due questioni, che sembrano oggi tanto dibattute (quando in realtà i problemi veri della Chiesa sono ben altri e assai più gravi).
Che il Sacramento dell’Ordine, nei suoi tre gradi, sia riservato ai soli uomini (maschi) si evince dalla stessa volontà fondativa di Cristo Signore. Lo si vede benissimo appunto nella chiamata dei 12 Apostoli e la loro esclusiva presenza nell’Ultima Cena. Non c’è mai stato alcun dubbio (persino nella Chiesa ortodossa) che il Sacramento dell’Ordine sia riservato ai maschi.
Sulla questione del celibato in riferimento al Sacramento dell’Ordine occorre invece precisare quanto segue. In sé non c’è contrasto tra Sacramento di Matrimonio e quello dell’Ordine, ma solo tra Matrimonio e Professione religiosa (i Religiosi, che, come abbiamo visto, professano i voti di povertà, castità e obbedienza). Non è neppure una espressa volontà divina, come invece quella dell’esclusività per gli uomini. Si tratta di una consolidata e bimillenaria decisione, della Chiesa Cattolica, specie di rito latino, certo in questo illuminata dallo Spirito Santo. Che il 1° grado del Sacramento dell’Ordine (Episcopato) sia riservato ai celibi è sempre stato ovvio, addirittura anche per la Chiesa ortodossa (il Patriarca non è mai stato sposato, come ovviamente il monaco). Per il 2° grado (Presbiterato), il celibato è stata appunto una consolidata scelta della Chiesa cattolica, specie latina (alcuni riti “cattolici” orientali danno invece il sacerdozio pure agli uomini sposati). La Chiesa ortodossa loda che il sacerdote (parroco, Pope) sia celibe, ma può essere anche sposato (se lo è al momento dell’Ordinazione). Circa il 3° grado (Diaconato), negli ultimi decenni anche la Chiesa cattolica ha permesso l’Ordinazione anche per un uomo sposato (se è celibe invece rimane tale).
Dunque, la Chiesa Cattolica (specie latina, occidentale) ordina i propri Presbiteri solo quegli uomini che hanno già una vocazione di totale consacrazione a Dio e dedizione alla Chiesa, cioè alla verginità/celibato per il Regno di Dio. Si tratta di quell’altra vocazione, oltre a quella del Matrimonio cristiano, che Gesù ha inventato come vie alla santità e alla missione, come carisma (dono dello Spirito Santo) di chi si sente chiamato da Dio ad essere totalmente dedito a Lui e alla Sua Chiesa, già colmato dalla particolare esperienza dell’amore a Cristo, unico vero Sposo, Amore infinito e senso esauriente ed eterno della vita (cfr. Mt 19,12 e Ap 22,17-20).
Come si può capire, nonostante i luoghi comuni, il dire popolare e soprattutto la pressione mediatica, non si tratta affatto che “i preti non possono sposarsi”, come appunto banalmente spesso si sente dire, persino in modo ossessivo, ma del sacerdozio dato solo a chi ha pure la vocazione alla totale consacrazione a Dio e per la venuta del Suo Regno.
Lo stesso “popolo di Dio”, come il sentire comune dei fedeli, avverte infatti quanto sia bello e significativo che il proprio sacerdote sia totalmente dedito a Dio e alle loro anime, senza dover pensare anche a mantenere e guidare una propria famiglia (con una moglie e dei figli, che tra l’altro potrebbero pure non dare sempre una limpida testimonianza di vita cristiana). C’è poi un sentire interiore che fa avvertire quanto sia bello che il sacerdote sia puro e casto, senza una vita sessuale propria (non per assenza di questo dono divino ma proprio per totale dedizione a Lui e per le anime).
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La questione del celibato sacerdotale, sembra ora voler essere scavalcata con questo metodo (come abbiamo già accennato parlando dei Sinodi del 2019 e forse dell’attuale). Come la Chiesa Cattolica ha recentemente concesso il Diaconato anche a uomini sposati – che dovrebbero ovviamente distinguersi anche per la loro testimonianza di vita cristiana in famiglia, al lavoro e nel proprio territorio (“viri probati”) – perché non permettere a tali “diaconi permanenti” di accedere anche al sacerdozio (2° grado del sacramento dell’Ordine), viste anche le necessità pastorali di certe zone del mondo?
Sembra una proposta ragionevole, che appunto non pare contrastare la volontà fondativa di Cristo (che riserva l’Ordine ai maschi ma non esplicitamente ai celibi), anche se contrasta la perenne Tradizione della Chiesa Cattolica specie latina.
Intanto dovremmo chiederci perché dovrebbero esserci più vocazioni al sacerdozio provenienti dal Diaconato permanente (da cui l’auspicato accesso al Presbiterato anche per loro) che non al Presbiterato dei celibi. La questione è appunto il celibato? No, perché quelle cosiddette Chiese protestanti e anglicane che hanno i “pastori sposati”, conoscono una crisi di vocazioni persino maggiore di quelle della Chiesa Cattolica. La crisi di vocazioni sacerdotali (peraltro in Occidente, cfr. le statistiche indicate alla fine) dipendono dalla crisi di fede e non dal celibato (anche se la sessualità impazzita del mondo occidentale evidentemente incide notevolmente, come del resto anche sulla crisi del matrimonio).
Poi, e questo è psicologicamente e sociologicamente ma soprattutto ecclesiologicamente rilevante, una volta visti anche i Presbiteri sposati, non parrebbe che anche la Chiesa cattolica abbia abolito il celibato sacerdotale? Il sacerdozio dato anche agli uomini sposati sarebbe immediatamente compreso e divulgato come abolizione del celibato dei preti. Il circo mediatico gonfierebbe la scelta come finalmente un’apertura straordinaria. Una finestra di Overton? Ecco i “processi” … Siamo partiti dal “diacono permanente”, che deve però essere già sposato al momento dell’Ordinazione diaconale altrimenti rimane celibe per sempre, ed eccoci all’abolizione del celibato sacerdotale. E se le donne potessero accedere ad un simil-diaconato, perché poi non al diaconato vero, quindi al sacerdozio e perfino all’episcopato (cfr. la foto iniziale)? Da un piccolo varco allo stravolgimento del Sacramento dell’Ordine!
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Se quanto detto non fosse stato chiaro, compiamo ancora qualche sottolineatura in merito
Che il Sacramento dell’Ordine, nella sua triplice strutturazione, sia riservato solo agli uomini è direttamente dipendente dalla volontà esplicita di Gesù stesso: è chiaro già nella scelta dei 12 Apostoli (cfr. Lc 6,13), come nella loro esclusiva presenza nell’Ultima Cena (cfr. Mc 14,17-26), quando cioè viene istituita l’Eucaristia e lo stesso Sacerdozio (anche quando trasmette loro il potere di rimettere i peccati; cfr. Gv 20,22-23). L’impossibilità per le donne di accedere al Sacramento dell’Ordine è cioè dipendente da Gesù stesso e dalla Sua stessa volontà (divina) fondativa della Chiesa; e come tale non è assolutamente disponibile all’autorità e giudizio della Chiesa; neppure un Papa può mutarlo. Infatti, ciò non è mai stato posto neppure in discussione. Una ulteriore riprova di ciò è che appunto pure la Chiesa Ortodossa, che pur si è staccata nel 1054 dalla Chiesa Cattolica, ha sempre mantenuto questo principio, così che anche in essa non sono mai esistiti e non possono esistere diaconi, sacerdoti e vescovi di sesso femminile.
È appunto evidente che Gesù, in questa sua volontà fondativa del “nuovo sacerdozio”, lo riservi esplicitamente ai soli uomini; e ciò non può essere assolutamente un cedimento alla mentalità ancora prevalentemente maschilista del tempo, come alcuni stoltamente dicono, sia perché Egli è Dio e quindi non è mai soggetto alla mentalità umana o del tempo, sia perché è evidente che anche nel sua triennale missione pubblica, il Divin Maestro non si è mai attenuto alla mentalità del tempo, ma anche riguardo alla donna è andato apertamente controcorrente, rispetto alla stessa mentalità dominante ebraica.
Basterebbe peraltro pensare alla presenza superlativa di Sua Madre Maria Santissima (l’essere più eccelso e superiore di tutto il genere umano, che è appunto una donna), accanto a Lui e persino cooperatrice della Sua stessa opera redentrice (ma nell’Ultima Cena non è presente neppure Lei!), come al numeroso stuolo di discepole, appunto donne, al Suo seguito (cosa totalmente inaudita e controcorrente per un predicatore, profeta, sacerdote e possibile Messia); per non dire alla presenza delle donne sotto la Croce (quando gli Apostoli stessi, tranne Giovanni, in tutta la Passione non brillano certo per il buon esempio – il che è peraltro un segno eloquente di autenticità dei Vangeli) e soprattutto nell’evento saliente e principale della Risurrezione, dove la priorità delle apparizioni del Risorto è data proprio alle donne (cfr. Mt 27,55-56.61; 28,1-10; Mc 15,40-41; 16,1-11; Lc 23,49.55-56; 24,1-11; Gv 20,1-18) [quando una donna non aveva neppure alcuna voce in capitolo a livello giuridico (il che è pure un ulteriore segno di autenticità dei Vangeli stessi, che se fossero falsi non avrebbero mai inventato un evento del genere, apparentemente così controproducente e contrario appunto alla mentalità dominante]. Nella vita e missione pubblica di Gesù, oltre all’anticonformista scelta di avere un seguito anche di donne (discepole), abbiamo anche inauditi e persino scandalosi (per la mentalità del tempo) incontri e presenze di donne peraltro di discutibile moralità [basterebbe pensare al dialogo con la Samaritana (Gv 4,7-30) o alla venerazione a lui riservata dalla grande pubblica peccatrice (v. Lc 7,36-50)].
Ebbene, nonostante tutto ciò, è evidente che Gesù riserva la scelta degli Apostoli a dei maschi (cfr. Lc 6,13) ed esclusivamente a loro è riservata la presenza nell’Ultima Cena (cfr. Mc 14,17-26), quando appunto viene istituito il Sacerdozio e la stessa Eucaristia.
Questo permette appunto di capire che tale volontà fondativa di Gesù nel riservare il sacerdozio agli uomini non era assolutamente una dipendenza (peraltro assurda essendo Gesù Dio stesso) dalla mentalità del tempo, di stampo più maschilista (e che appunto oggi dovrebbe mutare, per avvicinarsi alle rivendicazioni di stampo femminista).
Il sacerdozio e persino l’episcopato conferito alle donne è appunto una deriva della cosiddetta Chiesa Anglicana (come s’è detto all’inizio). Per quanto riguarda invece i Protestanti, cioè le innumerevoli sedicenti Chiese nate dalla Riforma del XVI secolo e tuttora sempre moltiplicantesi, occorre ricordare che in esse sostanzialmente non esiste il Sacramento dell’Ordine (abolito da Lutero stesso) e che il “pastore” non è un sacerdote ma esercita solo una funzione appunto pastorale, di guida della comunità, di predicatore e celebrante di riti (compreso quello della “Cena del Signore”) senza appunto un valore sacramentale.
Quindi, contrariamente a quanto forse molti pensano vedendo tra i Protestanti dei ministri sacri non solo sposati ma ormai anche “donne”, in realtà in tali sedicenti Chiese non c’è proprio il Sacramento dell’Ordine! Mentre, come abbiamo ricordato all’inizio, tra gli Anglicani il Sacramento dell’Ordine apparentemente c’è ma è invalido, cioè nullo.
Visto invece che anche tra gli Ortodossi il Sacramento dell’Ordine alle donne è totalmente inconcepibile, dovremmo persino chiederci, nell’ottica di un ecumenismo apparentemente tanto incensato e perseguito, se certe attuali tendenze verso un ministero più “rosa” (cioè femminile), se forse paiono avvicinare la Chiesa cattolica alle posizioni eretiche delle Confessioni protestanti e anglicana, non provochino invece una radicale spaccatura nei confronti della Chiesa ortodossa, peraltro di origine apostolica anche se da un millennio scismatica.
Si tenga presente questo, anche in riferimento a quanto ricordato all’inizio, cioè la partecipazione di un vescovo anglicano donna alla Consiglio ristretto dei Cardinali tenuto il 5.02.2024 in vista del prossimo Sinodo e appunto sul “ruolo femminile nella Chiesa”: una decisione inconcepibile e scandalosa per un Patriarca ortodosso!
Visti i non pochi emergenti tentativi contemporanei di porre in discussione tale dato, Giovanni Paolo II intervenne in modo “autorevole” e “definitivo” per confermare non solo per il presente ma anche per il futuro della Chiesa che l’ordinazione sacerdotale è da riservarsi esclusivamente agli uomini, appunto per volere stesso di Cristo! Giovanni Paolo II lo ha ribadito appunto in modo solenne il 22.05.1994 con la Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis (vedi), in cui tra l’altro leggiamo: “Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc 22,32), dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”].
Aggiungiamo una nota sulle cosiddette “diaconesse”, visto che se ne sente parlare e pare se ne possa parlare anche nell’imminente Sinodo. Ecco una doverosa precisazione.
Abbiamo sopra ricordato che anche questo 3° grado del Sacramento dell’Ordine (diaconato) è esclusivamente riservato agli uomini.
Qualcuno, per contestare tale dato, fa appunto riferimento a delle cosiddette “diaconesse” di cui talora si parla nella Chiesa primitiva. Dobbiamo allora comprendere meglio a che “servizio” (ministero) ci si riferisse con tale termine, che potrebbe in effetti far pensare a delle donne-diacono.
Secondo una più oculata indagine storica, ecclesiale, liturgica e canonica, risulta invece che con tale termine non ci si riferiva affatto al 3° grado del Sacramento dell’Ordine, cioè a “diaconi” di sesso femminile (donne-diacono), ma solo ad una forma di indispensabile servizio pratico in certi riti, specie nel Battesimo degli adulti. Concretamente: visto che anche il Battesimo degli adulti veniva in genere fatto per immersione (ne è spesso testimone anche la struttura architettonica dei più antichi e celebri Battisteri, posti peraltro davanti alle chiese e con scale discendenti ed ascendenti dalla grande vasca battesimale) e quindi coloro che venivano battezzati erano spogliati, anche per motivi di decenza e pudore era chiaro che fosse opportuno per le donne che ricevevano il Battesimo l’aiuto non di maschi ma di queste figure femminili dette per questo “diaconesse”. Nessuna confusione quindi col Sacramento dell’Ordine, neanche al grado del Diaconato.
Una Nota sul ruolo delle donne nella Chiesa
Compiamo qualche osservazione sul cosiddetto “ruolo delle donne nella Chiesa”, di cui oggi si fa un gran parlare e in genere a sproposito, per precisare alcuni punti fondamentali e anche per smentire certi luoghi comuni o stereotipi divulgati dal potere culturale dominante, che riguarderebbero la storia stessa della Chiesa oltre che il suo presente..
Teniamo anzitutto presente l’equivoco illuminista e moderno circa il tema dell’uguaglianza. Come abbiamo altre volte sottolineato [cfr. ad es. il dossier sulla Modernità (vedi) o la News “Equivoci sociali” spec. al n. 2 (vedi)], tale equivoco, come gli stessi altri due slogan della Rivoluzione francese (libertà e fraternità), confonde l’uguaglianza di dignità (peraltro emergente proprio dalla fede cristiana!) con il “fare le stesse cose” (confusione oggi spinta fino al parossismo se non alla follia).
Avere compiti, carismi e ministeri diversi, anche nella comunità cristiana, non significa affatto essere discriminati, emarginati, o non riconosciuti nei propri diritti (peraltro i Sacramenti non sono mai un nostro diritto, come abbiamo sopra ricordato, ma appunto iniziativa libera di Dio e Suo dono soprannaturale, che in certi casi e solo a determinate condizioni può essere “dovere” ricevere, al fine stesso della nostra salvezza).
Quindi anche l’accesso al diaconato, sacerdozio ed episcopato non è mai una sorta di promozione sociale, che sarebbe appunto da garantire anche alle donne, ma un “servizio” (è la logica evangelica espressa inequivocabilmente da Gesù stesso, cfr. Lc 22,26).
Tale equivoco illuminista, anche riguardo alle donne, è poi particolarmente esploso nel “femminismo” attorno al fatidico ’68 e che fa sentire i suoi effetti ancor oggi, ora appunto persino all’interno della Chiesa. Come tutti sappiamo, se non siamo accecati da pregiudizi ideologici, al di là di giuste conquiste sociali ottenute dalle donne e del doveroso riconoscimento persino dei doni naturali e dei soprannaturali carismi specifici propri delle donne, è pure evidente che un certo becero femminismo non ha affatto innalzato ma spesso abbassato la donna, non solo a livello sociale (anche nel lavoro) ma anche a livello morale (non aiutando gli uomini a crescere nelle virtù ma abbassando le donne a livello dei loro vizi), per non dire ai gravi danni recati alla famiglia e all’educazione stessa dei figli.
[Sul fatto che certi temi, slogan e persino stereotipi (se non addirittura dogmi) imposti dalla cultura dominante (specie occidentale) debbano addirittura diventare temi centrali da discutere ovunque, persino al più alto livello della vita della Chiesa, abbiamo parlato anche nella già più volte citata News “Idòla theatri” (vedi), non a caso pubblicata proprio in corrispondenza della Prima Parte dell’attuale Sinodo]
Circa il ruolo della donna nel Vangelo stesso (a cominciare dalla vertiginosa vetta donataci da Maria SS.ma) e alla sequela stessa di Gesù, abbiamo appena sopra ricordato qualche dato.
Se poi andassimo a guardare l’intera storia della Chiesa, chiunque che non abbia appunto paraocchi ideologici – che purtroppo dominano ancora, a cominciare dalla scuola, per non dire anche nel cinema, come in una falsa storiografia e letteratura (si veda in merito anche il dossier sul Medioevo, come quello stesso sull’Inquisizione (vedi) e alle falsità continuamente divulgate ad esempio sulla cosiddetta questione delle “streghe” (vedi) – può riconoscere che mai come nella Chiesa cattolica di tutti i tempi la donna sia stata promossa, esaltata e posta persino ai massimi livelli.
Non a caso abbiamo in tutti i secoli, anche quando ciò era totalmente controcorrente rispetto alle culture non-cristiane e persino a quelle che oggi definiremmo “laiche”, della innumerevoli e straordinarie figure di Sante (a cominciare ad esempio dalla Sante martiri citate addirittura nel Canone Romano della S. Messa: Felicita, Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia), Sante che continuano persino ad affascinare ed avere un seguito anche nelle attuali generazioni (basterebbe pensare a S. Chiara d’Assisi con le Clarisse), come tutte le fondatrici di grandiosi Ordini religiosi, monacali (basti pensare a Teresa d’Avila), del mondo educativo (Angela Merici) a quello ospedaliero, dell’assistenza ai poveri (basti pensare a Madre Teresa di Calcutta) e degli emigranti (Francesca Cabrini, proveniente dalla campagna lombarda ma tanto venerata in America, che aveva percorso in lungo e in largo e da nord a sud per assistere gli immigrati italiani); non parliamo poi delle Sante che hanno inciso tantissimo non solo nella storia della Chiesa (persino sui Papi) come nella vita sociale (si pensi a Caterina da Siena, che riportò addirittura il Papa da Avignone a Roma e fece talmente tanto per la vita anche civile dell’Italia da esserne proclamata Patrona). Per non parlare poi delle Sante ufficialmente proclamate addirittura “Dottore della Chiesa” (da Caterina da Siena e Teresa d’Avila, da Teresa di Lisieux a Ildegarda di Bingen).
Nella vita della Chiesa contemporanea potremmo parlare pure di donne che hanno fondato movimenti ecclesiali tali da provocare milioni di conversioni e altrettanti seguaci in tutto il mondo intero (come nel caso di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari).
Nessuna di queste donne, pur tanto decisive per la vita della Chiesa, ambiva ad essere “sacerdote” o si sentiva discriminata per non poter accedere al Sacramento dell’Ordine.
A ben vedere, chi sembra ambire oggi al servizio dell’altare e persino a più elevati compiti decisionali nella Chiesa (o almeno così si dice nel sistema mediatico e nel logorroico discutere ecclesiale che poi riguarda comunque ambiti molto ristretti se non a loro volta “clericali”), rischia appunto di non essere esattamente nella logica evangelica ed ecclesiale del “servizio”, ma forse dell’apparire o dell’elevarsi, dell’emergere; in cioè dimenticando persino la logica dei carismi (doni dello Spirito, diversi tra loro, non tutti della stessa importanza ma tutti utili per il Regno di Dio) e che di tutti il più grande e da ambire è quello della carità, come ci ricorda S. Paolo (cfr. 1Cor 12 e 13).
Potremmo infine notare, in risposta a chi insegue appunto certi slogan ormai anche ecclesiali, che, analogamente a quel mantra secondo cui pare che i più desiderosi di accedere al Sacramento del Matrimonio siano rimasti gli omosessuali (quando tale Sacramento è invece in picchiata tra le coppie eterosessuali), anche questo desiderio tanto declamato o presunto delle donne di diventare sacerdoti si scontra poi con la realtà del tracollo (specie in Europa occidentale) tanto delle vocazioni sacerdotali maschili come e ancor più drammaticamente di quelle delle giovani che desiderano farsi suora. Ma, come recita un noto adagio, “quando l’ideologia è smentita dalla realtà, per l’ideologia stessa è la realtà che sbaglia”, non essa a dover rivedere i propri dogmi e slogan.
Ancora una sottolineatura sul ruolo della donna nella Liturgia
Ovviamente, nei limiti della presente riflessione (che pur è già diventata molto ampia), non possiamo né vogliamo entrare nel merito della questione del ruolo che avevano le donne nelle comunità cristiane primitive. Strano però che se ne parli poco, vista l’enfasi con cui, specie negli anni post-conciliari, si continuava a incensare la Chiesa primitiva (chi non ricorda ad esempio l’ossessiva citazione di At 2,42-47 e At 4,32; magari censurando altri testi in cui si manifesta che tali comunità non erano poi sempre così edificanti). Allo stesso modo, vista la certo doverosa ma persino unilaterale insistenza sulla “Parola” (senza neppur più dire “Parola di Dio”) che domina gran parte della spiritualità cattolica e la pastorale contemporanea – un’insistenza unilaterale che talora odora di “protestantesimo”, visto che per la fede cattolica “Dei Verbum” indica anche la Tradizione e il Magistero e non solo la Sacra Scrittura (tanto più se interpretata soggettivamente!) e vista anche la priorità data attualmente alla Parola a scapito magari della meditazione sulla Liturgia e persino sui Sacramenti – risulta poi strano che certi testi dello stesso Nuovo Testamento vengano invece trascurati, censurati o incredibilmente catalogati come succubi della mentalità del tempo. Anche questo prendere e lasciare, accentuare unilateralmente o censurare, non rivela un sottofondo ideologico, per nulla autenticamente cristiano?
Se infatti, sul ruolo della donna nella Liturgia, andassimo a vedere certi testi di S. Paolo (ma non sono Parola di Dio anche quelli?) molti di questi moderni amanti della “Parola” inorridirebbero scandalizzati, relegando certe indicazioni paoline, riguardo alle donne, alla “cultura di quel tempo” se non dirittura ad una sorta di sua “misoginia” (cfr. 1Cor 14,34-35; 1 Tm 2,9-12).
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In realtà, ciò che soggiace a tutte queste cosiddette questioni oggi tanto dibattute, è che la vera questione, raramente evidenziata, la vera “crisi” di fondo, consiste nella progressiva perdita della dimensione “soprannaturale” della fede, della vita cristiana, della vita della Chiesa, della pastorale e persino la dimensione “sacrale” della stessa liturgia.
La questione di fondo è che oggi, nella cultura dominante ma ormai anche nella stessa liturgia, “tutto ruota attorno a noi”!
Sono gli effetti della cosiddetta “svolta antropologica”, una vera e propria “rivoluzione copernicana”, evidenziatasi prima nella teologia (cfr. K. Rahner), poi nell’ecclesiologia (l’attuale prevalente visione della Chiesa), per poi tradursi nella sua “prassi” (cioè nella fatidica “pastorale”) e appunto persino nella stessa liturgia.
Ormai si tratta del “fare” sempre qualcosa, di discutere sempre di qualcosa, di essere in qualche organizzazione pastorale o caritativa, di parlare e votare in un qualche organismo, ufficio, sinodo. A questo s’è ridotto l’essere “impegnati” nella Chiesa oggi.
Si ascolti ancora almeno un punto saliente della conferenza dell’allora Card. J. Ratzinger sulla possibile “riforma della Chiesa” (Meeting di Rimini, 1.09.1990, ascolta ai minuti 33’/36’).
Persino la liturgia, “fons et culmen” della vita cristiana, vera opera di Dio (“opus Dei”), l’azione sacra per eccellenza, per la gloria di Dio e la nostra santificazione, s’è ridotta ad un “fare” e persino “inventare” qualcosa, per renderla attraente (si dice “animare” la liturgia, come fosse un cadavere da rianimare e rendere attraente con qualche novità, comunque come fosse qualcosa di “nostro”). Una banalizzazione, appiattimento orizzontale, svuotamento persino insopportabile … e che risulta alla fine perfino noioso e scostante.
Così l’auspicata (già dal Concilio) “partecipazione attiva dei fedeli” non si è tradotta in un sempre più personale e comunitario affondare nel “mistero” di Dio, per uscire ogni volta più elevati e santificati, ma appunto nel “fare” tutti qualcosa, persino con tratti da vero “protagonismo”, a cominciare dal sacerdote quasi “show-man” a tutti gli altri ministeri, servizi e attività che ruotano attorno all’altare (ci potremmo mettere dentro pure la “Preghiera dei fedeli”, che in genere più che dei fedeli e delle Edizioni S. Paolo, o le interminabili e talora persino folcloristiche “Processioni offertoriali”). L’importante è che tutti, o almeno un sempre maggior numero, possano fare qualcosa. A questo alluderebbe l’auspicata “Chiesa tutta ministeriale”?
Certo già il volgersi dell’altare e del sacerdote celebrante da “coram Dei” (voltati verso Dio; e tutte le chiese erano orientate, talora con gran fatica rispetto alla situazione orografica, in modo tale che l’abside dietro l’altare fosse significativamente volto verso Oriente, verso il sole e la luce che sorge, segno della venuta come del ritorno glorioso di Cristo, vera Luce del mondo, e conseguentemente con la facciata verso occidente), al “coram populo “ (voltati verso il popolo, l’assemblea, quasi un guardarci e non più un guardarLo), certo già questo ha contribuito notevolmente a rendere visibile tale rivoluzione copernicana, tale “svolta antropologica” della teologia ed ecclesiologia contemporanea. [Anche in questo si potrebbe osservare, persino a livello ecumenico, una progressiva tendenza “protestante” invece che “ortodossa”; infatti, la sensibilità orientale, bizantina, russa, con l’altare praticamente nascosto dall’iconostasi, aumenta certo la percezione di un’azione sacra in corso e la sacralità stessa del sacerdote, come dice il nome stesso “sacer-dote”].
S’è poi persa, anche architettonicamente, la dimensione (e il significato) del “presbiterio”, dello spazio di accesso all’altare, riservato appunto ai presbiteri, come dice il nome stesso, e ai chierici (al massimo al piccolo clero, cioè ai “chierichetti” al servizio appunto dell’altare e del sacerdote celebrante). Esso è sempre stato delimitato, riservato, innalzato (in certe chiese antiche anche notevolmente, quasi un piano superiore, lasciando quello inferiore al sepolcro di santi e martiri), chiuso dalla balaustra (sparita pure quella). Tutti accedono a tutto! Il presbiterio è diventato un via-vai, persino una passerella, se non un palco teatrale o set-cinematografico. Negli attuali funerali anche certi personaggi che nulla hanno a che fare con la Chiesa, salgono in presbiterio e vanno all’ambone (riservato alla proclamazione della Parola di Dio) per fare l’elogio funebre del morto (cosa peraltro liturgicamente proibita, persino al sacerdote nell’omelia). In occasione dei matrimoni ma già delle Prime Comunioni, se il Parroco non vigila, il presbiterio e persino l’altare diventa appunto un set cinematografico o televisivo, dove fotografi e cameramen, magari vestiti in qualche modo e persino volgari e invadenti, girano liberamente e senza alcun rispetto, alla ricerca della posizione giusta per immortalare certi momenti!
Dentro questa rivoluzione copernicana, questa deformazione di fondo, il resto avviene gradualmente senza soste e limiti, appunto in una logica hegeliana, di “finestra di Overton”, di “rana bollita”, di “avviare processi”, come abbiamo all’inizio ricordato.
Circa il ruolo della donna, non solo nella Chiesa ma perfino appunto nella liturgia, dentro il quadro e rivoluzione appena ricordati, ecco come il “processo” si è sviluppato negli ultimi anni.
Siamo partiti dalle “lettrici” (il fatidico “chi fa la prima lettura?” freneticamente da cercare negli ultimi minuti prima della Messa): quando tale compito è riservato a degli appositi ministri (nel Vetus Ordo anche la lettura dell’Epistola paolina è riservata al sacerdote); perché non solo il Vangelo, che può essere proclamato esclusivamente dal sacerdote (o, se c’è, dal diacono), ma l’intera Parola di Dio deve essere proclamata in modo dignitoso e sacrale, in quanto specialmente nella Liturgia è Dio stesso che ci parla in quel momento! Non a caso esiste appunto per questo servizio liturgico l’apposito Ministero del “Lettorato” (Ministero “non ordinato” ma comunque “istituito” e donato personalmente dal Vescovo, come quello dell’“Accolitato”; e sino a pochi anni fa anche questi Ministeri erano comunque riservati agli uomini e dopo una discreta preparazione). Non parliamo poi dell’abbigliamento e talora persino dell’atteggiamento da passerella di certe lettrici, che si permettono persino di salire in presbiterio e accedere all’ambone con scollature, minigonne, pantaloni aderenti se non tute sportive, insomma tutto ciò che di sacro ha ben poco e se si tratta di giovani avvincenti (fortunatamente sono poche quelle tra loro che ambiscono a tali ministeri, anzi in genere non vanno neppure più a Messa, a meno che non si tratti di essere invitate a qualche Matrimonio) potrebbe attirare l’attenzione di un eventuale giovane maschio presente ben su altro che su Dio!
Poi sono arrivate pure le “chierichette”, che pian piano inevitabilmente soppiantano poi i chierichetti, cioè i maschietti, specie cresciuti. Se infatti era già comune nei maschi l’idea che queste fossero cose “da bambini”, di cui vergognarsi e smettere di fare con l’adolescenza (ora in genere appena cresciuti un po’ non vanno neppure più a Messa), tranne laddove i ministranti sono baldi e devoti giovani (così da non far sentire un pesce fuor d’acque il ragazzino cresciuto che ancora sta all’altare), ora con il crescente numero delle “chierichette” sta entrando progressivamente pure l’idea che siano cose da “femmine” (e non bisogna essere esperti di psicologia per capire queste dinamiche della pubertà e adolescenza dei maschi). E, al di là certamente di possibili anche se sempre più rare anime belle e ben educate anche tra le fanciulle, ancora non bisogna essere esperti psicologi per rinvenire una soddisfazione tutta femminile di essere su una sorta di “palco”, vestita con un abito speciale (tunica bianca) e con una ritualità che anche nelle ipotesi più curate assomiglia appunto molto ad una recita teatrale.
Ricordiamo che in passato i chierichetti, appunto il “piccolo clero” di maschietti (con tanto di talare secondo le diverse piccole taglie), erano devoti e ben preparati (nel “Vetus Ordo” dovevano persino rispondere in latino al sacerdote) e anche se piccoli assumevano un atteggiamento sacrale, nella consapevolezza appunto di essere accanto all’altare e al sacerdote, cioè a Gesù stesso e al Sacrificio della Sua Croce! Così l’anima veniva continuamente alimentata da questa vicinanza all’altare. al sacerdote e soprattutto a Gesù Eucaristia! Una grande e sacra pedagogia, che impegnava i maschietti già da piccoli e durante le Scuole Elementari; a tal punto che accadeva non raramente che molti di loro, attratti dal sacerdozio, già dalla Prima Media entravano direttamente nel Seminario Minore, dove continuare pure gli studi; molti di loro ovviamente poi uscivano ed erano comunque stati educati cattolicamente, ma altri invece arrivavano proprio al sacerdozio!
Non basta che l’ordine gerarchico preveda, anche nella liturgia, i Ministri “ordinati” (appunto col Sacramento dell’Ordine: Vescovo, Sacerdote, Diacono) e poi i Ministeri “istituiti”, ciascuno col proprio compito sacro (al Lettore spetta la proclamazione della Parola di Dio, escluso ovviamente il Vangelo, e all’Accolito spetta l’assistenza all’altare e, in caso di necessità, la distribuzione della S. Comunione), ministeri istituiti ora affidati ufficialmente anche alle donne. Ora assistiamo invece all’abuso dell’inesorabile lievitare del numero dei “Ministri straordinari della Comunione”, peraltro spesso erroneamente e gravemente chiamati “Ministri straordinari dell’Eucaristia” (quando ovviamente non esistono né possono esistere “ministri straordinari dell’Eucaristia” ma solo appunto della distribuzione della S. Comunione!). In genere si tratta di donne (quando la priorità dovrebbe comunque essere ancora data agli uomini) e di una certa età, ovviamente perché hanno maggiore disponibilità di tempo. Si chiamano appunto “straordinari” perché sono previsti solo in caso di assoluta necessità e tra l’altro temporaneamente. Per la distribuzione della S. Comunione durante la S. Messa tale assoluta necessità potrebbe ad esempio verificarsi nel raro caso che il sacerdote (e ovviamente il Vescovo, se presente) e il diacono o altri sacerdoti e diaconi presenti (sempre con camice o cotta e stola) e l’Accolito non fossero sufficienti per poter distribuire la Comunione ad un numero sterminato di fedeli in tempi ragionevoli (non perché c’è fretta di finire in quanto magari l’omelia è durata 45′). Vedere tale ministro (ministra) straordinaria della Comunione intervenire (magari in abiti normali) semplicemente per “dare una mano” al sacerdote (a meno che egli non sia infermo) o addirittura che il sacerdote si sieda per lasciare a questa ministra tale compito sacro, così come lasciare a questa il compito di prendere dal tabernacolo la pisside con le ostie consacrate (sono Gesù, Dio stesso!) e riporvela al termine della Comunione, tutto ciò è un grave abuso liturgico. Tra l’altro, poi ci stupiamo se i fedeli perdono sempre più la percezione della presenza di Dio nell’Ostia consacrata, come pure nel tabernacolo, così che al termine della S. Messa sembra di essere alla conclusine di uno spettacolo, come se la chiesa si tramutasse improvvisamente nel “foyer” di un teatro! Circa invece l’abuso del proliferare di tali “ministri straordinari” per portare la S. Comunione agli infermi, si ricordi che tale compito sacro è proprio del sacerdote, se non altro perché ha pure la possibilità di Confessarli per poter ricevere degnamente la S. Comunione (si assiste talora persino all’abuso quasi sacrilego di tale Ministro/a straordinario che insiste perché quell’infermo faccia la S. Comunione anche se quel poveretto quasi tra le lacrime afferma che non può farla perché deve prima confessarsi!). Vedere poi tale rito sacro nelle mani di una donna che pur lodevolmente raggiunge le case degli infermi, senza alcun segno esterno, portando l’Eucaristia (cioè Dio stesso!) magari dentro la borsetta, lascia sinceramente sconcertati. Se poi il sacerdote non potesse effettivamente raggiungere con frequenza tutti gli infermi che richiedono il Sacramento (ma devono essere davvero molti), solo allora, se non ci sono altri sacerdoti disponibili, può alcune volte delegare tale compito sacro anzitutto ad un Diacono, poi ad un Accolito e solo in caso appunto eccezionale al Ministro straordinario, riservandosi però di raggiungere quell’infermo ogni tanto, anche appunto per la S. Confessione. Se poi al sacerdote manca il tempo perché sempre occupato nelle numerose attività pastorali (o si tratta degli assillanti e innumerevoli incontri per parlare di programmazione pastorale?), per non sospettare che poi trovi invece il tempo per seguire l’immancabile intrattenimento televisivo o per navigare ossessivamente su internet, allora l’abuso è ancora più evidente e il sacerdote stesso dovrebbe fare un serio esame di coscienza e rivedere un poco le sue priorità; ma oggi potrebbe però giustificarsi, consolarsi e persino sentirsi gratificato, vedendo che la sua Parrocchia è diventata davvero “tutta ministeriale”!
Non parliamo poi delle “Catechiste”, in genere solo donne, la cui preparazione è talora nulla e non di rado sono persino improvvisate (basta la loro disponibilità). Per la quasi totalità di quei bambini o ragazzi, quel catechismo sarà però per la loro anima un’occasione più unica che rara per conoscere Gesù, imparare a seguirlo e amarlo, e così salvarsi eternamente! Che poi un fanciullo maschio, poi ragazzo e adolescente, debba sempre vedere i propri educatori (catechisti e insegnanti) solo di sesso femminile, non ha sempre risvolti positivi nella sua formazione, anche a livello psicologico (oltre a considerare questi compiti “roba da donne”, se non addirittura lo stesso essere cristiani). Se ci aggiungiamo l’assillo della nuova ideologia gender e la pressione culturale del mondo Lgbtq+ si capisce anche il diffondersi di certe “disforie”, oltre, come rilevano molti psicologi e sociologi, il tramonto stesso del “maschio” e pure della figura del “padre” come appunto dell’educatore.
Si potrebbe poi porre l’accento su un reale problema “pastorale”, che riguarda il come poter continuare a garantire la celebrazione della S. Messa festiva nelle piccole Parrocchie. Anche su questo problema si stanno però creando delle pericolose confusioni. Diventa certo sempre più impensabile e impossibile che un sacerdote salti come un grillo in auto da una Parrocchia all’altra per assicurare a tutti la S. Messa (senza avere neppure il tempo di concentrarsi e pregare per prepararsi e ringraziare il Signore, oltre che per restare un poco coi suoi parrocchiani). Ci si potrebbe intanto chiedere se al giorno d’oggi, tranne certi anziani soli, gli altri fedeli non possano spostarsi nel più vicino centro anche per andare a Messa, come lo raggiungono per andare al supermercato, in palestra, al cinema, in pizzeria e per incontrare amici, passeggiare, fare footing e shopping. Il primo “supplente” del Parroco a cui si pensa, nella migliore delle ipotesi, è un “diacono permanente”; ma, dopo aver cercato un Accolito (o Accolita, oggi possibile), Ministeri istituiti ma rimasti rari, la scelta si volge inesorabilmente verso un “Ministro straordinario”, pure donna. Pare una sorta di “volontariato liturgico”; e, con la scusa del “meglio che niente”, si diffonde pure una grave confusione liturgica! Si imbastiscono allora nuove “liturgie” o “para-liturgie” (Liturgia della Parola + Comunione): si dicono le preghiere iniziali, viene proclamata la Parola di Dio, c’è una sorta di predica (magari “dialogata con l’assemblea”), poi si recita il Credo, si fa l’interminabile (in genere “paolina”, nel senso proprio delle Edizioni S. Paolo) “Preghiera dei fedeli”, quindi arriva finalmente il “Padre nostro” (ovviamente cambiato) e la distribuzione della Comunione, cui segue una preghiera finale e se c’è il diacono la Benedizione. Il problema è che alcuni fedeli lodevolmente presenti a tale para-liturgia sono convinti di essere stati a Messa, mentre non è stata assolutamente una S. Messa, mancando l’essenziale, cioè appunto la Preghiera Eucaristica, la Consacrazione, appunto il miracolo della transustanziazione, dell’offerta al Padre del Sacrificio di Cristo stesso sulla Croce! Ecco un altro frutto dell’aver perso l’essenziale della fede e anche della stessa S. Messa!
Anche nella Chiesa italiana ci si dovrà prima o poi rendere conto che ormai il problema è la perdita o l’assenza della fede e che occorre ricominciare quasi da capo, per attivare una “nuova evangelizzazione” (tanto predicata da Giovanni Paolo II) degli adulti e della società; perché se è vero che i Sacramenti e specialmente la S. Messa sono la sorgente e il culmine (“fons et culmen”) della vita cristiana, però è altrettanto vero che se non si conoscono neppure i fondamenti della fede e della morale cristiana, allora, anche nella migliore delle ipotesi, la vita cristiana si riduce, quasi per inerzia, ad “andare a Messa” e i poveri sacerdoti, in spaventoso tracollo numerico e forse talora anche spirituale, devono fare i salti mortali per garantirla ancora a quei pochi praticanti, magari nell’ora a loro più comoda o nei paesini più sperduti.
Ma torniamo alla questione del “ruolo della donna nella Chiesa”, di cui si sente e si sentirà tanto parlare ….
I famosi “processi”, che potremmo anche chiamare “scale mobili”, fanno forse sì che mettendo il piede sul primo semplice scalino (le chierichette, le catechiste, le lettrici) dopo qualche anno potremmo ritrovarci alla foto iniziale di questa riflessione.
Alla fine, chi chiediamo ancora: ma davvero nella Chiesa la donna è poco valorizzata e presente?
Chi dice questo, sta certamente pensando a loro come possibili Ministri Ordinati o a donne sedute in qualche importante tavolo o ufficio delle Curie diocesane se non persino dei Dicasteri vaticani (già infatti ci sono). Perché se mettesse invece il naso nella totalità delle nostre chiese e parrocchie, si accorgerebbe, come se ne accorge infatti anche un ragazzino (e per un maschietto in crescita non è appunto un entusiasmante invito a rimanerci), che sono quasi tutte donne e quelli che mancano sono proprio i maschi, cioè gli uomini!
Avviandoci alla conclusione di questa riflessione sul Sacramento dell’Ordine, compiamo ancora un’osservazione, oltre a ricordare quanto già sopra osservato, a proposito della cosiddetta questione del “celibato” dei preti.
Abbiamo però già sottolineato che intanto porre la questione in questi termini (l’obbligo del celibato per i preti) è già falsarla e renderla perfino odiosa.
Il celibato dei preti sarebbe appunto ormai un anacronistico “obbligo”, dato a questi poveri uomini che devono appunto obbligatoriamente vivere nella castità piena per il Regno di Dio, cioè nell’assoluta astinenza sessuale e senza una propria famiglia! Quando invece la questione è invece un’altra, persino capovolta: si tratterebbe semmai di poter dare il sacerdozio (oltre al diaconato, che da pochi decenni è già possibile, come “diaconi permanenti” anche gli uomini sposati) appunto anche agli uomini “sposati”, cioè non celibi. Però, anche mediaticamente, una volta passata questa possibilità, si parlerebbe semplicemente di “preti sposati” e quindi di “abolizione del celibato sacerdotale” finalmente anche nella Chiesa Cattolica!
In realtà, come abbiamo ricordato, a monte c’è invece la stupenda realtà, inventata e donataci da Gesù stesso, di due vie, nell’unica meta che tutti siamo chiamati a raggiungere e che è la “santità”, cioè la partecipazione piena ed eterna alla vita di Dio (paradiso). Quella più diffusa, anche perché poggia pure su una base naturale, è la “vocazione matrimoniale”, che con Gesù, cioè per i Battezzati, poggia unicamente sul suo Sacramento del Matrimonio (e non su convivenze o matrimoni civili!), che può essere contratto solo tra un uomo e una donna (che non hanno mai contratto un matrimonio cristiano in precedenza) ed è unico e indissolubile (dura cioè fino alla morte, anche solo di uno dei due coniugi: il vedovo o la vedova possono infatti ricevere di nuovo il Sacramento del Matrimonio). La seconda via, che è una novità introdotta da Cristo (perché non c’era nell’Antico Testamento), è la vocazione (maschile o femminile) alla “verginità per il Regno di Dio” (cfr. Mt 19), cioè nell’unione e nell’attesa d’amore dell’unico Sposo, dell’unico vero infinito Amore (che peraltro il cuore dell’essere umano desidera, anche inconsciamente), che verrà alla fine del mondo e che nel paradiso saranno le vere ed eterne nozze (vedi anche le ultime parole della Bibbia, Ap 22,17.20).
Ecco perché nella Chiesa e nella vita cristiana, dentro appunto l’universale “vocazione alla santità” (cfr. Mt 5,48), ci sono due vie principali, due essenziali vocazioni: al matrimonio (dentro questa vocazione si tratta poi di capire, alla luce di Dio, “con chi”, cioè chi deve essere la sposa/sposo) o alla verginità (consacrazione totale) per il Regno di Dio (nelle innumerevoli tipologie: monaco/a e di quale ordine monastico, frate/suora e di quale ordine o istituto religioso, consacrati di altro tipo, anche laicali e persino una forma solo personale e intima di consacrazione). Questa seconda vocazione si esprime anche coi cosiddetti tre “voti” (di castità, povertà e obbedienza).
La radicale alternativa è tra queste due strade fondamentali (matrimonio e consacrazione totale) e non è infatti pensabile che chi è chiamato alla totale consacrazione per il Regno di Dio (come “religioso”, cioè professando i tre voti) possa accedere al Matrimonio.
In linea di principio, invece, non c’è incompatibilità tra Sacramento del Matrimonio e quello dell’Ordine. Non si tratta infatti della volontà fondativa di Cristo (ovviamente irriformabile, in quanto divina), come nel caso del sacerdozio dati solo agli uomini, ma di una preziosa e consolidata scelta della Chiesa (certamente mossa dallo Spirito Santo in tale importante e plurisecolare decisione). Cerchiamo di comprendere meglio, perché la questione del celibato sacerdotale si inserisce in questo quadro teologico, spirituale e canonico. Si potrebbe infatti obiettare che persino tra i 12 uomini chiamati da Gesù a diventare Apostoli, c’erano alcuni che erano vergini (come sicuramente Giovanni) ed altri che erano invece già sposati (come Pietro stesso). Sta però di fatto che dopo la chiamata di Gesù a lasciare tutto per seguirlo e per quella “missione” che sarebbe durata per tutta la loro la vita (e che per tutti, tranne che per Giovanni, è terminata con la testimonianza suprema del sangue, cioè col martirio), oltre al lavoro gli Apostoli sposati hanno lasciato anche la famiglia.
Dunque, anche gli Apostoli che erano già sposati (come Pietro stesso), per la specialissima missione loro affidata dal Signore Gesù, hanno di fatto lasciato la famiglia, oltre che il lavoro.
C’è poi un’ulteriore osservazione spirituale e storica da compiere, che depone a favore della costante scelta della Chiesa Cattolica (specie di rito latino, cioè occidentale) di “ordinare” i sacerdoti solo coloro che hanno una vocazione di totale consacrazione (verginità per il Regno di Dio), cioè nel celibato. I teologi e gli stessi studiosi della storia della Chiesa osservano infatti che, anche laddove il diaconato e il sacerdozio sia stato conferito anche agli uomini sposati (possibilità che permane in alcuni Riti orientali della stessa Chiesa Cattolica), sia stato però loro in genere richiesto, pur avendo già moglie e figli, di vivere anche nel matrimonio in una piena “continenza” sessuale, cioè appunto senza rapporti sessuali. Non è infatti difficile notare (lo fece infatti osservare anche Benedetto XVI in quel già citato libro del 2020 col card. Sarah a proposito del celibato sacerdotale, tema affrontato nel Sinodo sull’Amazzonia) che il particolare contatto col “sacro” (abbiamo addirittura casi persino nell’Antico Testamento) richieda in genere un distacco dall’attività sessuale.
Si è reso quindi subito abbastanza evidente che la Chiesa Cattolica, fondata da Gesù, sceglie i suoi ministri “ordinati” (specie i Vescovi ma anche i Presbiteri) tra coloro che hanno già la vocazione ad essere totalmente di Cristo e totalmente dediti alla missione da Lui affidata loro (cioè nel celibato, concretamente nella castità per il Regno di Dio). Per l’Episcopato, questa ferma convinzione e disposizione è fuori discussione (come abbiamo ricordato, lo è anche per la Chiesa Ortodossa, dove il Vescovo/Patriarca è sempre esclusivamente celibe, mentre il Sacerdote/Pope può essere scelto anche tra coloro che hanno la vocazione matrimoniale e sono già sposati al momento dell’Ordinazione diaconale).
Si rende però presto evidente che la Chiesa Cattolica (specie di rito occidentale-latino) dona anche il 2° grado del Sacramento dell’Ordine (Presbiterato) solo a chi ha la vocazione alla “verginità per il Regno di Dio”, cioè ai celibi che vivono in castità piena e perenne (del resto tutti i non-sposati col Sacramento del Matrimonio, sia uomini che donne, devono vivere in castità piena, essendo i rapporti sessuali leciti, e a determinate condizioni, solo all’interno del Matrimonio fondato sul Sacramento – vedi il documento sulla “Morale sessuale”).
Circa il 3° grado del Sacramento dell’Ordine (Diaconato), com’è noto da qualche decennio la Chiesa Cattolica lo concede anche agli sposati (se sono tali al momento dell’Ordinazione, altrimenti rimangono per sempre celibi).
Come abbiamo appena ricordato, se anche la Chiesa Ortodossa è fermissima nell’offrire il Sacramento dell’Ordine solo agli uomini (appunto perché decisione divina), per il celibato lo ritiene strenuamente necessario per il Vescovo (Patriarca) ma solo consigliato per il sacerdote (il Pope); mantiene poi in particolare stima per la vita della Chiesa la vocazione alla totale consacrazione verginale dei monaci (che possono anche non essere sacerdoti, come del resto anche i monaci o frati cattolici possono anche non essere sacerdoti).
Se invece parliamo delle cosiddette Chiese Protestanti, nate dalla Riforma, lì semplicemente ,come abbiamo già ricordato, manca proprio il Sacramento dell’Ordine (abolito da Lutero e dalle altre Confessioni protestanti); per cui il cosiddetto “pastore” svolge semplicemente un ministero pastorale (di guida della comunità) e la liturgia è fondamentalmente centrata sulla Parola (e su molti canti) e la “Cena del Signore” è più o meno una semplice memoria dell’Ultima Cena. Per questo motivo, non trattandosi appunto del Sacramento dell’Ordine, è ancor più chiaro che non venga considerato di importanza teologica che il pastore sia sposato e oggi persino che possa essere una donna.
Comunque, a riprova che la crisi delle vocazioni sacerdotali cattoliche non è dato dal problema del celibato (come in genere si fa credere e molti pensano!) ma dalla mancanza di fede tra i giovani, è anche il fatto che tra i “pastori protestanti”, appunto in genere sposati, la crisi di tali vocazioni è persino maggiore che nella Chiesa Cattolica.
Sulla questione dei sacerdoti e vescovi invece della cosiddetta Chiesa Anglicana abbiamo già abbondantemente parlato all’inizio: pur mantenendo in qualche modo, a differenza dei Protestanti, il Sacramento dell’Ordine e persino l’Eucaristia, la questione è che, al di là delle gravi derive attuali, mancando la “successione apostolica”, tali Ordinazioni sono “invalide”, cioè nulle; e di conseguenza sono nulle anche le Eucaristie da loro celebrate.
Non entriamo qua nel merito di un possibile giudizio, anche alla prova dei fatti (ormai qualche decennio), circa il cosiddetto “Diaconato permanente”, cioè il conferimento, da parte della Chiesa Cattolica, del 3° grado del Sacramento dell’Ordine (appunto il Diaconato) anche agli uomini sposati (ovviamente sposati col Sacramento e se lo sono già al momento dell’Ordinazione). Potremmo forse riconoscere che, dopo un certo entusiasmo iniziale e comunque confortati da esperienze e testimonianze anche molto positive, si siano riscontrate anche delle notevoli criticità, che vanno da chi vi accede per una sorta di “promozione sociale” alla scarsa formazione teologica e spirituale, come pure alla discutibile testimonianza cristiana offerta nel proprio stesso ambiente di lavoro, talora persino nella propria famiglia (c’è stato perfino chi ha promosso il divorzio di un proprio figlio). Ma, al di là di tali deficienze, a livello strutturale pare non ben chiarito il compito ecclesiale e sociale di tale ministero: se ne è fatto una sorta di pseudo-sacerdote, di supplente in caso di necessità pastorale (confondendo spesso anche i fedeli che partecipano alle sue liturgie, che non sono affatto delle Messe), fino talora a ritenersi superiore al sacerdote stesso (c’è chi s’è messo addirittura a calunniare dei sacerdoti), complessivamente in una visione potremmo dire troppo “clericale” del diaconato stesso, invece di svolgere la propria particolare missione (evangelizzatrice e di carità cristiana) specie nel proprio ambiente sociale e di lavoro.
Dovremmo a questo punto entrare almeno un poco nel merito della questione di come venga oggi normalmente inteso, nella società ma anche nella Chiesa stessa, il sacerdote e il suo ministero. Non è evidentemente questo il luogo né il momento. Sottolineiamo solo come, dentro questa apocalittica ecclissi del soprannaturale e del sacro, per non dire del “divino”, rimanga ancora assai sfocata la questione dell’autentica identità sacerdotale (che ha tenuto banco in modo ossessivo già dagli anni ‘60/’70 del secolo scorso, cioè nella stagione post-conciliare) e di quali priorità debba avere la sua missione sacerdotale. Non è però purtroppo difficile riconoscere che, se sono forse tramontati certi eccessi di quella “stagione rivoluzionaria” (che ha conosciuto dai “preti-operai” a quelli promotori delle “lotte” popolari, studentesche, operaie, sindacali; per non parlare del catastrofico numero di coloro che hanno poi abbandonato il sacerdozio), in un’ampia porzione della Chiesa e persino del clero stesso, pare emergere di nuovo la figura del prete “assistente sociale”, tanto applaudito a livello mediatico, che si occupa cioè dei diversi problemi sociali e dei bisogni della gente; anche se in certi casi e dentro certi limiti ciò può essere lodevole, sembra però che spesso si dimentichino proprio i bisogni più profondi dell’uomo, che sono peraltro la causa e il motore di tutto, cioè appunto il bene delle anime, senza dimenticare soprattutto il loro destino eterno! Dentro questo orizzonte pastorale prevalentemente “orizzontale”, ancora segnato dalla rivoluzione copernicana della “svolta antropologica”, non manca poi oggi un “ecclesiocentrismo” persino ossessivo, che moltiplica incontri, discorsi e programmi pastorali per parlare sempre di “noi”, anche quando sembra che parliamo degli “altri”, comunque è certo che parliamo poco o nulla di Dio, del soprannaturale, dell’eterno!
Inoltre, dentro un quadro sostanzialmente appiattito sull’immanente, sull’orizzontale, il prete, oltre a subire ancora la tentazione, sempre tanto applaudita, di farsi ridurre ad una sorta appunto di “operatore sociale”, viene sempre più inteso anche in modo “simil-protestante”, nel senso proprio del “pastore” luterano, come una semplice “guida della comunità” (anzi, neppure questo: perché sarebbe inteso come ancora troppo accentratore, autoritario e oggi si direbbe che “pecca contro la sinodalità”!) o al massimo un “predicatore” (anzi, neppure questo, visto che tutti avrebbero il diritto di interpretare la Parola di Dio a piacimento e guai a parlare di “dottrina”); per poi scadere a livello di “operatore pastorale” (organizzatore di mille incontri, che lo sfiancano, senza saper neppure dove si voglia e si debba andare, basta farli e moltiplicarli). Forse sarebbe il caso di recuperare, senza però scadere in unilateralismi e spiritualismi opposti, la categoria di prete realmente “in cura d’anime”, visto che la salvezza delle anime è la legge suprema della Chiesa (“salus animarum suprema lex”).
N.B.: Per un approfondimento sull’attuale situazione ecclesiale, si può navigare anche nell’ampio dossier “Quale Chiesa?” (vedi)
Aggiungiamo, al termine di queste riflessioni, qualche dato statistico.
Non si tratta però solo di numeri, perché anche questi dati statistici possono essere drammaticamente rivelatori di dove conduca un certo continuo “aggiornamento” della vita della Chiesa e della stessa missione dei sacerdoti.
Alcuni dati statistici
[dati ufficiali della Chiesa Cattolica nel mondo]
Il numero totale dei Sacerdoti riguarda sia i diocesani che quelli religiosi (frati, monaci).
Il numero totale dei Seminaristi si riferisce a quelli già studenti di Teologia e comprende anche i religiosi (frati, monaci).
Il numero totale delle Religiose riguarda sia quelle di vita attiva (suore) che quelle di vita contemplativa (monache).
Il numero dei Vescovi è pressoché stabile e ruota attorno alle 5.000 unità.
Nonostante che la più drammatica crisi si sia registrata negli anni ‘60/’70 del secolo scorso (cioè nel cosiddetto “post-Concilio”), seguiamo però anche l’andamento di questi ultimi 20 anni.
2002
- Sacerdoti: 405.058. Rispetto al 1978: – 3,8% [in Europa (specie occidentale): – 19%]
- Seminaristi: 112.982 (in forte aumento in Africa, in calo notevole in Europa)
- Religiose: 782.932 (di cui 51.371 monache)
2012
- Sacerdoti: 414.313
Si potrebbe osservare che dal 2005 al 2012 (cioè durante il pontificato di Benedetto XVI) sono complessivamente aumentati del 2% (+ 3,5% i preti diocesani; – 1,5% i sacerdoti-religiosi). Se guardiamo i singoli Continenti: Africa (+ 24%), Asia (+ 20%), America (+ 1,6%), Oceania (+ 0,2%), Europa (- 6%).
- Seminaristi: 120.051 (+ 4,9 durante il Pontificato di Benedetto XVI)
Asia (+ 18%), Africa (+ 17,6%), (+ 14,2%), America (- 2,8%), Europa (- 13,2%)
- Religiose: 702.529 (- 7,6% dal 2005)
Africa (+ 16,7%), Asia (+ 10,5%), lievemente diminuite in Oceania, America; Europa (- 15%)
2019
- Sacerdoti: 414.336
- Asia (+ 1.989), Africa (+ 1.649), Oceania (- 281), America (- 690), Europa ( – 2.608)
- Seminaristi: 114.058 (- 1.822 in un anno)
- Religiose: 630.099 (- 11.562 in un anno)
2021
- Sacerdoti: 407.872 (sempre in forte crescita Africa e Asia, in calo vertiginoso in Europa)
- Seminaristi: 109.895 (sempre in calo vertiginoso in Europa occidentale)
- Religiose: 608.958 (- 21.141 in 2 anni)
2022
- Sacerdoti: 407.730 (sempre in forte crescita Africa e Asia, in calo vertiginoso in Europa)
- Seminaristi: 108.481 (vistoso calo dal 2012) [dal 2021: Africa (+ 2,1), Europa (– 6%)]
- Religiose: 599.228 (- 9.730 in un anno)
Si noti, specie per sacerdoti e seminaristi, la crescita registrata in Africa e Asia e invece il drammatico tonfo in Europa (tenendo presente che i dati sono mitigati dai dati più consolanti di alcuni Paesi dell’est-Europa, come la Polonia).
A proposito delle donne nella Chiesa, impressiona il fortissimo calo totale delle religiose, soprattutto in Europa, specie tra le suore di vita attiva, mentre in alcuni monasteri di clausura si registra talora una nuova crescita di vocazioni, anche in Europa [dato che peraltro si registra anche in alcuni monasteri maschili, persino in Francia (vedi alcuni video nei link in fondo al documento spesso citato nel sito)].
Anche l’Italia, centro mondiale e storico della Chiesa Cattolica, conosce in proposito dati statistici allarmanti. Il calo dei sacerdoti come dei seminaristi, per non parlare delle suore, è apocalittico e mai registrato così nella storia del nostro Paese. Basterebbe pensare che già nel 2019 ben il 34% del clero italiano aveva superato i 65 anni!
[Per alcuni dati statistici sulla fede in Italia vedi anche l’apposita News del 21.08.2023]