Nonostante sia ormai penetrato nell’opinione pubblica come certezza, l’evoluzionismo non è una teoria scientifica perchè non è sperimentale

Darwin e l’evoluzionismo


Fin dai primi anni di scuola viene insegnato ai bambini che l’uomo deriva dalla scimmia (ed è quindi falso quello che dice la Bibbia e la Chiesa, che cioè saremmo creati da Dio a sua immagine!). Inoltre si insegna che questo discendere delle specie animali le une dalle altre si chiama “evoluzione” e, a scanso di equivoci, si afferma che tutto ciò sia avvenuto “casualmente”, in forza cioè di leggi biologiche e per caso (“Caso e necessità”, scriverà J. Monod), quindi senza alcun intervento “divino” e alcun “progetto intelligente”. Anzi, pian piano si giunge a dire che non solo l’uomo ma anche la vita è nata per “caso”, e così il pianeta, le stelle e l’universo intero.

evoluzionismo


Dio cioè non esiste. Il “Caso” è la nuova divinità che spiega ogni cosa. Gesù è diventato una favola (magari silenziato per rispetto delle altre religioni …); mentre Darwin deve essere conosciuto ed è diventato “infallibile”!
L’insegnante non si rende però conto di gettare in questo modo nell’intelligenza e nel cuore dei poveri fanciulli una dannosissima bomba, che potrebbe avere delle conseguenze catastrofiche sull’esistenza delle singole persone, sul destino eterno di quelle anime e sull’intera nostra civiltà. Anzi, i più affermano questo in modo baldanzoso, allegro, persino in modo provocatorio, contro chi si ostina a credere alla favola della creazione, di Dio, dell’anima e del destino eterno dell’uomo.
Solo pochissimi si rendono conto – tra gli atei e purtroppo anche tra i credenti – della tragedia in atto; che cioè, se fosse vero l’evoluzionismo, se il caso e le forze cieche della natura fossero l’unica spiegazione di tutte le cose, dovremmo dirlo tra i singhiozzi e con le lacrime agli occhi, fino alla depressione!
Solo forse un po’ più grandicelli, se non gli verrà totalmente anestetizzata l’intelligenza e la coscienza (cosa che meno male non è possibile totalmente, e già questa è una rivincita di Dio, per il nostro bene), un giorno quei bambini si sveglieranno una mattina e capiranno, sì tra le lacrime, che cosa terrificante è l’essere frutto del caso, venire dal nulla e andare verso il nulla, appiattire tutto il male e tutto il bene del mondo in un unico destino di vanità, guardare tutte le cose, perfino la persona amata, e credere che siamo solo burattini in mano ad un fascio di pulsioni e di una spietata lotta per la sopravvivenza, sia pure tra noi civili velata sotto nomi apparentemente più nobili, come sentimenti, carriera e magari anche giochi in borsa. Essere burattini nel gran teatro di una anonima e casuale Natura.
Ecco la tragica nuova consapevolezza dell’uomo contemporaneo. Non a caso crescono in modo esponenziale crisi esistenziali e depressioni, perfino suicidi giovanili. Per questo, rimasti terribilmente soli, oggi si cerca “compagnia” negli animali, sentendoli perfino migliori di noi.
Il Curato d’Ars, S. Giovanni Maria Vianney, diceva due secoli fa: “lasciate una parrocchia per vent’anni senza parroco e adoreranno le bestie” (cioè, lasciate l’uomo senza Dio e adorerà la Natura, l’ambiente, gli animali, forse perfino una pietra, tale è il nostro bisogno di assoluto). Forse nemmeno lui però immaginava di essere così profetico dicendo questa frase paradossale; e come la realtà abbia superato ogni più tragica previsione (come del resto già il XX secolo ha ampiamente e tragicamente dimostrato).

Cappella sistina

Per non dare l’impressione che stiamo facendo il “solito discorso religioso”, da arrabbiati che non si arrendono all’autentica verità (o addirittura temono di perdere il potere sulle folle!), facciamo allora parlare il più grande e rigoroso ateo della storia contemporanea, Friedrich Nietzsche:

“Da Copernico in poi l’uomo scivola dal centro verso una x” (Frammenti postumi 1885-1887).

“Non è forse, da Copernico in poi, in un inarrestabile progresso l’autodiminuirsi dell’uomo, la sua volontà di farsi piccolo? La fede, ahimè, nella sua dignità, unicità, insostituibilità nella scala gerarchica degli esseri è scomparsa – è divenuto animale, animale, senza metafora, detrazione o riserva, lui che nella sua fede di una volta era quasi Dio (figlio d’Iddio, Uomo-Dio) […] Da Copernico in poi, si direbbe che l’uomo sia su un piano inclinato – ormai va rotolando, sempre più rapidamente, lontano dal punto centrale – dove? nel nulla? nel trivellante sentimento del proprio nulla […] Ogni scienza si propone oggi di dissuadere l’uomo dal rispetto sinora avuto per se stesso, come se questo altro non fosse stato che una stravagante presunzione […] autodisprezzo per l’uomo […] la vittoria di Kant sulla teologia dogmatica concettuale (Dio, anima, libertà, immortalità) […] Similmente chi potrebbe ormai biasimare gli agnostici se costoro, in quanto veneratori dell’ignoto e del misterioso in sé, adorano ora come Dio lo stesso punto interrogativo?” (F. Nietzsche, Genealogia della morale).

Ancora molto giovane, ma già passato dall’essere il devoto figlio del pastore protestante a quella strada che lo porterà al più spietato e conseguente ateismo, scriveva infatti:

“Quando si parla di umanità, ci si fonda sull’idea che debba trattarsi di ciò che separa e distingue l’uomo dalla natura. Ma una tale separazione in realtà non esiste […] L’uomo, nelle sue capacità più alte e più nobili, è completamente natura” (F. Nietzsche, Cinque prefazioni per cinque libri non scritti).

Ed ecco l’esito nichilistico di questo percorso, lo scomparire stesso dell’uomo:

“Ci siamo abituati a credere a due regni, al regno dei fini e della volontà, e al regno dei casi […] E se vi piacesse concludere: “C’è forse soltanto un regno, quello dei casi e della stupidità?”, bisognerebbe aggiungere: sì, forse c’è soltanto un regno, forse non esistono né volontà, né fini, e siamo stati noi ad esserceli immaginati. Quelle mani d’acciaio della necessità, che scuotono il bossolo dei casi, giuocano per un tempo infinito il loro gioco […] Forse i nostri atti volontari, i nostri scopi, non sono null’altro appunto che tali getti di dadi – e noi siamo troppo limitati e troppo vanitosi per renderci con­to della nostra estrema limitatezza: quella cioè espressa dal fatto che siamo noi stessi a scuotere con mani d’acciaio il bossolo dei dadi, che siamo noi stessi, nelle nostre azioni maggiormente premeditate, a non far niente di più che il gioco del­la necessità” (F. Nietzsche, Aurora, 130).

Ed è una tragica “via senza ritorno”:

“Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e fantastica visione di bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fos­se stata più libertà – e non esiste più <terra> alcuna!” (F. Nietzsche, La gaia scienza, 124).

Su questo argomento nel sito vedi anche un documento più sintetico (nella sezione “Fede e cultura“)

 


1) Charles Darwin


1.1 – La vita

Charles Robert Darwin nacque a Shrewsbury (Inghilterra) il 12.02.1809.
Suo nonno, Erasmus Darwin, era medico, fisiologo, poeta e filosofo sensista (materialista), ed aveva già abbozzato una teoria dell’evoluzione, applicandone addirittura i principi alla vita sociale.

“Dotato di una vastissima erudizione ed intellettualmente legato ai circoli culturali francesi di indirizzo massonico e rivoluzionario (tendente a spiegare la Natura con se stessa), il nonno di Charles fu, con ogni probabilità, il vero fondatore della dottrina evoluzionistica, con l’idea della trasformazione della specie. La sua opera Loves of the plants ed altri suoi testi ebbero un successo immediato e vennero tradotte e diffuse in quasi tutto il mondo occidentale.”

Dopo aver iniziato a studiare medicina ad Edimburgo, Charles passò agli studi ecclesiastici (teologia) al Christ’s College di Cambridge; quindi abbandonò anche quelli, per dedicarsi alle scienze naturali e alla geologia. è infatti un naturalista.
La sua unica esperienza di ricerca diretta (sulla natura, gli animali, le specie, l’uomo e le razze) fu una lunghissima crociera, durata 5 anni (dal 1831 al 1836), compiuta con la nave “Beagle” lungo le coste dell’America meridionale e nell’Oceano Indiano.

Spesso ancor oggi si parla con impropria enfasi (ad esempio in certi documentari di Piero Angela) sul viaggio di Darwin alle Isole Galapagos (a ovest dell’Ecuador) a caccia di conferme delle sue teorie e care quindi agli evoluzionisti. In realtà proprio la natura geologica di queste isole, emerse nel Pacifico a causa di eruzioni vulcaniche assai posteriori alla separazione dei continenti, pongono seri problemi alla teoria evoluzionista, rimanendo arduo se non impossibile spiegare come abbiano raggiunto quelle isole numerose specie viventi (cfr. Vittorio Messori, La sfida della fede, Ed S. Paolo 1993, pp. 83-85).

Ne raccolse le osservazioni nel suo Journal of Researches into the Natural History and Geology of the Countries Visited during the Voyage of H. M. S. Beagle (London, 1839). Infatti, dopo un breve soggiorno a Cambridge e a Londra, dal 1842 non si mosse più dal suo villaggio inglese di Down, compiendo nella sua casa tutti i suoi studi, dove morì il 12.04.1882.


1.2 – I presupposti filosofici e culturali

La scienza, nonostante la sua conclamata obiettività, assai spesso risente di presupposti filosofici e perfino ideologici. Nel caso poi della “teoria dell’evoluzione” di Charles Darwin – non essendo, come vedremo, una vera scienza sperimentale – l’influsso delle filosofie e ideologie imperanti nel XIX secolo è enorme.

Un primo grande condizionamento sulla teoria dell’evoluzione di Darwin deriva dallo scientismo e positivismo – un influsso culturale predominante nel XIX secolo ma che è enorme ancor oggi – secondo cui la scienza moderna sarebbe l’unica vera forma di conoscenza della realtà, in grado di spiegare prima o poi ogni cosa e quindi di sorpassare definitivamente la conoscenza mitico-religiosa ed anche quella filosofico-metafisica (cfr. August Comte). Darwin conobbe il pensiero ateo di Comte e ammise di esserne rimasto vivamente colpito. 
Il fondo materialista di questa cultura, tendente a “ridurre” anche l’uomo a sola materia ed a semplice elemento della natura, influirà non poco sul pensiero di Darwin.

Nel 1826, frequentando la Plinian University, seguì delle lezioni ispirate alle teorie materialistiche.

In un suo appunto anteriore al 1831 – e quindi al suo celebre viaggio e all’esplicitarsi della sua dottrina evoluzionistica – Darwin manifesta questo suo “a priori” in questi termini:

“io non acconsentirò a che, ancorché esiste un abisso tra l’uomo e l’animale, l’uomo abbia un’origine diversa … che il pensiero sia più della materia è una nostra presunzione … libera volontà e caso sono sinonimi” (appunto riportato più tardi in una lettera all’amico Lyell).

E’ inoltre preponderante in quel tempo, ma ancor oggi, la filosofia del divenire, che ha in Hegel il suo moderno maestro, secondo cui il divenire (della materia e della storia) si spiega con se stesso e in se stesso rivela uno Spirito assoluto, per cui attraverso la lotta dei fattori (tesi e antitesi) si procede inesorabilmente verso il meglio.

E’ anche questa, come accade spesso nella modernità, un’idea cristiana “impazzita”. Infatti il concetto di storia nasce dalla Bibbia come luogo attraverso cui si “rivela” Dio [e che ha in Dio la sua origine (creazione), la sua “pienezza” (Cristo) e il suo sbocco trascendente (aldilà)]. Hegel, che peraltro desidererebbe riagganciare filosofia e teologia (Credere e sapere è il titolo di una sua opera), dimentico dell’essere – come quasi tutto il pensiero moderno – e accettando (!) la contraddizione del divenire, trasforma il Dio (Essere) che si rivela nella storia (divenire) con la coincidenza di divenire ed essere, di storia e di Spirito assoluto. Questo terribile errore (all’inizio quasi impercettibile) passerà e si amplierà in Feuerbach (materialismo dialettico) e genererà poi gli errori e gli orrori di Marx e dello sforzo titanico del comunismo di tradurre nella dialettica storica (lotta di classe) il rivelarsi dello Spirito (cioè il comunismo stesso, la società senza classi).

Troviamo questa idea di fondo anche in biologia (Lamarck) e nelle nuove teorie sociologiche (Malthus). In Nietzsche il divenire si assolutizza a tal punto che, per risolversi totalmente nell’immanenza, si trasforma addirittura nel mito pre-cristiano dell’“eterno ritorno dello stesso”, dove però più coerentemente ogni direzione (finalità) è sparita.

Il residuo teologico in queste filosofie dell’immanenza si scorge infatti (come Nietzsche aveva denunciato) nel persistere dell’idea di una  “tendenza”: perché ci dovrebbe essere una direzione? come sarebbe possibile se fosse tutto casuale, se non ci fosse un’Intelligenza trascendente creatrice? e questo obiettivo verrà un giorno raggiunto nella storia (che ne sarebbe della storia dopo?) o oltre la storia (come nel cristianesimo)? Nell’evoluzionismo: perché evoluzione e non involuzione? perché la vita verso il meglio e non verso il peggio? e a nulla serve rispondere in modo tautologico (è così perché è così, perché è una legge della natura), perché è proprio di questa tendenza che va data ragione. Nietzsche infatti, nel suo più rigoroso ateismo, riconosce che parlare di una tendenza (teleologia) nella natura significa ancora parlare di Dio (teologia), per cui negare Dio deve coerentemente portare a negare ogni senso, ogni direzione, ogni fine.

Darwin ammette esplicitamente in alcune sue lettere questo influsso hegeliano sulla sua dottrina evoluzionistica. 
All’interno di questo erroneo orizzonte culturale, c’è pure lo sforzo di ridurre ogni fenomeno a manifestazione di un’unica forza (la “lotta di classe” in Marx, la “volontà di potenza” in Nietzsche, la “libido” in Freud). Darwin la individua nella “lotta per la sopravvivenza”.

Dobbiamo però accorgerci che in questi ‘determinismi’ di fatto sparisce non solo ogni spiritualità e trascendenza dell’uomo sulla natura ma anche lo spazio dell’autodeterminazione, cioè della stessa libertà (come si intravvede in quell’appunto di Darwin sopra riportato e come diventa palese – ad un attento lettore – nel pensiero di Nietzsche).


1.3 – I (presunti) presupposti scientifici

Pochi sanno che il primo ad esporre una teoria dell’evoluzione fu il gesuita tedesco Kircher (1601-1680; quindi due secoli prima di Darwin), professore al Collegio Romano. 
Inoltre Charles Darwin, anche se lo nega, ricevette in proposito molte idee e informazioni dal nonno Erasmus Darwin.

Charles Darwin, sebbene affermasse di non dovere nulla all’opera di suo nonno, in realtà attinse largamente ad essa” (Sermonti).

La stessa idea dominante di “lotta-per-l’esistenza”, di derivazione appunto hegeliana, è anche il principio-guida della che troviamo nella filosofia di Hubbes, e nell’analisi sociale di Marx e di Malthus. In campo biologico fu presente in Lamarck, Paley, Lyell, Townsend, Matte e Chambers, tanto da diventare persino un luogo comune nel primo ‘800. Così pure troviamo già le ipotesi “trasformistiche” in Wallace e Buffon.

In Lamarck (1744-1829), che conobbe pure le intuizioni del nonno di Darwin, c’è già l’idea – poi cara a Charles Darwin – che sia la funzione a creare l’organo e non viceversa.

Già quindi nel 1809, proprio quando nasceva Darwin, Lamarck pubblicò Philosophie zoologique (il cui titolo tradisce questo misto di presupposti filosofici e ipotesi scientifiche), in cui sosteneva che il passaggio da una specie all’altra dipendesse dall’adattamento all’ambiente, guidato dall’uso o disuso di certi organi e dalla trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti, oltre appunto all’idea che fosse la funzione a creare l’organo.

Un notevole influsso su Darwin venne anche dagli studi di Malthus (1766-1834), che peraltro non era uno scienziato ma un economista (secondo i principi illuministici dell’Enciclopedia) e cercò anch’egli di trovare con un viaggio la conferma dei propri presupposti ideologici. 
Da questa idea della “lotta per la sopravvivenza” Darwin trasse il suo presupposto – cercandone poi conferma nel viaggio compiuto – secondo cui questa “lotta” è fattore decisivo di ogni vivente (idea appunto hegeliana) e permette non solo di far sopravvivere chi è dotato di organi più vantaggiosi per questo, ma il sorgere di nuove specie caratterizzate da nuovi organi di adattamento (la sua espressione the survival of the fittest è tratta nel 1852 da Spencer).



1.4 – L’emergere della dottrina di Darwin

In Charles Darwin abbiamo dunque tutti questi “a priori”, di cui poi cercherà conferma nelle osservazioni compiute nel suo unico lungo viaggio, come negli interventi zoologici compiuti però dall’uomo (osservazioni sugli allevamenti), e che poi andrà sviluppando esclusivamente all’interno della sua casa inglese di Down, da cui appunto non si spostò più fino alla morte.
A dire il vero, Darwin (come Lamarck) non usa mai la parola “evoluzione” ma “trasformazione”, ed il suo sforzo – teoretico, perché evidentemente non c’è alcuna possibilità di riproduzione di ciò in laboratorio – è quello di spiegare la nascita e le trasformazioni delle specie animali solo in base a quella presunta legge di fondo che sarebbe l’adattamento all’ambiente e la lotta per la sopravvivenza, cioè in base alla “selezione naturale” e alla trasmissione genetica (ereditaria) delle trasformazioni avvenute.
Nel 1859, quindi 23 anni dopo il suo unico viaggio esplorativo, Charles Darwin scrisse la sua opera principale: On the origins of Species by means of Natural Selection [Sull’origine della specie per mezzo della selezione naturale (o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita)].

La vera novità non era l’idea di evoluzione, ma quella appunto di “selezione naturale”. In quest’opera Darwin non parla ancora dell’uomo, se non con questa osservazione finale: “Se la mia teoria è corretta, se effettivamente le specie si sono evolute per selezione naturale, allora luce si farà sull’origine dell’uomo e sulla sua storia”.

Nell’idea di trasmutazione, Darwin si spinse però oltre Lamarck, escludendo progressivamente in essa ogni finalità, in favore di un’interpretazione puramente “meccanica” delle variazioni.
Infine queste teorie vengono tranquillamente trasferite dal regno animale all’uomo stesso, secondo anche qui un “a priori” che considera l’uomo non diverso dagli altri animali (cosa che non rende conto proprio delle caratteristiche più umane, che sono il pensiero e la libertà, che lo rendono in grado di guidare i propri cambiamenti e il proprio destino e non di esserne determinato). 
Così, nella sua opera del 1871 sull’origine dell’uomo The Descent of Man and Selection in Relation of Sex (L’origine dell’uomo e la selezione sessuale), oltre a completare l’idea di selezione naturale con quella sessuale, anche l’uomo viene semplicemente fatto derivare da una specie inferiore e perfino le sue superiori facoltà (intelligenza, libertà, linguaggio, cultura, morale, arte, religione) avrebbero una basse organica e sarebbero derivate da variazioni biologiche, in base al principio dell’utilità e dell’adattamento all’ambiente. Così anche nel suo studio The Expression of the Emotion in Man and Animals.

Come poi Sigmund Freud (1856-1939) le farà derivare dall’inconscio, dalla libido, dalle sublimazioni, rimozioni. Insomma, sempre lo stesso tentativo di “diminuire” l’uomo (come diceva Nietzsche), di sopprimere in tutti i modi la sua alterità e trascendenza (quella consapevolezza, quella autocoscienza che duemila anni di cristianesimo ci avevano donato).

1.5 – Darwin, il razzismo e l’eugenetica

Secondo Malthus le risorse del pianeta sarebbero inferiori al necessario, insufficienti cioè a far fronte alla sovrappopolazione (ci sono troppe bocche da sfamare per le risorse che abbiamo), per cui si crea nella stessa umanità una “lotta per la sopravvivenza”. Giunse quindi a lodare le guerre (che con i morti da esse provocati riequilibrerebbero un poco la situazione demografica) e l’astinenza sessuale (specie per i meno dotati, così si permetterebbe anche di migliorare la specie umana), ed a biasimare i tentativi della medicina di salvare ad ogni costo gli ammalati.

Come possiamo osservare, queste idee false e disumane (chi decide chi deve vivere e chi no? La scienza? Lo Stato!?) si fanno strada ancor oggi.

In realtà se è falso ancor oggi, all’inizio del XXI secolo, che le risorse mondiali siano insufficienti (già allo stato attuale, con una popolazione planetaria che si avvicina ai 7 miliardi, le risorse del pianeta sarebbero sufficienti per una popolazione mondiale 7 volte più grande), figuriamoci 2 secoli fa. Così è falso che ogni uomo che nasce sia semplicemente una bocca in più da sfamare, perché, come sapeva bene la civiltà contadina, in realtà sono anche due braccia in più per lavorare. Inoltre proprio il progresso scientifico e tecnico permette, se fatto in modo etico, di migliorare le condizioni stesse del pianeta (ad esempio fermando e fertilizzando l’avanzata dei deserti, migliorando l’agricoltura, eliminando i parassiti, incrementando finanziariamente l’agricoltura). Insomma, dietro questa logica illuminista si nasconde un malefico paradosso, ancor oggi ripetuto: visto che non ci sarebbero risorse per tutti (cosa falsa) uccidiamo o evitiamo la nascita di molti (ad esempio gli africani) per far star meglio gli altri (ad esempio gli europei, che consumano e perfino sprecano la maggior parte delle risorse del pianeta). Come si vede, oltre ad essere una questione di egoismo, è una questione ideologica, non scientifica né tanto meno umanitaria.

Sulla scia di Malthus, la dottrina evoluzionistica (e le leggi che la regolerebbero) sospinse anche Darwin verso conclusioni oggi poco confessabili e infatti censurate dalla cultura (e ideologia) dominante che ne ha fatto un altro mito della scienza, del vero progresso dell’umanità, e della battaglia contro l’ignoranza e l’oscurantismo cattolico.
Presupposti come la “lotta per la sopravvivenza”, la “selezione naturale”, la “sopravvivenza dei più dotati” – che la dottrina evoluzionistica assume come elementi sufficienti per spiegare la nascita e lo sviluppo delle specie e che in modo unilaterale si tenta di trasferire pericolosamente anche all’uomo – non poteva che condurre Darwin anche a tragiche conclusioni antropologiche e sociali.
Egli non nascose infatti certe sue posizioni razziste (non tutte le razze sono uguali, alcune sono geneticamente assai inferiori) ed eugenetiche (dovremmo far vivere e riprodurre solo i migliori), giungendo perfino a progettare esplicitamente la “eliminazione immediata degli uomini deboli di corpo e di mente”.

Queste raccapriccianti idee – peraltro logiche conseguenze di un materialismo e un ateismo che non vedono nell’uomo nient’altro che un prodotto casuale della natura, per nulla superiore agli altri animali –  erano assai diffuse in certi ambienti culturali del XIX secolo (v. anche in F. Nietzsche) e passarono ai fatti nel XX secolo (negli esperimenti medici e lager nazisti ma anche nei gulag, manicomi e campi di rieducazione comunisti). Oggi riemergono di nuovo ed in modo più pericoloso (perché sotto il velo di menzognere parole buone), come a riguardo della programmazione e selezione degli embrioni o sulla selezione di chi deve vivere o morire tra gli infermi e i moribondi ed in quell’idea pericolosissima di “vita non degna di essere vissuta”. Mentre la protezione degli animali ha ormai talora sorpassato quella degli uomini (o di certe categorie di uomini o di certe popolazioni).

Si pensi ad esempio che già nel 1962 in una Ciba-Conference tenuta a Londra sul “Futuro eugenetico dell’umanità” si disse che attraverso la fecondazione artificiale si potrà raggiungere una selezione dei migliori, anche con donatore con patrimonio genetico migliore, pensando a banche del seme e ovuli migliori (Müeller).

Darwin passò infatti tranquillamente dall’osservazione di quanto si faceva negli allevamenti degli animali alla possibilità di trasferire tutto ciò anche all’uomo (cfr. il suo testo The Variation of Animals and Plants under Domestication).
Pensava che anche nell’educazione dei bambini si doveva favorire la competizione tra gli esseri umani. Lodando esplicitamente l’antica Sparta, che gettava dalla rupe i figli difettosi, si mostrò entusiasta nell’osservare che in certi popoli considerati in questo erroneamente incivili “i deboli di corpo e di mente vengono presto eliminati, così che quelli che sopravvivono godono di ottima salute; mentre noi uomini civili ostacoliamo con ogni mezzo il processo di eliminazione (cosa che non facciamo invece con gli allevamenti di animali!)”. Per questo si oppose perfino alla vaccinazione antivaiolosa. E se si oppose alla guerra, nonostante ritenga la lotta il motore della esistenza, è solo perché in guerra muoiono i più forti mentre i più deboli sono lasciati a casa (con la possibilità tra l’altro di sposarsi e di procreare). 
Tra gli inglesi del tempo non mancarono coloro che vollero trasferire queste idee in politica, a supporto addirittura del “diritto” dell’impero inglese di colonizzare certi popoli.

Nell’idea di cieca lotta per la sopravvivenza l’impero inglese cercò un supporto scientifico e filosofico per affermare il proprio diritto a colonizzare (cfr. National Geographic, febbraio 2009, monografia su Darwin).

La parola eugenetica (dal greco eu = buono + geos = razza, specie) è un termine non a caso coniato dall’inglese Francis Galton (1822-1911), che era cugino di Charles Darwin e ne fu anche seguace. Fu proprio Galton a trasferire questa idea fondamentale di Darwin (nella lotta per la sopravvivenza vincono i più forti e intelligenti) a programma sociale. Si chiese infatti: perché non guidare questa selezione, così da migliorare la razza umana? Pensò perfino alla programmazione di matrimoni selettivi (eugenetica positiva). Nel 1907 fu lui a fondare la Società Eugenetica. Suo successore alla guida di detta Società fu proprio il figlio di Charles Darwin (Leonard), che penso di passare da una eugenetica positiva ad una negativa, cioè al divieto di riprodursi ai deboli e agli imperfetti. L’idea non si diffuse solo in Gran Bretagna, ma al primo Congresso Internazionale di Eugenetica (1912) erano presenti anche rappresentanti di USA, India, Australia, Canada, Germania, Francia, Giappone, Kenya, Sudafrica. Fu proprio questa ideologia (che avrebbe in Darwin la base scientifica) a condurre poi la dittatura nazionalsocialista (nazista) tedesca all’idea di razza pura e di medicina razzista.

“Anticipando certe aberranti teorie nazionalsocialiste, Charles Darwin si lamentava del fatto che malati e poveri fossero curati; meglio sarebbe stato lasciarli morire. Così scriveva: “Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione; costruiamo asili per pazzi, storpi, malati; istituiamo leggi per i poveri e i nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione tempo non avrebbero retto al vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere […] Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana […] Dobbiamo quindi sopportare l’effetto, indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani” [cfr. Francesco Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Piemme, 2009; cfr. Il Timone, n. 86 (2009), p. 25].


1.6 – Darwin e la fede

Quella del nonno Erasmus, che non poco influsso ebbe sul giovane Charles, fu un’eredità culturale di tipo sostanzialmente massonico, oscillante tra il materialismo (la Natura si spiega con se stessa) ed il deismo (Dio come semplice Architetto del mondo). Però non si può dire che Charles Darwin non avesse un senso religioso: anzi, avevamo notato, fece addirittura qualche studio di teologia.

Scrisse nel 1879 a John Fordyce: “Non sono mai stato un ateo, nel senso di chi nega l’esistenza di Dio”.

Che la sua dottrina evoluzionistica sia atea risulta un pregiudizio antireligioso postumo.

Tale pregiudizio è tuttora ampiamente divulgato (ad esempio dalla rivista Micromega).

Nel suo Sull’origine della specie scrive ad esempio: “C’è qualcosa di grandioso in queste considerazioni sulla vita e sulle varie facoltà di essa che il Creatore ha impresso in poche forme o anche una sola forma”; e conclude il libro osservando stupito come sia “davvero una concezione grandiosa questa che vede la vita, con le sue diverse forze, originariamente infusa dal Creatore soltanto in poche forme o in un’unica … e da un inizio tanto semplice è incominciata a svilupparsi, e continua tuttora a farlo, una serie infinita di forme, le più belle e meravigliose”. Ancora nel 1873 scrive: “Dio è troppo oltre l’intelletto umano, ma l’impossibilità che questo universo si scaturito per caso a me pare l’argomento principe a favore dell’esistenza di Dio”.
Dunque Darwin, nonostante tutto, coglie che proprio la linea dell’evoluzione manifesti un disegno divino. Del resto, come abbiamo già sottolineato, come si spiegherebbe una tendenza verso il meglio (evoluzione) senza una finalità nella natura e questa finalità senza una Mente creatrice?
Semmai in Darwin è problematico il suo tentativo di ridurre anche l’uomo, nel suo sorgere e nelle sue caratteristiche propriamente umane, dentro questa logica puramente materialista e immanente. 
Su questo punto non ignora infatti che le sue tesi possano essere tradotte in puro materialismo ed ateismo, ma non abbraccia apertamente queste dottrine.

Scrive infatti in The Descent of Man (1871): “Io non ignoro che molti respingeranno come altamente irreligiose le conclusioni a cui arriviamo in quest’opera; ma quelli che sosterranno questa tesi devono mostrare che vi è maggiore irreligiosità nello spiegare l’origine dell’uomo come specie distinta, discendente da una forma inferiore, in virtù delle leggi della variazione e della selezione naturale, che nella spiegazione della formazione e della nascita dell’individuo secondo le leggi della riproduzione ordinaria”.

Certo Darwin non si accorge che infatti anche nella riproduzione ordinaria, cioè nella nascita del singolo, l’uomo non è solo il prodotto di un concepimento biologico e chimico, ma assai di più (in italiano si diceva infatti propriamente “procreare” un figlio – oggi assai banalmente “fare”); appunto quando non si riconosce lo spirito, tanto la nascita del singolo come della specie non sembra altro che un processo biologico.

Così ancora in una sua lettera del medesimo periodo confessa semmai di “oscillare” talora verso l’agnosticismo (non la negazione di Dio ma forse la sua inconoscibilità):

“Nelle mie grandi oscillazioni, non sono mai arrivato all’ateismo nel senso vero della parola, cioè a negare l’esistenza di Dio. Io penso che in generale (e a misura che invecchio) la descrizione più esatta del mio stato di spirito è quella dell’agnostico”.

Se poi scivolò talora in posizioni più atee non fu a motivo della sua teoria evoluzionistica, ma semmai a causa di un tragico episodio che segnò certo la sua vita in modo traumatico, quando morì sua figlia Annie, ancora bambina. Da quel momento, forse per una sorta di emotiva ribellione a Dio, troviamo un tono talora più polemico nei confronti di Dio e della religione.

Lo scrive lui stesso all’amico Asa Gray, dopo la morte della bambina: “Non riesco a vedere con la medesima nitidezza di altri la prova di un disegno e di una benevolenza divini tutto intorno a noi. Ai miei occhi sembrano esserci troppe afflizioni nel mondo”. Una recente sua biografia, scritta da un suo discendente (Randal Keynes) che ha utilizzato un gran numero di documenti privati, mette in luce il processo che porta Darwin ad abbandonare la fede in Dio. Scrive infatti: “l’incredulità si insinuò lentamente nel mio spirito, e finì col diventare totale”.


1.7 – La creazione del “mito” Darwin

Senza nulla togliere alla genialità di certe intuizioni di Darwin, dobbiamo però riconoscere come attorno a lui e alla sua teoria dell’evoluzione si sia creato un mito, utile alla propaganda atea e anticristiana. Darwin, che tra l’altro rimane un autore più nominato che letto,  è divenuto così la nuova bandiera del materialismo e dell’ateismo scientifici, in opposizione all’oscurantismo clericale.
La parola evoluzione, che avrebbe in lui il sicuro scopritore, è diventata una dottrina, un “dogma” indiscutibile, in grado di spiegare ogni cosa – dall’origine della vita alla nascita di ogni specie animale, ovviamente compresa quella umana – con la pura casualità (il caso, l’altra parola magica che sarebbe in grado di spiegare addirittura la nascita e l’ordine di ogni cosa, dell’universo intero!).
In questo senso “mitico” Darwin viene percepito e divulgato come quello scienziato che ci avrebbe definitivamente portato le prove non solo che la vita nasce e si evolve, anche con la formazione delle nuove specie, secondo meccanismi puramente necessari e casuali (e che quindi non c’è più bisogno di un Creatore), ma addirittura che ciò spiegherebbe anche la nascita dell’uomo, ridotto così a semplice animale evoluto (non avrebbe un’anima spirituale, ma solo un cervello evoluto, sarebbe quindi anch’egli frutto del caso e non creato da Dio “a sua immagine e somiglianza”). In base a tale mito gli studi di Darwin avrebbero definitivamente sepolto tutto ciò. Secondo questa lettura tutto sarebbe appunto ricondotto a ferree leggi biologiche e ad eventi puramente casuali; dunque ormai non ci sarebbe più alcuno spazio per una presunta finalità e per un Creatore.

Quando poi l’ipotesi dell’evoluzione diventa evoluzionismo, una dottrina, una presunta spiegazione totalizzante della vita e dell’uomo(ad esempio in Huxley, Haeckel, Simpson e Dawkins), in realtà scende dal piano della ricerca scientifica per assurgere, senza poterlo fare, al livello di una dottrina metafisica (come la definisce anche Nicola Abbagnano). 

E tutte queste idee sono credute come scientifiche, come dogmi assolutamente certi e indiscutibili, così che chi osasse negarle sarebbe immediatamente considerato imperdonabilmente retrogrado e ignorante. Il dato impressionante è che dopo 2000 anni di cristianesimo, che ha plasmato tutta la civiltà occidentale ed ha inciso sulla storia dell’umanità (sulla stessa concezione dell’uomo) più di qualsiasi religione e filosofia, nell’arco degli ultimi decenni le convinzioni più fondamentali del cristianesimo e quindi le questioni più decisive dell’esistenza, sarebbero spazzate via da una teoria senza prove. Una teoria creduta infallibile, che si insegna anche ai bambini!

Anche un bambino di 6 anni oggi si chiede: ma ha ragione la maestra che ci dice che siamo nati dalla scimmia o ha ragione la catechista che ci dice che siamo stati creati da Dio?

La nuova divinità sarebbe il Caso (da cui tutto dipende e che sarebbe in grado di spiegar ogni cosa), che insieme alla necessità – cioè da un lato i determinismi della natura e dall’altro la pura casualità – sarebbe la nuova certezza, la nuova fede moderna.
Quando ad esempio J. Monod ha scritto il suo libro Caso e necessità (1970), lanciato con grande fortuna di pubblico, è stato considerato e divulgato come la “Bibbia dei non credenti, degli atei” (dove al posto di Dio c’è il Caso)!

L’a-finalismo (materialismo) di J. Monod non è però scientifico ma è una posizione filosofica (Marcozzi). La stessa espressione “caso e necessità” è infatti già di Democrito (“Tutto ciò che esiste nell’universo è il frutto del caso e della necessità”). A Caso e necessità rispose puntualmente il grande biologo gesuita Vittorio Marcozzi (v. poi) con il suo libro Caso e finalità.

E’ incredibile come tale teoria evoluzionistica continui ad essere presentata come un dato di fatto, mentre non lo è assolutamente. Molti scienziati devono ammettere semplicemente di crederci. Molti ammettono l’esistenza del dogma evoluzionista. Qualcuno ammette che il vero motivo è l’ateismo,  cioè pura “teofobia” (Sermonti). Sembra proprio che interessi non tanto la questione scientifica, ma la possibilità di negare così la creazione e l’esistenza di Dio.

L’opera di Darwin ebbe un’enorme propaganda (v. Huxley), non tanto per convincere il mondo scientifico, quanto per combattere la Chiesa e il sentimento religioso in generale.

L’evoluzionismo diventa un’arma contro la religione: “L’evoluzione è la prova vivente che la religione è falsa” (Nestourkl, antropologo russo). “Con l’evoluzione cade tutto il mondo metafisico e morale” (Montalenti, genetista). Anche in una recente intervista lo scienziato ateo Dawkins si esprimeva in toni sprezzanti contro la fede, esaltando “Darwin (come) antidoto all’ignoranza” (la Repubblica, 19.02.2010).

Il modo con cui viene continuamente riaffermato il darwinismo (evoluzionismo), censurando tutte le critiche e continuando a non provarlo scientificamente è davvero anomalo e contrario alla scienza stessa. Allo stesso modo, vengono boicottati gli autori antidarwiniani del tempo. Lo stesso Mendel, il padre della genetica, fu ignorato perché le sue scoperte ponevano in crisi il darwinismo.
Il mito evoluzionista abbraccia ogni campo, allargandosi dalla biologia all’astronomia, dalla geologia storica alle psicologia, sociologia, linguistica, storiografia, pedagogia e fino alla politica (v. la presunta scientificità del socialismo, con il suo materialismo dialettico: non a caso K. Marx voleva dedicare la sua opera principale – Das Kapital – proprio a Darwin e fu proprio lui a rifiutare l’omaggio, per non addolorare troppo la moglie, devota cristiana). ù


 


2) L’evoluzionismo


2.1 – Una teoria, non scienza sperimentale

Se la scienza moderna (galileiana) è quella sperimentale, allora la teoria dell’evoluzione non è scientifica, anzitutto perché non è né osservabile né riproducibile in laboratorio.
Il fatto stesso che Darwin, a parte quel famoso ed unico viaggio, non si mosse mai da casa e scrisse lì tutte le sue opere, dovrebbe già dimostrare che la sua teoria dell’evoluzione – almeno nel suo sorgere – sia un’intuizione, al massimo una possibilità, un’ipotesi, non certo una certezza scientifica.
Non abbiamo infatti mai sperimentato, ancor oggi, che si passi da una specie animale ad un’altra.
E per definizione non sarà mai sperimentabile (perfino se fosse vera) – e quindi non sarà mai una “legge scientifica” – perché non saranno mai riproducibili in laboratorio (per definizione) variazioni e nessi di cause ed effetti che sono comunque avvenute in milioni di anni.
La ricerca sui fossili, che ci fa vedere diversi stadi all’interno delle diverse specie, non ci permette assolutamente di vedere il passaggio da una specie ad un’altra, almeno che noi non leggiamo quei reperti in base ad un “a priori” che presuppone già che ci sia l’evoluzione. Mancano tutti gli anelli di congiunzione, abbiamo apparizioni improvvise di nuove specie, sparizioni improvvise di altre e la persistenza di vecchie specie che in base alla teoria darwiniana sarebbero dovute sparire.
Dati poi i lunghissimi tempi (migliaia e milioni di anni) che una casuale evoluzione biologica richiede per provocare sostanziali mutazioni, non si capisce come abbiano potuto allora nel frattempo sopravvivere certi animali.
Dunque, contrariamente a quanto in genere si pensa, quella di Darwin non è la scoperta di una legge scientifica, ma un’ipotesi, una dottrina, diventata perfino un mito, un credo ideologico.

Oggi “chi assumesse l’evoluzione biologica come unica spiegazione della realtà esistente, la quale avrebbe in se stessa e da se stessa ogni potenzialità, escludendo qualunque altra dimensione, si muoverebbe in un’ottica non più scientifica, ma filosofica e ideologica”.

Semmai la teoria di Darwin – ed i molteplici suoi sviluppi che ha avuto in questi 150 anni – può essere utile per capire alcuni fattori che permettono la “micro-evoluzione” (mutamenti all’interno di una specie), ma è in genere smentita quando la si applicasse alla “macro-evoluzione” (passaggi da una specie ad un’altra); quando poi la si vuole tradurre in un materialismo ateo (pura casualità e necessità, senza finalità e senza bisogno di Dio) ed estendere perfino all’uomo, con la pretesa di spiegarne totalmente l’apparire e la natura, allora diventa pura ideologia, un presunto assunto metafisico, indimostrato e indimostrabile.
Ascoltiamo in proposito il grande scienziato Antonino Zichichi (lo scopritore dell’antimateria):

“Diciamo subito che la Teoria dell’Evoluzione Biologica della specie umana non è Scienza galileiana. Se l’uomo dei nostri tempi avesse una cultura veramente moderna, dovrebbe sapere che la teoria evoluzionistica non fa parte della Scienza galileiana. A essa mancano i due pilastri che hanno permesso la grande svolta del milleseicento: la riproducibilità e il rigore […] Essa pretende di andare molto al di là dei fatti accertati […] Una teoria con anelli mancanti, sviluppi miracolosi, inspiegabili estinzioni, improvvise scomparse, non è una scienza galileiana. Essa può, al massimo, essere un tentativo interessante per stabilire una correlazione temporale diretta tra osservazioni di fatti ovviamente non riproducibili, obiettivamente frammentari e necessariamente bisognosi di ulteriori repliche […] Dal punto di vista scientifico è solo un’ipotesi […] anche interessante, ma non vagliabile in modo sperimentabile e riproducibile, come ogni scienza galileiana […] Infatti se la teoria evoluzionista avesse basi scientifiche serie, essa dovrebbe essere in grado di predire il valore esatto dei tempi che caratterizzano l’evoluzione umana. Invece i sostenitori della teoria evoluzionista del genere umano non hanno la minima idea di come impostarne le basi matematiche […] eppure molti arrivano all’incredibile presunzione di classificarla come un’esatta teoria scientifica, corroborata da verifiche sperimentali […] La teoria dell’evoluzione biologica della specie umana è uno degli atti di mistificazione culturale più gravi che siano stati commessi da quando è nata la scienza […] Eppure l’uomo della strada è convinto che Darwin abbia dimostrato la nostra diretta discendenza dalle scimmie (pretendendo tra l’altro in questo modo di negare Dio), […] che sarebbe oscurantista negarlo; […] quando invece gli oscurantisti sono coloro che pretendono di far assurgere al rango di verità scientifica una teoria priva di una pur elementare struttura matematica e senza alcuna prova di stampo galileiano […] Insomma, mettere in discussione l’esistenza di Dio, sulla base di quanto gli evoluzionisti hanno fino a oggi scoperto, non ha nulla a che fare con la scienza. Con l’oscurantismo moderno sì” (Antonino Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo. Tra fede e scienza, Il Saggiatore 1999, pp. 81-85).



2.2 – Nessuna esperienza della nascita di una specie da un’altra

Possono darsi mutamenti all’interno di una specie, mai non abbiamo mai assistito al passaggio da una specie ad un’altra; e non abbiamo neppure elementi per asserire che ciò sia avvenuto millenni o milioni di anni fa. 
A dire il vero, Charles Darwin ha dubbi sull’esistenza stessa della specie, che considera alla stregua di una convenzione.

Darwin afferma in proposito: “Considero il termine <specie> come la denominazione data arbitrariamente, per ragioni di convenienza, ad un insieme di individui con forti somiglianze reciproche”.

Vittorio Marcozzi, il grande scienziato gesuita contemporaneo peraltro aperto a questa ipotesi evoluzionistica (purché rimanga nei suoi limiti e soprattutto non si estenda all’uomo in tutto il suo essere), ci ricorda ad esempio che: i vertebrati appaiono in modo improvviso (nel Siluriano, periodo successivo al Cambrico) e non è possibile dire donde abbiano avuto origine; anche vari tipi di vegetali sono comparsi improvvisamente; abbiamo la comparsa improvvisa delle classi e degli ordini; c’è la mancanza di forme intermedie; così come permangono forme immutate.

Abbiamo fossili di microrganismi di 2,5 miliardi di anni fa, ma per 1,5 miliardi di anni abbiamo solo microfossili; però 600-500 milioni di anni fa c’è la comparsa improvvisa di tutti i tipi di invertebrati. Abbiamo la comparsa improvvisa di phyla animali, dei gruppi maggiori, degli ordini, forme che si avvicinano ma che non si saldano, gruppi che non è possibile congiungere ai precedenti. Esistono molte serie genealogiche nei gruppi minori (famiglia, genere, specie); ma molti generi sono rimasti sempre invariati.

L’evoluzione, se c’è stata, è discontinua, a scatti. Non è possibile spiegare tutto ciò con meccanismi casuali (come fa la cosiddetta “teoria sintetica”, cioè con piccole mutazioni e la selezione); neppure se si separano individui della stessa specie e si mettono negli ambienti più diversi per milioni di anni. Pensiamo che in 10.000 generazioni (e tra noi e gli Egiziani ce ne sono solo 200!), e anche con tutti i nostri esperimenti di laboratorio, non vediamo l’apparire di una nuova specie (lo ammettono anche i genetisti, come Dobzansky e Heuts). Esistono invece, ad esempio, oltre 1000 mutazioni del “moscerino del mosto” (Drosophila melangaster). 



2.3 – Dai fossili nessuna certezza dell’evoluzione

Un altro dogma scientifico è quello che crede che i fossili (a parte che Darwin non ne ha mai trovato uno, avendo fatto i suoi studi in casa) comprovino la teoria evoluzionistica. 
Tra l’altro nessuno può dedurre con certezza che tra due fossili differenti ci sia stato una mutazione dall’uno all’altro.
Sappiamo inoltre che la scoperta di un fossile è elemento rarissimo rispetto alla totalità della specie o addirittura dei viventi (per la possibilità stessa della formazione di un fossile, in genere in ambiente umido che possa rapidamente calcificarsi prima della deformazione). I fossili non dicono quello che gli evoluzionisti pretenderebbero (lo dice perfino un convinto evoluzionista quale il paleontologo statunitense contemporaneo Stephen Jay Gould). 
Rimangono ancor oggi specie di animali uguali ai rispettivi fossili di decine e decine di milioni di anni fa: come mai l’evoluzione, la selezione naturale, in questo caso non ha prodotto cambiamenti?

Esistono tuttora “fossili viventi”, cioè persistono uguali specie da centinaia di milioni di anni (come il crostaceo neoglyphea o il pesce celacanto), con una struttura che secondo le teorie di Darwin sarebbero già dovute scomparire da centinaia di milioni di anni. Proprio i fossili ci dicono ad esempio che: le formiche sono uguali da 100 milioni di anni, le libellule da 135 milioni di anni, gli squali da 400 milioni di anni, i pipistrelli da 55 milioni di anni (quando compaiono improvvisamente, e sono più di 110 varietà), così le tartarughe. E non ci sono anelli intermedi, ad esempio nella particolarissima struttura ossea (vuota) degli uccelli, o di stadi intermedi tra le branchie e i polmoni (così vertebrati/invertebrati, insetti/pesce, pesci/sauri, sauro/uccelli, sauro/mammiferi, uccelli/mammiferi; così come non esiste l’uomo/scimmia, con accorciamenti progressivi della coda e degli arti superiori).

Non c’è stata una trasformazione dal semplice al complesso, dall’elementare al sofisticato, dall’inidoneo all’idoneo; questo non corrisponde ad alcuna cronologia paleontologica. La vita sulla Terra è apparsa già complessa.
Nelle rocce precambriane non troviamo fossili di presunti progenitori degli organismi cambriani  (dover abbiamo invece una fauna marina ricchissima e straordinariamente eterogenea). La diversità biologica non è aumentata dal Cambriano ad oggi. Perfino Darwin rimaneva molto perplesso nello studiare questo problema. 
Invece di arrampicarsi sugli specchi con decine di teorie tra loro contraddittorie pur di affermare l’evoluzionismo, è meglio riconoscere che quei progenitori non sono mai esistiti.
Siamo di fronte all’assenza di forme intermedie fra le categorie biologiche naturali: mancano i resti fossili degli “anelli di congiunzione” postulati dagli evoluzionisti. Dobbiamo ammettere che il sistema biologico naturale risulta strutturato in forma discreta e discontinua; e non continuare a credere ad una teoria senza averne alcuna prova o postulando che si troveranno un giorno questi anelli.
Ancora più ideologico il presunto passaggio tra gli animali e l’uomo: mancano totalmente i fossili di questi presunti progenitori (fase intermedia) dell’uomo: “l’idea di uno sviluppo graduale della nostra specie da creature come l’australopiteco, attraverso il pitecantropo, il sinantropo ed il neeanderthaliano, deve essere considerata come totalmente priva fondamento e va respinta con decisione” (Sermonti-Fondi).

Molte volte la ricerca spasmodica di reperti di una dottrina costruita a priori giunge anche ad errori clamorosi, come quello di Boule sullo scheletro di La Chapelle-aux-Saints (che sembrava un progenitore dell’uomo mentre in realtà è risultato essere un uomo deformato da una grave artrosi); si giunge perfino a rifiutare alcuni fossili perché metterebbero in crisi la teoria evoluzionistica.

Nel novembre 1999, l’autorevole rivista National Geographic ha pubblicato in pompa magna la foto di una lastra minerale dove si vedeva un dinosauro con ali e piume: “è la prova che gli uccelli si sono evoluti da questi antichi rettili”, ha esultato il biologo Palevitz nell’articolo che accompagnava la scoperta. Subito dopo, s’è appurato che “il fossile” era un falso, composto da due fossili diversi (un uccello e un sauro) incollati assieme, opera dei contadini cinesi della zona di Liaoning, che sfruttano e vendono (sul mercato nero) i fossili di un giacimento locale. Uno “scandalo” molto chiacchierato in Usa (ma non in Italia).



2.4 – Dagli allevamenti animali all’opera della natura?

Nei suoi studi Darwin cerca di avvalorare la sua teoria evoluzionistica con osservazioni tratte dagli allevamenti animali, con incroci, selezioni (oggi andrebbe con entusiasmo nei laboratori di genetica, con tutte le alchimie sulla vita che vi si compiono); soltanto che poi deduce che in milioni di anni la natura (che invece non è intelligente) avrebbe compiuto spontaneamente qualcosa di analogo.

Scrisse nel 1868 The Variation of Animals and Plantes under Domestication, in cui, oltre al trasferimento di quanto osservato e compiuto “artificialmente” negli allevamenti degli animali a ciò che si compirebbe “spontaneamente” nella natura, si uniscono osservazioni sugli animali a quelle sulle piante.



2.5 – La funzione crea l’organo?

L’idea che possa essere la funzione a creare l’organo (idea che Darwin assunse da Lamarck) e che quindi la selezione permetta la formazione di un organo (si discute sempre se permangano gli individui più dotati in grado di rispondere così meglio alle sfide dell’ambiente o se sia l’ambiente a sollecitare per così dire la formazione di organi atti a farvi fronte) è comunque stravagante, specie al di fuori di una concezione “finalistica”. 
Intanto gli organi si formano prima che agisca la selezione. Poi i mutamenti biologici avvengono in tempi lunghissimi e non si capisce nel frattempo come questi individui potrebbero far fronte alle sfide o sollecitazioni che vengono dalla situazione (e in moltissimi casi senza quell’organo o in quel modo non potrebbe assolutamente vivere in quella situazione).
Infine e soprattutto, come abbiamo già osservato, ciò sarebbe incomprensibile senza una finalità (con la pura casualità), cioè senza la tendenza ad uno scopo (fosse anche solo quella fondamentale della sopravvivenza di sé e della specie), e questa senza una mente, visto che un fine è ancora assente (è presente solo in una mente come idea) e come assente non può operare.

Idea in sé stravagante e perfino assurda: come può un fine che ancora non c’è creare i presupposti perché si raggiunga? Un fine ancora assente può essere presente solo in una mente (e ammissibile solo se la natura è stata pensata e creata da Dio, altrimenti dovremmo ammettere che è intelligente la Natura stessa).



2.6 – Adattamento all’ambiente?

Anche quello dell’adattamento all’ambiente è per sé un dogma darwiniano. Potremmo infatti paradossalmente affermare che un sasso si adatta meglio all’ambiente rispetto ai viventi, che i vegetali si adattano meglio degli animali, e tra gli animali, si adattano meglio quelli che non devono neppure muoversi per sopravvivere (come i mitili). Il batterio è la forma di vita che più si adatta all’ambiente; allora perché, in base alla spiegazione mediante l’adattamento all’ambiente, avrebbe dovuto essere all’origine di altre specie?
Quello dell’adattamento è un postulato metafisico dell’evoluzionismo; può essere al massimo un dato di fatto (o una tautologia), non una legge scientifica.



2.7 – Lotta per la sopravvivenza?

Abbiamo già osservato come l’idea di lotta-per-l’esistenza fosse diventato addirittura un ‘luogo comune’ già nella prima parte del XIX secolo e come risentisse dell’eredità filosofica hegeliana.

Hubbes e Malthus lo fecero diventare oltre che un principio filosofico un principio-guida per l’interpretazione addirittura dei dinamismi sociali (ed ebbe enorme importanza nel marxismo). Prima che in Darwin è presente in Lamarck, Paley e Lyell, ma anche in Townsend, Matte e Chambers.

L’idea che la lotta per la sopravvivenza (aggressività, competizione) fosse una causa determinante per la selezione naturale della specie e delle specie – facendo persistere solo gli individui o le specie più dotati – fu una ferrea convinzione di Darwin, talmente esagerata che egli stesso ammise più tardi (già nel 1871) di avervi dato troppa importanza. Semmai c’è un accrescimento di questi fattori in periodi a noi più vicini.
Considerata “una delle più grandi sviste del suo lavoro” (v. Fromm, Wright, Childe), viene però ancora creduta e divulgata acriticamente.
Da parte di alcuni grandi scienziati (come Morgan, il più grande dei genetisti classici dopo Mendel, Waddington e Popper) si fa osservare che questa idea si regge su una tautologia, un circolo che non spiega nulla (prevalgono i migliori perché sono migliori; chi sopravvive? il più adatto. Chi è il più adatto? chi sopravvive). E pensare che Darwin trasferisce questo assunto anche sullo sviluppo umano.

Ci fu chi (Spencer, Summer) trasferì questa teoria a livello sociale (“darwinismo sociale”), giustificando in questo modo le disuguaglianze sociali e le ingiustizie come esiti necessari della selezione naturale e stabilirono un parallelo meccanico tra evoluzione biologica ed evoluzione sociale (anche l’idea marxista di “lotta di classe”, avevamo notato, risente di questa impostazione un po’ caricaturale, tanto che Marx avrebbe voluto dedicare a Darwin la sua fondamentale opera Il Capitale).

Oltre ad essere smentito da un’osservazione più attenta, specialmente per quel che ci riguarda come esseri umani (capaci perfino del totale sacrificio di sé per gli altri), oggi emergono anche dalla paleontologia dei dati sorprendenti e contraddittori: un fattore decisivo per la sopravvivenza sarebbe non l’aggressività e la lotta per la sopravvivenza, ma la cooperazione.
A dire il vero c’era chi aveva già sottolineato questo aspetto, come gli scienziati Kropotkin (ne Il mutuo soccorso nel mondo umano e animale) e von Üxkuell, che addirittura riconobbe “la relazione come principio biologico fondamentale”. Si potrebbe perfino affermare che ha più opportunità di permanere chi è più capace di vivere nel gruppo.

Tra i neodarwiniani, nonostante permangano coloro che danno eccessiva importanza alla lotta per la sopravvivenza (Lorenz, Monod), abbiamo chi riconosce invece anche l’importanza della cooperazione (Jacob), o addirittura pensano che l’altruismo gratuito sarebbe un fattore ancora più forte rispetto all’aggressività (Pearson, Kropotkin, Teilhard de Chardin, Dobzhansky, Leakey, Lewin,  Keith, Darlington).

Nel caso degli esseri umani, sono stati trovati reperti fossili in cui si evidenzia come l’individuo meno dotato (ad esempio con scheletro che evidenzia gravi menomazioni) fosse non isolato e scartato ma addirittura oggetto di particolare cura ed attenzione.

“Possediamo la documentazione di forme di assistenza di individui portatori di menomazioni fisiche, che testimoniano una solidarietà operante già presso l’uomo preistorico […] La competizione e la lotta sono aumentati durante il periodo Neolitico. Dal punto di vista evolutivo la socialità e la cooperazione, più che la competizione e l’aggressività, hanno giocato un ruolo particolarmente importante, nel senso che hanno rappresentato, insieme ad altre espressioni della cultura, un fattore di evoluzione e di successo della specie umana, tanto sul pian biologico che su quello culturale” (F. Facchini).

Gli uomini della preistoria avevano cura dei bambini e si interessavano seriamente degli invalidi. I popoli più primitivi sono generalmente pacifici.



2.8 – Mutazioni trasmesse per via genetica?

In realtà Darwin sa poco o nulla circa i caratteri ereditari, visto che sono ancora in corso gli studi di Mendel.

Dobbiamo la scoperta delle “leggi dell’ereditarietà”, una delle più grandi scoperte della biologia, al monaco agostiniano J. G. Mendel (1822-1884), priore del convento di Brünn (dove fu professore di fisica e scienze naturali, dopo aver compiuto gli studi all’università di Vienna). Fu proprio nell’orto di quel convento – e non solo con elucubrazioni mentali, come invece fece Darwin – a compiere per 8 anni di “esperimenti” di ibridazione di alcuni vegetali (piselli, fagioli, ecc.). Descritta questa eccezionale scoperta nel 1865 nel suo Esperimenti di ibridazione nelle piante, fu ignorata per 35 anni (qualche studioso lo imputa proprio al fatto che avrebbe smentito Darwin), fino a quando, morto Mendel, i biologi De Vries, Tschermak e Correns poterono compiere le stesse sue scoperte e riconoscere la validità di quanto l’ignorato abate aveva già scoperto (e nel 1900 gli furono resi i dovuti postumi riconoscimenti). Tutto diverrà ancora più chiaro con la più recente scoperta del DNA.

Darwin aveva assunto da Lamarck anche questa idea della trasmissione ereditaria delle mutazioni avvenute, cosa peraltro smentita dalle attuali conoscenze genetiche. Secondo la moderna genetica i geni sarebbero infatti sostanzialmente gli stessi in tutta le biosfera; la struttura del DNA rimane fondamentalmente invariata nel mondo vivente (il genotipo è, nelle sue linee fondamentali, una costante, con variazioni secondarie, dal batterio all’uomo). La genetica mostra cioè che il substrato genetico sia fondamentalmente costante e che le grandi differenze non sono genetiche. Anche la paleontologia mostra che le diverse forme viventi non sono sorte gradualmente e la diversificazione degli organismi è rimasta sostanzialmente costante nel tempo. Si potrebbe perfino affermare che nella natura c’è un “disegno non-evolutivo”. Si può infatti osservare che le mutazioni genetiche, invece che in senso evolutivo (come vorrebbe Darwin), sono tutte degenerative e patologiche. Anche la biologia molecolare ha dimostrato il carattere sostanzialmente “astorico” della vita.

“Purtroppo tra gli evoluzionisti c’è un’aura di deificazione di Darwin, che tende a soffocare il dibattito” (Vermuza).

Si potrebbe dire che pure la genetica neghi che si passi da una specie ad un’altra: la diversificazione dei geni è avvenuta solo nelle sub-unità funzionalmente irrilevanti. Inoltre, i caratteri acquisiti non si trasmettono. Che sia impossibile trasferire caratteri ereditari da un individuo di una specie ad un individuo di un’altra specie è mostrato anche dagli attuali esperimenti genetici come in quelli per via chirurgica (ogni tentativo è sempre fallito).

Scrive Esteller: “Uno dei risultati più sorprendenti del confronto dei genomi di varie specie animali è quanto simili essi siano. Il genoma del topo non differisce molto da quello dell’uomo. Come possiamo allora spiegare le differenze?”.

Inoltre, come aveva già mostrato Mendel, la trasmissione dei caratteri ereditari non è casuale ma secondo una logica di calcolo delle probabilità.

Dunque, “si può riconoscere che, nonostante delle geniali intuizioni, le idee di Darwin sul meccanismo dell’ereditarietà erano sbagliate e confuse” (Matt Ridley, National Geographic febbraio 2009).



2.9 – Caso e selezione naturale?

Senza scadere in un esplicito materialismo, per Darwin la nascita e lo sviluppo dei viventi e delle loro specie sarebbe frutto del caso e della selezione naturale.
In realtà “caso e selezione naturale” sono a-priori ideologici che non spiegano né la possibilità di sussistenza, in attesa dei tempi di evoluzione, né il fatto che ci sia un orientamento, cioè una scelta (la Natura non “sa” quello che fa). L’intelligenza che si manifesta nella natura non si identifica con questa.

Quella della selezione naturale, aggiunta alla pura casualità, sarebbe per l’antropologo e paleontologo Facchini un’ulteriore deus ex machina, cioè un artificio creato appositamente per far tornare i conti. Se la selezione naturale ha avuto un ruolo nella storia della vita, l’ha avuto per il motivo opposto a quello affidatole da Darwin, cioè quello di conservare stabile e funzionale il materiale genetico esposto all’avaria dei millenni.

Lo stesso Darwin riconoscerà poi l’insufficienza del concetto di “selezione naturale nella lotta per la vita”.

Del resto già nel ‘900 c’è stato chi tra i seguaci di Darwin (ad esempio Dobzhanski, Mayr, Simpson) ha parlato di una casualità “orientata o incanalata”, secondo fattori che Darwin non aveva considerato.

2.10 – Fede cieca nel Dio-Caso

Che singoli avvenimenti, incroci, mutazioni, siano derivati casualmente da forze e cause in sé tendenti ad altri è ovviamente ammissibile.

Anche il caso sarebbe comunque guidato da Dio? Secondo Fiorenzo Facchini (Vita e Pensiero, 2011) “non è necessario disturbare la causalità divina per supplire o guidare in modo diretto i cambiamenti della natura (come sostiene la teoria dell’Intelligent Design) … Causalità e casualità si possono intrecciare. Il caso è incluso nella realtà creata ed entra nel progetto del Creatore, che noi vediamo a posteriori, a differenza di Dio a cui tutto è presente … tutto va ricondotto a Dio, sia pure attraverso le cause seconde … quale può essere l’intenzione? Quale senso può avere la crescita della complessità? è il problema di una finalità generale che la scienza empirica non è in grado né di affermare e neppure negare, perché la questione di un fine generale non entra nei suoi orizzonti”

Ma che la pura casualità sia globale, cioè sia estensibile all’intero processo evolutivo (addirittura all’universo intero!) è oggi scientificamente insostenibile.
Proviamo a fare un calcolo delle probabilità, anche solo per un singolo evento biologico:

Solo per la formazione di una molecola di sostanza proteica, anche molto semplificata (molecola formata da 50 anelli di 20 qualità), è di 0,(45 zeri)1 (calcolo dello scienziato sovietico Oparin), ma gli aminoacidi non sono 50 ma centinaia e di 30 qualità. Tutta la materia dell’universo sarebbe insufficiente a preparare, sia pur in un solo esemplare, la possibile gamma delle sostanze proteiche. L’improbabilità estrema diventa impossibilità qualora pretendessimo di ottenere l’intera struttura di un vivente. Come se gettando a caso tutte le singole lettere che compongono l’Iliade potessero comporne il testo completo: potremmo dire che sarebbe 1 caso su 10 alla millesima potenza; ma a questo livello dire alla millesima o alla miliardesima non cambia, perché è come dire che non si avrebbe mai.

La presunta gradualità non diminuirebbe ma accrescerebbe tale impossibilità; né l’enorme quantità di tempo, visto che anche questo aumenterebbe anche le possibilità di distruzioni e sostituzioni. Se non si ammettono nella materia direzioni preferenziali di combinazioni, non si spiega la formazione di un vivente. Chi la riconduce alla selezione, le dà un potere magico, cioè la capacità di scegliere tra le tante combinazioni possibili quelle atte a mantenere e a far progredire la vita. Anche se conferisse preferenza ai più atti alla vita, non li rende tali ma li suppone.. è necessario ammettere che la materia “tende” a formare strutture relativamente stabili ed a mantenerle.

Con la pura casualità non sarebbero sufficienti i tre miliardi di storia della vita per formare le principali strutture (lo ammettono anche neodarwinisti convinti come Dobzansky e Goldschimdt).

Gingerich (astronomo di Harward) osserva: una proteina è formata da 2000 atomi, ordinatamente collocati: se ciò fosse frutto del caso, avverrebbe 1 volta su 10 alla 321sima. “A elaborare le proprietà dell’atomo di carbonio deve essere stata, per forza, un’intelligenza superiore: le nostre probabilità di rintracciare un simile atomo nel caos delle forze della natura sarebbero state assolutamente irrisorie […] alcuni sentieri percorsi dall’evoluzione sono così intricati e complessi da rendere spaventosamente improbabile l’eventualità che a guidarli sia il puro caso … chi non crede nell’azione divina deve credere ad una casualità estremamente fortunata”.

Le probabilità di formarsi a caso di una cellula (un centomillesimo di m/cubo) sarebbe come credere che migliaia di “scimmie dattilografe” scrivano (a caso) l’intera bibliografia del mondo.

Il grande scienziato russo Bogdanov: un gruppo di biologi ha tentato con un potentissimo computer di fare un calcolo delle probabilità sulla possibilità che il “caso” sia responsabile dell’ottenimento anche solo degli oltre 2000 enzimi necessari per ciascuno dei circa 20 amminoacidi che compongono una cellula vivente: 1 su 10 alla millesima potenza, come se tirando due dadi la somma facesse ininterrottamente 12 per 50.000 volte di seguito; e se si concedesse che una cellula si fosse formata casualmente, per formare una molecola di acido ribonucleico, la natura dovrebbe moltiplicare i tentativi per un milione di miliardi di anni, 100.000 volte di più dell’età dell’universo.

Il biochimico molecolare Bucci: il grado di informazione di un batterio è circa 5000 volte superiore alla Divina Commedia, ma chi direbbe che battendo a caso sui tasti di una macchina da scrivere potrebbe venir fuori per 5000 volte la Divina Commedia? “La causa della vita non è all’opera solo all’inizio, ma è in permanente attività, essendo la vita in evoluzione, come un progetto che si attua in tempi piuttosto lunghi […] e in ciò la vecchia ipotesi del <caso> non ha verifiche […] con una improbabilità così alta da rassomigliare alla impossibilità.

Duclaux, dell’Académie des  Sciences: il tempo non solo della Terra ma dell’intera galassia non basterebbe per permettere tale evoluzione (senza finalità, solo con meccanismi mutazioni + selezione): è stato calcolato che solo la produzione di 1000 enzimi ha una probabilità di 0,45zeri 1; con 1 milione di tentativi al secondo ci vorrebbero milioni di miliardi di anni!

Lo scienziato Gosztonyi: anche se un organismo avesse solo 10.000 geni (patrimonio genetico di un umile batterio) con sole 2 mutazioni ciascuno, supponendo che avvenga 1 mutazione per secondo, perché si formi l’intero organismo occorrerebbero 10 secondi alla 3000sima, ma il cosmo intero ha solo 4,1×10 alle 17sima (circa 13 miliardi di anni).

Xuan Thuan (astrofisico): “Perché comparisse la vita, poi, ci vuole una combinazione di particolari numeri, tra migliaia di altre combinazioni. Questo concorso di circostanze è troppo straordinario perché il caso ne sia il solo responsabile. Ecco perché sono certo che c’è un Creatore” (Figaro Magazine, 28.04.1989).

Come possiamo notare, molti punti dell’<evoluzionismo> sono dogmi indimostrati, anche se oggi universalmente creduti e ritenuti indiscutibili. Eppure si tratta, a ben vedere, di una fede cieca nell’assurdo (visto che nessuna cosa può dare ciò che non ha o può derivare da ciò che non c’era), nelle miracolose potenzialità del Caso e in una logica della Natura che sarebbe però cieca e causa di se stessa.




2.11 – Una finalità

Come abbiamo già sottolineato, parliamo di finalità quando c’è la tendenza verso un fine, verso uno scopo; ma un fine, visto che ancor non c’è (perché è nel futuro) può essere solo in una mente. 
Ora, se nella natura vediamo la tendenza verso uno scopo – fosse anche quella dell’evoluzione, cioè del miglioramento della vita – significa che c’è una finalità; ma se c’è una finalità significa appunto che c’è una mente (un progetto, un disegno). La Natura non è intelligente essa stessa (torneremmo all’arcaico animismo se dessimo poteri spirituale, di pensiero, alla natura stessa!), non sa quello che fa. Dunque riconoscere nella natura una finalità è come riconoscere l’esistenza di una Mente creatrice, cioè Dio.

Nel XVIII secolo il fondatore dell’anatomia patologica Morgagni vedeva esplicitamente proprio nell’anatomia patologica l’opera di Dio. Nel XIX secolo era convinto finalista (convinto di un’idea creatrice, direttrice) Claude Bernard, uno dei più grandi fisiologi.

Dunque la stessa idea di <evoluzione> non è ammissibile senza l’intervento di una Mente Suprema. 
Dobbiamo poi tener presente che, anche ammettendo l’evoluzione (quindi una finalità intrinseca alla natura che rivela comunque un progetto divino), rimane la questione dell’origine della vita (il passaggio dalla materia alla vita rimane un salto ontologico ancor oggi misterioso) e poi la questione dell’origine stessa dell’universo e il suo sviluppo. Infine la nascita di un animale pensante (uomo) è l’ultimo straordinario e misterioso salto ontologico.

Così si esprime il neodarwinista Edoardo Boncinelli (che non estende però all’uomo l’evoluzionismo degli animali): “ci sono nella storia cosmica tre <Big Bang>: c’è un Big Bang cosmico (nascita dell’universo), uno biologico (nascita della vita) ed uno neurologico (la nascita dell’essere pensante che è l’uomo): nessuno di questi tre è possibile senza un intervento del Creatore.

Nella nascita e in tutto lo sviluppo dell’universo vediamo svolgersi un progetto, una finalità.

Anche riguardo ad una delle scoperte o ipotesi più recenti, quella dell’<energia oscura>, il giovane astrofisico di Cambridge John D. Barrow, uno dei più grandi matematici e cosmologi viventi, afferma: “per capire l’energia oscura nell’universo occorre una cifra di 10 seguito da 120 zeri, e se mancasse solo uno zero la vita in esso non sarebbe stata possibile”.

Per Jen Dorst, professore di zoologia dei mammiferi e degli uccelli, già direttore del Museo Nazionale (francese) di Storia Naturale, “le acquisizioni della scienza contemporanea non smentiscono nessuna verità della fede cristiana […] nel mondo vivente si vede la potenza di Dio […] a questo livello fede e verità scientifica entrano in contatto diretto […] il costituirsi del mondo vivente nel corso di qualche miliardo di anni non è concepibile senza un disegno […] ho incontrato Dio al vertice della scienza”.

Eppure “una cellula è più complessa dell’intera nostra galassia!”
Il piano intenzionale è ancor più evidente se si passa dalla singola cellula all’organizzazione (organismo pluricellulare), dove basta togliere un pezzo che tutto ne risente.

“La causa della vita non è all’opera solo all’inizio, ma è in permanente attività, essendo la vita in evoluzione, come un progetto che si attua in tempi piuttosto lunghi […] e in ciò la vecchia ipotesi del <caso> non ha verifiche […] con una improbabilità così alta da rassomigliare alla impossibilità”.

Il biologo Galleni: “La biologia contemporanea sembra sempre più confermare l’esistenza di una grande finalità cosmica piuttosto che la casualità darwiniana: il caso non può essere l’unica spiegazione”.

Per il genetista F. Collins, responsabile del Progetto Genoma Umano, l’evoluzione non può essere casuale.

Francis S. Collins, scienziato USA nato nel 1950, è uno dei più importanti genetisti del mondo. Secondo lui l’evoluzione non può assolutamente essere casuale. Direttore dell’Istituto Nazionale di Ricerca sul “genoma umano” (1993-2008), proprio sotto la sua direzione, nell’aprile 2003, s’è ottenuta la sequenza completa e accurata del DNA umano, che egli chiama significativamente “il linguaggio di Dio”. Si convertì infatti già da giovane studioso, convintosi proprio a motivo dei suoi studi che “la fede in Dio è più razionale della miscredenza”. Afferma: “io credo che esista un progetto divino, che è passato attraverso il Big Bang e l’evoluzione per arrivare agli esseri umani … e che ci ha creato per avere con noi un rapporto (attraverso la preghiera). Questo progetto è passato attraverso il DNA, un linguaggio utilizzato come libro di istruzioni per la vita” (usò pubblicamente queste espressioni nel 2003, al termine del progetto di mappatura del “genoma umano” (in italiano: Francis Collins, Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia fra scienza e fede, Sperling & Kupfer 2007].

Collins ha anche scoperto i geni responsabili di malattie come fibrosi cistica, neurofibromatosi e il morbo di Huntingtoned. Il presidente USA B. Obama lo ha chiamato (2009) a dirigere il National Institutes of Health (NIH), la maggiore agenzia di ricerca biomedica americana, che economicamente assorbe 1/3 di quanto gli USA destinano al settore. Il 10.10.2009 il Papa Benedetto XVI lo ha nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze. Nel 2° vol. del Gesù di Nazareth di J. Ratzinger (Benedetto XVI) (2011), alla p. 123: “Francis S. Collins, che ha diretto lo Human Genome Project, dice con lieto stupore: <Il linguaggio di Dio era stato decifrato> (The Language of God, p.99). Sì davvero, nella grandiosa matematica della creazione, che oggi possiamo leggere nel codice genetico dell’uomo, percepiamo il linguaggio di Dio. (Ma purtroppo non è il linguaggio intero. La verità funzionale sull’uomo è diventata visibile. Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene e il male – quella, purtroppo, non si può leggere in tal modo”). Ancora Collins: “la scienza non ha come suo scopo diretto quello di dimostrare l’esistenza di Dio, ma può essere un primo gradino per arrivare poi, con un ragionamento filosofico, a Dio”: “l’evoluzione spiega il come, non il perché”.

In risposta alla provocazione atea di Dawkins, il biochimico americano Michael Behe parla di una “complessità irriducibile” (le molecole nella cellula e la cellula nell’organismo) [Michael J. Behe, (Darwin’s black box, 1996) trad. it. La scatola nera di Darwin. La sfida biochimica all’evoluzione, Alfa & Omega 2007].

Richard Dawkins, colpito da grave handicap ma assai noto al grande pubblico, è un darwinista di Oxford che ostenta ripetutamente il suo ateismo e si oppone con forza alla Bibbia (di cui però non sembra aver compreso il significato), anche con toni polemici, come nel suo superpubblicizzato e super divulgato L’orologiaio cieco – “considerato da taluno come la più aggiornata messa a punto della teoria evoluzionistica darwinista, in realtà è un libro di metafisica annunciato come libro di scienza” [Giorgio Tupini, Ipotesi sulla creazione, SEI (TO), 1989, p. 129] o ne L’illusione di Dio (con un milione di copie vendute). Intervistato (ovviamente) da Repubblica [19.02.2010], afferma con toni trionfalistici che “Darwin è l’antidoto all’ignoranza”, alla fede). Con Hitchens, è intellettuale di punta del <Movimento Ateo Britannico>.

In realtà, anche l’ateo Thomas Nagel critica però le posizioni di Dawkins, Dennet e Harris, definendole paradossalmente un “assolutismo relativista” (Avvenire, 30.01.2009, p. 23). Il grande genetista inglese Anthony Flew, che è invece è passato da questo ateismo di Dawkins alla scoperta di Dio, e proprio a motivo dei suoi studi sul Dna [cfr. A. Socci, Indagine su Gesù, Rizzoli (MI), 2009, pp. 9-24] (ne ha parlato tutto il mondo, ma non se n’è parlato in Italia), definisce il vecchio amico Dawkins un “laico bigotto, ostinato e intollerante” (visto ad esempio che nel suo testo L’illusione di Dio, definito un libro-mostro, viene totalmente censurata ogni religiosità, anche solo deista, come anche quella di Einstein).

Secondo il paleontologo Facchini nella natura c’è un finalismo biologico: anche solo la relativa rapidità con cui avvengono certi fenomeni evolutivi (emblematico il caso della crescita del cervello nella filogenesi umana) solleva notevoli perplessità sulla pura casualità delle variazioni.

Il finalismo, osserva Marcozzi, si manifesta poi nel corpo umano in modo sorprendente:

Il cuore batte 100.000 volte al giorno …  Il fegato ha 300 miliardi di cellule … Il cervello ha 12-14 miliardi di cellule, di cui 9-10 sono della corteccia cerebrale … Il potere di rigenerazione (“un dei numeri di magia più spettacolare del repertorio degli organismi viventi”, Needham), di cicatrizzazione, il potere di compenso o di sostituzione … (ad es. nei reni, polmoni, ghiandole a secrezione interna), l’adattamento fisiologico (omeostasi), ad es. al freddo o al caldo; i sistemi di difesa, il potere immunitario (anticorpi, svenimento) … La riproduzione … lo sviluppo … il codice genetico … (Negli altri animali, osserviamo la finalità negli istinti …  Le società animali).

La scelta di mezzi proporzionati ad un fine da raggiungere (finalismo) è infine più che mai evidente nella riproduzione:

Le cellule atte alla riproduzione (gameti) hanno la metà di cromosomi, altrimenti si moltiplicherebbero all’inverosimile rendendo la vita impossibile (oltre ad aumentare le possibilità di tare ereditarie).

Il tentativo di Monod di opporsi ad ogni finalità (cfr. Caso e necessità) denota una pretesa materialistica che non è scientifica ma ideologica. Oltre ad essere scientificamente smentito da Marcozzi (cfr. Caso e finalità), con il plauso di Jules Carles [biologo di Tolosa e direttore della ricerca al CNRS; disse del lavoro di Marcozzi: “questo mette fine ad un dogma scientifico e infligge un duro colpo ai sostenitori della mutazione per caso” (“La fine di un dogma scientifico”, articolo su La Croix del 31.12.1975)], fu aspramente criticato anche dai tre biologi (premi Nobel per la medicina 1975) Temin, Dulbecco e Baltimore, dicendo che il dogma intoccabile della biologia moderna (quello di Monod) era stato così contraddetto, infliggendo un duro colpo ai sostenitori della mutazione per caso”.




2.12 – Alcuni dati della natura contro l’evoluzionismo

Se non ci lasciamo chiudere gli occhi da un preconcetto evoluzionista, raccogliendo in essa solo quei dati che la confermerebbero, potremmo fare alcune osservazioni elementari, che i principi dell’evoluzionismo non spiegano, anzi ne sono smentiti.
Se ad esempio il principio della <selezione naturale> fosse sufficiente per spiegare l’evoluzione …

significherebbe allora che “se su una covata di rana (da 5.000 a 10.000 uova) ne sopravvivono in media 2, questi sarebbero sopravvissuti a causa di vantaggi anatomici e fisiologici? Si trovano inoltre allo stato selvaggio animali con malformazioni, che si mantengono come gli altri.

Come spiegare, senza una finalità intrinseca alla natura, l’impollinazione da parte degli insetti o il linguaggio delle api (secondo studi che proprio nel 1973 hanno meritato il premio Nobel a Karl von Frisch)? 
Come abbiamo già notato, come spiegare la sopravvivenza di alcuni animali, che secondo i principi dell’evoluzionismo si sarebbero evoluti in tempi ovviamente lunghissimi? Nel “frattempo” come avrebbero potuto sopravvivere?
Se ad esempio il collo della giraffa fosse aumentato di un metro in 1000 generazioni, vorrebbe dire 1 mm per generazione: un vantaggio praticamente inutile (Nägeli). 
L’uomo, dal punto di vista sensoriale, è assai meno dotato della maggior parte degli animali. Gli insetti, nel cammino evoluzionistico, sono evidentemente assai arretrati rispetto all’uomo. Eppure ci sono insetti in grado di percepire vibrazioni sonore 10.000 volte la nostra capacità. L’occhio umano riesce a distinguere 20 o 30 stimoli al secondo; api, calabroni, libellule e mosche hanno una capacità 10 volte la nostra. 
Come ha fatto il picchio a formarsi una lingua così lunga? Perché bruco e farfalla si alternano? Perché la lucciola fa luce e gli altri insetti notturni no? Domande imbarazzanti per l’evoluzionismo, perché non c’è risposta senza ammettere l’esistenza di un progetto e di un Creatore.

Il picchio, questo comune uccellino, ha in realtà uno stranissimo apparato linguale. Ha infatti una lingua lunga ben cm. 15, cioè quanto il suo intero corpo, che tiene arrotolata in modo strano attorno al collo e che è in grado di lanciare come una fionda per catturare insetti sotto le cortecce degli alberi. Secondo la teoria evoluzionista la strana lingua del picchio deve essersi evoluta da un antenato che, come tutti gli altri uccelli, avrà avuto una lingua di misura normale. Ma questa strana lingua si protende all’indietro: grande svantaggio per l’antenato presunto del picchio, almeno fino a quando non sia divenuta tanto lunga da ricongiungersi al becco dopo un bel giro attorno al cranio, come è oggi. Nel “frattempo”, cioè per migliaia d’anni, gli antenati del picchio hanno digiunato, essendo gravemente svantaggiati nell’alimentarsi con una lingua volta all’indietro?

Il darwinismo di nuova scuola (Stephen J. Gould) deve ammettere che l’apparato linguale del picchio s’è sviluppato in un colpo solo, in una gigantesca mega-mutazione. Ma allora, è necessario ammettere che è stato “progettato” così fin dall’inizio.

Ancora. Com’è noto, dalle uova della farfalla (il noto lepidottero) non nasce una farfalla simile alla madre, bensì un bruco. Dunque due animali dotati dell’identico codice genetico, ma con due forme assolutamente diverse. L’elenco delle diversità morfologiche fa paura: il bruco striscia su sei paia di zampe, la farfalla ne ha tre. Il bruco dispone di una bocca che mastica foglie, la farfalla ha una proboscide con cui succhia nettare. Il bruco ha sei occhi semplici, la farfalla due occhi composti, come quelli delle mosche. Il bruco ha colori mimetici e, spesso il corpo coperto di setole che lo rendono disgustoso ai predatori. La farfalla che nascerà dal bruco, ha ali vistosissime (che attirano i predatori), un sistema nervoso, l’aerodinamica atta al volo, e organi sessuali, che al bruco mancano. Quale vantaggio evolutivo hanno quelle ali sulla sopravvivenza della farfalla, perché la natura le abbia preferite al meraviglioso mimetismo del bruco? La risposta è che le ali sono un richiamo sessuale. Ma in natura esistono miriadi di modi per attrarre sessualmente il partner, senza attirare anche i predatori. Peggio: se, come ammettono i darwinisti, la forma originaria dei lepidotteri è il bruco (più “semplice”), e questo ha “imparato” a diventare la sofisticata farfalla per millenarie mutazioni, com’è che il bruco non ha apparato sessuale né riproduttivo? Come si sono riprodotti i presunti antenati e anelli di congiunzione? Dovrebbero aver vissuto per milioni di anni senza sessualità. Oppure i primi bruchi avevano organi sessuali, e poi li hanno persi? Oppure la forma “originaria” è quella volante e più complessa, e ad essere derivato è invece il bruco, più semplificato? Oppure va ammesso, ed ecco dove il darwinismo cade, che l’intero DNA del lepidottero sia stato scritto fin dall’inizio così, e abbia previsto fin dall’inizio la meravigliosa metamorfosi. Vediamo invece qui un “progetto” che ha separato due funzioni che negli altri animali sono congiunte (il bruco non fa altro che nutrirsi; la farfalla, non fa altro che accoppiarsi).

Se come dicono i darwinisti la selezione ha dotato le lucciole di una lampada, in quanto sarebbe un “vantaggio per la sopravvivenza”, perché allora le zanzare (e infiniti insetti notturni) ne sono privi?

Altro caso: il limulus, una specie di granchio corazzato che vive sulle coste dell’Atlantico. Essere “primitivo”, cugino degli antichissimi trilobiliti (estinti da milioni di anni), è considerato un fossile vivente, presente in strati fossili da 300 milioni di anni (e sempre uguale). Di recente s’è scoperto che gli occhi del limulus, di notte, aumentano il loro potere visivo di un milione di volte. Non sono affatto occhi “primitivi”. Al contrario: sono più sofisticati degli apparecchi elettronici a visione notturna usati per scopi militari. Ciò che vediamo in natura è uno scoppio di fantasia progettistica.

2.13 – Evoluzionismo contraddetto da scoperte scientifiche

L’evoluzionismo va contro il secondo principio della termodinamica (principio di Carnot: aumento di entropia): ogni sistema fisico chiuso tende verso il disordine e l’uniformità, situazioni più probabili e perdita di informazione. Questo rende impossibile l’evoluzione, se fosse casuale. 
L’evoluzionismo si spinge addirittura, pur di affermare la pura casualità, ad ammettere l’abiogenesi, cioè la generazione spontanea, il passaggio dalla materia (inanimata) alla vita, già da secoli dimostrata sperimentalmente falsa [da Francesco Redi (1626-1697; contro l’idea che le mosche nascerebbero dalla carne), da Lazzaro Spallanzani (1729-1799; coi protozoi) e da Luis Pasteur (1822-1895; coi microbi)].

Lo stesso Monod dovrà alla fine ammettere qualche dubbio sull’evoluzionismo spontaneo a motivo anche dei nuovi studi sul codice genetico (ad esempio che la formazione di proteine avviene su istruzione degli acidi nucleici e non viceversa).

Il dogmatismo evoluzionista, pur di negare l’esistenza di Dio, cerca di spiegare la nascita della vita con la particolare atmosfera della Terra (Haldane e Operin, entrambi biologi marxisti), confondendo cioè le condizioni della vita con la causa di essa (ipotesi già contestata da Towe in Nature, 1978/274), con la sintesi spontanea dei primi composti organici, con il “brodo prebiotico”, con la sintesi spontanea delle proteine e degli acidi nucleici, fino ad arrivare alla formazione spontanea dei primi organismi viventi, appunto l’abiogenesi. Pur di non arrendersi, certi evoluzionisti giungono ad ipotizzare perfino l’origine extraterrestre della vita.
L’evoluzionismo sostiene che nel DNA avvengono di continuo mutazioni accidentali.

Il genetista J. Shapiro ricorda invece che le mutazioni del DNA (la “scrittura della vita”, un vero “programma di computer”, con tutte le istruzioni per formare un essere vivente, presente sia negli esseri più primitivi che dei più evoluti) sono rarissime. Perché, dice, “il DNA è fornito di molti apparati di ‘correzione di bozze’, su vari livelli, che riconoscono e rimuovono gli errori occorrenti durante la replicazione del DNA”. Il DNA dunque si difende attivamente proprio da quelle casuali accidentalità, in cui i darwinisti identificano il motore dell’evoluzione. Di fatto, il DNA è la struttura più stabile dell’universo.

Le sole mutazioni frequenti sono quelle provocate dall’uomo su animali di laboratorio, con radiazioni nucleari o con agenti chimici che sconvolgono brutalmente la struttura del DNA. è il caso del moscerino della frutta (Drosophila Melanogaster), l’insetto preferito dai genetisti perché produce una generazione nuova ogni mese. Questi moscerini trasformati  possono peraltro vivere solo in laboratorio, grazie alle cure degli sperimentatori; in natura morirebbero prima di trasmettere il loro patrimonio genetico ai discendenti. Studiato da 80 anni in tutti i laboratori del pianeta, il moscerino è stato costretto a subire milioni di mutazioni ma in tutte, nessuna esclusa, si vede diminuire l’attitudine alla vita (mancanza di occhi, di ali, di zampe) e mai si vede la nascita di una nuova specie.
 



2.14 – L’evoluzionismo oggi

Nell’opinione pubblica si dà per certa la teoria evoluzionistica, tanto da essere considerati retrogradi e oscurantisti se solo si pone qualche dubbio su di essa.
In realtà, anche in campo scientifico, non c’è poi – riguardo ad essa – tutto quel consenso che si dice.

E’ incredibile come tale teoria evoluzionistica continui ad essere presentata come un dato di fatto, mentre non lo è assolutamente. Nella divulgazione di massa (v. i documentari televisivi di Piero Angela) si continua a dare per scontato il darvinismo (la giraffa “ha evoluto il suo lungo collo” per brucare le foglie dei rami alti; la balena “discende” da un animale terrestre che “si adattò alla vita acquatica”. L’uomo discende dalle scimmie). Fin dall’asilo si insegnano queste false certezze.

La teoria di Darwin è stata contraddetta come poche altre teorie scientifiche del passato.
Inoltre non esiste una teoria ma almeno 30 teorie evoluzionistiche; persino i più ostinati darwiniani oggi criticano il padre di questa teoria su molti punti.
Qua ovviamente non entriamo nel merito di un’analisi delle posizioni scientifiche contemporanee, ma facciamo solo qualche accenno, solo per riaprire uno spirito razionalmente critico.
Come avevamo già osservato, fin dai tempi stessi di Darwin, la sua teoria dell’evoluzione – che riflette come abbiamo detto anche il clima culturale e filosofico ottocentesco – ebbe da un lato una calorosa accoglienza (tanto da falsificare perfino dei dati pur di affermarla – cfr. Spencer e Häckel – e godere di un’aggressiva propaganda, come in Huxley), ma dall’altro suscitò anche seri dubbi ed opposizioni (Sedgwick, Owen, Agassiz, Kolliker, Von Baer, Lyell, Fabre, De Quatrefages). 
Tra i primi darwiniani abbiamo anche Weismann. 
Del resto in qualche occasione Darwin stesso aveva ammesso che il suo fosse un “modello” di interpretazione che poteva richiedere continue integrazioni ed ampliamenti (diceva: “è necessario mantenere la mente libera in modo da poter abbandonare qualsiasi ipotesi a prescindere da quanto amata”, Autobiografia). Aveva inoltre, come abbiamo notato, qualche perplessità perfino sull’esistenza delle specie e rimaneva perplesso sulla scarsità di mutamenti dal Cambriano ad oggi.

Darwin comunque imbarazzato di fronte al persistere di specie inferiori. Egli cercò in tutti i modi di rimanere in una visione “utilitarista”, ma talora dovette seriamente ripensarla. Anche perché sembra proprio che il finalismo, cacciato dalla porta, rientri inconsciamente dalla finestra: “Sono proprio le categorie del pensiero darwinista (adattamento, lotta per l’esistenza, selezione naturale, sopravvivenza del più adatto) ad avere di fatto un’impronta finalistica, sono modalità per realizzare il bene dell’organismo o della specie; infatti spesso Darwin li trasferisce da ciò che vede fare artificialmente nelle fattorie, cioè negli allevamenti (dove c’è appunto la finalità posta in atto dalla volontà umana) all’opera della Natura, come se appunto fosse un operatore intenzionale”.

[Forse per questo Darwin esitò pure a pubblicare i suoi studi sull’origine della specie. Lo sospinse Wallace, che aveva letto anch’egli Malthus e dall’Arcipelago Malese aveva fatto le stesse ipotesi, comunicandole a Darwin. Wallace giunse però a ipotizzare che qualche Intelligenza superiore potesse aver diretto il processo con cui si è sviluppata la razza umana (gli rispose Darwin: “spero che lei non abbia uccisa completamente la sua e mia creatura!”)].

Già tra i primi darwiniani c’è chi parla di una casualità “orientata o incanalata”, secondo fattori che Darwin non aveva considerato.
Avevamo notato che ci fu (e purtroppo c’è) chi ne fece ideologicamente una bandiera antireligiosa (Huxley, Nestourkl) o un sistema filosofico (Spencer), chi porta i suoi presupposti materialistici ad un livello praticamente magico (Häckel). 
Qualcuno ammette che il vero motivo è l’esclusione di Dio (Huxley), cioè pura “teofobia” (come dice Sermonti): sembra proprio che interessi non tanto la questione scientifica, ma la possibilità di negare così la creazione e l’esistenza di Dio (Mayr, Jacob, Lewontin). 
Credono alla pura casualità, con evidenti intenti antireligiosi: Monod, Fischer, Wright, Haldane, Dobzhansky, Nestourkl, Weismann, Vandel. Molti scienziati devono ammettere semplicemente di crederci (Guyénot, Kerkut, Rostand). Molti ammettono l’esistenza del dogma evoluzionista (Rostand, Carazzi, Thompson). 
Tra i neodarwiniani, nonostante permangano coloro che danno eccessiva importanza alla lotta per la sopravvivenza (Lorenz, Monod), abbiamo chi riconosce invece l’importanza della cooperazione (Jacob) e che l’altruismo gratuito sia stato un fattore più forte dell’aggressività (Pärson, Kropotkin, T. de Chardin, Leakey, Lewin,  Keith, Darlington). Altri riconoscono come Darwin sia giunto a dare quasi un potere magico alla selezione naturale (Portmann, Remane, Leonardi, Dalcq). C’è poi chi (Ayala), pur essendo un convinto darwinista, riconosce però il trascendimento evolutivo dell’apparire dell’uomo; e chi (Goldschimdt) ammette che tre miliardi di storia della vita non sarebbero sufficienti per formare le principali strutture. 
Abbiamo perfino i neolamarckiani (Grassé, Wintrebert, Kimura).

Secondo Grassé, che è tra gli evoluzionisti più seri, la dottrina darwinista è ciò che più si avvicina a un laico “principio di fede”.

Nella scia neodarwinista abbiamo la cosiddetta “teoria sintetica”, che tiene conto anche delle nuove scoperte della genetica (con la sua struttura intrinseca e il suo rapporto con l’ambiente). C’è però chi ritiene superata anche questa teoria sintetica e parla apertamente di crisi del darwinismo (Johannensen, Wright, Crick, Lewontin). 
Tra coloro che scorgono invece nel processo evolutivo una finalità troviamo ad esempio: oltre al più volte citato Marcozzi*, Aster (premio Nobel), du Noüy, Schindewolf, von Frisch (premio Nobel), de Chardin**, Colosi, Guyénot, Grassé, Piveteau, Leonardi, Hürzeler, Heitler, Dalcq, Blandino, Zatti, Zoller, Carles, Remane, Vogler, Dalla Porta, Cappelletti.

* Il gesuita Vittorio Marcozzi (1908-2005)  è stato uno dei più noti biologi e antropologi italiani degli ultimi 50 anni; i suoi studi sull’uomo e sull’evoluzione (Caso e finalità, 1976; Le origini dell’uomo (L’evoluzione oggi),  1972; Però l’uomo è diverso, 1981) hanno smentito che sia sufficiente parlare di “caso e necessità” per spiegare l’evoluzione. Egli rileva inoltre come la teoria di Darwin non riesca a spiegare ad esempio l’improvvisa ed inspiegabile comparsa dei vertebrati, di alcuni tipi di vegetali, delle classi e degli ordini, come la mancanza di forme intermedie e la persistenza di forme immutate.

** Singolare e con un suo fascino (anche se da alcuni, come Sermonti, ritenuta poco scientifica) è la celebre posizione di Teilhard de Chardin, che parla del grande disegno cosmico, di ordine teologico, e di un’evoluzione finalizzata all’apparire dell’uomo e di una casualità orientata.

Si potrebbe concludere, allo stato attuale della ricerca, mentre c’è ancora un forte consenso sull’evoluzione, le tesi casualistiche sono nettamente confutate.

In proposito si veda l’intervento dello scienziato Denis Alexander (e suo libro Creation or Evolution. Do we have to choose?, Monarch Books 2008), al Convegno promosso dal Comitato per il progetto culturale della Chiesa Italiana “Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto” (11.12.2009).



Apertamente contrari all’evoluzionismo:


Fiorenzo Facchini afferma che “chi assumesse l’evoluzione biologica come unica spiegazione della realtà esistente, la quale avrebbe in se stessa e da se stessa ogni potenzialità, escludendo qualunque altra dimensione, si muoverebbe in un’ottica non più scientifica, ma filosofica e ideologica”.

Fiorenzo Facchini (sacerdote) è stato professore ordinario di Antropologia all’Università di Bologna (1976-2005) e direttore del medesimo Istituto di Antropologia; fu inoltre presidente dell’Unione Antropologica Italiana e membro di varie Società scientifiche italiane ed estere; è stato anche nel comitato editoriale di riviste specifiche, tra cui proprio il Journal of Human Evolution. Tra le sue più di 350 pubblicazioni: L’Uomo. Le origini (1991), Il cammino dell’evoluzione umana (1994), Origini dell’uomo ed evoluzione culturale (2002).

Giuseppe Sermonti definisce la teoria di Darwin un mito dogmatico, un insieme di tautologie che nulla prova di quanto afferma, anzi è smentito dalla biologia.

Giuseppe Sermonti è uno dei più grandi genetisti e studiosi di microrganismi degli ultimi tempi; uomo di profonda fede, è stato docente all’università di Palermo, Ordinario di Genetica alla università di Perugia, direttore della International School of General Genetics, vicepresidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica (Mosca, 1978).

Francis Collins, uno dei maggiori genetisti del mondo e direttore della ricerca sul “genoma umano” (1993-2008), è nettamente contrario al materialismo insito nella dottrina dell’evoluzione. Il DNA è per lui il “linguaggio di Dio”.

John C. Eccles è nettamente contrario alla casualità dell’evoluzione ed alla riduzione dell’uomo ad animale evoluto. In aperta polemica con Monod, afferma il finalismo presente nei viventi e cioè l’esistenza di un disegno superiore che guida i processi dell’evoluzione biologica, oltre alla novità assoluta dell’apparire della autocoscienza, cioè dell’uomo.

John C. Eccles (1903-1997), professore australiano, premio Nobel per la medicina 1963 per gli studi sulle cellule nervose e uno dei più grandi studiosi di neurologia al mondo, afferma la trascendenza dell’io sul cervello (per gli studi sul rapporto tra io, mente e cervello) e l’assoluta impossibilità del ‘caso’ per ottenere l’ordine biologico e cosmico (v. J. C. Eccles, Il mistero dell’uomo, Il Saggiatore, 1981; J. Eccles – K. Popper, L’Io e il suo cervello, Armando Editore, 1981).

Yves Coppens afferma che la discontinuità rappresentata dall’apparire dell’uomo (dotato di pensiero astratto,  autocoscienza e libertà, fattori che chiamano in causa la dimensione spirituale) costituisce una sostanziale differenza qualitativa nei confronti degli animali, e non solo di grado, come invece affermava Darwin. Il salto ontologico che porta all’homo sapiens rimane un mistero.

Yyes Coppens, professore al Collège de France, è stato uno dei più celebri paleontologi. Fu lo scopritore di Lucy (il famosissimo scheletro che risale a 3 milioni di anni fa, per molti anni il più antico e oggi superato da uno scheletro di 4 milioni di anni fa) (Y. Coppens, Le origini dell’uomo, Jaca Book, 2008; La storia dell’uomo, Jaca Book, 2009).

Antonino Zichichi, il grande fisico italiano vivente (scopritore dell’antimateria), nega che la teoria dell’evoluzione possa definirsi scientifica (v. citazione già riportata).

Ancora: Jérôme Lejeune*, René Girard (uno dei più grandi biologi e antropologi contemporanei), Lodovico Galleni (biologo e docente di Zoologia Generale all’Università di Pisa, direttore della rivista Il futuro dell’uomo), Trinh Xuan Thuan, Dorst e Westenhoefer.

* Quello di Jérôme Lejeune (1926-1994; uno dei più grandi genetisti del secolo scorso, dell’Institute de Progénèse dell’Università di Parigi) è stato un caso particolarmente grave e doloroso di come uno possa essere vittima dell’uso ideologico della scienza, con le sue censure. A lui si deve la scoperta del cromosoma responsabile della “sindrome di down”; per questo fu nominato per il Nobel, ma improvvisamente gli fu negato per la sua posizione dichiaratamente contro l’aborto. Fu uomo di altissima professionalità e di profondissima fede (si sta inoltrando perfino la sua causa di beatificazione). Eminente studioso anche dell’evoluzione, sapeva coniugare armonicamente evoluzione e creazione. Membro della Pontificia Accademia delle Scienze, fu nominato da Giovanni Paolo II primo presidente della Pontificia Accademia della Vita.

Un vasto dibattito sull’evoluzionismo è in corso negli USA (e quasi silenziato in Italia). Di fatto negli USA il 40% della popolazione rifiuta l’evoluzionismo.

Macbeth sostiene (1974) che il darwinismo classico sia ormai morto, in quanto è un’ipotesi di lavoro non convalidata da oltre un secolo di ricerche; e che il pubblico deve essere informato di questa verità.

C’è qualche biologo di fama internazionale (Schutzenberger) che fa perfino dell’ironia sul tentativo darwinista di spiegare l’evoluzione ascendente (cioè verso il meglio) semplicemente mediante il caso e la selezione naturale (a vantaggio del migliore).

Dal 1993 l’autorevolissima Boston Review (la rivista del MIT, la più avanzata università scientifica Usa) accoglie un dibattito in cui biologi, matematici, paleontologi e biochimici attaccano “il dogma evoluzionista” (su basi scientifiche). Si fa infatti strada tra gli scienziati statunitensi una nuova generazione di scienziati che sostengono, ormai apertamente, che gli esseri viventi sono il frutto di una “progettazione intelligente” (intelligent design).

“E’ una teoria pienamente scientifica che formuliamo come tale”, ha scritto William Dembski, logico-matematico della Notre Dame University. Da cosa emerge questa nuova consapevolezza? “Dal fatto che troppi apparati dei viventi presentano una complessità irriducibile”, risponde Michael Behe (biochimico della Leighton University). “Complessità irriducibile” significa che “non può essere ridotta”: se mancasse un solo pezzo, non è che funzionerebbe meno bene; non funzionerebbe affatto. Dunque non può essersi formata a poco a poco, con aggiunte e miglioramenti. Molti apparati di esseri viventi sono ugualmente “irriducibili”. Non funzionano se mancano anche solo di un componente (in M. Blondet, “Darwin alle corde?”, Il Timone nov./dic. 2000).

Si oppongono drasticamente alla teoria di Darwin i cosiddetti “creazionisti”, che anche in questo campo biologico (oltre che in quello astronomico) cadono però nell’errore opposto al materialismo ateo, interpretando alla lettera alcuni passi biblici (peraltro secondo la tradizione protestante) e non comprendendo adeguatamente il rapporto tra Causa prima (Dio) e cause seconde (leggi della natura, strutture che godono di una relativa autonomia funzionale, una finalità intrinseca infusa dal Creatore, ed eventi che possono essere anche relativamente casuali), vedendo cioè Dio direttamente all’opera in ogni singolo evento biologico.

L’opinione pubblica italiana viene tenuta all’oscuro di questo dibattito in corso, tra i darwinisti o neodarwinisti e quegli scienziati (paleontologi, matematici, genetisti, biologi molecolari) che proprio in base alle loro nuove scoperte hanno ormai dichiarato tramontato il mito del darwinismo (anche nelle riviste specializzate vengono ormai accolti gli studi che pongono apertamente in crisi ad esempio il concetto di “selezione naturale”).

In Italia se ne è fatto invece portavoce Maurizio Blondet, con il suo libro L’uccellosauro e altri animali. La catastrofe del darwinismo, Effedieffe, Milano 2002.

La teoria darwiniana dell’evoluzione viene fortemente criticata anche nel testo di Massimo Piattelli Palmarini (scienziato) e Jerry Alan Fodor (filosofo), peraltro atei, Gli errori di Darwin (Feltrinelli 2010).


 


3) La nascita della vita


La vita sulla Terra è apparsa circa 3 miliardi di anni fa. Solo in un pianeta come il nostro, con questa temperatura (questa distanza dal Sole, questa velocità di rotazione, questa inclinazione dell’asse terrestre) e questa atmosfera, esistono le condizioni (non la causa) perché ciò accada. 
Almeno allo stato attuale delle ricerche non abbiamo conoscenza dell’esistenza della vita in altri pianeti, non solo del nostro sistema solare, ma anche nella nostra galassia od in altre galassie.
Conosciamo ormai i fattori che permettono e costituiscono la vita, ma non sappiamo in sé cosa sia la vita. Non siamo in grado di dare vita neppure ad una cellula. La vita può essere solo ereditata.

Ogni tanto c’è qualche spot di comunicazione di massa in questo senso, come nel maggio del 2010 quando è detto che Craig Venter avrebbe creato la vita in laboratorio. In realtà non si è creato proprio nulla, ma solo si sono assemblati degli elementi (sequenze di Dna già esistenti in natura, con l’aggiunta di qualche sequenza). Questo Dna assemblato (non creato) in laboratorio è stato poi sostituito a quello di una cellula na­turale, che è stata in grado di replicarsi gra­zie al nuovo patrimonio genetico, cioè se­guendo gli ‘ordini’ del Dna sintetico. Poco di più di ciò che si compie ormai da tempo per formare un organismo geneticamente modi­ficato, che non è appunto un creare la vita – tra l’altro si dice questo sempre con un presuntuoso tono di sfida al Creatore o ancor più per dimostrare che non abbiamo avuto bisogno di un Creatore – ma un fare un tipo di vita che non era presente in  natura, con gli elementi che ci sono in natura (in altri termini, come quando in chimica abbiamo fatto nuove sostanze – come la plastica – che non c’era in natura ma che è stata fatta trasformando la molecola degli idrocarburi che abbiamo in natura); cioè possiamo trasformare le cose della natura (e talora in modo assai pericoloso) secondo ancora le leggi che Dio ha messo nella natura.

Il passaggio dalla materia (chimica) alla vita (biologia) è un “salto qualitativo” misterioso, non riconducibile alla mutazione di fattori precedenti, e che richiede una serie di innumerevoli combinazioni in cui l’inesistenza o una differenza anche solo di uno di essi l’avrebbero resa impossibile.
Nonostante tutte le conoscenze scientifiche raggiunte, cosa sia la vita è un tale mistero che non ne abbiamo neppure una definizione.
La vita richiede un (invisibile) principio vitale ed unificante, in grado di renderla non solo possibile ma di condurre ad un unico fine tutti i suoi fattori. Oltre ad essere un’intuizione universale, anche la filosofia classica greca chiamò questo principio “anima” (distinguendo l’anima vegetativa delle piante, quella sensitiva degli animali e quella razionale-spirituale dell’uomo). 
Quando appare la vita sulla Terra – ed è davvero una tale combinazione di fattori che se credessimo fosse solo frutto del “caso” sarebbe quasi un divinizzare il caso stesso – (come per non perdere questa occasione unica e difficilissima)  essa è subito in grado di mantenersi (conservazione di sé) e di riprodursi (conservazione della specie), quasi come se tutto fosse un “inno alla vita” (un bene da raggiungere, mantenere e non perdere).
Allo stesso modo la vita è anche in grado di migliorarsi; ed è proprio questa tendenza verso il meglio, inspiegabile con la pura casualità, che permette e causa l’evoluzione.

La vita appare dapprima come vegetale ed in mare, con microscopici unicellulari e prime colonie di alghe azzurre (ne abbiamo i fossili). 500 milioni di anni fa appaiono improvvisamente i primi invertebrati (subito di 500 specie diverse)! I rettili invadono la terra, ma i dinosauri scompaiono misteriosamente 140 milioni di anni fa. 200 milioni di anni fa appaiono i primi mammiferi (e lo sviluppo psichico). 70 milioni di anni fa abbiamo infine i Primati, antenati comuni delle scimmie e degli uomini.

L’intervento di Dio Creatore
Oltre ad essere richiesto l’intervento creativo di Dio (creare = “fare dal nulla”, da parte dell’Essere stesso sussistente) per l’inizio del cosmo (Big Bang, cioè il passaggio dal nulla all’essere), per il suo perseverare nell’essere, per il suo divenire e il suo ordine, la nascita della vita sembra richiedere uno specifico e diretto (non solo indiretto) intervento di Dio, dello Spirito (“che è Signore e dà la vita”), poiché essa non si spiega appunto semplicemente coi suoi fattori né con gli elementi che l’hanno preceduta. Anche l’evoluzione, essendo una finalità, richiederebbe di risalire alla Mente stessa di Dio come sua causa prima. 


 


4) La nascita dell’uomo


Se già la nascita (e l’evoluzione) della vita richiede uno specifico intervento creativo di Dio, oltre naturalmente alla nascita e lo sviluppo dell’universo stesso, ancor più è necessario un intervento diretto del Creatore per la nascita dell’uomo, in quanto qui siamo di fronte non solo ad un corpo (che potrebbe anche essere evoluto – per volere di Dio – da un “primate” solo animale) ma ad uno spirito (o anima spirituale), che si manifesta infatti in inedite attività spirituali quali il pensiero astratto e la volontà libera. Questo essere speciale che è l’uomo (il più elevato tra gli esseri viventi visibili e il più basso tra gli esseri spirituali invisibili) è infatti il culmine e il fine della creazione e dell’evoluzione stessa; così come a sua volta l’uomo, che è l’unico essere che Dio ha voluto in se stesso, è fatto per Dio e per l’eternità. 
L’apparire del pensiero (e conseguentemente della libertà), cioè l’apparire dello spirito – pur richiedendo nel nostro stato di vita (terreno) anche un cervello evoluto – essendo totalmente assente prima, cioè nei mammiferi da cui solo fisicamente potremmo discendere, richiede un intervento diretto del Creatore. 
Questo diretto intervento creativo di Dio è richiesto non solo per l’apparire del primo uomo, ma per la nascita di ogni uomo: lo spirito infatti, come il primo uomo non l’ha potuto ereditare da un animale precedente (poiché appunto nessun animale lo possiede, e nessuna cosa da ciò che non ha), così non è ricevibile dai genitori (che pro-creano solo il corpo del figlio) per generazione, essendo appunto un elemento non materiale. è infatti il nostro “io”, unico e irripetibile, che ci caratterizza come soggetto.

Facchini: “con l’apparire dell’uomo siamo di fronte al secondo trascendimento evolutivo (il primo è l’origine della vita) […] Questo salto è dato dall’apparire dell’intelligenza astrattiva; essa peraltro non è cosa che possa trasmettersi per via genetica o parentale”.

Coppens: la discontinuità rappresentata dall’apparire del pensiero astratto, della autocoscienza e della libertà (che chiamano in causa la dimensione spirituale; la materia qua diventa “pensante”!), rappresenta una sostanziale differenza qualitativa nei confronti degli animali, e non solo di grado, come invece affermava Darwin.

La teoria di Darwin non riesce assolutamente a spiegare l’incredibile salto ontologico che porta già all’homo sapiens. Manca un continuum tra i primati e l’uomo. Rimane incomprensibile (nonostante lo sviluppo del cervello) l’improvviso apparire della coscienza, che permette il passaggio dagli ominidi pre-umani alla specie homo (un salto mai più visto sulla Terra).
Tra l’altro, anche dal punto di vista fisico-corporale, non è vero che discendiamo dalle scimmie, come ormai invece si crede e insegniamo anche ai bambini! Infatti già 20 milioni di anni fa il ramo dei mammiferi che porterà agli ominidi si distacca da quello che porterà agli scimpanzé, gorilla, scimmie.

15 milioni di anni fa abbiamo i primi mammiferi che possono assumere una posizione eretta.

10 milioni di anni fa abbiamo in Africa il genere homo.

6,5 milioni di anni fa sorgono gli Ominidi, cioè dei Primati che assumono permanentemente la stazione eretta bipede (Australopitechi)

3,5 milioni di anni fa è già presente la famiglia (che sta e cammina insieme)

2 milioni di anni fa accade già qualcosa di misterioso: un incredibile repentino sviluppo del cervello. Abbiamo l’homo habilis (esploratore e cacciatore, capace di progettare e fabbricare utensili, possiede già un linguaggio concettuale). è l’età della pietra. Il ceppo è nella zona dei grandi laghi dell’Africa centrale. Esistono già 500.000 individui.

1 milione di anni fa abbiamo l’homo erectus (un abile cacciatore, che va alla conquista del pianeta; esistono 700.000 individui, ormai anche nelle zone temperate europee e mediorientali).

400.000 anni fa abbiamo i Pitecantropi. Sono già 1,5 milioni e sono capaci di controllare ed usare il fuoco (età del fuoco) e di costruire strumenti di pietra.

300.000 anni fa notiamo già i primi “riti”!

250.000 anni fa è in grado di costruire le prime strutture abitative (capanne-grotte).

150.000 anni fa appare l’homo sapiens (la nostra specie).

Da 100.000 a 40.000 anni fa è esistito l’Homo sapiens neeanderthalensis (uomo di Neeanderthal, dalla località presso Düsseldorf in Germania, dove nel 1856 sono stati scoperti gli scheletri di questo tipo d’uomo). Utilizza strumenti più elaborati, possiede un senso religioso, compie riti funebri (grande importanza data alla inumazione dei morti, alle tombe, al culto dei crani). L’uomo di Neanderthal, pur avendo un cervello perfino superiore al nostro (e ciò manda in crisi sia l’evoluzionismo sia chi riduce le facoltà intellettive al solo sviluppo volumetrico del cervello), si estingue però in modo inspiegabile 40.000 anni fa, mentre il ramo dell’uomo attuale si afferma negli ultimi 35.000 anni (Facchini).

35.000 anni fa compare improvvisamente ed inspiegabilmente l’Homo sapiens sapiens, che è in fondo l’uomo attuale, con le medesime nostre capacità. è dotato di pensiero astratto e di volontà libera (spirito). è religioso, possiede un senso morale, è capace e amante dell’arte. è persona. Questo uomo si spinge ovunque e diventerà il signore del pianeta.

10.000 anni fa inizia un diverso rapporto con la natura, passando anche dalla pastorizia (in genere popoli nomadi) all’agricoltura (quindi popoli sedentari). Questo lo si nota anzitutto nella cosiddetta “mezzaluna fertile” del Medio Oriente. La popolazione mondiale è già di 10 milioni di persone (2000 anni fa la popolazione mondiale era già di 300 milioni di persone).
 


4.1 – L’uomo ha un “io” spirituale

Il principio vitale (anima) dell’essere umano è spirituale, perché spirituali sono le sue attività (pensiero e libertà). In altri termini, il nostro “io” non è semplicemente il nostro corpo, e neppure la nostra mente. Per questo possiamo avere idee (universali), trasmetterle senza privarcene, accrescere il nostro sapere anche al di là dell’esperienza empirica. Possiamo inoltre essere “padroni” dei nostri istinti.

Che l’anima dell’uomo sia spirituale (o spirito) è scoperto già dalla filosofia classica greca, ma è convinzione universale dell’umanità (in ogni cultura e religione, di ogni tempo e luogo). Allo stesso modo è convinzione universale che l’anima dell’uomo sopravviva alla sua morte corporale; altrimenti non si spiegherebbe come fin dal suo apparire sulla terra (abbiamo visto sopra) l’uomo abbia avuto sempre non solo la dimensione della preghiera ma anche l’intuizione dell’aldilà ed un culto dei morti (cosa totalmente assente nel regno animale).

Il nostro “io” (spirito) è creato da Dio per ciascuno di noi ed è infuso nel nostro corpo nell’istante iniziale che gli da origine, cioè al momento del nostro concepimento. Il nostro spirito si esprime attraverso il cervello e il corpo, ma lo trascende. Esso fonda la nostra dignità personale (che non dipende dalle capacità fisiche o intellettuali). Questo permette la nostra libertà: siamo condizionati (da fattori interni ed esterni) ma non determinati; per questo siamo responsabili delle nostre azioni (morali). Il nostro io cresce o diminuisce, cioè diventa migliore o peggiore, non in base all’età corporea ma in base alle scelte morali (bene o male).
Al momento della morte del corpo, il nostro spirito (che per sé è fatto per “in-formare” il nostro corpo) se ne distacca, mentre il nostro corpo cessa di vivere e comincia a decomporsi.

La scomparsa dell’anima rende infatti un corpo “morto”; e nei primissimi istanti dopo la morte, prima che cominci la decomposizione, non c’è alcuna differenza fisica tra un corpo vivo ed un corpo morto, se non appunto che in un corpo morto non c’è più la vita.

E’ per questo difficile determinare con precisione cosa sia la morte e quale sia il momento della morte (un tempo si considerava segno della “morte” la cessazione del respiro, poi l’arresto cardi-circolatorio, oggi la cessazione dell’attività elettrica del cervello). Si veda in proposito un Convegno proprio della Pontificia Accademia delle Scienze (“La determinazione del momento della morte”, Roma 11-14.12.1989) ed il discorso di Giovanni Paolo II tenutovi il 14.12.1989.

Per il potere di Cristo risorto, alla fine del mondo Dio riunirà il nostro spirito al nostro corpo, che verrà recuperato in una nuova dimensione eterna (extra spazio-temporale); in questo modo verrà ricomposta l’unità della persona, così che partecipi interamente alla beatitudine o alla dannazione eterna. In Cristo, per virtù di se stesso, ciò è avvenuto il terzo giorno dopo la morte. Anche Maria SS.ma, per il potere del Suo Figlio Gesù, è subito entrata in paradiso anche col suo corpo (Assunzione).

Quanto siamo liberi e quindi responsabili (moralmente) delle nostre azioni, non ci è dato saperlo con precisione. Per questo non possiamo “giudicare” totalmente il grado di responsabilità soggettiva delle persone (da cui la proibizione evangelica di “non giudicare”). Sappiamo, anche per esperienza, che possiamo prendere decisioni libere, anche contro l’istinto del momento. Ma non conosciamo totalmente quanti fattori esterni (ad esempio sociali, familiari, di incontri fatti, di cose lette o viste) ed interni (ad esempio ereditari, caratteriali, psichici, inconsci) condizionino la nostra decisione libera (siamo però responsabili di ciò che dipende da noi). Si tratta però di “condizionamenti” e non di “determinismi” (che abolirebbero la libertà e quindi la responsabilità morale).

Anche per la responsabilità morale di un peccato – ad esempio – oltre alla cosa in sé (materia), ci vuole anche la consapevolezza (piena avvertenza) e la decisione libera (deliberato consenso). Quando questo mancasse totalmente non c’è alcuna responsabilità morale (anche per il diritto l’incapacità di intendere e di volere toglie ogni responsabilità al soggetto di un’azione). 

E’ paradossale che, mentre l’Illuminismo ha esasperato il fattore “libertà” (a scapito della verità), di fatto la cultura post-illuminista, già nel XIX secolo, ha tentato in tutti i modi di negare di fatto la libertà e responsabilità personale, confondendo appunto condizionamenti con determinismi.

Ogni volta che si è negata l’esistenza dell’anima, di fatto si è negata la libertà della persona e la sua stessa dignità. Per K. Marx, ad esempio, l’uomo sarebbe tutto e solo il frutto dei condizionamenti socio-economici; per S. Freud il nostro livello conscio (consapevole e responsabile) sarebbe solo epifenomeno dell’inconscio; per F. Nietzsche liberi potremmo solo immaginarci, perché nessuno può sottrarsi al destino cieco dell’<eterno ritorno dello stesso>. Oggi la questione diventa più sottile e questa pretesa “riduzionista” si riaffaccia a livello neurologico: tutto di noi sarebbe deciso dalla nostra struttura neurologica, cerebrale.

Sulle neuroscienze – sempre più emergenti a tal punto che il suffisso neuro sta dilagando ovunque (addirittura sono sorte le neuro-teologie) – si veda ad esempio: Luciano Eusebi (a cura di), Dinamiche della volizione e libertà, Vita e pensiero (MI) 2008. Interessante in questo senso è stato il Convegno tenuto a Roma nell’aprile 2008 su Patologie della volizione. Libertà impedita. Libertà liberata, con i contributi di Vincenzo Silani (docente di Neuroscienze all’università Milano; ha detto: “credevamo di sapere tutto e invece ci accorgiamo di non sapere quasi niente, ad esempio con le molecole micro-Rna), Flavio Keller (ordinario di Neurofisiologia presso il Campus Biomedico Roma), Luigi Gessa (docente di Neuropsicofarmacologia all’università di Cagliari), Laura Palazzani (docente di Diritto all’università Lumsa di Roma), Eberhard Schockenhoff (docente di Teologia morale all’università di Freiburg i.B. e vice-presidente Comitato Nazionale Bioetica della Germania).

Lo stesso si dica del patrimonio genetico ereditato.

M. Esteller su Lancet del gennaio 2006: “Noi non siamo i nostri geni. Non possiamo prendercela solo coi geni per il nostro comportamento o per la nostra suscettibilità alle malattie”. La vita non è assimilabile e riducibile alla sequenza delle basi del Dna.

L’anima, per il premio Nobel 1963 per la medicina (neurologia) John Eccles:

Il prof. Eccles ha mostrato con chiarezza che le esperienze mentali non sono riducibili all’attività cerebrale. L’autocoscienza rimane un mistero insondabile, che non si può capire semplicemente con la singolarità del genoma o l’influsso dell’ambiente, ma solo con un atto creativo. “L’emergere dell’autocoscienza non è spiegabile sulla base dell’evoluzione darwiniana o della scienza biologica […] I materialisti trascurano il più straordinario evento del mondo della nostra esperienza, cioè la comparsa di ciascuno di noi, non solo come esistente, ma come essere unico autocosciente, come centro di decisioni e di attività […] il loro sforzo di ricondurre le esperienze mentali all’attività cerebrale è “dogmatico” […] essi non forniscono la spiegazione dell’esistenza della coscienza di sé, ma non riconoscono questa lacuna […] Il nucleo più interno della individualità unica di ciascun uomo richiama la necessità di una creazione divina. Io aggiungo che nessun’altra spiegazione è possibile: né l’unicità genetica (genoma) con la sua improbabile <lotteria>, né le differenziazioni (influsso) ambientali, che non determinano, ma modificano questa unicità (contro Darwin) […] L’evoluzione biologica (cosa che non comprende il darwinismo) trascende se stessa, fornendo il materiale di base (il cervello umano) per l’emergere di esseri autocoscienti (che trascendono il dato materiale) e che manifestano infatti la loro vera natura nella domanda di significato, di verità, di bellezza, d’amore […] Questa conclusione rinforza notevolmente il nostro credere nell’anima dell’uomo, nella sua creazione da parte di Dio […] Anche se la questione dell’anima, proprio in quanto spirituale, è per sé al di fuori della ricerca scientifica, non nel senso che non ci siano prove scientifiche della sua necessità, ma nel senso che non è in sé oggetto di studio scientifico […] Ciascuno di noi è una nuova creazione divina, ciascuna anima è “legata” al feto in formazione da una creazione divina. è la certezza del nucleo più interno dell’individualità unica di ciascun uomo che richiama la necessità di una creazione divina” [J. C. Eccles, Il mistero dell’uomo, Il Saggiatore, 1981; cfr. anche J. Eccles – K. Popper, L’Io e il suo cervello, Armando Editore, 1981].



4.2 – L’essere umano non può essere (solo) frutto di evoluzione

La teoria dell’evoluzione diventa ancor più “ideologica” (materialismo ateo) quando trasferisce le proprie convinzioni dalle specie animali all’essere umano, misconoscendone totalmente l’originalità e superiorità e riducendo anche le sue superiori facoltà (pensiero astratto e volontà libera) a semplici manifestazioni di un cervello evoluto.

Vediamo nell’uomo, fin dall’inizio, ciò che non troviamo in nessun altro animale: il senso religioso, l’intuizione dell’esistenza e dell’immortalità dell’anima, dell’aldilà e di Dio, l’arte, la questione morale (non solo cosa posso/non-posso fare ma ciò che devo/non-devo fare), l’amore anche disinteressato e oblativo, l’insaziabilità nella ricerca del vero, del bello, della felicità e della vita. L’uomo è quel livello del mondo finito in cui c’è una scintilla e un desiderio di infinito.

E’ triste che persino a livello di cultura popolare si stia ormai perdendo la consapevolezza della propria alterità e superiorità rispetto alla natura, di cui con il nostro corpo facciamo certo parte. è la perdita di un’autocoscienza (potremmo perfino dire di un’autostima) che durava da millenni e che il cristianesimo ha elevato a livelli vertiginosi, riconoscendo nell’uomo l’essere creato “a immagine e somiglianza di Dio” e chiamato in Cristo a partecipare per sempre alla stessa vita di Dio.

Anche se l’evoluzione potesse spiegare la nascita del corpo umano (e sarebbe comunque un disegno di Dio e non una pura casualità), non potrebbe comunque spiegare la nascita dello spirito, che caratterizza tutta la vita dell’uomo, mutandone perfino i caratteri fisici.


L’uomo non discende dalle scimmie

Come abbiamo già osservato, contrariamente a quanto di dice ormai comunemente, l’uomo non deriva dalle scimmie, semmai (e ovviamente solo per il suo corpo) entrambi derivano da un mammifero comune (un ceppo da cui il nostro ramo si distacca già 20 milioni di anni fa):

Tra l’altro l’albero genealogico fornitoci dagli evoluzionisti viene sconvolto da sempre nuove scoperte, che spingono i nostri presunti “progenitori comuni” alla posizione di rami collaterali.

Ci sono perfino scienziati (Westenhöfer) che si divertono a capovolgere l’ipotesi, dicendo che la scimmia discende dall’uomo!

Da poco in Spagna (Atapuerca) è stato trovato il fossile d’un uomo di 780 mila anni, eppure così moderno che gli imbarazzati evoluzionisti hanno creato una specie apposta per lui: Homo Antecessor (che precede gli altri).

Anche riguardo all’uomo di Neeanderthal, apparso 100.000 anni fa ma improvvisamente e misteriosamente sparito 40.000 anni fa, abbiamo osservato che possedeva un cervello più grande del nostro (e ciò manda in crisi un dogma evoluzionista, secondo cui le facoltà intellettive sarebbero proporzionali al volume del cervello). Secondo alcuni, poi, la sua estinzione sarebbe avvenuta 25.000 anni fa, quando già esisteva l’uomo attuale (Sapiens sapiens), e quindi non sarebbe un nostro progenitore ma le due specie sarebbero collaterali (e avendo un DNA diverso non avrebbero potuto unirsi per generare prole.

L’apparire dell’uomo rappresenta un tale “salto ontologico” (non avviene per gradi e non si spiega con ciò che lo precede) da travolgere tutte le categorie evoluzionistiche:

“Se l’evoluzione non è ammissibile come pura casualità e senza l’intervento di una Mente Suprema … non parliamo poi per la nascita di un essere pensante (spirituale) come l’uomo!” (Marcozzi).

 “La radicale differenza tra l’uomo e gli animali è qualitativa e non solo di grado … Quando appare l’uomo appare l’intenzionalità, la capacità di riflettere (tornare sui propri atti, intenzioni e scopi), la cultura (questa e non quella biologica sarà la vera evoluzione dell’uomo), il linguaggio (più che il come ciò sia cerebralmente possibile il grande salto è dato dal che cosa dice, cioè concetti, giudizi e ragionamenti), la morale, l’arte, la religione, la coscienza della morte e dell’aldilà. Per far questo non è sufficiente il possesso di adeguate strutture anatomiche  … Questo di più, rilevabile sul piano paleontologico dai segni dello psichismo riflesso e quindi della cultura, appare come una discontinuità, anche se resa possibile dallo sviluppo del cervello” (Facchini).

“Il trascendimento evolutivo dato dall’apparire dell’uomo non può avere risposta sul piano empirico. Non basta lo sviluppo del cervello. L’attività cerebrale non può identificarsi con la soggettività dell’essere umano, con la sua autocoscienza, con il suo io, anche se è richiesto il funzionamento del cervello. L’attività cognitiva dell’uomo è di tipo astrattivo, non riconducibile alla conoscenza empirica, anche se parte da essa. Le idee, il pensiero, le emozioni non sono riducibili all’attività elettrica del cervello, che pure le accompagna, ma non ne è la causa. Oltre alla capacità cognitiva c’è l’autodeterminazione, la libertà, che svincola le scelte dell’uomo da motivi puramente materiali. Si aggiunge il comportamento altruistico, la possibilità di libere scelte che possano comportare sacrifici. Sono espressioni che trascendono la sfera biologica e denotano una componente non di ordine fisico. Si prospetta il problema della spiritualità dell’uomo, un problema essenzialmente filosofico, ma che non può essere tralasciato, altrimenti si compie un’illecita operazione riduzionistica [Fiorenzo Facchini, Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede, Jaca Book (MI), 2008, pp. 176].

“Il salto ontologico che porta all’homo sapiens (fra 3,5 e 1,5 milioni di anni fa), rimane un mistero. Prima una serie di mutazioni, poi l’apparire di qualcosa di incomprensibile e improvviso, che fa passare gli ominidi (australopitechi) all’uomo. C’è un cervello più sviluppato, ma soprattutto appare la coscienza, l’autocoscienza, la riflessione. Mai s’è visto nulla di simile sulla Terra (Coppens).

Da quando è apparso, l’uomo ha le stesse capacità dell’uomo contemporaneo:

“Le manifestazioni psichiche dell’Homo sapiens sapiens non differiscono sostanzialmente da quelle degli uomini attuali”. è sorprendente che “l’uomo di 35.000 anni abbia avuto le stesse capacità dell’uomo di oggi” (Marcozzi). Il progresso aumenta continuamente le conoscenze, non le facoltà (che erano già presenti fin dall’inizio. Ciò è rilevabile anche con alcuni primitivi d’oggi (Sermonti). è il caso ad esempio di individui della Nuova Guinea: messi di fronte alle possibilità di capire le scoperte scientifiche e tecnologiche le capiscono subito (Zichichi).

In questo senso la filogenesi non è come l’ontogenesi: se i primi uomini avessero avuto ad esempio una psiche infantile non sarebbero sopravvissuti.

Il cammino dell’evoluzione tende verso l’uomo e poi si arresta:

Anche l’evoluzionista Grassé fa infatti notare con stupore come “l’evoluzione dopo l’uomo si sia poi praticamente arrestata e non si notino cioè da tempo i segni di un’evoluzione progressiva, ma, semmai, solo quelli di un’evoluzione regressiva; e le cause che hanno bloccato la genesi dei nuovi tipi di organizzazione sono sconosciute”. “L’uomo da 10.000 anni è rimasto identico a se stesso, come se il tempo si fosse fermato. Non c’è alcun segno di evoluzione biologica della specie umana; c’è solo un’evoluzione culturale” (Zichichi).

Il genere umano da un’unica coppia?

Anche se la Bibbia ci assicura che l’uomo è creato da Dio (eventualmente infondendo lo spirito in un corpo evoluto da un animale precedente secondo il Suo volere) e con le sue facoltà spirituali trascende il creato (perché creato “capace di Dio”), non vuole poi darci spiegazioni scientifiche; sappiamo però che la creazione dell’uomo è descritta come creazione di una prima coppia umana maschio-femmina. Ora però i più recenti studi sembrano confermare anche l’essere umano derivi effettivamente da un unico ceppo (nella zona africana dei grandi laghi, e poi in Medio Oriente), da un’unica coppia originaria.




4.3 – I segni della presenza dello spirito nell’uomo

La cultura

“Quando compare l’uomo è già culturale. L’uomo, attraverso la cultura, entra attivamente nella sua stessa evoluzione. Egli è l’unico essere vivente che è parzialmente l’artigiano di sé … Per far questo non è sufficiente il possesso di adeguate strutture anatomiche” (Facchini).

L’uomo non si accontenta mai

Nella sua ricerca del vero, del bene e del bello, l’uomo non si accontenta mai, perché è fatto per l’infinito (Dio) e solo esso può davvero saziarlo. Ogni esperienza, fosse anche la più bella, porta sempre con sé il segno del limite (per questo non basta e perfino annoia). Perfino l’amore e la vita (che portano la traccia di Dio) sono in noi segnati dal limite. L’uomo è fondamentalmente un “incompiuto”.

Le manifestazioni psichiche e quelle intellettive

Gli Antropoidi hanno manifestazioni psichiche (riflessi, sensibilità, immaginazione, memoria, tendenze, stati affettivi, intelligenza pratica), ma non hanno manifestazioni propriamente intellettive (concetti astratti, giudizi formali, ragionamenti, riflessione).

La fabbricazione e l’utilizzo di utensili

Anche nell’intelligenza pratica – che potrebbe far pensare a qualcosa di analogo a ciò che anche gli animali sanno fare – in realtà l’uomo manifesta una sorprendente superiorità (Marcozzi). “L’uso di oggetti naturali a scopo di difesa o per procurarsi cibo può trovarsi anche in altre specie animali (spec. scimmie antropomorfe), ma la fabbricazione sistematica di utensili di svariata tipologia e il progresso in questa tecnologia è proprio della specie umana. Dove troviamo strumenti intenzionalmente fabbricati, là c’è la documentazione della presenza dell’uomo” (Facchini).

Lo sviluppo biologico e quello culturale

Gli animali lasciati a se stessi, non progrediscono, non aumentano il loro tenore di vita. Solo l’uomo fa questo.

La spontaneità e la libertà

Anche l’animale è spontaneo (moto a partire da un impulso interiore); ma solo l’uomo è libero (non determinato a fare una cosa invece di un’altra), perché la volontà libera segue la ragione.

L’arte

“Abbiamo fin dall’inizio segni di manifestazioni sociali, culturali ed artistiche. Esse non sono legate a necessità vitali di ordine fisico, ma espressioni di attività di ordine spirituale” (Facchini).

La religione
Fin dal suo apparire l’uomo si manifesta come religioso e non vi è mai stata popolazione o civiltà senza questo fondamentale fattore della vita umana (invece totalmente assente in tutti gli altri animali).

Non vi è razza, popolo o clan che non sia religioso. I più qualificati etnologi affermano unanimemente che non c’è mai stata popolazione senza religione (anche quando ci sono pratiche magiche, la religione non si esaurisce in queste). “C’è sempre la credenza in un Essere Supremo” (Eliade). “L’etnologia non conosce popolo senza religione” (Ratzel, Schebesta) “L’indagine etnologica ha ormai dimostrato l’inesistenza di popoli senza Dio (con credenze religiose e forme di culto) (Grottanelli). “Non trovai l’ateismo in nessun luogo […]mentre negli animali non si è mai visto qualcosa di simile e neppure di analogo alla religione” (de Quatrefages). Anzi, pare che tra i primitivi il senso religioso fosse più forte e più puro che in epoche successive.

Anche gli incredibili e perfino violentissimi sforzi del XX secolo di eliminare la religione (soprattutto col comunismo) o la subdola anestesia della coscienza in atto nelle società più sviluppate non sono riusciti a cancellare il bisogno religioso dell’uomo. Negli animali non c’è invece nulla di simile o di analogo.

La “questione” della morte

Solo l’uomo sente la questione della morte. Non si tratta solo dell’istinto di conservazione (presente come in tutti gli animali), ma dell’intuizione e dell’anelito di un “per sempre”, come se questo limite supremo della morte non dovesse esserci (infatti l’uomo è stato creato per l’eternità). In fondo quello della morte è la grande questione di fondo della vita umana. Il legame con i morti caratterizza l’uomo fin dal suo apparire sulla Terra; aspetto totalmente assente invece negli animali.

Fin dall’inizio si intrecciano nell’essere umano “motivi artistici e religiosi; soprattutto le pratiche funerarie, che indicano non solo la coscienza della morte, ma il desiderio di superarla e trascenderla nell’immortalità;  ad esse viene riconosciuto un carattere religioso” (Facchini).

Aggressività o altruismo?

Abbiamo già osservato come l’idea di “lotta per la sopravvivenza” fosse in Darwin condizionata dal pensiero filosofico (hegeliano – marxista), così come la sproporzionata importanza data all’aggressività (secondo cliché presenti anche in Freud). In realtà questi dogmi evoluzionisti sono stati confutati (come abbiamo osservato) già nel mondo animale, ma ancor più nell’essere umano (anche primitivo). Troviamo invece segni di cooperazione e di altruismo gratuito.

Gli uomini della preistoria avevano cura dei bambini e si interessavano seriamente degli invalidi. I popoli più primitivi sono inoltre generalmente pacifici.

“Possediamo la documentazione di forme di assistenza di individui portatori di menomazioni fisiche, che testimoniano una solidarietà operante già presso l’uomo preistorico. La competizione e la lotta sono aumentati durante il periodo Neolitico. Dal punto di vista evolutivo la socialità e la cooperazione, più che la competizione e l’aggressività, hanno giocato un ruolo particolarmente importante, nel senso che hanno rappresentato, insieme ad altre espressioni della cultura, un fattore di evoluzione e di successo della specie umana, tanto sul pian biologico che su quello culturale” (Facchini).

Monogamia o poligamia?

Secondo recenti studi (così i paleontologi Lovejoy e Melotti) pare che all’inizio il rapporto di coppia (maschio-femmina) fosse monogamico e stabile.

è in proposito significativo (ed è l’unico caso) il richiamo di Gesù al libro della Genesi, a proposito proprio della poligamia e dell’adulterio, quando non a caso dice che “all’inizio non fu così” (Mt 19,4; Mc 10,2-12).



4.4 – Lo spirito ha segnato fin dall’inizio anche il corpo umano

Se l’evoluzionismo non è ovviamente in grado di spiegare la nascita di un essere spirituale come è l’uomo, è in difficoltà a spiegare perfino l’originalità del corpo umano.
Anche dal punto di vista corporeo, l’essere umano è una delle realtà più stupefacenti dell’universo.

L’uomo, anche come specie biologica, è un evento del tutto unico (Facchini).

Il cervello umano

“Il finalismo biologico si mostra anche nella relativa rapidità con cui avvengono certi fenomeni evolutivi, come nel caso emblematico della crescita del cervello nella filogenesi umana. Questo solleva notevoli perplessità sulla pura casualità delle variazioni” (Facchini).

Il nostro cervello è composto da 10 miliardi di cellule nervose, ciascuna con 10.000/100.000 fibre di collegamento elettro-chimico con altre cellule, unite tra loro tramite le sinapsi, per un totale di un milione di miliardi (10 alla quindicesima) di connessioni.

Per darne un’idea un neurofisiologo americano ricorre a questa immagine: si tratta di un numero che corrisponderebbe al totale delle foglie di tutti gli alberi (da 100.000 foglie ciascuno) che ricoprissero uno accanto all’altro tutto il Canada (10 milioni di kmq).

Neppure questa complessità, pur necessaria (almeno in questo stato di vita terrena), è sufficiente per spiegare l’unicità e straordinaria diversità dell’uomo e delle sue attività superiori (pensiero e libertà), infatti in alcune cose più proprie dell’uomo è il nostro <io> a comandare al nostro cervello (tanto è vero che agli stessi stimoli possiamo liberamente reagire in modi diversi). Questo rimane un mistero, fintanto che non si ammette la spiritualità del nostro <io>.

La comparsa della razionalità implica anche nel cervello modificazioni qualitative e non solo quantitative: un aumento del cervello non rende ragione del cambiamento sostanziale che è l’apparire dell’uomo.

Proprio la questione dell’evoluzione del cervello manda in crisi due dogmi evoluzionisti: il primo è quello che legherebbe l’aumento delle facoltà all’aumento del volume cerebrale (mentre l’uomo di Neeanderthal possedeva un cervello più grande del nostro); il secondo è quello che sarebbe la funzione a creare o sviluppare l’organo (mentre anche il nostro cervello ha delle potenzialità che non siamo ancora in grado di usare).

Il linguaggio
Dal punto di vista dell’anatomia e fisiologia umane, possiamo dire che: deputata alla comprensione del linguaggio c’è l’area di Wernicke (emisfero sinistro del cervello, lobo temporale); per la formazione del linguaggio è deputata l’area di Broca (emisfero sinistro, in prossimità della corteccia motoria); per la pronuncia (coordinatore muscoli) sono deputati la corteccia motoria, connessioni cortico-spinali, gangli basali e cervelletto.

“Il salto qualitativo, ontologico, rappresentato dall’apparire dell’uomo, che si evidenzia nella razionalità, si manifesta anche nel linguaggio (estremamente decisivo per la comunicazione, per il vicendevole arricchimento culturale) (Marcozzi). Il linguaggio simbolico è una manifestazione tipica dell’uomo; per questo “più ancora che le basi anatomiche del linguaggio articolato, è determinante e necessario avere qualcosa da comunicare”, cioè i concetti (che gli animali non hanno) (Facchini).  

In un clima culturale dominante, che tende ad abolire la differenza tra l’uomo e gli animali, misconoscendo ciò che è proprio dell’uomo e lo differenza dal resto del creato, anche sulla questione del linguaggio si sentono spesso molte sciocchezze, come se il linguaggio animale fosse analogo al nostro. Già a livello di grandi biologi e antropologi, si fa osservare che “quello degli animali non è un linguaggio in senso proprio, ma uno pseudo-linguaggio, che traduce solo stati emotivi, ma non esprime concetti (che gli animali non hanno), come è invece quello umano. Proprio la parola, cioè il linguaggio concettuale (che pure richiede una diversa base cerebrale) è l’indice di un pensiero astratto, che è operazione caratteristica di un essere spirituale. Non a caso dall’apparire dell’uomo il progresso non sarà biologico ma soprattutto e sorprendentemente culturale.

I sensi e le capacità corporee
Anche ciò che potrebbe sembrare in noi più affine alla vita animale, in realtà manifesta una straordinaria diversità.

Dal punto di vista fisico-corporeo l’uomo è assai spesso meno dotato degli altri animali (le capacità dei 5 sensi, la forza fisica, l’assenza di ali, di antenne – ma dove sarebbe andata a finire invece la coda, di cui non abbiamo alcuna traccia che sia sparita pian piano?); ma diventa lui il “signore” del pianeta. Questo solo perché dotato di spirito (intelligenza astratta).

La sessualità umana

 “Il salto qualitativo rappresentato dall’apparire dell’uomo si riscontra anche in ciò che potrebbe sembrare più affine agli altri animali, come nelle tendenze sensitive (come quella sessuale), che  nell’essere umano sono qualitativamente e perfino concretamente differenti da quelle animali” (Marcozzi).

Pur legata all’aspetto riproduttivo (questi organi sessuali sono chiamati infatti genitali) la sessualità umana è assai più complessa (non riducibile alla genitalità), in quanto legata oltre che al cervello e alla psiche anche allo spirito (intelligenza e libertà). Per questo la sessualità umana non è fisicamente costringente (è possibile la castità perfetta) e non è legata a “stagioni di accoppiamento”; deve essere “educata” a legarsi all’interiorità della persona (diciamo significativamente “intimo” ciò che è legato agli organi sessuali e ne abbiamo il pudore, cosa assente tra gli animali) e a dei valori (che sono tra l’altro quelli più elevati: l’amore vero e la vita). Per questo la sessualità umana – legata dunque al pensiero e alla libertà – può essere assai più elevata di quella animale ma può divenire anche assai pervertita (ha dunque un’enorme valenza morale).

Le nuove conoscenze in campo genetico non hanno diminuito ma aumentato il “mistero” della originalità e superiorità dell’uomo.

Da quando per la prima volta si parlò della doppia elica dell’acido desossiribonucleico (Dna) in un celebre numero dell’autorevole rivista Nature (25.04.1953) fino alla conclusione della mappatura del genoma umano (sotto la direzione di Collins), il mistero dell’uomo, anche da un punto di vista esclusivamente biologico, non si è affatto ridotto ma anzi è divenuto ancora più affascinante e incomprensibile.

Qualcuno potrebbe pensare che le ridotte differenze genetiche tra noi e gli animali (ad esempio lo scimpanzé) siano una conferma dell’evoluzionismo, in realtà fanno ancor più capire che il materialismo non spiega l’uomo, in quanto ciò che lo caratterizza è dunque altro (lo spirito).

“La decodificazione del genoma umano mostra che abbiamo 25.000 geni in comune con altri animali. Questo non risolve il problema ma lo amplifica: come mai siamo così diversi da loro?” (Silani, docente di Neuroscienze all’università Milano).

F. Collins (il direttore della ricerca sulla mappatura del genoma umano): “Proprio il fatto che il genoma umano e quello dello scimpanzé siano costituiti da 3 miliardi di lettere ma differiscano tra loro solo dell’1% costituisce un enigma ancora più stupefacente (contrariamente a coloro che pensano così di aver “ridotto” l’uomo ad un semplice scimpanzé evoluto) perché la loro differenza è abissale!



5) Fede ed evoluzionismo


Nonostante sia penetrato ormai nell’opinione pubblica come indiscutibile certezza, come abbiamo potuto osservare l’evoluzionismo in senso proprio non è in realtà neppure una teoria scientifica, in quanto non è sperimentale. Oltre a geniali intuizioni racchiude anche grossolani errori, così che gli stessi darwiniani oggi non seguono più pedissequamente il maestro.

Ammesso che possa essere una spiegazione scientifica vera, la teoria dell’evoluzione non sarebbe in sé in contraddizione con la fede cristiana cattolica (cioè con la Rivelazione di Dio), purché non escluda la causalità prima di Dio (quindi non dia poteri assoluti al caso o alla natura) e non si applichi all’uomo nella sua totalità (escludendo lo spirito e la sua creazione anche per ogni singolo uomo da parte di Dio). Anche perché, se facesse questo, non solo non sarebbe in sintonia con la Rivelazione divina (e quindi sarebbe senz’altro errata) ma non sarebbe neanche scientifica, non dando ragione dell’evidenza dei fatti (che il caso non può produrre ordine e finalità e che le attività superiori dell’uomo non sono riducibili alla materia e neppure al suo cervello evoluto).
L’evoluzione stessa – cioè la tendenza della vita a mantenersi, trasmettersi e migliorare – sarebbe un ulteriore segno della sapienza creatrice di Dio, che ha creato la vita e le ha infuso questo finalismo, proprio come un “inno alla vita”, cioè una tendenza a mantenere e migliorare quel “bene” che è la vita. Sarebbe cioè un ulteriore elemento dell’ordine cosmico, che trova la sua causa prima nell’Intelligenza infinita di Dio.

Potremmo ammettere la teoria dell’evoluzione (se avesse prove sufficienti) a queste condizioni:
1) l’esistenza dell’universo intero e delle sue leggi (compresa quella dell’evoluzione) è frutto dell’opera creatrice di Dio, e non di se stesso, del nulla o del Caso (il caso è semmai ammissibile in situazioni particolari ma non può assolutamente essere la spiegazione razionale dell’esistenza e dell’ordine di tutte le cose);
2) l’apparire della vita sul nostro pianeta – che ha richiesto una combinazione di innumerevoli fattori tra loro coordinati e tutti necessari – e la sua stessa evoluzione sono un ulteriore segno della sapienza creatrice di Dio e forse persino del Suo diretto e specifico intervento creativo (tanto è vero che è un “mistero” cosa sia la vita e non siamo capaci di produrla);
3) se volessimo applicare anche all’uomo, oltre che agli animali, la teoria dell’evoluzione, essa riguarderebbe ovviamente solo il corpo umano (peraltro diverso da quello animale proprio per la presenza dello spirito) e non il suo spirito, che ci caratterizza proprio in quanto uomini (permettendoci la facoltà di pensare in modo astratto e di volere in modo libero); esso infatti deve essere creato direttamente da Dio (non può derivare dalla materia ciò che è spirituale, perché nessuna cosa dà ciò che non ha), non solo per l’apparire del primo uomo ma per la nascita di ogni singolo essere umano.

Perfino se ammettessimo tutti i dogmi evoluzionistici e li ritenessimo scientifici, rimarrebbe la questione che tutto ciò spiegherebbe semmai il come avvengono i fenomeni (l’evoluzione stessa) e non il perché avvengono. E visto che la ragione, anche nella scienza, va alla ricerca non solo della descrizione dei fenomeni ma del loro perché, della loro spiegazione, della loro causa, questo processo razionale non si deve fermare all’esistenza delle leggi ma risalire al loro stesso perché, causa, spiegazione; e ciò non può che condurre di nuovo a Dio. 
Dire che l’evoluzione c’è perché “la Natura fa così, è strutturata così” è ovviamente una tautologia (è così perché è così) e non una spiegazione razionale.

Denis Alexander, direttore del Faraday Institute for Science and Religion al St. Edmund’s College di Cambridge, è un biologo cristiano darwinista. Egli afferma che la teoria dell’evoluzione è stata catturata da diverse ideologie, anche materialiste ed atee, ma in sé non si opponeva alla complementarietà di un sapere teologico, come dimostra il fatto che già nel 1867, quindi a 8 anni da L’origine della specie, esistevano dei darwinisti cristiani e che anche in seguito i più importanti pensatori cristiani in Gran Bretagna e America accolsero il darwinismo. Addirittura Aubrey Moore, docente al St. John’s College di Oxford ai primi del Novecento, affermava che c’è un’affinità speciale tra teologia e darwinismo (cfr. Denis Alexander, Creation or Evolution. Do we have to choose?, Monarch Books 2008) [cfr. il suo intervento al Convegno promosso dal Comitato per il progetto culturale della Chiesa Italiana “Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto” (11.12.2009)]. Tanzella-Niti (sacerdote e docente presso la P. Univ. Gregoriana e all’Ateneo S. Croce, a Roma): “L’evoluzione, in fondo, è il modo con cui Dio crea. Affinché il cosmo e la vita evolvano occorre una quantità positiva di informazione, impossibile in un mondo materialista senza informazione” [cfr. anche C. Tresmontant, Cristianesimo, filosofia, scienze, Jaca Book (MI), 1981, pp. 187-190]. 

In fondo già i Padri della Chiesa (S. Gregorio di Nissa, S. Agostino) ammettevano l’evoluzione quando parlavano di “rationes seminales” presenti nella natura e nei viventi.

Il primo libro della Bibbia (Genesi), pur essendo Parola di Dio (Antico Testamento), risente di cosmogonie e del linguaggio di 3000-4000 anni fa e non ha ovviamente alcuna preoccupazione di tipo scientifico moderno, ma vuole indicarci il Creatore di tutte le cose e l’uomo creato a Sua immagine e somiglianza, con il quale Dio vuole stringere un’Alleanza d’amore che troverà il suo insuperabile culmine in Cristo. La Bibbia è quindi una “storia della salvezza” e non un libro di fisica (semmai, per certi aspetti, di metafisica, cioè riguardante la Causa prima di tutte le cose  e non le cause seconde, la cui progressiva scoperta è lasciata al lavoro della nostra intelligenza).

Il libro della Genesi ci parla con certezza della creazione da parte di Dio di tutte le cose (a cominciare dalla luce) e della vita (a cominciare dagli animali che vivono nell’acqua), della speciale creazione dell’uomo (fatto “a immagine e somiglianza di Dio”, e ciò non è certo nel corpo), che attua un bene speciale (“vide che era cosa molto buona”), che dà il  nome alle cose (il che vuol dire conoscerle), ma soprattutto (nel racconto della creazione dell’uomo ripetuto nel cap. 2) che viene creato con il “fango” (cioè un materiale della terra, un animale precedente, una sostanza chimica come l’acido desossiribonucleico o DNA) ma che viene ad essere uomo quando riceve il “soffio”, il respiro (ruah in ebraico, pneuma in greco, spiritus in latino) di Dio. In altri termini, anche se il corpo dell’uomo fosse prodotto di evoluzione (di materiale o animale precedente), ciò che permette all’uomo di essere uomo è qualcosa di spirituale (che assomiglia a Dio) che ha dentro (il suo “io”). E questo è appunto lo spirito.

Tale compatibilità tra fede cristiana ed evoluzione, a queste ovvie condizioni, è sottolineata da alcuni autori, come ad esempio il celebre paleontologo Teilhard De Chardin, ma anche J. Lejeune [egli afferma che in Genesi appaiono tra l’altro prima gli animali marini, poi quelli volanti e terrestri e infine l’uomo, cioè con l’ordine stesso che vediamo oggi negli strati geologici, mentre la nascita del pensiero richiede un intervento divino nell’evoluzione] e G. Cottier (già teologo della casa Pontificia).



5.1 – La Chiesa è intervenuta con un giudizio?

Il Magistero della Chiesa non ha mai preso una posizione ufficiale sulla teoria dell’evoluzione (e mai ha messo all’“Indice dei libri proibiti” gli scritti di Darwin). In alcuni discorsi o messaggi degli ultimi Pontefici si è semmai sottolineata la necessità di non far scadere la teoria dell’evoluzione di Darwin in un irrazionale e nocivo materialismo, dove si sostituisca il Caso a Dio e si riduca l’essere umano semplicemente alla dimensione corporea, cioè ad un semplice animale. Abbiamo invece osservato come questa teoria evoluzionistica sia stata assai presto (ed è tuttora) utilizzata come ‘bandiera’ antireligiosa ed anticattolica. 
La Chiesa Cattolica, nel Concilio Ecumenico Vaticano I (1870), più che intervenire sulla questione specifica, riafferma la ragionevolezza della fede.

La Costituzione Dei Filius dedica un capitolo e 5 proposizioni al Dio Creatore di tutte le cose e riafferma che la ragione umana può conoscere che Dio esiste anche indipendentemente dalla fede.

Il Papa Pio XII, nell’Enciclica Humani generis (1950), denuncia la lettura atea e materialistica che ne fanno alcuni (comunismo) ma aggiunge che la teoria evoluzionistica, una volta salve le questioni  fondamentali, possa avere qualche validità (come ipotesi).

Secondo tale documento del Magistero, si deve fare particolare attenzione a non sciogliere nell’evoluzionismo la totalità dell’uomo, la sua superiorità rispetto agli animali, la spiritualità e immortalità della sua anima; mentre si ammette la possibilità che il corpo umano possa o essere creato ‘ex novo’ da Dio o derivare da un animale precedente. In questo senso si dichiara la non opposizione tra evoluzione e creazione e si incoraggiano anzi i cattolici a studiare anche tale teoria. L’Enciclica considerava dunque la dottrina dell’evoluzionismo un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Non si doveva ancora adottare questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate.

Nel lungo pontificato di Giovanni Paolo II troviamo anche specifici riferimenti all’evoluzionismo, ad esempio:

“La fede deve valutare la questione dell’origine della vita e dell’evoluzione, perché la Rivelazione concerne insegnamenti anche sulla natura e le origini dell’uomo … Non possono esserci verità opposte … Le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura … La teoria dell’evoluzione non è più quella materialistica di fine ‘800 (che pretendeva integrare dimensioni incommensurabili, come la coscienza morale e religiosa); per questo può nascere un nuovo rapporto tra evoluzionismo e religione. Posta nei suoi limiti naturalistici (aveva già sottolineato Pio XII nella Humani generis), non ci sono ostacoli ad accogliere la teoria dell’evoluzione, anche riguardo all’origine del corpo umano (senza negare ovviamente l’anima) … In questo senso non ci sarebbero ostacoli tra una fede rettamente compresa nella creazione o un insegnamento rettamente inteso dell’evoluzione: l’evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo – come una “creatio” continua … Se però già all’inizio c’era chi estendeva l’evoluzione alla totalità dell’uomo, oggi c’è chi l’estende anche ai fenomeni spirituali, come la morale e la religione (naturalismo, spesso divulgato acriticamente). Questo è anzitutto non un problema scientifico ma filosofico” (Giovanni Paolo II, discorso al Simposio Internazionale su “Fede cristiana e teoria dell’evoluzione”, 26.04.1985).

“Se già l’Humani Generis diceva che la dottrina dell’evoluzionismo era un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondita al pari dell’ipotesi opposta (non doveva però darsi per certo ciò che non lo era o andare contro la Rivelazione), oggi possiamo dire, in base alle nuove conoscenze, che la teoria dell’evoluzione non è solo una mera ipotesi … ma deve essere valutata con una verifica e deve essere ripensata se non è corroborata dai fatti … Ci sono molte teorie dell’evoluzione e risentono anche di alcune nozioni della filosofia della natura (materialiste, spiritualiste). Qua la competenza è addirittura teologica … La speciale dignità anche del corpo umano è in virtù della sua anima, creata immediatamente da Dio (Pio XII, Humani generis, 575).

Le teorie evoluzionistiche che negano o riducono lo spirito a semplice epifenomeno della materia non sono vere … L’apparire dell’uomo è un salto ontologico. Il passaggio all’ambito spirituale (coscienza di sé e della propria riflessività, coscienza morale, libertà, esperienza estetica e religiosa) non è oggetto di un’osservazione scientifica sperimentale, ma questione filosofica (metafisica) e teologica” [Giovanni Paolo II, Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze (22.10.1996)].

[Cfr. anche: Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (31.10.1992); Discorso alla Pontificia Commissione Biblica (23.04.1993; qui ribadisce il principio di “non far dire alla scienza o alla Scrittura più di quel che possono dire”)].

Ed ecco un intervento del Papa Benedetto XVI (su: la creazione e l’evoluzione):

“La creazione non ha a che fare solo con l’inizio, perché il Creatore fonda, sostiene, fissa e mantiene costantemente lo sviluppo del creato … <Evolvere> significa letteralmente <srotolare un rotolo di pergamena>, cioè, leggere un libro. L’immagine della natura come libro ha le sue origini nel cristianesimo ed è rimasta cara a molti scienziati. Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture. è un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui “scrittura” e il cui significato “leggiamo” secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell’autore che vi si è voluto rivelare. Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall’essere stato originato dal caos, assomiglia a un libro ordinato. è un cosmo. Nonostante elementi irrazionali, caotici e distruttivi nei lunghi processi di cambiamento del cosmo, la materia in quanto tale è <leggibile>. Possiede una <matematica> innata. La mente umana, quindi, può impegnarsi non solo in una “cosmografia” che studia fenomeni misurabili, ma anche in una “cosmologia” che discerne la logica interna visibile del cosmo … La distinzione fra un semplice essere vivente e un essere spirituale, che è capax Dei, indica l’esistenza dell’anima intellettiva di un libero soggetto trascendente. Quindi, il Magistero della Chiesa ha costantemente affermato che <ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio – non è “prodotta” dai genitori – ed è immortale> (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 366)” [Benedetto XVI, Discorso ai membri della Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (31.10.2008)].



Bibliografia

  • AA.VV., Evoluzione ed evoluzionismo: da Darwin a Monod, Cultura e libri n. 33-34, Roma 1988
  • AA.VV., Il Timone, n. 89 (gennaio 2010) – Dossier
  • AA.VV., Evoluzione ed evoluzionismo: da Darwin a Monod, Cultura e libri n. 33-34, Roma 1988
  • AA.VV., Il Timone, n. 89 (gennaio 2010) – Dossier
  • Artigas M., Le frontiere dell’evoluzionismo, Edizioni Ares (MI), 1993
  • Blondet M., L’uccellosauro e altri animali. La catastrofe del darwinismo. Effedieffe, 2002
  • Corti E. & Cavalleri G., Scienza e fede, Mimep-Docete, 1995
  • De Mattei R. (a cura di), Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, Cantagalli, 2009
  • Facchini F., Il cammino dell’evoluzione umana, Jaca Book, 1984
  • Ib.,  Il cammino dell’evoluzione umana, Jaca Book, 1984
  • Ib., Origini ed evoluzione dell’uomo, Jaca Book, 1985
  • Ib., Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fedeJaca Book, 2008
  • Fasol U., La creazione della vita, Fede & Cultura, 2007
  • Georgiev M., Charles Darwin oltre le colonne d’Ercole. Protagonisti, fatti, idee e strategie del dibattito sulle origini e sull’evoluzione, Gribaudi, 2009
  • Landucci P. C., La verità sull’evoluzione e l’origine dell’uomo, Ed. “La Roccia” (Roma)
  • Marcozzi V., Le origini dell’uomo (L’evoluzione oggi), Massimo, 1972
  • Ib., Caso e finalità, Massimo, 1976
  • Ib., Però l’uomo è diverso, Rusconi, 1981
  • Ib., Alla ricerca dei nostri predecessori: compendio di paleoantropologia, San Paolo, 1992
  • Ravalico D., La creazione non è una favola, Ed. Paoline, 1987
  • Respinti M., Processo a Darwin, Piemme, 2008
  • Sermonti G. & Fondi R., Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo, Rusconi, 1980
  • Sermonti G., Dimenticare Darwin. Ombre sull’evoluzionismo, Rusconi, 1999
  • Servier J., L’uomo e l’Invisibile, Rusconi,1973
  • Wells J., Le balle di Darwin. Guida politicamente scorretta al darwinismo e al disegno intelligente, Rubettino, 2009 (trad. it.)
  • Zichichi A., Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, 1999