Morale sessuale: perché porsi dei problemi morali sulla sessualità? Cosa dice al riguardo la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa?

Morale sessuale


Perché porsi dei problemi morali riguardo alla sessualità? Non basta fare attenzione a non prendere malattie e a non andare incontro ad una gravidanza? Oppure al massimo basta volersi bene? Porre altri limiti non sciupa questa realtà così bella e piacevole della vita?

Cosa dice al riguardo la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa?

Non è una legge morale “fuori dal mondo”, invivibile, che causa l’abbandono della Chiesa, specialmente dei giovani? E non è infatti proprio su questo che si snoda il più grande attacco del mondo alla Chiesa?

Cerchiamo di capire come invece qua c’è proprio in gioco un aspetto fondamentale della vita, che Gesù ci aiuta a comprendere e vivere secondo il suo vero significato, così che sia davvero costruttivo e non distruttivo (come invece assai spesso oggi diventa) …


Indice


Una considerazione sull’attuale panorama culturale

La situazione attuale

Era già successo altre volte nella storia – ad esempio al crollo della civiltà greca o nella decadenza dell’impero romano – ma oggi forse assume dei connotati perfino più gravi: quando crollano tutti gli ideali e la vita scivola in un pauroso vuoto di significato, la forza della pulsione sessuale – dove peraltro si evidenzia particolarmente, come per l’aggressività, la corruzione della natura umana dovuta al “peccato originale” – prende il sopravvento, fino ad annebbiare la mente e lo spirito; ma proprio per questo assai spesso si perverte e da fattore “costruttivo” della persona e della relazione diventa “distruttivo”, assumendo talora i connotati di una vera schiavitù (chiamata ovviamente libertà).
L’eclissi moderna della questione della verità – che è invece il bisogno più profondo che caratterizza l’umano! – fa sì che venga sempre più censurata la questione del significato; così anche una falsa “educazione sessuale” si riduce ad una “informazione”, imposta sconsideratamente fin dalle più tenere età, sul cosa e come fare e soprattutto come difendersi dalle conseguenze (il dogma del preservativo!).
L’edonismo fa acriticamente coincidere la felicità con il “piacere” – parola ossessivamente imperante persino nella pubblicità – e questo sembra l’unica felicità della vita, forse persino l’unico vero ideale, nascondendosi poi ciò che è ormai evidente: dopo ormai qualche decennio dalla “rivoluzione sessuale” non è per nulla aumentata la gioia, neppure tra i giovani, e nemmeno l’amore, che è diventato sempre più fragile e immaturo. Sono semmai aumentati i problemi e le sofferenze: possiamo osservare quanto dolore, quante vite, quanti amori, quante famiglie sciupate, perfino quanta violenza, sono sorti a motivo di una sessualità svincolata dal suo vero significato!
Svincolata prima dal suo nesso con la trasmissione della vita e poi persino dal suo rapporto con l’amore vero e duraturo, la sessualità è diventata un semplice e potente “divertimento” (che tra l’altro muove socialmente anche enormi interessi economici); e se è così, allora ognuno ha “diritto” a divertirsi come più gli pare e piace! Questa è la logica che sta dietro le attuali battaglie culturali e politiche per garantire a tutti di vivere la sessualità “a piacimento”, con capricci (persino perversioni) che vogliono diventare diritti, senza alcun dovere e senza assumersi alcuna responsabilità.
Tutti gli strumenti di comunicazione sociale, tutti i media, tutte le nuove tecnologie, sono poi pervasi da un “pansessualismo” talmente ossessivo da essere non solo volgare ma perfino ridicolo; senza alcun senso del pudore, senza più limiti non solo all’immoralità ma perfino alla stupidità. Persino il linguaggio è diventato “pansessualista” (una moda peraltro importata dagli USA): se ogni cinque parole non ce n’è una che faccia riferimento agli organi sessuali pare di essere antiquati (ma “la bocca parla della pienezza del cuore”, dice Gesù – cfr. Mt 12, 34).

Ormai anche i ragazzi crescono talmente in questa logica di sessualità come puro “divertimento”, che “fanno sesso” già in tenera età, anche con aborti (in Inghilterra, con una forzata educazione sessuale ridotta a come usare il preservativo, ogni anno aumentano comunque del 5% le adolescenti che abortiscono, anche più volte), e sono talmente imbevuti di pornografia on-line che se la producono e scambiano (e ricattano) a vicenda anche coi telefonini.

La montante “dittatura del relativismo” fa sì che non solo si dia sempre più per scontato che non esiste alcuna norma morale (verità) oggettiva e inscritta nella nostra stessa natura (che è cosa diversa dall’istinto), ma che diventi talmente obbligatorio pensare così – perenne contraddizione del relativismo – da cominciare a ritenere “reato” e quindi perseguibile il permettersi di dare giudizi morali sulla sessualità.

Questa montante e pericolosissima <dittatura> si ammanta di parole buone ovviamente condivisibili – come non-violenza, non-discriminazione, non giudizio sulle persone (tutti valori peraltro evangelici) – ma vuol fare diventare “obbligatorio” il relativismo morale (questo è invece antievangelico ed antiumano!), impedendo ogni giudizio morale sugli atti sessuali, anche quelli che vanno contro la natura stessa della sessualità, giungendo perfino a voler reintrodurre dei veri e propri “reati di opinione” (tipici appunto delle dittature!), rendendo cioè perseguibili per legge coloro che non si adeguano al relativismo morale, cioè coloro che pretendono ancora di dare giudizi morali! [Questo pericolo si nasconde ed è sotteso ad esempio a certe leggi sulla “omofobia”]. Si tratta del sempre più evidente rischio di trasformare le moderne democrazie, se diventano sinonimo di “relativismo etico”,  in nuove “subdole forme di totalitarismo, come dimostra la storia” [Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor (1993), n. 101; ma già nell’Enciclica (sociale) Centesimus annus (1991), n. 46].

L’attacco alla Chiesa

Non a caso proprio sul tema della sessualità e di ciò che è ad essa relativo (rapporti prematrimoniali, contraccezione, omosessualità, ma pure la questione del divorzio, delle convivenze, delle ‘coppie di fatto’, e perfino dell’aborto) è in atto in Occidente il più grande attacco contro la Chiesa Cattolica, fino al punto che il relativismo dominante vorrebbe (contraddittoriamente) mettere definitivamente non solo sotto silenzio ma persino fuori-legge la morale cattolica, se osa porre giudizi nella società.
Anche su questo il ’68 (1968) ha rappresentato uno spartiacque: rivoluzione giovanile nata all’insegna del “vietato vietare” e poi scivolata dentro l’ideologia marxista (quindi atea ed ostile alla Chiesa), vent’anni dopo ha dovuto di fatto riconoscere l’errore di tale ideologia (per la caduta stessa dei regimi comunisti nella Europa centro-orientale), ma tra le sue macerie è rimasta viva solo la “rivoluzione sessuale” allora iniziata, portandola fino alle estreme conseguenze (non a caso anche i partiti di sinistra oggi sposano soprattutto queste battaglie libertarie), nonostante che se ne vedano già ampiamente i disastri prodotti (cfr. quanto ossservato all’inizio del Dossier Pedofilia)
Tra l’altro, proprio in quel 1968 la Chiesa, con un intervento autorevole del Magistero (Paolo VI, Enciclica Humanae vitae, 25.07.1968), ripropose il significato autentico della sessualità umana e confermò l’immoralità della contraccezione, anche all’interno del matrimonio, individuando “profeticamente” le derive che avrebbe prodotto una sessualità sganciata dal valore della vita e dell’amore autentico.
Di fatto, perfino in Italia, tale insegnamento della Chiesa fu apertamente contestato anche da non pochi cattolici, così che per la prima volta apparve una vistosa frattura dalla Chiesa non solo da parte della società laica, ma paradossalmente anche da non pochi che pur si dichiaravano credenti e perfino ‘praticanti’.
Il “Referendum” sulla legge che ammetteva anche in Italia il divorzio (1974) e poi quello sulla legge che legalizzava l’aborto (1981) sono stati l’ulteriore prova di questo progressivo distacco dall’insegnamento della Chiesa non solo della società italiana (solo il 33% votò contro tali leggi) ma di non pochi credenti. Anzi, molto probabilmente fu proprio questo lo scopo recondito di tali battaglie “laiciste”: dimostrare cioè che la Chiesa non contava poi più molto nella società italiana e non riusciva più a farsi obbedire nemmeno dai suoi “figli”.
Le attuali battaglie ideologiche su queste tematiche – coppie di fatto, anche omosessuali, pillole abortive in farmacia – e i veti a ridiscutere certe leggi (v. la 194) si pongono coerentemente dentro questa ideologia (tardo illuminista), dove esiste solo la libertà (senza verità), dove tutto è relativo e lecito (e diventa “diritto”); e dove l’unico vero nemico da abbattere è fondamentalmente la Chiesa Cattolica e la sua assurda morale sessuale.

Teniamo presente che mai la Chiesa Cattolica ha pensato di rendere obbligatoria per legge tutta la morale (anche sessuale), ma solo quei valori fondamentali (come famiglia, rispetto della vita, libertà di coscienza e di educazione, ma anche certo ponendo dei limiti all’immoralità, come pornografia, prostituzione, ed un’errata educazione sessuale tesa al ‘tutto è lecito’ basta usare il preservativo) che sono fondamentali per la società stessa. 

Un giorno, forse ormai non molto lontano, si potrà osservare come la Chiesa sia stata profetica anche in questo – così come lo fu nel secolo scorso, mettendo in guardia da quelle ideologie (comunista, nazista, ma anche dal capitalismo selvaggio) che hanno poi provocato inaudite distruzioni umane – e come se fosse stata ascoltata non si sarebbe andati incontro ad immani attuali problemi.

Del resto, anche nel presente, basterebbe pensare ad esempio alla “denatalità” italiana (da primato mondiale! frutto anche della mentalità contraccettiva e degli aborti), che avrebbe già condannato l’Italia al completo default, anche finanziario (ad esempio l’impossibilità di pagare le pensioni), se non ci fosse stata l’immigrazione ( oltre alla questione degli anziani abbandonati); per non parlare di tutte le catastrofiche conseguenze della distruzione delle famiglie, del fallimento dell’educazione dei figli, della distruzione morale degli adolescenti; per non dire del proliferare delle malattie causate da immoralità sessuali (AIDS, ecc.).  

La Chiesa dei NO?

Uno dei modi con cui rendere odiosi gli insegnamenti morali della Chiesa, specie nel campo della sessualità, ed in fondo la stessa legge di Dio, è quello di esagerarli (“sesso solo per fare figli”?) – ma questa è una strategia usata dal diavolo fin dall’inizio dell’umanità (cfr. Gn 3,1) – o di continuare a presentarli come dei NO (non si può, non si deve, è peccato), tra l’altro proprio su un aspetto della vita particolarmente piacevole e bello e che dalla pubertà-adolescenza in poi sembra attirarci in modo irrefrenabile! 
È inutile nascondersi che gran parte dell’allontanamento dei giovani dalla Chiesa e dalla fede è causato proprio da questo. La Chiesa non capirebbe niente della sessualità, sarebbe sessuofoba, provocherebbe addirittura repressioni, nevrosi e perfino perversioni (e molti disturbi psicologici e gli scandali al suo interno starebbero lì a dimostrarlo). Insomma: meglio starsene alla larga …

Non a caso il Papa Benedetto XVI, nella sua straordinaria cultura e saggezza, capace di rispondere anche alle obiezioni non solo della cultura dominante ma perfino dell’uomo comune, ha raccolto questa sfida sottolineando fin dalla sua prima omelia (24.04.2005), e proprio riferendosi ai giovani, che “non dobbiamo avere paura di Cristo, perché Egli non toglie nulla ma dona tutto!”, e più volte ha evidenziato che la Chiesa e la legge di Dio non sono un insieme di NO ma di SI’, di sì al senso vero della vita e della cose della vita (anche se questo sì comporta ovviamente dei NO a ciò che potrebbe appunto sciupare questo senso e questi doni divini). Addirittura nella sua prima Enciclica (Deus caritas est, 2005, n. 3) ha voluto autorevolmente raccogliere questa provocazione – già spiegando la differenza e la connessione tra eros, philia e agape per esprimere l’amore – citando (nota 1) nientemeno che F. Nietzsche, secondo cui il cristianesimo avrebbe “avvelenato l’eros rendendolo impuro”, e rispondendo, con chiarezza culturale e perfino storica, come invece il cristianesimo, riunendo eros ad agape, abbia invece salvato l’eros dalla sua degenerazione e l’abbia elevato al suo autentico significato umano.

Il Papa San Giovanni Paolo II, che già da sacerdote, vescovo e cardinale, anche per il suo contatto coi giovani e le giovani coppie, aveva presentato una corposa e profonda “teologia del corpo”, della sessualità e dell’amore (raccolta nel testo, ancor oggi reperibile, Amore e responsabilità, Marietti 2007), dedicò per 5 anni (5.09.1979-28.11.1984) le sue catechesi alle udienze generali del mercoledì a questo tema (catechesi raccolte nel volume Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova/L.E. Vaticana).

Insomma, il Vangelo – e l’insegnamento della Chiesa che ci aiuta a comprenderlo e viverlo – è tutt’altro di quel che pensano molti, forse perfino certi cattolici: la sessualità umana ha un significato così profondo e bello, che a confronto ciò che ci propone la mentalità dominante è di una banalità se non di uno squallore sconcertanti.
Del resto, tutto è opera di Dio, frutto della Sua creazione, segno della Sua infinita Sapienza e del Suo infinito Amore! Per questo, come ci dice la Bibbia fin dalla sua prima pagina, tutto è “cosa buona” (ed è significativo che Gesù si riferisca esplicitamente a questo testo proprio per parlare del sesso e dell’amore coniugale, cfr. Mt 19,4-6). Quindi, a differenza ad esempio delle religioni orientali (spiritualiste) come di molte filosofie (dualiste/manichee), per la Bibbia anche la “materia” (anche il corpo, pure la sessualità) è bene. Potremmo dire che il cristianesimo è paradossalmente anche “materialista” (anche se è vero che nell’essere umano il corpo è guidato dalla mente e dallo spirito, e questi ha dunque la priorità), è talmente completo che niente dell’umano è trascurato, censurato, ma manifestato e vissuto nel suo autentico significato.
Il corpo umano, oltre ad essere creato da Dio, è stato anche assunto dal Verbo (il Figlio di Dio) che si è fatto carne. Gesù è poi risorto anche con il corpo e con il corpo trasformato è alla destra di Dio Padre. Anche noi, alla fine del mondo, risorgeremo con il corpo e tutto di noi, ricomposto in unità, parteciperà della vita e della gloria di Dio (paradiso) o ne sarà per sempre escluso (inferno). Gesù ha voluto che pure il corpo di Sua Madre (e discepola perfetta) Maria Santissima non si rovinasse in una tomba in attesa della risurrezione finale ma alla sua morte l’ha chiamata ad entrare nella Sua gloria anche con il suo corpo (Assunzione).
Solo per garantire appunto questo SI’ all’autentico significato della sessualità, della corporeità, dell’amore e della vita stessa dell’uomo, la Chiesa, su mandato di Gesù stesso, sottolinea anche dei NO a tutto ciò che invece, come falso significato, rovinerebbe (e sempre più rovina) il nostro autentico bene.

Il silenzio sulla <morale sessuale>?

Impauriti forse dal dilagare di questa mentalità dominante, intimoriti da questa battaglia che sembra ormai persa, temendo di perdere consenso e di vedere fiumi di giovani allontanarsi dalla Chiesa se si dicono le cose come stanno (verità) anche su questo delicato e importante fattore della vita umana – ma continuando a cercare un facile consenso (cosa peraltro contraria alla missione affidataci da Gesù!) invece lo si perde davvero (perché in fondo l’uomo ha bisogno di verità, anche se inizialmente può sembrare scomoda e perdente) – perfino tra non pochi educatori cattolici (preti e laici) si preferisce oggi tacere sulla <morale sessuale>, pensando di educare i giovani ad una fede tendenzialmente spiritualista (dove il “corpo” non c’entra e quindi può essere vissuto come tutti) o fondamentalmente sociale (dove cioè ciò che conta è fare un po’ di bene per gli altri). Ma questo nuovo atteggiamento – forse anche “pendolarmente” opposto ad un’educazione morale un tempo magari unilateralmente orientata sul sesso – in ultima analisi tradisce non solo l’autentico annuncio cristiano (di cui la morale sessuale costituisce certo una parte fondamentale), ma la vita stessa dei giovani e delle persone, che su questo aspetto fondamentale della vita si giocano molto della riuscita della propria esistenza, della propria famiglia (formata o futura) e perfino del destino eterno della propria anima (anzi, coloro che si dannano a motivo dei peccati sessuali, se commessi e non confessati, sono forse la maggioranza – ne fece cenno la Madonna stessa alla beata Giacinta di Fatima).


Cerchiamo allora di capire un poco questa importante questione, secondo il nostro stile, sobrio, essenziale, ma non superficiale, e che tiene conto delle più comuni domande e obiezioni. 

Si tenga presente quanto già considerato nella Introduzione alla morale cristiana e nell’aiuto per fare bene l’esame di coscienza (v. in riferimento al 6° e 9° comandamento).


Il significato della sessualita’ 

1. Perché porsi dei problemi morali? Non basta fare attenzione alla salute (per non prendere l’AIDS o altre malattie) e a non andare incontro a gravidanze indesiderate?

Come abbiamo ricordato nell’Introduzione, la “legge morale” non è altro che l’esplicitarsi del significato vero di una realtà (della vita e dei suoi aspetti). Nell’uomo questo significato non si attua automaticamente come nel resto della natura, ma deve essere conosciuto e liberamente voluto. Dio ci ha creato così perché avessimo un po’ di merito nel fare il bene; ma proprio perché creati liberi, possiamo anche stravolgere questo significato, cioè fare il male e quindi capovolgere il merito in colpa. Proprio perché siamo liberi, proprio perché in noi il significato non si attua automaticamente, non possiamo scrollarci di dosso la questione morale. Non possiamo non pensare; non possiamo non decidere. Anche se ci sforzassimo di non pensarci e di non decidere, sarebbe già un pensiero ed una scelta – e sarebbe la peggiore di tutte, perché tradirebbe ciò che ci caratterizza proprio come essere umani. Anche se ci abbandonassimo a vivere come gli animali, non potremmo fare gli animali, perché gli animali non sanno e non decidono quello che fanno (e per questo non fanno peccati!), mentre noi sì. 
In altri termini, mentre negli animali e nel resto della natura, il significato si attua automaticamente, in noi no. Potremmo fare bene ma anche male, potremmo costruire ma anche distruggere, potremmo edificare noi stessi (e gli altri) ma anche rovinare noi stessi (e gli altri). Questa è la nostra dignità; ma anche il nostro dramma. Ecco perché abbiamo bisogno di capire, abbiamo bisogno di “educazione”, e abbiamo bisogno di “allenare” la nostra volontà a fare il bene. Altrimenti potremmo anche fallire, nelle cose della vita e perfino nell’eternità (inferno).
Proprio perché non possiamo scrollarci di dosso la questione morale, cioè la questione del significato, non possiamo neppure evitare la questione di quale sia il significato della sessualità. Anzi, questo è un fattore molto importante della nostra vita, ma anche particolarmente delicato. Data anche l’intensità emotiva e il piacere che in genere l’accompagna, è facile che proprio nel modo di vivere la sessualità si venga trascinati dalla semplice pulsione erotica, quasi oscurando l’intelligenza e la coscienza. Non a caso proprio nella sessualità si manifesta non solo la particolare dignità dell’essere umano – creato da Dio-Amore “a Sua immagine e somiglianza” e chiamato all’amore, anzi all’Amore – ma anche quella debolezza che consegue purtroppo al “peccato originale”: la pretesa di fare a meno di Dio ha infatti rovinato anche il modo di vivere la sessualità (cfr. Gn 3), così che l’amore si trasforma facilmente in egoismo, la donazione in possesso, la padronanza di sé in schiavitù dei sensi. Per questo occorre anche una lotta (e la grazia di Dio) per vivere la sessualità nel suo autentico significato. 
La questione, tipicamente umana, che ci dobbiamo porre non è allora cosa, quanto o come fare, cercando poi di eliminare o difendersi dalle conseguenze che la natura stessa (ma è più esatto dire Dio) ha inscritto in questo atto, ma di conoscere e vivere il significato autentico di questo atto, sforzandoci – anche con l’aiuto di Dio – di comportarci di conseguenza, sia nel modo con cui viverlo (quando è lecito farlo) sia nel modo anche di astenersene. Questo “dominio di sé” e dei propri istinti non è una repressione, ma è una capacità tipicamente umana, che infatti gli animali non hanno.
Questo è il modo giusto (umanamente e cristianamente) di comportarsi; anche se oggi più che mai “controcorrente”, a tal punto da non essere quasi più compreso e da venire irriso chi lo vive.
Come si può capire, la questione non si risolve allora seguendo semplicemente “la voglia”  – o come si dice in modo più soft “il cuore” (a cui non si potrebbe o dovrebbe comandare!?) – essendo poi preoccupati solo di difendersi dai pericoli e dalle conseguenze di un rapporto sessuale (malattie o gravidanze indesiderate). È abbastanza evidente che vivere la sessualità senza un criterio morale (significato) assai spesso trasforma questo fattore così importante della nostra persona da costruttivo in “distruttivo”. L’intensità del desiderio sessuale, se non governato, potrebbe infatti prendere il sopravvento e persino distruggere tanti altri beni: il rispetto dell’altro, la fedeltà, la sincerità, una amicizia, perfino un matrimonio, trascinandoci talora in una catena di menzogne per coprire le nostre azioni, fino ad indurci perfino ad uccidere il bambino che è stato concepito e che già vive nel grembo di lei! (addirittura quindi capovolgendo questa potenza d’amore e di vita in forza di morte!).

Ricordiamo che anche biologicamente il bambino esiste pienamente fin dall’istante del concepimento (ha solo bisogno di crescere, per nascere 9 mesi dopo ed essere una persona adulta dopo 18 anni!) e che quindi l’aborto è un vero omicidio (non c’è differenza se prima o dopo i 3 mesi, come prevede ipocritamente anche la legge italiana 194), persino se procurato appena dopo il concepimento (come dalla spirale o dalle pillole “del giorno dopo” o “del 5° giorno”, che ne impediscono cioè l’annidamento nell’utero e lo espellono).

Anche l’anima (cioè il nostro <io>) è infusa da Dio in quel nuovo corpo fin dall’istante stesso del concepimento; ed ha la stessa dignità di ogni uomo, tanto è vero che durerà per l’eternità e quel corpo stesso risorgerà alla fine del mondo, come tutti gli altri esseri umani.

Insomma, non si tratta solo di salvaguardare la salute – questo sembra rimasto l’unico obbligo morale che ci insegna ancora la società e si insegna perfino ai ragazzi (il dogma del preservativo, mentendo tra l’altro sulla sua reale efficacia! – o di impedire una gravidanza (nessuna morale sessuale ma perfino il presunto “diritto” di abortire!).

Ma è poi vero che l’uomo non si pone più altre questioni?
In realtà, anche nel più pervertito degli uomini, rimane forse un barlume di coscienza, che gli fa avvertire che comunque qualche limite (si potrebbe dire “freno”, ma è più bello dire “decisione”) dobbiamo porlo. Sì, nonostante talora si neghi a parole, anche la coscienza più annebbiata, al di là della pulsione del momento, avverte forse ancora che ad esempio “andare con le prostitute” non è proprio il massimo della sessualità umana (il corpo diventato oggetto d’acquisto), che “andare con la prima che capita” non è proprio quello che il nostro cuore desidera (che è l’amore), che “andare con la ragazza del mio amico” è un disordine che non mi fa poi dormire tranquillo, così come “andare con un’altra, tradendo la mia ragazza” … Poi si può salire più in alto e chiunque può capire che se c’è più amore – se non è solo un “fare sesso” ma un “amare l’altro per quello che è e non solo per il corpo che mi dona”, se è un “condividere la vita e non solo le emozioni” – allora non è solo più giusto ma è perfino più bello!

In fondo ognuno ha ancora una gerarchia di valori, capisce che c’è un lecito e un illecito, un giusto e un ingiusto, quindi un bene (da fare) ed un male (da evitare). Si impone dunque la questione morale, cioè del bene e del male. Semmai il problema è capire dov’è questo limite, cosa sia davvero il bene e il male. Cioè appunto quale sia il giusto significato (verità) della sessualità da vivere.

2. Porre altri limiti non sciupa questa cosa così bella e piacevole della vita?

Orientare e governare le proprie pulsioni è dunque proprio ciò che ci contraddistingue come essere umani. Gli animali vivono solo di istinto e il significato si attua automaticamente (per questo sono molto “regolari” anche nella loro sessualità). Non si tratta dunque di un reprimere, non è tanto un freno, un’inibizione, quanto uno sforzarsi di vivere l’autentico significato della sessualità. In realtà non si tratta dunque di “limiti” ma di “condizioni” perché la sessualità sia vissuta in modo autentico, vero e per questo anche più bello. Questo, anche se può non essere facile e al momento può comportare anche delle rinunce faticose, in realtà rende più bello lo stesso incontro sessuale, quando esso è poi lecitamente vissuto. Infatti solo “la verità ci libera” (Gv 8,32), cioè solo il vivere la verità, l’autentico significato, ci rende davvero più “umani” (e la vita cristiana è in fondo una vita “più umana” e più bella, già in questa vita, perché così e per questo siamo stati creati). Se questo freno, questi limiti, queste condizioni, cioè questo significato, possono talora sembrarci costosi, in realtà ciò non ha nulla di masochistico, ma è anzi pienamente umano, ci realizza pienamente, perché ci fa diventare sempre più noi stessi (così come siamo stati pensati e creati da Dio).

Non posso ad esempio dire “ma io sono un uomo!” per giustificare il proprio abbandonarsi ad una pulsione che sarebbe irrefrenabile, perché proprio perché siamo “esseri umani” e non animali siamo in grado di governare noi stessi e vivere le cose secondo il loro autentico significato, non automaticamente (come negli animali), ma col merito di un “sforzo”, talora persino di una lotta, per fare il bene, per essere uomini autentici, e anche per amare davvero.

E quando siamo giovani (o giovanissimi) non dobbiamo bruciare le tappe, pensando che ci godiamo la vita se facciamo tutto quello che abbiamo voglia di fare (tra l’altro i “boccioli” prematuramente e violentemente aperti si sciupano e non diventano mai, se non per uno speciale dono di Dio, dei fiori belli e maturi), ma dobbiamo sentirci come in un “allenamento” – analogamente a quanto facciamo nello sport – per raggiungere un giorno dei veri risultati, cioè una vera maturità. Ecco il significato di un allenamento a vivere il significato vero della sessualità, nella castità prematrimoniale: se non diventiamo padroni delle nostre pulsioni, molto difficilmente sapremo donarci (che è caratteristica dell’amore vero), ma cadremo quasi inesorabilmente nel “possesso” dell’altro (che è invece il segno dell’egoismo, opposto dell’amore anche quando pare velato da amore; e sarà prima o poi distruttivo), e sempre più nella schiavitù delle proprie pulsioni, così che non siamo più noi a comandare a loro ma loro a comandare a noi, trascinandoci in azioni distruttive (e se non ci convertiamo possono trascinarci perfino all’inferno).

3. Perché non basta neanche “volersi bene”?

Non dovrebbe essere difficile scoprire che la sessualità è legata all’amore. Infatti anche il più immorale degli uomini può avvertire in fondo al suo cuore che se si ama davvero, la sessualità è perfino più bella, essendo più autentica.
Il problema è semmai capire cosa significa volersi bene davvero, fino ad amarsi veramente.

Come abbiamo già sopra ricordato, il Papa Benedetto XVI ha infatti sapientemente iniziato la sua prima Enciclica (Deus caritas est), su Dio-Amore e sul significato stesso dell’amore, proprio evidenziando come oggi assai spesso <amore> sia diventata una parola perfino equivoca, adattata a coprire tante pulsioni (che poi amore ancor non sono) e perfino egoismi; e come già i greci per questo distinguevano eros, filia e agape nel parlare dell’amore.

Amare non significa evidentemente solo piacersi o sentire attrazione per l’altro. Semmai questo può essere una spinta all’amore, ma in sé non è ancora amore.
“Fare l’amore” – espressione banale (perché l’amore non si “fa”), tanto è vero che oggi si è già più espliciti dicendo “fare sesso” – non significa ovviamente che ci sia automaticamente amore.

Anzi, certi atti (specie se precoci) possono persino illudere e ingannare, perché la carica emotiva e di piacere che tale atto comporta può accecare la mente e far credere che c’è amore quando invece ancora non c’è. E il tempo, talora perfino breve, sta lì a dimostrarlo …

A ben guardare nemmeno l’innamoramento, che può già essere certo un inizio d’amore, è già un vero e proprio amore. Va infatti verificato nel tempo se esso matura in un vero amore o era solo una “fiamma” di un periodo.
Amore è in realtà la parola più bella e importante della vita. Infatti Dio è Amore (1Gv 4,8), l’amore infinito. Dio è Amore infinito all’interno della Sua stessa vita (è comunione perfetta delle tre Persone della Santissima Trinità) e in tutto quello che fa (creazione e redenzione). E l’essere umano è chiamato all’amore perché è stato creato da Dio “a Sua immagine e somiglianza” (Gn 1,27) ed è creato per Lui, perché possa fin d’ora conoscere e rispondere al Suo amore, e goderne in eterno nell’altra vita (paradiso). L’amore ha cioè in Dio la Sua sorgente, il Suo culmine ed il suo fine ultimo.
Non è difficile capire che siamo tanto più felici quanto più siamo amati ed amiamo. Lo capisce anche un bambino (che infatti matura quanto più è amato e impara ad amare). Lo avverte anche il più pervertito degli uomini.
Non dovrebbe essere però neppure difficile cogliere che non è però sempre così spontaneo amare, che noi possiamo purtroppo andare anche in un’altra direzione, che è l’egoismo e che può spingerci perfino all’odio. La Bibbia ci dice che c’è in noi anche una ferita (“peccato originale”, Gn 3), una debolezza che rimane perfino dopo che è stato sanata (col Battesimo), che fa sì che non sia sempre facile “amare”, che non sia sempre così spontaneo come vorremmo, che occorre lottare per vincere i propri egoismi, che potremmo altrimenti sciupare anche le cose più belle, anche l’amore più vero, come purtroppo assai spesso la nostra stessa storia dimostra.
Persino le pulsioni sessuali, in sé dati da Dio in vista dell’amore vero, se non governate si mettono invece al servizio dell’egoismo, anche se mascherato – e neppure due “egoismi” fanno un amore! (anche se c’è consenso) – e da costruttive diventano distruttive, come poi il tempo dimostra. 
Molti degli amori che dopo un po’ si “esauriscono” (come ci si dice per giustificare la rottura di un rapporto), in realtà non sono forse mai stati veri amori, anche se il “piacersi” o perfino l’innamoramento poteva coprire apparentemente questo egoismo latente. In questo caso appunto gli atti sessuali, con la loro carica emotiva e di piacere, invece di far comprendere che ci si ama davvero, potrebbero invece confondere, credendo di vedere un amore che invece ancora non c’è.
Per questo, se può essere istintivo piacersi e spontaneo innamorarsi, normalmente il saper amare non è così facile come sembra, anche se bellissimo: occorre imparare ad amare, occorre perfino allenarsi ad amare, a superare i propri egoismi, a volere l’autentico bene dell’altro (molti di quei “ti voglio bene” sono in realtà un “mi voglio bene con te”!), a saper fare dei sacrifici per l’altro, a chiedere perdono e a darlo quando si sbaglia. Non a caso è Gesù che ci insegna l’amore vero e ce ne dà la testimonianza suprema. Non a caso Egli recupera l’amore uomo-donna nel suo significato originario (cfr. Mt 19,4-6), dona la Sua grazia perché così sia vissuto, fino ad istituire il Sacramento (Matrimonio) per vivere di questa grazia, per attingervi perennemente questa forza nuova d’amare che viene da Dio stesso e che per questo è indistruttibile!
Per questo l’amore vero e totale è quello che si assume l’impegno di condividere tutta la vita, per tutta la vita, in qualsiasi condizione futura, e che trova in Cristo stesso il proprio fondamento.
È a questo punto che l’amore è davvero totale, e fondato in Dio stesso e nel Suo Amore (che si è manifestato totalmente in Cristo), anzi che diventa un segno di questo stesso Amore divino. Così che anche l’unione fisica dei corpi, anche l’unione piena dei sessi, ne sia il segno autentico.
Ecco perché la morale sessuale cristiana considera leciti i rapporti sessuali solo all’interno del Matrimonio (fondato sul Sacramento).

L’amore di un uomo e di una donna, che se è autentico porta già in sé il desiderio che sia unico (senza tradimenti o adulteri) e per sempre (indissolubile), è dunque chiamato, con l’aiuto di Cristo e dello Spirito Santo (Amore), a queste altezze, così che se già nel fidanzamento si ama l’altro anche certo per il suo corpo ma non per il suo corpo (con una prova autentica d’amore che porta a dire “ti amerei anche se non facessimo niente di sesso”, e infatti aspettiamo per farlo di condividere davvero tutta la vita nel matrimonio, come Dio ci dice), e nel matrimonio si ama talmente che si giunge a dire che “ti amerei persino se tu fossi ammalata … e anche quando sarai vecchia! per sempre (nella salute e nella malattia …. fino alla morte – come dice il Rito stesso del Matrimonio). Allora l’amore viene talmente purificato e si innalza talmente alle altezze dell’Amore, che quando si hanno allora rapporti sessuali (nel matrimonio) sono davvero diventati il “segno” il segno dell’amore autentico; un amore che ci sarà e perfino crescerà anche quando l’età o la salute non permetteranno più i rapporti sessuali. 

4. Perché la “vita” non è un optional di un rapporto sessuale?

Se non affermassimo il nostro desiderio fino a negare l’evidenza, sarebbe ovvio riconoscere che la sessualità è intrinsecamente legata alla “trasmissione della vita”, che l’attrazione uomo-donna e perfino il piacere sessuale è sostanzialmente proteso a far sì che uno “spermatozoo” (che significa “seme-di-vita”) possa fecondare un ovulo e far nascere così un nuovo essere umano.

Poiché si tratta appunto di un essere umano, dotato cioè di corpo e spirito (e destinato all’eternità), il frutto di quell’incontro sessuale ha un valore infinito, che supera la materialità stessa della cosa. Infatti, anche se oggi si dice banalmente “fare un figlio” (mentre sino a pochi anni fa si diceva “avere un figlio”, e le parole non sono senza un significato profondo), in realtà lui e lei “procreano”, cioè danno origine ad un nuovo corpo, in cui da subito Dio “crea” l’anima, cioè costituisce l’<io> di una nuova persona, unica e irripetibile (dunque non solo geneticamente, come sappiamo, ma anche spiritualmente), con una dimensione trascendente ed un destino eterno.

Non a caso gli organi sessuali si chiamano “genitali”, cioè atti a generare, e le cellule sessuali sono le uniche dotate di 23 cromosomi invece di 46 (così accoppiandosi non solo costituiscono il nuovo essere con 46 cromosomi, ma genialmente si evitano impensabili raddoppi e moltiplicazioni di tare ereditarie).

Negli animali (sessuati) l’istinto sessuale e il piacere dell’accoppiamento è una spinta della natura, ovviamente a loro insaputa, affinché si conservi la specie. La vita è un tale “bene”, anche solo a livello vegetale ed animale, che il vivente è mosso sostanzialmente da due spinte: conservazione di sé e conservazione della specie. E per fare questo, non essendoci la coscienza e quindi la possibilità di pensare e di decidere, gli animali sono spinti da istinti di piacere o dolore, innate paure o capacità di difesa.
L’istinto sessuale, proteso quindi alla generazione di individui della stessa specie, sarebbe però eccessivo se l’animale lo possedesse sempre e non potendo non seguirlo (non avendo coscienza e libertà). Nella legge della natura, voluta da Dio, ci sono allora in genere stagioni di accoppiamento, dove cioè l’affiorare dell’istinto sessuale permette al maschio ed alla femmina di quella specie di cercarsi, corteggiarsi, unirsi sessualmente e così generare.
Nell’essere umano, dotato di spirito e quindi di pensiero e di libertà, le cose della vita vanno come sempre pensate e decise, perché in lui Dio ha appunto voluto che il significato (la verità, la legge naturale) non si attuasse automaticamente e senza merito, ma con coscienza e libera decisione, cioè con possibilità di avere un po’ di merito nel fare quello che fa. Ovviamente questo fattore libertà, che Dio ha creato e che Dio stesso rispetta, fa sì che noi siamo purtroppo in grado anche di cadere nella colpa, cioè di pretendere di stravolgere il significato e di trasformare così il merito in colpa, il bene in male. Noi infatti abbiamo la grande dignità di poter scoprire la verità (significato autentico) e deciderci per essa, e perfino di ribellarci ad essa, ma non di inventarla (perché non siamo noi i creatori di noi stessi)!
L’istinto sessuale, pur essendo anche nell’essere umano proteso alla trasmissione della vita, non è regolato dalla stagioni – anche se può oscillare di intensità (ad esempio nella donna è più intenso proprio nei giorni, guarda caso, in cui ha un ovulo pronto per essere fecondato) – ma dalla coscienza. Per questo occorre capacità di ben pensare e decidere, responsabilità, padronanza di sé, vera educazione, maturazione (non a caso l’uomo, a differenza degli animali, non è considerato adulto quando è in grado di riprodursi, nella pubertà-adolescenza, ma molti anni dopo; e potrebbe anche comportarsi da perenne immaturo!).
Questa superiore capacità non è stata data all’uomo perché “faccia sesso” a piacere con l’astuzia poi di evitarne le conseguenze (gravidanza), ma perché impari a regolare la sua istintività rispetto alla immensa responsabilità di generare una vita umana. 
Non si tratta quindi di censurare e artificialmente togliere dalla sessualità questa dimensione fondamentale che è la trasmissione della vita umana – com’è nella mentalità contraccettiva – ma anzi di rilevare come la sessualità non sia uno scherzo, un divertimento, e neppure semplicemente uno scambio d’amore, ma nientemeno che una chiamata a collaborare con lo stesso Dio-Creatore (quel Padre “dal quale ogni paternità-maternità prende nome”, v. Ef 3,15).

Come vedremo, questo non significa mettere al mondo figli in modo inconsiderato, ma proprio il contrario, cioè con la consapevolezza dell’immenso “dono” del figlio e dei suoi diritti; e neppure che non si possano avere rapporti sessuali al di fuori della procreazione; ma che questo aspetto non debba mai essere artificialmente censurato. Intanto si capisce anche per questo che il rapporto sessuale ha senso pieno solo all’interno di un rapporto d’amore matrimoniale, unico ambito in cui un bambino può essere degnamente accolto ed educato. E se per motivi veri (d’amore, di rispetto per la vita stessa di chi potrebbe nascere, e non egoistici) “purtroppo” non si è in grado di accogliere un figlio che potrebbe nascere (un nuovo figlio o un figlio in quel periodo), pur rimanendo aperti a questo immenso dono di Dio, i rapporti sessuali matrimoniali faranno ricorso, sempre nell’amore vero, ai giorni infecondi del corpo della donna (oggi sempre più facilmente riconoscibili anche dal punto di vista medico). In questo caso non si censura artificialmente la vita, ma essa non c’è, cioè non c’è un ovulo pronto da fecondare (come è nella maggior parte dei giorni del ciclo mestruale).

5. La sessualità umana è come quella degli animali?

Potrebbe sembrare che, trattandosi del corpo, la nostra sessualità sia in fondo uguale a quella degli animali (sessuati) e che in questo senso risponda ad una specie di bisogno organico. Invece non è così, com’è già stato fatto osservare altrove nel sito (Fede ed evoluzionismo e Darwin e l’evoluzionismo punto 4.4).
Certo, anche nell’essere umano la sessualità è sostanzialmente legata alla riproduzione. Gli organi “genitali” si chiamano così proprio perché sono fatti per unirsi (maschio-femmina) e dare origine (“generare”) ad una nuova vita.
La presenza però dello spirito, cioè di un <io> spirituale (capace di intendere e di volere), e quindi la capacità di governo dei propri istinti, fa sì che nell’uomo anche la sessualità sia diversa da quella animale: non è regolata automaticamente dalle pulsioni e dalle stagioni di accoppiamento – non essendo in grado di governare i propri istinti, nell’animale è l’istinto sessuale a non essere sempre presente – ma da una coscienza che sa cogliere il significato (e quindi una “coscienza morale” che sa cogliere la distinzione del bene dal male) e liberamente attuarlo. Per questo l’essere umano, pur chiamato a vivere un significato altissimo della propria sessualità (amore-vita), essendo creato libero può purtroppo fare il male, cioè pervertire il significato autentico di questa realtà, fino a comportarsi assai peggio degli stessi animali.
Per questo la sessualità umana non è semplicemente legata alla “genitalità”, ma ha un profondo legame col cervello (molti sessuologi dicono che è il cervello il primo organo sessuale), ma anche con la psiche (come ha fortemente sottolineato la psicanalisi; moltissimi disturbi sessuali nascono infatti da qui) e soprattutto con lo spirito (il nostro <io>, sorgente dei nostri pensieri e decisioni).
Potremmo dire che proprio in questo caso si evidenzia particolarmente che nell’essere umano c’è l’unione di somapsiche e pneuma – per dirlo con la tripartizione già evidenziata dai greci – e che questi tre livelli, uno più profondo dell’altro, si richiamano e si condizionano a vicenda.

La conversione del nostro <io>, e la grazia di Dio che vi può abitare, oltre a dare un maggiore equilibrio e talora perfino un maggiore benessere psicologico, rende anche più capaci di padroneggiare la fisicità della propria sessualità, senza divenirne schiavi ma rendendola o legata all’amore vero per una persona o perfino rende capaci di una castità piena (come nei consacrati).

Al contrario, una disordinata vita sessuale, schiava delle proprie pulsioni, rende non solo più inquieti nella propria psiche, ma soprattutto più indifferenti e incapaci di sentire e di vivere le gioie dello spirito (cfr. Ef 4,19; Rm 1,24-28).

Proprio per questo la sessualità non può essere banalizzata; e neppure ricondotta ad un semplice bisogno organico (come fosse il mangiare o il bere). Infatti proprio in ciò che potrebbe sembrare essere più affine al regno animale, in realtà si riflette la superiorità dell’uomo, che può governare ed orientare i propri impulsi (ma anche rendersene schiavo) e viverli secondo l’autentico significato (cfr. 1Cor 6,12-20). Ecco perché l’uomo, anche in seguito ad un allenamento interiore alla castità e con l’aiuto della grazia di Dio, può divenire capace di astinenza da attività sessuali fisiche: o prima del matrimonio, o periodicamente anche all’interno del matrimonio, o perfino stabilmente nella totale consacrazione a Dio-Amore, dove per una particolare grazia di Dio, la sessualità viene per così dire sublimata, cioè trasformata e vissuta in una nuova forma d’amore per gli altri ed in una totale appartenenza d’amore a Dio.  

Potremmo osservare come la psicanalisi abbia sottolineato fortemente come la sessualità non sia riducibile alla genitalità, ma abbia un riferimento addirittura al preconscio ed all’inconscio ed abbia una fondamentale fase di sviluppo in un’età dove la genitalità non è invece ancora maturata (Freud). Molta psicanalisi ha però addirittura esagerato questo aspetto, come se la “libido” fosse una sorta di determinismo in grado di costituire interamente l’umano, anche laddove non sembrerebbe, e taluni psicanalisti hanno preteso di “liberare” l’umano proprio disinibendo totalmente la vita sessuale, provocando in realtà una schiavitù perfino peggiore dei disturbi che voleva sanare. Occorre dunque un equilibrio e soprattutto una visione più globale dell’umano (un umanesimo integrale), senza la quale le analisi psichiche (Freud) o sociologiche (Marx) rischiano tragicamente di occultare invece di svelare ciò che più profondamente caratterizza l’umano. Rimane però significativo che anche qui si riveli in fondo quanto non si possa banalizzare la sessualità o ridurla ad una sorta di fattore semplicemente fisico o un bisogno organico.

6. Perché il corpo umano è un “segno”?

Il segno è qualcosa che indica qualcosa d’altro, anzi il cui significato più profondo consiste proprio in questo altro che significa.

Il segno è come un simbolo (una bandiera è simbolo di un Paese), un segnale (un segnale stradale di curva pericolosa indica che dopo c’è una curva pericolosa), un indice (un dito indice puntato verso una direzione spinge a guardare non l’indice ma appunto la direzione che indica).

Proprio la presenza dello spirito in noi fa sì che il nostro corpo assuma il carattere di “segno”, cioè che nella sua fisicità riveli un’altra dimensione. 
Perfino l’immensa possibilità delle nostre espressioni facciali, che non ha eguali nel regno animale, fa sì che il nostro volto riveli qualcosa dei nostri sentimenti, della nostra interiorità.

Un sorriso non è semplicemente una contrazione muscolare della faccia. I nostri occhi hanno una miriade di minuscole possibilità di evidenziare non solo quello che proviamo (gioia, tristezza, noia, piacere, turbamento, …) ma perfino qualcosa della nostra anima (lo dice anche Gesù, cfr. Lc 11,34; Mt 6,21-23), così che una risata potrebbe essere anche segno di allegria ma a stento riuscirebbe ad impedire che gli occhi rivelino ancora una profonda tristezza nel cuore o un vuoto nell’anima. Potremmo dire che c’è una bruttezza o bellezza dell’anima che si somatizza anche nel viso, per cui al di là della oggettiva bellezza o bruttezza dei lineamenti, il volto può ugualmente rivelare un poco anche la bellezza o la bruttezza dell’anima (il volto di una persona molto buona può divenire persino più attraente e bello di un volto oggettivamente bello ma di una persona cattiva). In fondo anche in questo si manifesta già qualcosa dell’eternità: quando alla fine del mondo anche i nostri corpi risorgeranno e si riuniranno alla nostra anima, la bellezza o bruttezza di questa si rivelerà anche nei corpi risorti, così che all’inferno saranno in fondo tutti brutti e in paradiso tutti belli (come spesso anche i pittori ci hanno descritto).

Il fattore libertà può compromettere però anche questo aspetto: ciò che è chiamato ad essere “segno”, noi possiamo pervertirlo in “maschera”, in “ipocrisia” (nel senso letterale di “nascondere” invece di “rivelare”). Ciò avviene quando l’aspetto fisico dice qualcosa di diverso da ciò che indica, cioè di ciò che è “interiore”.

Ad esempio, il sorriso che ci fa una persona che ci odia, anche se a stento le può riuscire bene, ci infastidisce invece di rallegrarci, e ci fa dire appunto “ipocrita”. Quel sorriso non è infatti più un “segno” ma una “maschera”.

Dobbiamo tenere presente questo, che riguarda il corpo umano ed in particolare il volto, anche per capire la sessualità umana. Essa, nella sua espressione corporale cioè genitale, ha infatti il carattere di “segno” e di un segno particolarmente riferito alla nostra interiorità (non a caso oggi indichiamo gli organi genitali, e perfino ciò che è destinato a coprirli, con il termine “intimo”). In questo senso si può capire anche il giusto senso del “pudore”, che non è un segno (come qualcuno si ostina a farci credere) della presunta sessuofobia cristiana, ma che contraddistingue l’essere umano.

Questo è un dato universale e antico quanto l’uomo e che invece nessun animale ha mai posseduto. Anche se esistono alcune tribù primitive dove si viveva totalmente nudi, in realtà l’essere umano adulto ha quasi universalmente e fin dalle origini coperto gli organi genitali, per un istintivo pudore [una polemica anticristiana ha voluto far credere che sarebbe stato l’arrivo dei missionari cristiani, che secondo certi cliché anticlericali sarebbero appunto ostili alla sessualità, a generare l’uso in certe tribù primitive di coprire i genitali; il cristianesimo ha semmai reso più coscienti della dignità della persona umana e della sua stessa sessualità].

Il dato biblico secondo cui prima del “peccato originale” i nostri progenitori fossero nudi e non ne provassero vergogna (Gn 2,25) sta invece a significare che prima della ribellione a Dio l’uomo e la donna vivessero tutta la vita, e pure la sessualità, nel suo autentico significato, in una “innocenza originaria” (diversa da quella del bambino che ancora non prova attrazione sessuale) che rifletteva quel bene che era anche la sessualità secondo il disegno di Dio e che si è invece smarrita dopo l’allontanamento da lui (Gn 3,7.10-11). Così il pudore diventa anche una difesa contro il pericolo di diventare semplicemente “oggetto”, cioè una sessualità staccata dall’<io>, che è una conseguenza del peccato originale e la cui tentazione (di rendere la persona oggetto) rimane ancor oggi (anzi, che è oggi enormemente amplificata da un’idolatria del corpo, da una sessualità divenuta semplicemente “oggetto” di desiderio, e che trova poi nella pornografia il suo culmine di perversione dell’autentico significato).

Si potrebbe infine osservare come un giusto senso del “pudore” (non solo in pubblico o tra persone di sesso diverso, ma anche nel non mostrarsi facilmente nudi anche tra persone dello stesso sesso) abbia in questo senso ancora un profondo significato e non debba essere considerato un retaggio di una mentalità retrograda e sessuofoba, ma il segno della propria dignità umana.

Con ciò si capisce che una sessualità autentica, anche nella sua espressione genitale, costituisca il segno di qualcosa di molto più profondo e interiore: l’unione totale dei corpi, anche in questa dimensione più “intima”, deve essere il segno dell’unione totale delle persone (amore unico e per sempre) ed anche della sua intrinseca potenzialità di generare addirittura un essere umano. Cioè appunto quando è vissuta secondo il suo significato pieno, dato da Dio stesso nostro creatore.
Potremmo altrimenti dire che quanto più manca l’aspetto di unione totale delle persone e l’apertura naturale alla vita (cioè il vero significato di cui l’unione sessuale deve essere “segno”), tanto più tale atto diventa “mancante” (peccato proprio in quanto “mancanza”), si potrebbe dire “maschera”: il segno vuol dire di fatto di più di quello che c’è, c’è un fatto che non è più integralmente segno di qualcosa d’altro e in fondo è poco o tanto “ipocrita” (letteralmente: nasconde invece di rivelare).

7. Perché la sessualità non è solo genitalità?

Come abbiamo appena osservato, quello della sessualità è nell’essere umano un campo assai più vasto, complesso e delicato della pura genitalità (cfr. Dossier sull’evoluzionismo punto 4.4). Infatti la sessualità determina la mascolinità o la femminilità di tutta la persona, nelle sue molteplici espressioni. Inoltre, la caratterizzazione sessuale si manifesta anche indipendentemente da una vita sessuale fisicamente vissuta.

È in proposito significativo che Gesù abbia inventato anche una vocazione alla santità che si astiene da una vita sessuale fisicamente vissuta, cioè nella verginità consacrata per il Regno di Dio (e nel celibato); ma è comunque talmente pregnante la differenziazione sessuale che Gesù stesso ha stabilito che i Suoi ministri “ordinati”, specie nel sacerdozio (lo si vede nell’<ultima cena>, cfr. Mc 14,17-26; Lc 22,8-23), siano maschi come Lui, e questo non per una discriminazione (visto che proprio Gesù ha anche discepole, riafferma l’uguale dignità dell’uomo e della donna, e la creatura più perfetta è una donna, cioè Maria Santissima), ma proprio perché anche nella mascolinità si evidenziasse l’identificazione di Gesù con i Suoi ministri.

Come vedremo più avanti (a proposito dell’omosessualità) l’attuale emergente ideologia del “gender” (genere) vorrebbe distaccare totalmente sessualità biologica (organi sessuali) da quella di genere (maschio o femmina), ma in realtà cioè è irreale, nonostante le anomalie che si possono riscontrare: la mascolinità o femminilità si manifesta in tutto l’umano, persino nella vita spirituale (c’è persino un modo più maschile o femminile di vivere la spiritualità, di pregare, così come esistono carismi particolarmente consoni alla femminilità  alla mascolinità).

8. Perché occorre un’educazione sessuale?

Come abbiamo visto, mentre gli animali vivono ogni cosa, anche la loro sessualità, esclusivamente secondo le leggi della loro natura (obbediscono a Dio, e non sbagliano, ma senza merito), nell’uomo il significato, la legge morale (la legge di Dio), pur se iscritta nel nostro essere, deve essere conosciuta e liberamente attuata, anche con uno sforzo della volontà. Ecco perché è necessaria una vera “educazione sessuale”: anche se una coscienza pura avverte già in sé un poco della legge morale, del bene da fare e del male da evitare, l’istinto non basta, anzi (specie dopo il peccato originale, che ha indebolito e ferito la nostra natura) potrebbe sviarci e farci tradire il nostro autentico essere, anche la verità stessa della nostra sessualità. Occorre quindi una vera educazione (nel senso proprio di ex-ducere, cioè di far emergere la vera persona), un aiuto a capire e porre in atto il significato autentico, un “allenamento” alla padronanza di sé, non per reprimere ma per orientare l’energia sessuale, affinché sia vissuta secondo verità. Non si tratta quindi certo di quel che in genere si pensa e si propina oggi, come se l’educazione sessuale fosse un semplice insegnare come siamo fatti, come si fa sesso, magari pensando solo a come evitare i danni fisici (malattie) o la gravidanza che un rapporto sessuale potrebbe comportare. Niente di più lontano da ciò di cui una persona che sta maturando ha davvero bisogno! Oggi infatti vediamo che si sa (o si crede di sapere) tutto sul sesso fin dalle più tenere età (se ne parla in modo persino ossessivo; ed è una vera violenza che si pongano ai più piccoli questioni che magari ancora non sentono), ma in realtà la maggioranza anche dei giovani e persino degli adulti non sanno praticamente nulla dell’autentico significato della sessualità e di cosa sia un vero e corretto comportamento sessuale. I danni (morali e persino fisici) sono infatti ormai evidenti!
La fede cristiana inoltre, mentre ci offre la luce che viene da Dio per comprendere meglio la verità di noi stessi e della stessa sessualità umana, ci offre poi una forza, una ricchezza interiore e la grazia di Dio per poter vivere sempre meglio questo significato, così come ci rinnova interiormente col perdono di Dio quando cadiamo e pecchiamo, così da poter essere sempre sospinti dalla Verità e sollevati dalla misericordia di Dio. Per questo che dentro un cammino di fede cristiana l’educazione sessuale è ancora più facile e armoniosa. Allo stesso modo, all’interno di un comune cammino di fede anche il sorgere ed il maturare dell’amore di un ragazzo e una ragazza è immensamente più agevolato ad essere autentico e diventare un vero amore, secondo la volontà e l’amore di Dio. 

[cfr. Documenti Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale e Sessualità umana: verità e significato. Orientamenti educativi in famiglia].

9. La morale cristiana reprime o esalta la vera sessualità?

Dopo quanto detto, si può allora meglio comprendere come la morale cristiana, che è in fondo l’esplicitarsi pieno della verità stessa della vita umana, non disprezzi né censuri la sessualità, come se fosse peccato in sé, ma Dio ci aiuta, con la Sua Parola e con la Sua grazia, a conoscere e vivere la vera bellezza della sessualità, secondo cioè il suo autentico significato.
Come sappiamo, la vera libertà non è nel seguire la propria voglia immediata, ma nel camminare sempre più nella verità (cfr. Gv 8,32).

Sono invece in genere le religiosità orientali – oggi persino di moda anche in Occidente – a disprezzare in fondo la corporeità e la stessa sessualità, come del resto avveniva anche in molti dualismi filosofici (platonismo, manicheismo) e in ricorrenti eresie cristiane (come ad esempio il catarismo, che era giunto a proibire persino il matrimonio). In esse il giusto riconoscimento del primato dello spirito nell’uomo viene esasperato fino a ritenere accessoria la corporeità, come una sorta di carcere da cui liberarsi, o, come nelle dottrine della reincarnazione, una sorta di abito, che lo spirito potrebbe abbandonare per prenderne altri, peggiori o migliori. In fondo questo viene a negare la profonda “unità” dell’essere umano, che viene invece mantenuta nella Bibbia e portata in pienezza in Cristo. Secondo la rivelazione biblica, infatti, anche il corpo (come del resto tutta la materia) è opera di Dio ed è cosa buona; la sessualità stessa, essendo un aspetto importante dell’essere umano, partecipa della sua speciale bontà (cfr. Gn 1, 31). Il peccato non ha esaltato ma rovinato la sessualità umana, e continua a farlo, sciupandone e alterandone il suo autentico significato, che è invece buono. Gesù inoltre, come Dio-fatto-uomo, ha assunto una vero corpo umano, con tutte le sue caratteristiche (ma senza il peccato), ed è risorto anche con il Suo corpo, così come avverrà per ogni uomo alla fine del mondo (e come è già accaduto anche per Maria Santissima). Nulla dunque dell’umano è dimenticato, censurato, considerato male in sé.

Le dottrine dualistiche non cristiane, non conoscendo l’autentico significato del corpo (che si manifesta invece nel cristianesimo, dove tutto è ricondotto in unità), anche se conoscono seguaci che vivono nella castità perfetta (come i monaci buddisti), fanno poi sì che assai spesso – a dire il vero specie in Occidente – ad una spiritualità disincarnata (come una sorta di estraneazione da tutto e come fuga dal mondo) si associ poi una vita sessuale abbandonata a se stessa e quindi assai spesso immorale (quando l’uomo vuole fare l’angelo, come se non avesse un corpo, assai spesso poi si trova a fare l’animale).

10. C’è opposizione tra corpo e spirito?

Come abbiamo osservato, ciò che rende l’uomo un essere davvero speciale nell’universo è che nella sua visibilità manifesta un’invisibilità, nella sua immanenza si rivela anche una trascendenza, cioè nella sua corporeità (materia) si manifesta qualcosa che supera il corpo (lo spirito).

Ogni civiltà ha da sempre riconosciuto nell’uomo la presenza di questi due elementi. L’indagine razionale (filosofica) ha anche spiegato che in effetti la capacità di pensare in modo astratto (e quindi anche di ragionare e di giungere così a verità che superano anche l’esperienza) e la capacità di non essere totalmente determinato dalle situazioni ma di poter agire in modo libero, manifestano nell’uomo non solo un cervello ed una psiche particolarmente sviluppati ed evoluti, ma una spiritualità del proprio <io> (detto spirito, anima o anima spirituale), che costituisce la sede dei propri pensieri e il punto genetico delle proprie libere decisioni. Per questo stesso motivo l’uomo tende anche verso ciò che supera il presente e l’esperienza ed è addirittura aperto all’infinito e desideroso di esso. Anche l’idea che questo <io> sopravviva alla morte del corpo è presente in ogni civiltà di ogni tempo e luogo. Se ogni civiltà ha sempre intuito o capito questo, non è invece sempre ben chiaro quale tipo di rapporto ci sia tra corpo e spirito.

La Bibbia ci parla di questa due aspetti della natura umana; in essa c’è, come abbiamo visto, una definizione elevatissima dell’uomo (“creato ad immagine e somiglianza di Dio”, Gn 1,26) ed è ovviamente lo spirito che permette questa somiglianza, non avendo Dio un corpo; allo stesso modo il secondo racconto della creazione (Gen 2,7) individua nell’uomo la materia (fango) e lo spirito (respiro di Dio), ma ciò che fa di quel corpo un uomo vivente è proprio la presenza dello spirito. La priorità è dunque dello spirito, se per spirito si intende appunto l’<io> che pensa e decide; tutta la vita è infatti conseguenza delle nostre idee e decisioni (da cui l’importanza decisiva della questione della verità e del bene).

Già nell’A.T. c’è infatti un’accentuazione significativa (IX e X comandamento) della necessità di sradicare il male dall’interno di noi stessi, cioè nell’intenzione e non solo nell’agire. Gesù accentuerà moltissimo questo aspetto della moralità, ponendo l’accento sul <cuore> (che biblicamente non indica la sede del sentimento, ma il centro vitale della vita umana), perché da lì nascono il bene o il male (cfr. Mt 15,10-20).

Come abbiamo sopra ricordato, non troviamo nella Bibbia, e nel Vangelo stesso, quel <dualismo> invece assai accentuato nelle religioni orientali ed anche, con accentuazioni diverse, nella filosofia classica greca (v. Platone). Dio infatti, rivelando l’uomo all’uomo, conferma la presenza in lui dello spirito e la sua priorità, ma sottolinea al tempo stesso la sua fondamentale unità. Anche la materia (il corpo) è creata da Dio ed è quindi bene. In Cristo questa verità giunge alla sua pienezza: Egli si è incarnato, ha assunto un corpo umano, è risorto anche col suo corpo. Il corpo diventa addirittura tempio dello Spirito Santo e noi siamo membra di Cristo. Non ci sarà dunque solo l’immortalità dell’anima, ma, per la potenza di Dio, anche la resurrezione dei corpi, come già è avvenuto in Cristo: anche nell’eternità l’uomo manterrà quindi la sua unità, il suo essere corporale/spirituale, e tutto di lui parteciperà alla vita stessa di Dio o alla dannazione eterna (privazione eterna di Dio).

Nel cristianesimo non c’è allora quell’idea di corpo (materia) come qualcosa di negativo da censurare, come elemento accessorio o prigione da cui liberarsi, che è presente in molte filosofie ed in molte religioni (si pensi in questo senso anche all’idea di “reincarnazione”, in cui si evidenzia tra l’altro proprio questa idea di anima che può essere condannata ad assumere più corpi prima di essere definitivamente liberata dalla materia).
C’è ovviamente, e in modo chiaro, la consapevolezza che capovolgendo la priorità, lasciandosi cioè trascinare da una pura istintività, l’uomo può essere trasportato verso un abbassamento della propria vita (v. ad es. Gv 3,5-6; 6,63; Rm 13,12-14); così, per le conseguenze del “peccato originale” c’è in noi talora non solo la lotta tra il bene e il male, ma anche tra il corpo e lo spirito (Rm 7,14-25). Senza l’aiuto di Dio (la “grazia”) l’uomo può degenerare ad un livello addirittura inferiore a quello animale.
Non possiamo però dire che nella vita cristiana c’è opposizione tra spirito e corpo, ma si rivela  solo un’opposizione e talora persino una lotta tra lo spirito ed un modo sbagliato di vivere il corpo (che tutti possiamo constatare in noi stessi, chi più chi meno), cioè un modo di vivere il corpo e in particolare la sessualità non più legato alla vera natura dell’uomo, alla sua dignità, alla sua chiamata soprannaturale, ed alla legge dell’amore.

11. C’è accordo tra ragione e morale?  C’è opposizione tra istinto e morale?

Come abbiamo già osservato nell’Introduzione (nn. 13-14), la morale cristiana, svelando l’autentico significato (verità) non solo della vita in genere ma anche dei fattori decisivi della vita stessa, e quindi anche della sessualità, è pienamente “ragionevole”: se vogliamo cioè ragionare, anche semplicemente dal punto di vista umano, sul significato della sessualità, non è poi così difficile capire (semmai è difficile vivere) che ciò che Dio ci rivela – direttamente o attraverso l’insegnamento della Sua Chiesa – corrisponde perfettamente alla realtà (la verità è infatti l’essere stesso delle cose e il loro autentico perché). Se l’uomo è sincero con se stesso può infatti capire che una vera sessualità è anche naturalmente legata ad un rapporto d’amore unico e perenne (un amore che fosse con più persone, tradito, o “a tempo” è avvertito anche naturalmente come lontano dall’ideale dell’amore vero) ed è intrinsecamente legata alla possibilità di procreare (tanto è vero che se mi ostino a censurare questo aspetto devo fare qualcosa per impedirlo, andando in fondo contro la natura stessa dell’atto sessuale).
Questa piena ragionevolezza della legge morale sessuale (cristiana) e quindi questa piena corrispondenza con la sua stessa profonda “natura” (essere), può dunque essere riconosciuta anche da un non cristiano che sia veramente attento e sincero con se stesso. Ciò non significa che essa sia sempre corrispondente all’istinto o al desiderio immediato. E qui sta proprio il difficile; ed è diventato particolarmente arduo dopo il “peccato originale”. Non c’è contraddizione quindi tra legge morale e natura, ma può esserci una “lotta” contro l’impulso del momento, che potrebbe trascinarci verso un significato sbagliato, in fondo rovinando l’autentica sessualità proprio anche quando sembrerebbe di goderne appieno abbandonandosi all’istintività.
Questa “lotta” spesso è malamente intesa: non si tratta di una censura della sessualità, ma di un’opposizione al suo uso sbagliato (un significato erroneo); non si tratta di “reprimere” ma di “indirizzare” questa potente ‘energia sessuale’, anche astenendosi da ciò che immediatamente ci piacerebbe fare (cosa che solo l’essere umano può fare, e non gli animali). Spesso infatti, dopo perfino poco tempo, si può cogliere come il cedimento ad una tentazione si sia svelato come un “inganno” che ha distrutto invece di aver costruito (e il tempo lo dimostrerà ancor più), mentre una vittoria su una tentazione (che può sembrare bene ma in realtà significa proprio il “tentativo” di distruggere il vero senso della sessualità) per vivere autenticamente la propria sessualità, anche se al momento può sembrare faticosa, in realtà dona una maggiore pace interiore e col tempo anche una maggior capacità di donazione di sé (anche sessualmente).


12. Qual è allora il significato pieno e autentico (verità) della sessualità umana?

Come abbiamo potuto vedere, la sessualità umana riveste un’importanza enorme, che non deve essere ridotta o banalizzata, proprio in quanto legata a due valori che sono i più alti della vita: l’amore e la vita. Tali valori hanno tra l’altro in Dio il loro fondamento ed il loro culmine, poiché Dio è amore (1Gv 4,16) ed è la sorgente della vita e di ogni paternità (Ef 3,15).
Un incontro sessuale ha dunque senso pieno quando è vissuto come espressione dell’amore vero e totale (unico e indissolubile) tra un uomo ed una donna e quando è naturalmente aperto al dono della vita.
Da ciò si capisce come l’ambito adeguato e moralmente lecito in cui possono esserci rapporti sessuali sia solo quello del matrimonio, consacrato dall’amore di Dio (quindi col sacramento).

Nella vocazione alla verginità consacrata (ed al celibato) per il Regno di Dio, la sessualità viene sublimata in un amore più universale per gli altri e più totale per Dio ed anche la paternità/maternità viene vissuta in modo spirituale (generando cioè alla fede, sia con l’apostolato diretto che con la vita di preghiera) (cfr. Mt 19,11-12).

13. Cosa significa davvero la parola “castità”?

Non ci nascondiamo come oggi questa sia una virtù tra le meno comprese e tra le più bistrattate, oltre ad essere normalmente una parola o sconosciuta o fraintesa.
In realtà la “castità” è una parola ampia, di profondo significato, che non sta affatto a denigrare la sessualità o a censurarla, ma a proteggerne il senso autentico, integrando la sessualità nella totalità stessa della persona. L’essere “casti” e “puri” non significa infatti essere a-sessuati o insensibili ai piaceri sessuali, ma vivere la sessualità nel suo pieno e profondo significato.

Così risponde il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, sottolineandone il rapporto tra la sessualità e l’intera persona: “La castità è la positiva integrazione della sessualità nella persona. La sessualità diventa veramente umana quando è integrata in modo giusto nella relazione tra persona e persona. La castità è una virtù morale, un dono di Dio, una grazia, un frutto dello Spirito” (n. 488, cfr. Catechismo C.C., nn. 2337-2338). “Essa comporta l’acquisizione del dominio di sé, come espressione di libertà umana finalizzata al dono di sé. È necessaria, a tal fine, un’integrale e permanente educazione, che si attua in tappe di crescita graduale” (n. 489, v. C.C.C. 2340-2347)

Possiamo poi distinguere tre tipi di “castità”:

C’è una castità prematrimoniale: si tratta di quella purezza di cuore e di mente e di quella astensione dall’uso fisico della genitalità (rapporti sessuali, masturbazione) che deve essere vissuta o perseguita dai ragazzi e dai giovani (persino se già fidanzati), in vista ed in preparazione di una sessualità davvero matura e del futuro stato di vita, nella vocazione matrimoniale od anche in vista di una chiamata alla vita consacrata.

C’è poi una castità matrimoniale: si tratta di quel dominio di sé e di quella vera capacità d’amore che rende veri e autentici i rapporti sessuali, e che, là dove è moralmente lecito non ottenere una gravidanza (cioè non per motivi egoistici o banali) sa ricorrere anche all’astensione periodica dai rapporti (nei pochi giorni fertili al mese) e all’amorosa attenzione reciproca.

C’è infine una castità perfetta per il Regno di Dio, vissuta da Gesù stesso e da Lui donata sempre a molti uomini e donne, dove la rinuncia ad una espressione fisica della sessualità (e quindi anche al matrimonio) si trasforma in un amore ed una dedizione ancora più grandi per Dio e per gli altri, vivendo in questo modo un amore spirituale e sponsale con Cristo stesso (anticipo dell’eternità, Amore cui tutti siamo chiamati per l’eternità) ed una paternità/maternità spirituale nei confronti degli altri (che in fondo deve certo assumersi anche chi genera fisicamente i propri figli).

La Chiesa Cattolica di Rito Romano (occidentale) sceglie i suoi vescovi e i suoi presbiteri (la Chiesa Cattolica di Rito orientale e la Chiesa Ortodossa solo per i vescovi) solo tra coloro che hanno questa vocazione (non è in questo caso il “voto di castità”, come per i religiosi, ma la “promessa di celibato” – concretamente è di fatto la stessa cosa – che si compie già nell’Ordinazione diaconale. Come si può capire, non si tratta tanto che i “preti non possono sposarsi”, come si dice banalmente e spesso con quel sarcasmo che allude sempre ad una presunta e disumana sessuofobia della Chiesa, o che addirittura che certi “preti vorrebbero sposarsi”, ma che tale vocazione è giudicata sapientemente emergente dentro la vocazione alla castità perfetta per il Regno di Dio. [Tale scelta, non essendo però direttamente di origine divina, come invece quella di dare il sacerdozio solo ai maschi, potrebbe anche essere mutata, anche se ormai consolidata dalla tradizione di due millenni. Semmai potrebbe affacciarsi la proposta di dare anche il secondo grado del Sacramento dell’Ordine (presbiterato) anche agli uomini sposati (non c’è per sé incompatibilità con il Sacramento del Matrimonio), come avviene in Oriente, e come avviene nella Chiesa Cattolica Romana per il terzo grado del Sacramento dell’Ordine (diaconato, dato anche agli sposati).

Si noti come nella Chiesa, cioè nella vita cristiana, non è in fondo contemplata un’altra vocazione, come quella dello scapolo/zitella (o single, come si dice oggi, alludendo però in genere a persona con sempre liberi e provvisori rapporti!): anche se qualcuno non per scelta propria si trovasse in questo stato, poiché non si vive senza amore, deve sentirsi chiamato da Dio ad una particolare dedizione a Lui ed agli altri, vivendo ugualmente nella castità perfetta (anche se non consacrata in un Ordine religioso o carisma particolare riconosciuto dalla Chiesa).

14. Cosa dice la Bibbia (cioè Dio) in proposito?

Come misero bene in evidenza le numerose catechesi dedicate all’argomento da Giovanni Paolo II (e raccolte nel volume, citato all’inizio, Uomo e donna lo creò), già le primissime pagine della Bibbia (Gn 123) indicano gli elementi fondamentali anche del rapporto uomo-donna e della stessa sessualità.

La bontà di tutta la creazione (compresa la materia e la corporeità), la superiorità dell’uomo sugli animali (dato per sé evidente, ma oggi incredibilmente sempre più oscurato), l’uguale dignità dell’uomo e della donna (rivoluzionaria rispetto a tutte le altre culture del tempo e perfino a molte culture e religioni contemporanee, come ad esempio nell’islam), la chiamata alla comunione personale (che si esprime anche sessualmente) tra il maschio e la femmina ed alla procreazione, la benedizione che sono i figli (ricevuti da Dio e che a Lui appartengono), sono valori già annunciati dalle prime pagine della Sacra Scrittura (Gen 1-2); così come la rovina recata dal peccato (Gen 3) che provoca la perdita dell’innocenza originaria, che divide l’uomo dalla donna, che fa degenerare l’amore e l’attrazione sessuale in istinto di possesso (specie maschile), che provoca dolore (anche nella bellezza del parto) e morte, sia materiale che spirituale (inferno); per cui si capisce che l’uomo ha bisogno di essere “redento”.

Gn 1,26-28.31 (“Dio disse: <Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza …>. E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio li creo: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: <Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela … Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”).

Nel secondo libro della Bibbia, nelle 10 parole (Decalogo) che indicano la legge morale fondamentale che Dio da all’uomo, a garanzia dell’autentico suo bene, troviamo ben 3 comandamenti a difesa della famiglia, del matrimonio e della verità della sessualità (IV: onora i padre e la madre; VI: non commettere adulterio; IX: non desiderare la donna d’altri) (cfr. Es 20,12.14.17). Nell’Antico Testamento non è però ancora ben chiara l’assoluta “monogamia” (anche per l’uomo): all’inizio si permette che l’uomo possa avere anche più mogli e persino concubine; rimane però chiaro che l’unione sessuale è in vista della procreazione (i figli, così come una famiglia numerosa, sono sempre considerati una benedizione di Dio). [Nell’A. T. non esiste invece ancora la vocazione alla verginità, anzi, il non avere figli viene considerata una maledizione di Dio]

14.1. Cosa dice Gesù?

Gesù, Dio-fatto-uomo e quindi pienezza della Rivelazione, porta a compimento e perfeziona la legge morale, anche riguardo all’amore uomo-donna e alla stessa sessualità, recuperandone l’autentico significato, così come era del disegno creatore di Dio. È Lui il Creatore e quindi nessuno meglio di Lui sa chi sia l’uomo e quale sia il senso delle cose della vita umana; ma è anche il Redentore dell’uomo e quindi nessuno più di Lui può rendere l’uomo di nuovo innocente e capace di vivere la vita nuova (cfr. 2Cor 5,17).
Gesù non abolisce ma perfeziona e porta a compimento la legge morale fondamentale già rivelata nell’Antico Testamento (Decalogo), anche riguardo all’amore uomo donne ed alla sessualità (Mt 5,17.27-31). 
In questo senso, Gesù considera le rare eccezioni concesse dalla legge di Mosè alla indissolubilità del matrimonio (ed alla stessa monogamia) come segno della “durezza di cuore” dell’uomo che ha perso l’innocenza ed il significato originari della creazione. È significativo che sia l’unica volta che Gesù citi testualmente Genesi, cfr. Mc 10,6. Con ciò si coglie come tale indissolubilità sia anche un valore “naturale” e condivisibile da ogni uomo (anche se Gesù eleva poi il matrimonio alla dignità soprannaturale di “sacramento”), ma che Egli recupera con la Sua grazia, che permette all’uomo non solo una monogamia assoluta e per sempre (matrimonio tra un uomo ed una donna, unico e indissolubile) ma anche di interiorizzare la norma, estirpando il peccato e l’impurità dal cuore stesso dell’uomo (cfr. Mt 5,8.27-31; 15, 17-20). Ecco alcune parole di Gesù:

“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8).

“Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,27).

“Fu pure detto: <Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio>. Ma io vi dico: chi ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio” (Mt 5,31).

(Non è ciò che si mangia che può rendere impuro l’uomo ma ciò che esce dal cuore dell’uomo) “Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie” (Mt 15,19).

“Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: <Che cosa vi ha ordinato Mosè?>. Dissero: <Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla>. Gesù disse loro: < Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto>. A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: <Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio>” (Mc 10,2-12).

Tale novità evangelica, che riporta l’uomo all’autentico significato dell’amore uomo-donna (unico e indissolubile) e della stessa sessualità (diventare “una carne sola” significa diventare un essere solo, che Dio unisce e che “a nessuno è lecito separare”), è talmente forte che lascia esterrefatti gli stessi Apostoli (Mt 19,9-10). Con ciò Gesù non abbassa il livello ma anzi fa capire che oltre alla vocazione al matrimonio (che Egli eleverà appunto alla dignità di sacramento e quindi con una Sua specifica grazia che dura per tutta la vita) egli inventa anche quella alla totale consacrazione per il Regno di Dio, nella verginità o celibato, che trova in Gesù stesso, perfettamente casto e non sposato, il modello supremo (ed è anticipo di quel nuovo rapporto d’amore con Dio e con gli altri che sarà in pienezza nell’eternità). Ecco ancora le parole di Gesù, secondo l’evangelista Matteo:

“Gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: <È lecito a un marito ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?>. Egli rispose: <Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto>. Gli domandarono: <Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?>. Rispose loro: <Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria mogli, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio>. Gli dissero i suoi discepoli: <Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi>. Egli rispose loro: <Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca>” (Mt 19,3-12).

“Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come gli angeli nel cielo” (Mt 22,30).

14.2. Cosa insegna il Nuovo Testamento (e la Chiesa)?

Dobbiamo anzitutto ricordare (v. nel sito), che la Chiesa non è un club di persone che si mettono a tavolino per formulare una dottrina, magari pensando di aggiornarla continuamente per andare incontro al sentire del tempo o per piacere agli uomini, ma lo “strumento” che Gesù stesso ha voluto e fondato per divulgare la Sua Parola nel mondo e nella storia, e per dare la Sua vita e quindi la salvezza eterna mediante i sacramenti (cfr. Mt 28,18-20). E poiché Gesù conosce la nostra debolezza, ha assicurato che nella Chiesa, sotto la guida di Pietro (cioè del Papa), lo Spirito Santo avrebbe garantito l’autentica trasmissione e interpretazione della Sua Parola – anzi avrebbe condotto la Chiesa a comprendere e trasmettere la Verità tutta intera (Gv 16,13) – cioè la sua indefettibilità (e in certi casi perfino l’infallibilità del Papa, cfr. Mt 16,18-19) nel comprendere ed annunciare quelle verità necessarie per la salvezza di ogni uomo (Lc 10,16; Gv 20,21). E infatti nella storia non c’è stata alcuna defezione su questo compito, neppure da parte di coloro che ne risultavano indegni.
 
Dunque, quando qualcuno domanda “cosa pensa la Chiesa di?” o “cosa dice la Chiesa su …?” normalmente non sa cosa sia davvero la Chiesa. Ci si dimentica appunto che Dio ha parlato (anzi è addirittura venuto, portando a compimento la Rivelazione divina), e che Egli è la Verità suprema, senza possibilità d’errore, oltre ad essere il nostro Creatore, e quindi sa bene chi siamo e quale sia il significato della nostra vita e di tutte le cose! La domanda deve allora essere “cosa ci ha detto Dio?”, “cosa ci dice Dio attraverso la Chiesa?”, con la corrispondente consapevolezza che Dio non si sbaglia, che Dio mi ama più di me stesso e che sa ciò di cui ho davvero bisogno, e perfino con il corrispondente timore di chi sa che su questa parola ci giochiamo la vita e l’eternità (solo la Verità ci libera davvero e ci salva per l’eternità).

Intanto già nella Sacra Scrittura che segue ai Vangeli (cioè il resto del Nuovo Testamento) abbiamo infatti già un fondamentale sviluppo ed una maggiore comprensione – da parte degli Apostoli, di San Paolo e dell’intera Chiesa primitiva – della Verità che salvano, anche riguardo alla vita sessuale, come al significato del vero amore tra uomo e donna e del matrimonio, e troviamo già espliciti elenchi dei peccati che vi si oppongono. Ad esempio …

Nella lettera di S. Paolo ai Romani:

“(I pagani, avendo adorato e servito le creature invece del Creatore) Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi … Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento … (Non avendo conosciuto Dio adeguatamente) Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1,24-32).

“Quelli che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto al peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia” (Rm 8,5-10).

Nella prima lettera di S. Paolo ai Corinzi (dove risponde anche all’obiezione di coloro che credevano che, essendo ormai salvi gratuitamente in Cristo, potevano allora liberamente peccare, o che l’attività sessuale rispondesse in fondo ad un bisogno organico come il mangiare e il bere):

“Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. <Tutto mi è lecito!>. Sì, ma non tutto mi giova. <Tutto mi è lecito!>. Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla. <I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!>. Dio però distruggerà questo e quelli. Il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! Non sapete che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due – è detto – diventeranno una sola carne. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Stati lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1Cor 6,9-20).

Sulla vita matrimoniale ed anche sulla verginità per il Regno dei cieli, cfr. anche 1Cor 7,1-11; 25-40.

Nella lettera di S. Paolo ai Galati:

“Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri” (Gal 5,16-26).

Nella lettera di S. Paolo agli Efesini:

“Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità” (Ef 4,17-19). “Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Ef 4,31-32). “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere fra santi – né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappia telo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio” (Ef 5,3-5). “Non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (Ef 5, 18-20).

Nella lettera di S. Paolo ai Colossesi:

“Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria; a motivo di queste cose l’ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi. Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca. Non dite menzogne gli uni gli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o in circoncisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti. Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La Parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre” (Col 3,5-17). “Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; voi padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino” (Col 3,18-21).

Nella prima lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi:

“Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione” (1Ts 4,3-7).

Nella prima lettera di S. Paolo a Timoteo:

“Noi sappiamo che la Legge è buona, purché se ne faccia un uso legittimo, nella convinzione che la Legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i sodomiti, i mercanti di uomini, i bugiardi, gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato” (1Tm 1,8-11). “Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina conforma alla vera religiosità, è accecato dall’orgoglio, non comprende nulla ed è un maniaco di questioni oziose e discussioni inutili. Da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i confitti di uomini corrotti nella mente e privi di verità, che considerano la religione come frutto di un guadagno … l’avidità di denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti. Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza” (1Tm 6,3-5.10-11).

Nella seconda lettera di S. Paolo a Timoteo:

“Sta’ lontano dalle passioni della gioventù; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro. Evita inoltre le discussioni sciocche e da ignoranti, sapendo che provocano litigi” (2Tm 2,22-23). “Sappi che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, empi, senza amore, sleali, calunniatori, intemperanti, intrattabili, disumani, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, amanti del piacere più che di Dio, gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore. Guardati bene da costoro!” (2Tm 3,1-5).

Nella lettera agli Ebrei:

“Vigiliate che nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati. Non vi sia nessun fornicatore o profanatore” (Eb 12,15-16). “Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. La vostra condotta sia senza avarizia” (Eb 13,4-5).

Nella lettera di S. Giacomo:

“Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Infatti l’ira non compie ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò liberatevi da ogni impurità e da ogni eccesso di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata piantata in voi  e può portarvi alla salvezza” (Gc 1,19-21).

Nella prima lettera di S. Pietro:

“È’ finito il tempo trascorso nel soddisfare le passioni dei pagani, vivendo nei vizi, nelle cupidigie, nei bagordi, nelle orge, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli. Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione, e vi oltraggiano” (1Pt 4,3-4).

Nella seconda lettera di S. Pietro:

“Il Signore sa liberare dalla prova chi gli è devoto, mentre riserva, per il castigo nel giorno del giudizio, gli iniqui, soprattutto coloro che vanno dietro la carne con empie passioni e disprezzano il Signore. Temerari, arroganti … irragionevoli e istintivi, nati per essere presi e uccisi, bestemmiando quello che ignorano, andranno in perdizione per la loro condotta immorale, subendo il castigo della loro iniquità. Essi stimano felicità darsi ai bagordi in pieno giorno; scandalosi e vergognosi, godono dei loro inganni mentre fanno festa con voi, hanno gli occhi pieni di desideri disonesti e, insaziabili di peccato, adescano le persone instabili, hanno il cuore assuefatto alla cupidigia, figli di maledizione! … Costoro sono come sorgenti senz’acqua e come nuvole agitate dalla tempesta, e a loro è riservata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi arroganti e vuoti e mediante sfrenate passioni carnali adescano quelli che da poco si sono allontanati da chi vive nell’errore, promettono loro libertà, mentre sono essi stessi schiavi della corruzione. L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina. Se infatti, dopo essere sfuggiti alla corruzione del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso. Si è verificato per loro il proverbio: <Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango>” (2Pt 2,9-10.12-14.17-22).

Nella prima lettera di S. Giovanni:

“Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!” (1Gv 2,15-17).

Nell’Apocalisse Dio, parlando a certe prime comunità cristiane, condanna ad esempio coloro che pensavano di poter essere cristiani e nello stesso tempo nicolaiti (partecipazione a banchetti pagani cui seguivano gravi immoralità) o seguaci della dottrina di Balaam (dove a banchetti sacri seguivano unioni sessuali e prostituzione) (Ap 2,6.14-15).

Queste citazioni del Nuovo Testamento permettono di capire anche perché, nella traduzione catechistica del VI Comandamento dell’Antico Testamento (“Non commettere adulterio”, Es 20,14) si riassumano anche tutti gli altri peccati sessuali, sotto la comune denominazione di “Non commettere atti impuri”, che però in Confessione vanno specificati (essendo appunto troppo generale e sintetico il termine “atti impuri”).

Questa Parola della Chiesa, che non a caso viene proclamata e creduta come “Parola di Dio” (anche nella liturgia), diventa il punto di riferimento fondamentale per capire cosa significhi la morale, cioè il bene e il male, anche in riferimento alla sessualità. Non possiamo certo pensare che, in quanto Parola di Dio, sia stata condizionata dalla mentalità del tempo e che possa quindi mutare col tempo!
Anche il Magistero della Chiesa (gli insegnamenti ufficiali del Papa – successore di San Pietro e Vicario di Cristo! – e dei Vescovi uniti con lui e sotto la sua guida – v. nel sito 5.3) è Parola di Dio e va accolta ed obbedita come tale (questa è la fede <cattolica>, da cui si sono distaccate dal XVI secolo le chiese protestanti, che infatti si moltiplicano come si moltiplicano le diverse interpretazioni della Parola di Dio, e spesso adeguandosi alla mentalità dominante, come spesso vediamo anche oggi). 
Pure di recente il Magistero ha infatti precisato di nuovo che i rapporti sessuali sono leciti, cioè sono autentici, solo all’interno del matrimonio cristiano tra un uomo e una donna (matrimonio unico e indissolubile, fondato sul Sacramento istituito per questo da Gesù Cristo) e se sono espressione di vera donazione d’amore delle persone e “naturalmente” aperto alla vita (pur essendo lecita – a certe condizioni – la regolazione delle nascite, mediante il ricorso all’astinenza nei giorni fecondi) (cfr. Documenti in fondo a queste pagine, ad esempio  l’Enciclica di Paolo VI Humanae Vitae o la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Persona humana. Alcune questioni di etica sessuale).

14.3. Ma i vescovi e i preti cosa ne sanno? Chi li autorizza a parlarne?

Spesso si sente fare anche questa obiezione: “ma cosa possono insegnare sulla sessualità, anche nel matrimonio, proprio coloro (preti, vescovi) che vi hanno rinunciato?” Tale sciocca obiezione talora diventa anche più sarcastica, insinuando in fondo che essi non possono capire, come se non fossero veri uomini, con i desideri di tutti gli uomini.

Certo Gesù, con la sua stessa vita diventa modello di questa nuova vocazione, nella castità perfetta per il Regno di Dio (Mt 19,12): ciò può essere difficilmente comprensibile, ma diviene una grande testimonianza (come il “martire” che rinuncia alla vita stessa pur di non tradire Gesù) e perfino una provocazione: in un mondo che sembra talora fare della sessualità un idolo, l’unico vero godimento della vita, c’è chi è chiamato a vivere nella castità perfetta per testimoniare che invece basta Dio, che l’unico vero assoluto è Lui, che il vero Amore che il nostro cuore desidera è Lui.

Potremmo intanto rispondere che, se è vero che l’esperienza spesso insegna (sia positivamente che negativamente), non è affatto vero che senza fare esperienza di una realtà non sia possibile dare un giudizio morale. Infatti l’uomo è in grado, già con la ragione e ancor più con la fede,  di dare un giudizio morale, distinguendo a priori il bene dal male ed orientando così le proprie scelte ed azioni di conseguenza.

Quando poi parliamo di “ministri di Cristo e della Chiesa”, dobbiamo poi tener appunto conto che la loro predicazione ed il loro insegnamento (se sono autentici, cioè riflettendo non le opinioni personali ma l’insegnamento autentico della Chiesa che ci viene attraverso il Magisteronon è un insegnamento umano, ma l’insegnamento stesso di Dio, che si è pienamente rivelato in Cristo e che più di ogni altro – essendo Dio e nostro Creatore – sa perfettamente cosa sia il senso della vita ed anche della sessualità.

14.3.1 Perché gli eventuali scandali pure del clero non sono un’obiezione a questa verità?

Una volta compreso che i ministri di Dio devono insegnare una “dottrina” (fede e morale) che non è di uomini ma sono verità rivelate da Dio stesso, e quindi assolutamente vere e certe, siamo in grado di capire che, se certamente ci è di aiuto anche la testimonianza coerente di chi ci annuncia una verità, una eventuale contro-testimonianza (e perfino uno scandalo) di chi ce l’annuncia non diminuisce però la verità che viene annunciata. Del resto avevamo già osservato (v. verità, n. 1.5) che “la verità è indipendente da chi la dice” e da come è in grado di viverla chi la dice. Per questo Gesù stesso – e in Lui sì l’insegnamento divino è corredato anche dalla più perfetta testimonianza! – ci invita a fare quello che dicono, semmai a non fare quello che fanno (cfr. Mt 23,3).

Se arreca certamente dolore e scandalo (e sullo scandalo, specie ai piccoli, Gesù ha avuto terribili parole di condanna, cfr. Mt 18,6-7) una grave contro-testimonianza del clero, dobbiamo però evitare di farne un “alibi” per non seguire la via di Dio, la via della verità anche morale, anche in campo sessuale; tenendo presente che la cultura anticristiana, assai diffusa sui media, più che essere preoccupata per il bene delle persone e dei piccoli, è soprattutto preoccupata di screditare la Chiesa e di allontanare gli uomini da essa (causando così perfino la rovina eterna delle anime), magari generalizzando casi particolari o tacendo tutte le belle e autentiche testimonianze evangeliche, nel presente e nella storia.

Come abbiamo sottolineato altrove (Dossier Pedofilia) l’ampia eco data agli scandali sessuali (presunti o reali) da parte del clero stesso, e specialmente proprio su l’unico comportamento sessuale, certo particolarmente grave, considerato ancora immorale dalla mentalità dominante, qual è la “pedofilia” – con l’ipocrisia del silenzio su situazioni analoghe fuori dalla Chiesa Cattolica e sul bombardamento psicologico e pornografico sull’infanzia – vuole proprio dimostrare come la morale sessuale cattolica (che giunge perfino all’obbligo del celibato per i preti!) è non solo disumana, ma talmente invivibile da generare queste perversioni anche proprio tra il clero stesso.

15. E’ una legge morale per tutti?

Come abbiamo sottolineato nell’Introduzione (al n. 17), la legge morale che Dio ha rivelato, e che la Chiesa fedelmente trasmette, non è in fondo che l’esplicitarsi del senso vero delle cose, che Dio ha creato, e che la ragione stessa potrebbe in gran parte anche autonomamente comprendere. Non si tratta quindi di una “legge morale” per qualcuno, e che qualcuno potrebbe anche non sentire come propria stando semplicemente fuori dalla Chiesa (come se fosse la legge di un club, cui basterebbe non iscriversi per non essere obbligato a seguire i suoi statuti e le sue norme), ma la legge del nostro stesso essere, Questo anche a riguardo della morale sessuale, che è quindi la verità oggettiva per tutti, persino se rimanessero di fatto in pochi a comprenderla e viverla!
I cristiani non sono cioè coloro che hanno qualche obbligo o divieto morale in più degli altri, ma coloro cui Dio ha aperto la mente per comprendere la verità di se stessi e dato la forza (la grazia) per vivere questo significato (e perfino il continuo perdono se tornano pentiti a Lui quando cadono nel peccato).

16. Può un cristiano non condividere questa legge morale?

Nessun cristiano può ritenersi tale se mettesse tra parentesi questa morale sessuale, come se su questo Dio o la Chiesa si sbagliassero, anche quando ancora facesse fatica a metterla in pratica. È infatti sostanzialmente diversa la posizione di chi pecca, ma riconosciuto con dolore il proprio peccato se ne pente e chiede e ottiene sempre il perdono di Dio, rispetto a colui che ritenesse giusto ciò che Dio ha condannato come peccato, in vista del nostro autentico bene e della nostra autentica liberazione. Il primo infatti prima o poi sarà davvero liberato e comunque sarà salvato dall’infinita misericordia di Dio; il secondo invece persevererà sempre più nel suo errore, non riconoscendolo tale (cfr. Lc 18,9-14), con il serio rischio di morire impenitente e così di dannarsi eternamente.

17. Possiamo sentire questa legge morale come un peso?

Vivere moralmente bene, cioè in modo pienamente umano e autenticamente cristiano, non è certo facile. Peraltro le cose più belle della vita non coincidono quasi mai con quelle più facili; ed il tempo sta quasi sempre lì a dimostrarlo. Del resto, dice Gesù stesso, la via della perdizione è più facile ed ampia di quella della salvezza e per questo sono molti coloro che la percorrono (cfr. Mt 7,13-14). Assi diverso è invece il giudizio e la posizione esistenziale di coloro che non hanno ancora compreso la verità o peggio la rifiutano. La fatica dell’obbedienza alla verità di noi stessi è in fondo gioiosa, perché ci realizza davvero. Quando invece in fondo alla nostra mente c’è semplicemente una percezione della legge morale come un peso, talora insopportabile, e di cui faremmo volentieri a meno, allora significa che non abbiamo ancora compreso che tale legge non è estranea a noi, ma è il fondo del nostro stesso essere (cfr. Dt 30,11-15). 
Un segno che non abbiamo ancora compreso che la legge morale sessuale è la verità stessa della sessualità e che Dio ce la spiega e ci dà la forza di viverla per il nostro vero bene e la nostra autentica felicità (e per farci vivere bene la stessa sessualità), è dato da quel sottile equivoco, spesso psicologicamente presente (dato il piacere legato alla sessualità), secondo cui se un tale atto non fosse peccato sarebbe bello farlo: questo, al di là appunto del desiderio o del piacere immediato, significherebbe infatti essere ancora dentro un’idea moralistica e legalistica del comandamento di Dio, cioè come se Dio volesse sottrarci una gioia (e questa è veramente la “tentazione satanica” che sottende la tentazione, fin dal peccato originale, v. Gn 3,4-5) invece di educarci al nostro vero bene, donarci l’autentica felicità, e farci vivere bene anche le singole cose della vita. 
Questo non significa che in certi momenti (di tentazione) il rifiuto del peccato e lo sforzo di fare il bene non ci possa apparire anche come rinuncia e perfino una mancanza di bene; in realtà però non siamo mai masochisti se rinunciamo al peccato, ma facciamo il nostro vero bene. Del resto molti beni, anche nella vita naturale (lo studio, il lavoro, un risultato sportivo o artistico) e persino nell’errore (per fare sempre più soldi o sempre più carriera! –v. Lc 16,8) si ottengono attraverso molti sacrifici; e questo, se indirizzato verso il nostro vero bene, non è contro di noi ma per noi, per l’ottenimento del nostro vero bene, oltre ad essere una caratteristica dell’umano (non attirato solo dal bene immediato).

Sarebbe qui interessante approfondire come una vera psicologia (non condizionata da una antropologia di stampo ultimamente illuminista – purtroppo spesso ancora dominante! – dove la libertà è cioè sostanzialmente concepita come assenza di verità e quindi di norma morale, e dove la morale sessuale sarebbe allora intesa addirittura come causa di disturbi psicologici e psichici) possa confermare, se non bastasse l’esperienza, come una vera educazione alla morale sessuale, senza lassismi né rigorismi, attenta alla verità di sé ma anche paziente nel cammino verso la verità (in fondo come fa Dio stesso con noi!), costruisca una vera e matura personalità. Al contrario, l’opposizione alla autentica (cristiana) morale sessuale distrugge progressivamente la persona e la società, come l’attuale panorama mondiale dimostra purtroppo ampiamente. In fondo i peccati, anche sessuali, distruggono l’umano, mente le virtù ci edificano (questo ora e per sempre).

18. E’ realistico vivere questo significato? È possibile?

Spesso si sente obiettare, perfino da chi ne riconosce il valore, che però è una morale impraticabile, troppo difficile per essere realmente vissuta. Talora questa posizione si traduce in un “ma io sono un uomo”, che sembra darci una giustificazione ma che invece manifesta una non comprensione della questione morale.Infatti la legge morale, anche questa legge morale sessuale, non è fatta per gli angeli o per degli esseri a-sessuati, ma è proprio la legge intrinseca alla sessualità, cioè alla stessa natura umana. Si potrebbe allora rispondere: “proprio perché siamo uomini, né angeli né bestie, la nostra autentica sessualità si esprime con questo significato e secondo queste norme”.
E’ però vero che la nostra natura umana è stata deformata dal “peccato originale” e le sue ferite si fanno sentire persino dopo che tale peccato ci viene tolto con il Battesimo. Rimane quindi una “concupiscenza”, una tendenza a far prevalere il piacere su tutto e a ridurre il corpo ad oggetto, che è cosa diversa dal giusto desiderio sessuale (che è invece naturale e dono di Dio), ma che spinge invece al peccato, cioè a non viverne il giusto significato.

Si potrebbe dire che proprio in questo campo si rivelano particolarmente le conseguenze di quella ferita originaria, e quindi una particolare “debolezza” (nei maschi assai spesso confusa peraltro con la forza e persino con la vera virilità), aggravata dai propri peccati, dal loro ripetersi (vizio) e incitata da un’enorme pressione sociale e mediatica, che sull’incitamento e lo sfruttamento di questa passione fa anche enormi guadagni (v. pornografia, prostituzione); oggi diventa addirittura una forma di ideologia e forma di potere culturale, economico e politico (le politiche mondiali, e talora le stesse pressioni economiche internazionali, in favore degli aborti, della contraccezione, dei matrimoni omosessuali, dell’abolizione di ogni censura, di un’errata educazione sessuale).

Potremmo dire che in genere siamo di fronte allo spettacolo di una sessualità malata, anche se talora in modo più accentuato (pulsioni troppo forti o persino volte in direzioni sbagliate), pur nascondendoci che sia così (e diventa persino proibito affermarlo) – il che aumenta enormemente la difficoltà a guarire, anche laddove sarebbe possibile – una sessualità malata che più che mai ha bisogno di essere redenta dalla grazia di Dio (in Cristo e per la forza dello Spirito). Ovviamente il giudizio sulla singola persona e sul suo grado di responsabilità morale spetta come sempre solo a Dio, che solo sa misurare il grado di colpa (ciò che poteva fare diversamente) o di merito (se sia stato soggetivamente più facile o più difficile un retto comportamento) [il merito è in genere proporzionale allo sforzo per crescere – proprio quasi il contrario di quel che pensa la mentalità comune! – al di là del risultato ottenuto, cfr. Mt 25, 14-30]. Questo non ci esonera però dal giudizio morale sull’atto in sé (anche sulla “oggettiva” bontà di un atto o la realtà di peccato mortale).

Dio non ci ordina l’impossibile! Sarebbe assurdo persino pensarlo. Con il Suo aiuto noi possiamo e dobbiamo vivere la legge di Dio, cioè l’autentica morale sessuale. Per questo, cioè per imparare a vivere nel modo giusto la sessualità, occorre un impegno, uno sforzo, ed un allenamento che deve iniziare sin dalla pubertà e adolescenza, oltre ad un’intensa vita spirituale (altrimenti prevalgono le passioni della carne).

Questo non significa che non possa convertirsi e cambiare vita, anche nella vita sessuale, pure uno più adulto che abbia vissuto per molto tempo nel peccato, anche grave. Anche se è vero che certe abitudini (vizi) sessuali possono rendere molto faticoso (ma non impossibile) tale cambiamento, è però altrettanto vero che già un’iniziale grazia di Dio può accendere anche nel baratro più profondo del peccato un rimorso, un senso di sporcizia, una percezione della bruttezza e della schiavitù (che cioè il peccato è davvero un inganno del demonio), da avvertire per grazia la voglia di riprendere a volare più in alto, fino a scorgere e iniziare a vivere la bellezza e la purezza delle cime a cui Dio ci chiama e che corrispondono a ciò per cui siamo comunque fatti, alla nostra vera natura (non all’istinto immediato), alla nostra autentica dignità di uomini, fino alla nostra chiamata alla santità.

È vero che il “figliuol prodigo” (Lc 15,11-32) può gioire più degli altri della ritrovata bellezza del perdono e di tornare nella casa di Dio. Non è invece vero che si debba per forza fare l’esperienza del peccato per capire che è sbagliato. [In questo senso va evangelicamente smentita anche la diffusa diceria secondo cui se un uomo non si “diverte” da giovane (cioè fa il libertino sessuale) lo farà dopo da adulto e da sposo; anzi, proprio certi vizi sessuali assunti da giovani rischiano di tenerci invece schiavi anche dopo, nonostante la vita sessuale vissuta con la propria moglie; e con gravissimi danni; come del resto testimonia l’attuale situazione sociale, specie in questo campo].

19. Perché è un cammino, che richiede anche un’educazione, uno sforzo, e soprattutto la grazia di Dio e la vita spirituale?

Al di là delle sorprese e dei miracoli della grazia di Dio, che talora ci fa vedere un cambiamento repentino, anche nella vita sessuale, in un giovane o una giovane, in un uomo o una donna, che sino a poco prima viveva nel peccato grave e che improvvisamente vive e persino testimonia con coraggio la bellezza della vita cristiana, anche della morale sessuale cristiana, normalmente si deve fare un lungo cammino di crescita e di conversione, un “cammino” in cui se specie all’inizio non si deve cedere alla tentazione di rimandare sempre (una pigrizia che ci fa dire sempre che cominceremo domani, un domani che non arriva mai fino a quando non ci si “decide” – parola significativamente analoga a “recidere”, nel senso di un taglio netto col peccato – a dire dei <no> netti al peccato e dei <sì> alla volontà di Dio), in seguito non si deve cedere mai alla tentazione opposta dello scoraggiamento, dell’impressione che non siamo capaci, che facciamo sempre i soliti peccati, e forse addirittura che non siamo degni della misericordia di Dio (questa è un’arma del demonio ancora più micidiale del peccato stesso, e che fa molto dispiacere a Gesù più ancora che il peccato stesso – come ha confidato a  Santa Faustina – perché può portare a “tirare in remi in barca”, a non lottare più, a non confessarci più, e quindi a cadere in una situazione di “disperazione” spirituale).
Dobbiamo ricordare che “senza Gesù non possiamo far nulla” (Gv 15,5), che cioè anche se la legge di Dio (verità) è “naturalmente” giusta, cioè è fatta per noi, noi abbiamo bisogno della Sua grazia non solo per ottenere la salvezza eterna, ma per vivere da veri uomini, cioè per fare il bene.

Teniamo presente che senza la presenza e la forza di Cristo in noi, come pure l’intercessione potente e materna di Maria Santissima, il demonio è allora più forte e astuto di noi e sa come farci cadere nel peccato e portarci alla dannazione eterna [occorre fare attenzione anche a quella particolare astuzia del demonio che non solo conosce benissimo il nostro punto debole dove attaccarci e nel momento preciso in cui può farlo più facilmente, ma l’inganno comincia sempre nella mente e perfino nell’uso distorto delle parole (di cui è maestro, in quanto “padre della menzogna” come lo chiama Gesù stesso, cfr. Gv 8,44), come quando chiama “libertà” la schiavitù, “amore” l’egoismo, “diritto” il capriccio e il peccato, “autodeterminazione” la ribellione a Dio, “salute riproduttiva” la contraccezione, “interruzione volontaria di gravidanza (o perfino i.v.g)” l’uccisione del proprio figlio, “contraccettivo d’emergenza” una pillola abortiva, ecc.].

Occorre quindi porre in atto ogni sforzo per fare il bene ed evitare il peccato. Pur con quella pace di fondo che conosce chi vive nell’amicizia di Cristo, occorre però essere realisti e perfino intelligentemente astuti, sapendo che è più o meno sempre in corso una “lotta” (specie ad esempio quando la pressione ormonale giovanile la rende più acuta e difficile da governare). Per questo, come diciamo e promettiamo a Dio nell’<Atto di dolore> in Confessione, dobbiamo evitare anche “le occasioni prossime di peccato”, cioè tutte quelle situazioni (psicologiche, ambienti, tentazioni, sguardi, letture, visioni e perfino amicizie che ci spingono al peccato) che sappiamo possono non solo indurci al peccato ma perfino rendere impossibile resistervi una volta che vi siamo volontariamente entrati (magari con l’alibi che fino ad un certo punto non è ancora peccato e che ci saremmo poi fermati).
Pur con serenità, specie quella pace che ci viene dall’essere e sentirci comunque amati infinitamente da Dio, dobbiamo fin da giovanissimi allenarci alla “castità”, cioè a vivere con verità, in quel dominio di sé che non è repressione ma condizione perché la sessualità sia governata da noi e non noi che ne diventiamo schiavi, un dominio di sé che non significa affatto diventare freddi e sessualmente insensibili ma anzi ci renderà sempre più capaci un giorno di una vera “donazione” di sé, cioè di un vero amore, che non sia solo un egoismo velato per soddisfare le proprie passioni, un amore vero di lei (o di lui) e non solo del suo corpo, un amore che saprà essere più forte di ogni cambiamento d’umore e di ogni tentazione di tradimento o di piantarla lì (perché, come si dice, “si era ormai esaurito il nostro amore”, come se fosse una pila scarica).
Come avevamo già osservato, è necessaria allora fin da ragazzi una vera educazione sessuale, che non si riduca – come spesso è oggi, con impressionante squallore – ad una informazione su come siamo fatti e cosa si deve fare per avere rapporti sessuali senza conseguenze di salute (Aids o altro) o di gravidanze (uso del preservativo o altro) – questa è antieducazione sessuale! – ma che sappia insegnare la verità della sessualità umana, il suo autentico significato, e sappia accompagnare, senza comodi silenzi o al contrario sconsiderate e spudorate anticipazioni, in un cammino di progressiva e serena comprensione e altrettanto sereno e deciso impegno a crescere nella virtù. 
È in questo senso importante un dialogo sereno e aperto soprattutto con il proprio “padre spirituale” – se è un educatore e specialmente un sacerdote che è in grado di farlo, come dovrebbero esserlo tutti – che affronti la questione alla luce della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa e accompagni la persona nel suo cammino, a partire proprio dal “sacrario” della sua coscienza e con l’aiuto della grazia di Dio, senza false scorciatoie o silenzi e nello stesso tempo senza ossessioni o impazienze. Possibilmente, pur essendo questo un campo molto delicato e personale, è importante come sempre, ma specie da ragazzi e da giovani, fare questo percorso di fede anche insieme, in una vera esperienza di comunità cristiana, dove tra l’altro possono sorgere amicizie più pure e perfino rapporti sentimentali fin da subito più veri e meglio impostati.
Certo, specie dopo la pubertà, oltre all’educazione da ricevere è essenziale anche una continua auto-educazione, con un “allenamento” a crescere nel bene e ad evitare tutto ciò (anche ciò che si vede e si legge) che non è al servizio della verità e dell’autentico bene della nostra persona ma di fatto è menzogna e incitamento a peccare.
Perché una vera educazione sessuale non faccia fallimento e il nostro impegno morale alla fine non si esaurisca in un “intanto non sono capace” o in un “intanto fan tutti così”, occorre soprattutto una intensa vita spirituale, dove ci sia cioè una vera vita interiore, nell’amicizia di Cristo (possibilmente anche in una vera amicizia cristiana con coetanei fratelli e sorelle nella fede che Lui ci dona) ed un ricorso continuo alla grazia di Dio (alla preghiera, alla Confessione frequente, all’Eucaristia ben e spesso ricevuta, all’imitazione e intercessione dei santi). Appunto perché “senza Gesù non possiamo far nulla” (Gv 15,5), tanto meno oggi, dove l’essere cristiani significa quasi sempre, fin da giovanissimi, camminare controcorrente ed essere spesso contrastati e perfino irrisi. 


Peccati sessuali

cioè contro l’autentico e integrale significato
della sessualità

Il <> alla verità, all’autentico significato e perfino all’autentica bellezza della sessualità umana, richiede ovviamente dei <no> a tutto ciò che deturpa, anche in parte, questa verità e bellezza.
Si tratta appunto della questione morale – sostenuta dalla grazia di Dio e dall’amore a Lui, fino all’obbedienza totale (cfr. Gv 14,15.21) – cioè della scelta del bene e del rifiuto del male.

Un elenco dei peccati più gravi contro l’autentica sessualità è già presente nel sito dove troviamo un aiuto per fare bene l’Esame di coscienza (v. 6° e 9° comandamento).

Anche in queste pagine non vogliamo ovviamente trattare di tutti i peccati sessuali, né addentarci in analisi e spiegazioni dettagliate. Ricordiamo inoltre che pur trattandosi in genere di “peccati mortali” (che tolgono cioè la “grazia di Dio”, devono quindi essere confessati anche per poter fare la Comunione e per essere salvi per l’eternità) non sono però ovviamente dello stesso livello di gravità.

20. Perché è peccato …?

Spesso sentiamo, in noi o attorno a noi, questa fondamentale domanda. E spesso, proprio perché non comprendiamo cosa sia il <peccato>, non comprendiamo neppure perché alcuni atti (scelte, pensieri, parole, opere e omissioni) siano peccato.
Dovremmo umilmente fidarci di Dio – che ne sa più di noi perché è la Verità e Intelligenza suprema e ci ha fatto Lui – e obbedire alla Sua legge, ai Suoi comandamenti anche se non comprendessimo subito o appieno il significato. Il tempo tra l’altro lo dimostrerà: solo la verità ci edifica davvero (cfr. Gv 8,32), solo il bene ci fa davvero bene; mentre il male, il peccato prima o poi ci fa male, ci rovina, già in questa vita e per l’eternità, anche quando immediatamente non ci sembrasse così ma anzi ci apparisse come piacevole e attraente, forse perfino giusto. Questo non significa però che sia sbagliato chiedersi il perché di una legge morale, di un comandamento di Dio, di un insegnamento della Chiesa.

La fede cristiana, e pure la morale, è ragionevole (Dio ci ha dato la ragione e la fede, che sono come “due ali per salire verso la contemplazione della verità”, come recita l’inizio dell’Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (14.09.1998) e come abbiamo un poco mostrato anche nel nostro sito, (v. Un aiuto per < Per capire la fede).

Dobbiamo allora anzitutto impostare meglio la domanda “perché fare così è peccato?”.
Teniamo presente che quando l’essere umano fa una scelta, decide di comportarsi in un certo modo, è normalmente attirato da un bene. Anche il più pervertito degli uomini e il peggiore degli atti sono infatti sempre mossi da un desiderio di felicità e quindi sono protesi verso un bene. Il male sta nel non comprendere cosa sia l’autentico bene, vivendo o un significato totalmente errato, o sciupare un bene più grande perché attirati da un bene più piccolo, o ridurre il significato ad un aspetto, trascurando il pieno e autentico significato.

Il <male> in sé è qualcosa di “privativo”, che non esiste in sé (per questo nessuno può davvero scegliere il male in quanto male), ma come mancanza di bene [analogamente al concetto di nulla, vuoto, buco, buio, freddo.

Se fare il bene è vivere la vita nel suo autentico significato (oggettivo, dato da Dio Creatore), anche vivere bene la propria sessualità significa viverne appieno il suo autentico e integrale significato.
Il peccato, poco o tanto, deturpa questo significato, lo deforma, lo riduce.
Per capire bene la risposta alla domanda “perché è peccato?”, cioè la domanda “ma che male c’è?”, dovremmo anzitutto trasformare la domanda in un “che bene manca?”.
Quando l’autentico significato della sessualità umana non viene compreso o viene rifiutato, o viene sciupato o anche solo viene ridotto, allora commettiamo “peccato”; andiamo cioè contro la verità della sessualità stessa.

Ecco perché è peccato anche per chi non fosse cristiano e non lo sapesse o non lo ritenesse tale; con l’aggravante che se non è cristiano non ne sarà neanche pentito o comunque non ne chiederà perdono a Dio, non se ne accuserà in Confessione, con il grave rischio di diventarne sempre più schiavo e addirittura di morire nel peccato mortale e di dannarsi per sempre.

Esempi: vivere la sessualità solo come ricerca di piacere (lussuria) è stravolgerne totalmente il significato; tradire una persona amata perché attirati improvvisamente da un’altra è sciupare un bene più grande (amore, fedeltà) per un bene più piccolo (piacere fisico di un momento); unirsi sessualmente senza vero amore è ridurne gravemente il significato, come lo è però anche la contraccezione, che censura artificialmente la possibilità di generare.

Il tempo, la storia personale ed anche sociale, e perfino di un’intera civiltà, viene prima o poi a dimostrare – al di là delle false libertà, delle mode, della cultura o delle ideologie del momento – come solo l’obbedienza a Dio e all’oggettiva legge morale, anche riguardo alla sessualità, edifica davvero l’uomo e perfino la società; mente il peccato mostrerà prima o poi il suo inganno, il suo potere distruttivo. L’eternità porterà poi questa edificazione o rovina alle estreme conseguenze (paradiso o inferno). Ed è proprio alla distruzione personale, della propria famiglia, della società, dell’umanità intera, e soprattutto alla dannazione eterna, che il diavolo vuole portarci (ed oggi con particolare forza, vincibile solo con la grazia di Dio e l’aiuto della Madonna).

21. Cosa contraddice questo significato oggettivo?

Come abbiamo detto, la sessualità umana è legata a due valori fondamentali: l’amore* e la vita**.
Come abbiamo ricordato, amore e vita sono proprio i valori fondamentali della vita, che trovano in Dio il proprio fondamento e la propria infinitezza, per cui proprio per questo la sessualità umana ha un’importanza enorme, quasi una sacralità, che non è lecito sciupare o banalizzare.

(*) L’amore deve essere totale, unico e indissolubile, che Dio ha sigillato (e perennemente sostiene) con la grazia del Sacramento del Matrimonio.

(**) La potenzialità di trasmettere la vita umana è intrinsecamente legata alla sessualità e non è lecito censurarla (anche se a certe condizioni, cioè per amore della vita stessa del figlio che potrebbe nascere, è lecito all’interno del matrimonio regolare le nascite).

I peccati sessuali, cioè che sono contro l’autentico e pieno significato della sessualità, sono quelli che censurano l’uno o l’altro, o addirittura entrambi, di questi beni o valori. 

[cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana. Alcune questioni di etica sessuale]

Ecco perché più che chiedersi “che male c’è?” occorre chiedersi “che bene manca?

Ed è infatti significativo che in italiano usiamo come sinonimo di peccato il termine “mancanza” (anche se il termine peccato è teologicamente più rilevante, perché è in riferimento a Dio stesso, come rottura o rovina dell’alleanza d’amore con Lui).

22. Ci sono atti sessuali che tutti ritengono male?

Certo, ci sono dei livelli di immoralità così evidenti che anche il più scriteriato degli uomini non fa fatica a riconoscere che sono male, perfino se li compisse. Ad esempio quando un rapporto sessuale è ottenuto con violenza, fisica (come nel caso dello stupro) o anche solo psicologica (quando c’è una sorta di plagio o ricatto mentale). Se poi si trattasse di persona più fragile, come nel caso di un bambino (pederastia) o di un disabile, il male è anche più evidente. Anche un rapporto sessuale tra consanguinei (incesto) è normalmente avvertito come innaturale e immorale. Se poi si trattasse di unioni con animali (peccato di bestialità), il senso di ripulsa è spontaneo e immediato.

Molti di questi atti sessuali (violenti) sono normalmente indicati e puniti anche come “reati” (e ciò ne aumenta nel popolo la percezione di immoralità e ne frena ovviamente l’attuazione anche in chi vorrebbe compierli – da cui si deduce che la legge civile/penale ha anche un valore educativo, così come il rendere certi atti “legali” ingenera nel popolo la confusione che siano anche “morali”).

Eppure sappiamo che le pulsioni di certe persone, specie se non educate o addirittura incoraggiate da una falsa cultura edonista, e sollecitata da una apposita pornografia, possono portare a tali atti, e possono persino divenire piaghe sociali. Così come certe situazioni di predominio fisico (come nel caso di situazioni belliche) o anche psicologico (come nel caso di dipendenza psicologica e perfino economica), specie se non facilmente perseguibili, possono rendere assai facili e frequenti i casi di stupro (ad esempio in guerra), come la storia stessa dimostra.

Circa il peccato di pederastia (erroneamente detto pedofilia), esso è in realtà assai più diffuso di quanto non si dica (anche se i rari casi che ultimamente hanno riguardato esponenti del clero cattolico hanno procurato un clamore che ha però più il sapore di un attacco anti-cattolico che di un amore per l’innocenza dei fanciulli, che lasciamo infatti tranquillamente in pasto ad una pornografia diffusa o obblighiamo a subire una falsa educazione sessuale che in realtà è una spinta a ‘fare sesso’ il più presto possibile e come ci pare, limitandone solamente i danni), e nella storia, anche recente, ha avuto lodi impensate, così come c’è chi vorrebbe garantito anche questo come “diritto”! (cfr. nel sito).

In realtà, quindi, anche questo apparente sentire morale comune è assai più fragile di quanto sembri; il relativismo dominante e la riduzione della morale ad un fatto soggettivo o di costume sono infatti in grado di distruggere prima o poi anche le più elementari percezioni morali.

23. Ci sono atti sessuali che, pur assai diffusi, è più evidente che siano immorali?

Sì. Ad esempio: anche se la prostituzione è sempre stata assai diffusa nella storia e nelle società, è abbastanza immediato che un “sesso a pagamento” riveste un tale squallore, è privato talmente delle sue dimensioni più vere, rende talmente “oggetto” la persona, che risulta naturalmente evidente che gli atti sessuali nella prostituzione sono immorali (chi si prostituisce, chi ne usa e pure chi sfrutta la prostituzione). L’enorme traffico di esseri umani, specie donne, la loro riduzione in schiavitù, e gli immensi guadagni e giri di interesse che sono legati alla prostituzione, la rendono particolarmente grave (e in sé penalmente perseguibile); ma è moralmente grave lo stesso singolo atto sessuale con una prostituta.

L’alibi che talora si presenta, come se fosse una necessità fisiologica per chi al momento non ha rapporti sessuali, è privo di fondamento, visto che l’essere umano non è un animale con pulsioni irrefrenabili e vista la gravità di usare di una “persona” come oggetto di acquisto e di godimento (tra l’altro ci sono uomini che “vanno a prostitute” anche se hanno rapporti sessuali con la propria ragazza e persino tra gi sposati).

Chi compie un tale atto sessuale deve ovviamente “confessarlo”, per tornare in grazia di Dio (per fare la Comunione ed essere salvi), e che non va genericamente confessato come un “atto impuro”.

In proposito si ricorda che gli “atti impuri” (v. VI comandamento), essendo diversificati per gravità morale, vanno in Confessione specificati (e possibilmente anche quanto volte sono stati commessi).

24. Ci sono atti sessuali che la coscienza avverte quasi spontaneamente come peccato?

Al di là dei peccati gravi sopra già menzionati, normalmente la coscienza – persino se non fosse ben educata – avverte il disordine morale di certi comportamenti e atti sessuali: è il caso ad esempio del “tradimento” (sia chi sia già legato affettivamente ad una persona, sia chi si unisca ad una persona già affettivamente legata ad un’altra; se poi lo sono entrambi è ancora più paradossale; se poi fosse addirittura “la ragazza del mio amico” se ne avverte ancor più la gravità; se poi si tratta non di un episodio sfuggito al nostro controllo morale, ma di qualcosa di stabile – avere l’amante – questo ne aumenta ulteriormente la gravità, trascinando con sé una doppiezza che spinge a continue gravi menzogne e ad una vita fatta di sotterfugi, inganni e nascondimenti), che diventa “adulterio” nel caso di persone sposate (da sempre considerato uno dei peccati più gravi).

Nel caso di unione con persone consacrate il peccato è anche di “sacrilegio”.

Nonostante che la coscienza possa progressivamente assuefarsi al male e al peccato, specie se il peccato diventa uno stile di vita diffuso (ad esempio tra gli amici o i colleghi, anche vantandosene!) e propagandato da un edonismo imperante anche nei mezzi di comunicazione sociale, normalmente una sessualità vissuta come puro “gioco erotico”, anche se fatta con persone libere e consenzienti, ma con cui non c’è alcun rapporto d’amore, o addirittura scivolata in modi e ambiti (persino locali di ritrovo) che diventano progressivamente pervertiti (persino con più persone, o in orge), c’è comunque il fondo della persona che avverte, al di là dell’accecamento dovuto alle sue passioni e alle sue abitudini e perfino al di là dei tentativi di auto-giustificazione, la falsità, l’immoralità (e perfino la bruttezza) di questi comportamenti sessuali.

25. Perché il “sesso libero” è peccato?

Proprio perché l’essere umano è diverso e superiore agli animali, è cosciente e libero – quindi è padrone di sé e responsabile dei suoi atti – ed è chiamato all’amore vero (che lo edifica davvero), i rapporti sessuali occasionali, là dove non c’è alcun amore, sono totalmente privi del loro autentico significato: anche se voluto da entrambi, sono in fondo una ricerca egoistica di piacere. Tutto ciò conduce tra l’altro progressivamente ad uno spaventoso vuoto esistenziale, ad una cronica assenza d’amore (che può diventare anche cinica fin da giovanissimi, come se non fosse possibile l’amore vero), ad una vita squallida, con rapporti fatui, dove a comandare sono di fatto gli umori e le pulsioni del momento, scambiati inizialmente per libertà, ma che in realtà diventano una schiavitù, mentre lo spirito si impoverisce in una insensibilità che rende la vita sempre più triste e incapace di salire e gustare le mete più alte, per non dire quelle eterne.
La vita sessuale non è un gioco, ma condiziona (nel bene o nel male) tutti gli aspetti della vita; per questo richiede una responsabilità ed una maturità che la possa rendere pienamente umana.

Nonostante che questo stia diventando già tra i giovanissimi un tragico e diffuso stile di vita, che quasi sempre condizionerà negativamente tutto il resto della loro vita, molte volte proprio da questo baratro l’essere umano avverte miracolosamente (è già una grazia di Dio) tutto il suo squallore e il bisogno di cambiare direzione, di risalire in alto: se a questo punto, magari aiutato da qualche maestro dello spirito, ritorna a Dio e ne chiede il perdono, pur sentendosene indegno, può avvenire la “festa” della conversione (cfr. Lc 15,11-32) e l’inizio di una vita cristiana ancora più consapevole e gioiosa. 

26. Perché gli atti omosessuali sono peccato?

Nonostante che un’enorme pressione culturale, promossa ora da potenti lobbies mondiali, cerchi di far passare come perfettamente “normale” l’omosessualità, muovendo dal giustissimo dovere (più volte richiamato dalla Chiesa) a non discriminare le persone omosessuali ma in realtà volendo imporre un relativismo etico che vuole vietare (persino come reato) qualsiasi giudizio morale sulla omosessualità in quanto tale (una nuova ideologia mondiale, che spinge anche in questo verso la “dittatura del relativismo”), non dovrebbe essere difficile cogliere come la sessualità sia naturalmente eterosessuale, cioè distinta in mascolinità e femminilità, con organi sessuali anche biologicamente e anatomicamente costituiti per unirsi e dare origine ad una nuova vita (non a caso si chiamano organi “genitali”, perché atti a generare, cosa che ovviamente non avviene tra sessi uguali, e non a caso le cellule sessuali – spermatozoo/ovulo – sono le uniche dotate di 23 cromosomi invece di 46, proprio perché unendosi possono dare origine ad una nuova cellula dotata di 46 cromosomi, ovviando così naturalmente a molti inconvenienti genetici). La stessa spinta erotica e lo stesso piacere sessuale sono naturalmente orientati a far sì che uno spermatozoo possa raggiungere e penetrare un ovulo per fecondarlo.
In realtà, il tentativo culturale di equiparare l’unione sessuale omosessuale a quella eterosessuale risente di quell’impoverimento culturale della sessualità (di cui s’è accennato all’inizio) che prima ha censurato dalla sessualità la dimensione procreativa, poi in molti casi anche di quella unitiva (d’amore), per ridurla ad una sorta di “divertimento” o di “piacere in due” da vivere a piacimento, secondo le proprie pulsioni o gusti sessuali.
Ammesso e non concesso (visto che mascolinità e femminilità hanno una complementarietà che non è solo biologica, ma anche psicologica e perfino spirituale) che in un rapporto omosessuale possa esserci una vera dimensione d’amore, totale e definitivo come è richiesto anche per un autentico rapporto sessuale eterosessuale, manca comunque della dimensione procreativa (che non deve essere artificialmente censurata anche da un rapporto sessuale eterosessuale, se vuole essere pienamente autentico).
Come sempre, se l’amore cristiano non fa discriminazioni tra persone (tutte create da Dio, redente da Gesù Cristo e chiamate alla santità) – ed è quindi peccato ogni discriminazione o disprezzo delle persone omosessuali (cosa invece frequente, già tra ragazzi, anche per riaffermare così la propria virilità di fronte agli altri) – e non può azzardare alcun giudizio sulla reale responsabilità morale della singola persona (cosa che spetta solo a Dio, che infatti sarà il giudice finale di tutti), la Parola di Dio ci aiuta a capire meglio, come e più di come possa fare la sola ragione, cosa sia il bene e il male, cioè il significato autentico di una cosa (bene) e ciò che contraddice tale significato (male). Non si tratta di mentalità del tempo o di retaggi culturali del passato, ma della verità stessa rivelata da Dio e che la ragione stessa può comprendere. Ebbene la Parola di Dio, da cui scaturisce il costante e perenne insegnamento della Chiesa, afferma che i rapporti sessuali omosessuali (quindi non l’essere omosessuali) sono oggettivamente un grave peccato.

Abbiamo dei testi con giudizi morali molto chiari e di condanna già nell’A.T. (basterebbe pensare alla fine di Sodoma, cfr. Gn 18,20; 19,4-11.23-28). Nella tradizione cristiana, tra i “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio” è segnalato proprio il “peccato impuro contro natura”, cioè l’atto omosessuale.

La persona omosessuale, che come tale può anche essere santa e vivere anzi una particolare unione con la Croce di Cristo (come in ogni sofferenza) ed acquisire così particolari meriti di fronte a Dio, è chiamata a vivere nella castità e se è possibile a fare un percorso di maturazione che in moltissimi casi raggiunge una vita sessuale pienamente eterosessuale (e può così approdare al matrimonio con persona di altro sesso).

Il far credere ad un ragazzo (ragazza) che può avvertire questo disturbo, talora persino transitorio nella fase di crescita adolescenziale, che l’omosessualità è perfettamente normale come la eterosessualità, alimentandola magari con apposita pornografia e perfino frequentando ambienti “dedicati”, solo apparentemente la libera da ogni ansia e paura e la rende gioiosa (appunto “gay”), in realtà normalmente la rende ancor più schiava delle proprie pulsioni e vuota (e talora persino dipendente da compagnie che inducono ad una vita sessuale sempre più sfrenata e immorale), mentre un’amorevole accoglienza unita anche alla possibilità di accompagnamento in un percorso di crescita e maturazione (anche sessuale) può davvero liberarlo e renderlo capace di dominio di sé, di vero amore e perfino di un autentico rapporto sessuale eterosessuale.

Nella vita cristiana deve essere chiaro che Dio ci ama così come siamo, anche se fossimo nel peccato, ma proprio perché Dio ci ama ci fa anche capire cosa è bene, cioè qual è la strada giusta da seguire, e cosa è male (peccato), senza farci sconti, ma accompagnandoci con la Sua grazia, con la Sua forza, e risanandoci ogni volta che pecchiamo con la potenza e la bellezza della Sua infinita misericordia! Per questo la persona omosessuale che compie anche atti sessuali omosessuali (che sono peccati gravi) deve ricorrere come tutti alla misericordia di Dio e confessarli (esplicitamente), senza timore o vergogna ma anche con il desiderio sincero di conversione (e quindi di non commetterli più) e la certezza che con l’aiuto di Dio come tutti può fare un cammino di liberazione, di santità, abbandonando progressivamente il peccato e crescendo sempre più nella virtù e amore di Dio.

[cfr. ad es. i Documenti del Magistero (Congregazione per la Dottrina della Fede) Homosexualitatis problema. Sulla Cura pastorale delle persone omosessuali e Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali]

26.1. Si può uscire dall’omosessualità?

Il movimento “gay” – in cui peraltro la maggior parte degli omosessuali (che in genere non sentono affatto come “gioiosa” la loro condizione) non si riconosce, specie nelle sue “carnevalate” come i gay-pride – è diventato progressivamente nel mondo una forza (lobby) ideologica, politica ed economica, capace di influire sulla società, sui media e sulle politiche nazionali e internazionali (a cominciare dagli USA).

Tale ideologia, fondamentalmente “relativista” (non esiste una verità, neppure una natura umana), fa di tutto perché si diffonda nel mondo l’idea che i comportamenti omosessuali siano equivalenti a quelli eterosessuali, giungendo persino a chiedere che sia “reato” non pensarla a questo modo (dittatura del relativismo).

Il movimento gay non vuole per questo sentire parlare di omosessualità come di una patologia e si rifiuta ideologicamente perfino di confrontarsi con quelle terapie speso in grado di ricostruire nella persona una corretta identità sessuale (secondo il proprio sesso biologico) ed attrazione eterosessuale.

Per avvalorare la propria posizione ideologica, il movimento gay ripete con orgoglio che infatti nel 1991 persino l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha cancellato l’omosessualità dal suo manuale diagnostico ICD (International Classification of Disease), cioè dall’elenco delle patologie. In realtà ciò che portò ad una tale decisione fu un processo che di “scientifico” ebbe davvero poco: tale decisione fece infatti seguito a quella dell’APA (American Psychiatric Association) del 1973, che rimosse dal suo manuale diagnostico DSM (Diagnostic and Statistic Manual) l’omosessualità “egosintonica” (non indesiderata), considerandola non più una patologia. Tale decisione non ebbe però una base scientifica ma ideologica: gli attivisti gay infatti fin dal 1968 manifestarono alle riunioni della Commissione Nomenclatura dell’APA (che si occupa della redazione del DSM – e che fu presieduta proprio da quel dottor Spitzer che poi abbracciò invece la <terapia riparativa>, v. sotto), ottenendo addirittura di partecipare ai lavori, trasformando il dibattito dal livello scientifico a quello ideologico e politico, fino al punto da far mettere ai voti la questione (cosa assai poco scientifica). Si giunse ad eliminare l’omosessualità egosintonica dai manuali per una votazione addirittura fatta per corrispondenza (5816 voti a favore, 3817 contro)

Lo psichiatra Bieber commentò: “Non si può davvero sostenere che la nuova posizione ufficiale riguardo l’omosessualità sia una vittoria della scienza. Non è ragionevole votare su questioni scientifiche più di quanto sia votare sulla questione se il mondo sia piatto o rotondo” (I. Bieber, Omosessualità: uno studio psicanalitico, Il pensiero scientifico, Roma 1977, p. XXII).

Lo psicologo statunitense J. Nicolosi (v. poi) scrive: “nessuna prova scientifica è stata fornita per confutare 75 anni di ricerche cliniche sull’omosessualità come stato patologico. 

L’omosessualità egosintonica rimane comunque tuttora nei manuali diagnostici dei disturbi psichici.

Anche certi studi cosiddetti scientifici hanno quindi qualcosa di “ideologico” (una presunta verità costruita a priori e per confermarla si eliminano tutte le prove che la contraddicono).

Ad esempio, uno studio del medico zoologo statunitense Alfred Charles Kinsey (1894-1956) del 1948 (poi anche in it.: Il comportamento sessuale dell’uomo, Bompiani) è diventato una bandiera della nuova ideologia di gender (il “genere” sarebbe a scelta, indipendentemente dal sesso biologico) oggi imperante, ma risulta da una grossolana falsificazione di dati statistici: giunse a stabilire ad esempio che gli omosessuali sono il 10% della popolazione, ma i campioni della statistica erano già scelti allo scopo (omosessuali prostituti, scuola nota per essere scelta da omosessuali, detenuti condannati per reati sessuali). [Studi più seri parlano ad esempio di un 1% negli USA e di 1,5% in UK].

In realtà quella dell’omosessualità è una questione assai complessa, le cui cause (in genere psicologiche e culturali) sono in gran parte ignote alla stessa medicina e psicologia [tra l’altro nell’opinione comune l’omosessualità è quasi sempre confusa (ad esempio per il maschio) con l’essere effeminati o poco virili (questo sì può avere anche una base ormonale non corretta) mentre può essere presente anche in maschi pienamente virili].

In realtà non esiste una natura omosessuale: non esiste infatti un gene-omosessuale, né un ormone-omosessuale, e neppure un cervello-omosessuale [v. il celebre studio di J.M. Bailey & R.C. Pillard, A genetic study of male sexual orientation, in Archives of General Psychiatry, n. 48 (dicembre 1991, pp. 1089-1096), sulle percentuali di omosessualità in coppie di gemelli omozigoti, eterozigoti, fratelli e fratelli adottivi di cui uno è omosessuale]. Non riescono a dimostrare questa base biologica (semmai solo una predisposizione) neppure i celebri studi di D. Hamer, A linkage between DNA markers on the X chromosome and male sexual orientation, in Science, n. 261 (luglio 1993), pp. 321-327 o di S. LeVay, A difference in hypothalamic structure between heterosexual and homosexual men, in Science, n. 253 (agosto 1991), pp. 1034-1037.

Che ci sia un legame inscindibile tra sesso biologico e identità di genere (gender) è comprovato ad esempio anche dal tragico esperimento dei gemelli Reimer [nel 1967 due gemelli omozigoti canadesi (Brian e Bruce Reimer) subirono una circoncisione, ma ad uno (Bruce) fu bruciato per errore il pene; i genitori si rivolsero al dottor John William Money – il celebre chirurgo (1921-2006), allievo di Kinsey (v. sopra) noto per far cambiare sesso; proprio a lui si deve il termine “identità di genere”, da cui l’attuale ideologia gender – per renderlo femmina (poi seguirono trattamenti ormonali e interventi chirurgici); ma, pur essendo all’oscuro di quanto subito nell’infanzia Bruce (chiamato poi Brenda) non ne volle sapere di comportarsi da femmina; reso consapevole di quanto aveva subito, alla fine fece un intervento chirurgico per ricostruire i genitali maschili e si sposò; morì però suicida].

Le cause principali dell’omosessualità sono psicologiche (ad esempio per abusi sessuali subiti nell’infanzia o per una mancata identificazione, per diversi motivi, col genitore dello stesso sesso) ma anche esperienziali. Queste ultime, poiché le esperienze ci trasformano e ci condizionano poi in futuro, possono essere indotte anche da fenomeni culturali, dalla pornografia (nell’uomo, specie se giovane, scatta il livello imitativo) e perfino dalla curiosità o dal “voler fare nuove esperienze”. Una diffusa mentalità immorale e relativista aumenta infatti enormemente i casi di omosessualità. Spesso è accompagnata (causata, seguita) da altri disturbi psicologici, come ansia o depressione.

Molte volte nella storia delle civiltà, specie in fase di decadenza e declino (v. civiltà greca o romana) l’omosessualità è diventata assai diffusa, peraltro insieme a pratiche sessuali anche molto pervertite e talora considerate persino sacre (cfr. in proposito il rapporto tra erosfilia ed agape all’inizio della Deus caritas est di Benedetto XVI). Questo è il segno che quando tramontano alti valori morali e regna un’eccessiva ricchezza e l’ozio emergono solo le pulsioni sessuali, ma esse si pervertono (così anche nel mondo occidentale attuale). [Alcuni studiosi individuano però in tali fenomeni storici semplicemente dei comportamenti omosessuali, mentre l’omosessualità vera e propria sarebbe invece un fenomeno moderno, cioè degli ultimi secoli, e conseguente alle nuove culture atee].

Comunque sperimentalmente l’omosessualità non risulta geneticamente determinata ed è sia prevenibile che curabile.

Già Sigmund Freud, il padre della psicanalisi (tanto elogiato anche da queste nuove ideologie), non credeva al carattere innato (congenito) dell’omosessualità (disse che sarebbe “una grossolana spiegazione”) e la considerava una patologia (da lui chiamata “inversione” e gli omosessuali “invertiti”), peraltro guaribile mediante ipnosi. Nel suo Saggio Le aberrazioni sessuali (1905) afferma: “l’inversione può essere eliminata mediante suggestione ipnotica; perciò, se se ne ammettesse il carattere innato, la sua guarigione sarebbe un miracolo”. Così pensavano anche i suoi seguaci, gli psicanalisti Jung e Adler.

La “terapia riparativa”, iniziata dunque già con Freud, Jung e Adler, in realtà trova oggi nuovi sostenitori e sperimentazioni largamente positive (con percentuale alte di guarigioni dall’omosessualità verso l’eterosessualità), che ha forse il massimo esponente nello psicologo statunitense Joseph Nicolosi (nato nel 1947), la cui “terapia ripartiva” ha oggi seguaci e applicazioni in tutto il mondo (anche se osteggiata dalle potenti lobbies omosessuali) e presenta una completa guarigione (ricostruzione della corretta identità di genere) almeno in 1 caso su 3 [cfr. J.Nicolosì, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Sugarco Edizioni, Milano 2002] [Nicolosi è presidente del NARTH (National Association for Reserch & Therapy of Homosexuality, fondato nel 1992 con Benjamin Kaufman e Charles Socarides, con sede a Encino in California]

Già negli anni ’60 lo psicanalista Irving Bieber (1908-1991) otteneva con il suo trattamento psicanalitico la guarigione del 27% dei suoi pazienti che accusavano questo disturbo (non desiderato)

Robert Spitzer (psichiatra USA, significativo che prima fosse presidente della sezione nomenclatura dell’APA, v. sopra): nel 2001 (esperienza ripetuta nel 2003) il 67% dei pazienti (uomini che sentivano attrazione per uomini) è guarito (attrazione per le donne).

Anche la “terapia riparativa” dell’olandese Gerard van der Aardweg ha raggiunto notevoli successi [v. G.v.d.Aardweg, Omosessualità & speranza. Terapia e guarigione nell’ esperienza di uno psicologo, Edizioni Ares, Milano 1985].

Movimento gay solo contro la Chiesa Cattolica? 

Che poi quello del movimento gay sia un “attacco ideologico” è mostrato anche dal fatto che il suo principale bersaglio è proprio la Chiesa Cattolica, la quale invece, pur con un chiaro giudizio morale sugli atti omosessuali, mostra una grande comprensione (cfr. Catechismo C.C. n. 2358) per le persone omosessuali ed ha anche gruppi di sostegno (e di terapia) e di spiritualità a loro dedicate. Sintomatico invece il pressoché totale silenzio su quelle religioni e quei Paesi in cui l’omosessualità è addirittura reato, in certi casi punibile con la morte: ad esempio in quattro Paesi islamici (Iran, Mauritania, Sudan e persino Arabia Saudita) gli omosessuali sono sottoposti alla pena di morte e in altri venti paesi musulmani gli atti omosessuali sono severamente puniti; i rapporti omosessuali sono poi reato in altri settanta paesi, tra cui la Cina.

27. Perché i rapporti sessuali (fuori dal matrimonio) sono peccato anche quando ci si vuol bene?

Oggi più che mai, perfino tra giovani che si professano cristiani, si fa fatica a capire perché i rapporti sessuali siano moralmente illeciti anche quando ci si “vuole bene” e ancor più se c’è già un rapporto stabile d’amore che sembra durare nel tempo. In realtà è il peccato, ancora grave, della “fornicazione”. Perché? Non sembra un assurdo limite ad una vera espressione d’amore che coinvolga anche il corpo?
Intanto è significativo che la persona, se non è sessualmente depravata, avverta anche naturalmente che l’atto sessuale ha tanto più senso ed è perfino tanto più bello quanto più vi sia amore vero tra quelle due persone.
Abbiamo infatti sopra ricordato che il corpo, nell’essere umano, ha una funzione di “segno”  (così la parola per esprimere concetti e il variegato linguaggio del corpo per esprimere sentimenti e stati d’animo e ciò che di più profondo c’è nell’anima); e che se al segno fisico non corrisponde ciò che significa, allora la manifestazione del corpo non è più autentica e può divenire perfino una maschera che nasconde invece di rivelare. La sessualità è segno di qualcosa di molto “intimo”, personale, di cui abbiamo giustamente pudore, di emotivamente coinvolgente e carica di piacere; ma proprio per questo non può essere vissuta banalmente, senza una attenta verifica e come vera donazione di sé. Ecco perché si avverte anche naturalmente che l’unione sessuale è tanto più autentica quanto più è legata all’amore interiore e al coinvolgimento vero e totale delle due persone. Infatti l’unione (sessuale) dei corpi deve essere “segno” dell’unione totale delle persone.
Si potrebbe obiettare come sia difficile misurare davvero quanto amore c’è; e che per questo quando il “cuore” avverte di amare davvero è giusto che questo si esprima anche con l’unione sessuale dei corpi. In realtà l’amore si avverte non solo col cuore – che talora ci sorprende per la sua instabilità e va comunque guidato dalla volontà (altrimenti può far commettere anche grandi errori, con la scusa che “al cuore non si comanda”, come sempre più spesso vediamo!) – ma anche con dei precisi segni della volontà e con dei chiari impegni della persona.
Per questo Gesù stesso ci insegna (cfr. Mt 19,6) che l’unione totale dei corpi (sessuale) deve essere il segno di una unione totale delle persone, un’unione d’amore talmente forte che non è più lecito dividerli (perché in fondo è Dio stesso che li ha uniti). Questa unione d’amore totale si esprime solo all’interno del Matrimonio, con un preciso impegno di entrambi ad un amore unico e per sempre, anche andando incontro a qualsiasi difficile situazione (“prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”, dicono espressamente gli sposi mentre “celebrano” di fronte a Dio e alla Chiesa il sacramento del loro Matrimonio). La Chiesa ha infatti compreso che Gesù intendeva con queste parole realizzare un Sacramento apposito (il Matrimonio, uno dei 7 sacramenti), attraverso il quale Egli stesso fa dei due una cosa sola (“l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto” dice Gesù, Mt 19,6) e li sosterrà con la Sua grazia per tutta le vita, se ovviamente essi vivono la fede in Lui e rimangono aperti ai Suoi doni.
Insomma, quel rapporto sessuale “prematrimoniale”, anche se ci fosse già tanto amore, rimane ancora “peccato” non per quello che c’è (se c’è davvero già amore), ma proprio per quello che ancora non c’è, non essendoci cioè realmente un amore totale e definitivo e che ha in Cristo stesso il proprio sacramentale fondamento. 
Teniamo poi presente che, prima e al di fuori del matrimonio, tale rapporto sessuale deve inevitabilmente “censurare” anche l’altro fondamentale aspetto che caratterizza l’incontro sessuale, e cioè l’apertura al dono immenso della vita (un bambino che può nascere ha diritto ad una famiglia, ad un papà e una mamma stabilmente uniti in matrimonio). I rapporti sessuali prematrimoniali abituano quindi anche alla contraccezione, come se fosse una cosa normale e giusta, privando invece quell’incontro sessuale di un suo fondamentale aspetto e intrinseco valore.
La “castità prematrimoniale”, cioè l’astinenza dai rapporti sessuali, anche se potrebbe sembrare non solo una rinuncia ma persino un impoverimento dell’amore, in realtà educa ad una padronanza di sé che renderà invece più forte e maturo quell’amore, così che quando nel matrimonio sarà per loro lecito unirsi anche sessualmente potrà essere più facilmente una vera “donazione” d’amore, purificata da ogni egoismo, da ogni mentalità che censura la vita, e persino dal rischio di abitudine o banalizzazione di un atto così importante.
Specialmente se sostenuta da vere motivazioni morali e di fede in Cristo, e quindi anche dalla preghiera e vita di grazia (da imparare a vivere anche insieme!), la castità prematrimoniale, nonostante magari la fatica di certi momenti in cui la passione trascinerebbe a porre un atto superiore alla realtà stessa (il corpo diverrebbe segno di qualcosa di più di quello che effettivamente c’è, e in certi casi forse anche di quello che non c’è), non diminuisce ma accresce l’amore vero, e rende capaci di vivere con intensità anche i più piccoli segni di amore che il cuore ma anche il corpo può esprimere.

Certo è importante che in una vita di coppia siano entrambi a vivere la fede in Cristo e la vita cristiana, ed anche a capire il valore della castità, così da aiutarsi pure vicendevolmente a fare il bene, a vivere nella verità e volontà di Dio (mentre molte volte nella coppia si può diventare purtroppo complici o occasione di peccato per l’altro – ma questo in fondo non è mai vero amore, perché un vero “ti voglio bene” significa voglio il “tuo bene”, cioè la verità e vera felicità di te, che Dio ci dona). Se uno solo dei due comprendesse questo valore deve con pazienza e decisione aiutare l’altro a camminare in questa direzione (è appunto un segno dell’autentico volergli/le bene), ma non scendere a compromessi, per salvare quel rapporto. Non sarebbe infatti un vero rapporto d’amore quello che considerasse il rapporto sessuale (prematrimoniale) come condizione per restare insieme: diverrebbe una specie di ricatto, in fondo il segno che non si ama davvero l’altro ma solo il suo corpo. Chi ama davvero l’altro, anche se ancora non comprendesse il valore della castità prematrimoniale, saprebbe rispettarlo proprio come segno di amore vero per lui/lei (non dobbiamo essere invece relativisti anche in questo: non è infatti segno di amore per l’altro accettare il peccato per fargli/le piacere, perché è male anche per lui/lei, anche se ancora non se ne rendesse conto).

Un amore vero, purificato (e non diminuito) dalla volontà di vivere nella castità prematrimoniale, sa invece godere anche dei piccoli segni, anche fisici, delle tenerezze, che l’amore sa inventare per esprimersi, nel pieno rispetto dell’altro. Anche questi segni devono essere sempre autentici: non precipitosi (sarebbe un segno troppo anticipato rispetto alla realtà), non abitudinari (li sciuperebbe) e sobri (l’amore vero sa esprimersi anche con pudore e sobrietà; quello fragile ha sempre bisogno di essere puntellato da una ripetizione talora banale e persino pubblica dei segni fisici, come vediamo oggi spesso in certi giovanissimi che si credono per questo grandi in realtà manifestano così la loro immaturità e la fragilità dei loro sentimenti).

La castità prematrimoniale non prevede solo l’astinenza dai rapporti sessuali completi (che poi appunto tanto “completi” non sono …), ma ovviamente anche dai suoi surrogati (come rapporti orali, anali o masturbazione reciproca), che sono comunque “atti impuri” (da confessare).

28. Perché i rapporti sessuali sono peccato anche nel fidanzamento?

Quanto abbiamo ora osservato, fa comprendere anche che, se nel fidanzamento (cioè quando un rapporto affettivo è non solo stabile nel tempo ma già determinato a camminare verso il matrimonio – ed a prepararvisi interiormente!) l’amore dovrebbe aver raggiunto già una intensità, maturità e volontà di donazione assai forte – e quindi c’è già molto di quello che deve esserci in un rapporto sessuale – non c’è però ancora quella totalità e quella possibilità di apertura alla vita (i due valori cui è appunto legata la sessualità) che può esserci nel Matrimonio.
Anche se l’amore è soggettivamente lo stesso il giorno prima del Matrimonio come il giorno dopo, la fede cristiana sa però che il Matrimonio non è solo un patto umano tra un uomo e una donna che costituiscono così una famiglia (certo già importante, come per il matrimonio civile), ma un sacramento, cioè un “atto di Dio” (liturgia), cioè è Dio stesso che fa qualcosa, che fa cioè di quell’uomo e quella donna “una cosa sola” (cfr. Mt 19,6), marito e moglie; quindi oggettivamente e di fronte a Dio lo sono dal momento in cui Dio ha operato questo miracolo nel loro stesso animo (non sono marito e moglie agli occhi di Dio coloro che non è stato Egli stessi a renderli tali nel sacramento del Matrimonio).

Si potrebbe osservare come nelle società occidentali l’età del matrimonio sia oggi innaturalmente innalzata, sia per motivi di studio o di lavoro, come per motivi economici e talora a causa di scarse politiche a favore della famiglia (dei figli, della casa, del lavoro) da parte dello Stato; non mancano però motivi dovuti alla volontà dei fidanzati, che spesso sono portati a vedere nel matrimonio solo una serie di responsabilità in più che volentieri rimandano ad assumersi, visto che intanto assai spesso vivono già le gioie matrimoniali (rapporti sessuali, viaggi e vacanze insieme, divertimenti da eterni giovani). Rimane però vero che molti, anche seriamente impegnati a raggiungere quanto prima la vita matrimoniale, sono oggettivamente e seriamente impediti a sposarsi per motivi socio-economici. Questo rende ovviamente più difficile vivere la castità prematrimoniale (rispetto ad esempio a quando, solo un secolo fa, ci si sposava normalmente attorno ai vent’anni!): questo può essere una reale attenuante ai loro eventuali peccati sessuali, che rimangono comunque gravi (e da confessare per tornare a vivere in “grazia di Dio”, facendo pure tutto il possibile per vivere nella castità ed anche per sposarsi quanto prima). 

I rapporti sessuali prematrimoniali creano una mentalità sbagliata e possono indurre ad errori futuri:

Se prima del matrimonio un giovane si è abituato ad avere rapporti sessuali con tutte le persone con cui si lega sentimentalmente (ho avuto diverse “storie”, si dice oggi banalmente), è più facile che lo stesso rapporto sessuale non sia più avvertito così coinvolgente da esprimere davvero la donazione totale di sé; per questo può portare poi anche nel matrimonio ad avvertire come meno gravi delle scappatelle extramatrimoniali, con conseguenze spesso tragiche come l’infedeltà, la divisione, i divorzi, il sorgere di nuovi legami.

Non è poi vero che i rapporti sessuali prematrimoniali fanno capire se si ama davvero una persona, anzi la loro carica emotiva e di piacere annebbia fortemente il discernimento, e spesso illude che ci sia un amore che invece non c‘è e che infatti poi svanirà. Non è neppure vero che sono una “prova d’amore”: l’amore non si prova. Ci si crede e lo si vive, responsabilmente. Provare una persona è ridurla a oggetto.

Teniamo presente che le conseguenze dell’obbedienza o meno alla legge morale sono molto più evidenti nel lungo periodo. Può darsi che ad alcune generazioni possa sfuggire una verità morale. Ma di fronte al lungo cammino della storia, la verità si impone: una società non casta è ricca di divorzi e povera di figli.

È possibile comunque cambiare strada (conversione) e tornare alla castità anche dopo che si è vissuto contro, specie se s’è scoperto l’amore di Dio e si attinge alla Sua grazia. 

29. Perché la “convivenza” è peccato?

La convivenza, oggi in forte crescita (perfino in giovani che si definiscono cristiani, ma che con ciò dimostrano di conoscere poco del cristianesimo e della volontà di Dio!) da sembrare quasi normale, in realtà non solo è un grave peccato, ma è una condizione stabile di peccato (e come tale non può neppure essere assolta in Confessione finché perdura, mancando appunto la volontà di conversione e obbedienza a Dio). Come abbiamo appena detto, e come Gesù stesso ci dice (cfr. Mt 19,5-6), solo Dio fa di un uomo e una donna marito e moglie e costituisce una famiglia; mentre la convivenza è vivere come se i due fosse marito e moglie, anche sessualmente, senza esserlo (infatti di fronte a Dio non lo sono). La facilità con cui oggi si vive questo, magari col pretesto di fare una “verifica” se si è adatti al matrimonio (facendo cioè finta di esserlo senza esserlo – verifica che normalmente è smentita dai fatti, così che falliscono presto anche matrimoni che sono seguiti ad anni di tale presunta verifica), è una delle tante conseguenze della perdita del senso del peccato riguardo ai rapporti sessuali prematrimoniali ed extra-matrimoniali, così che si senta anche per questo sempre meno la sostanziale differenza tra vita matrimoniale e vita non-matrimoniale, anzi risultando ancor più comodo “convivere” o vivere come “coppie di fatto”, senza assumersi i doveri del matrimonio (e perfino pretendendone invece i diritti, anche politicamente ed economicamente).

La convivenza non può essere una prova di matrimonio, poiché è priva della responsabilità per l’altro per tutta la vita, che è tipica solo della promessa matrimoniale. Il motto implicito di ogni convivenza è infatti: “fin che dura”. L’amore dei conviventi non è autentico e nella vera libertà, perché un amore libero dall’impegno per la vita non è un vero amore. Quando due si amano davvero sentono infatti quasi spontaneamente il desiderio del “per sempre”. Ti amo a termine, fin quando dura, fa infatti perfino sorridere. Anche i nomi hanno poi la loro importanza, perché indicano una realtà; e dobbiamo fare molta attenzione come nel giro di pochi anni si cambiano i nomi (ad esempio “compagno-a” invece di marito, moglie, coniuge); c’è una grande  differenza tra coniuge e compagno: coniuge (da cum – iugum) è colui con il quale divido il giogo; compagno (da cum – panis) è colui con il quale divido il pane (ma u conto è condividere il pranzo – esperienza aperta ai più svariati incontri – e un conto è mettere in comune la sorte e tutto se stesso). Lo stesso portare l’anello di matrimonio (fede) al dito indica pubblicamente che sono legato a vita ad una persona (ed infatti l’anello di Matrimonio viene benedetto e scambiato all’interno del Rito stesso del Matrimonio).

30. I rapporti sessuali tra persone sposate solo civilmente sono peccato?

Gli sposi che si sono uniti solo civilmente (matrimonio civile, davanti ad un funzionario dello Stato) hanno certo già assunto un certo impegno, sia tra loro che nei confronti dei futuri figli come di fronte alla società e alla legge stessa dello Stato (cfr. art. 143, 144, 147 del Codice civile, che non a caso devono essere letti anche nel Matrimonio cristiano “concordatario”, che ha cioè valore anche civile). Per questo chi ha contratto matrimonio solo civile manifesta già un certo impegno di vita.

Anche lo Stato Italiano, come purtroppo molti Paesi dell’occidente, sta però progressivamente riducendo gli impegni (e il sostegno effettivo) del matrimonio, sia avendo rinunciato da tempo alla sua indissolubilità (1974) sia permettendo il divorzio in tempi sempre più brevi, oltre alla tendenza ad equipararlo a diverse forme di vita di coppia, sia “coppie di fatto” che “coppie omosessuali”.

Ma secondo le parole stesse di Gesù (già più volte ricordate, Mt 19,6), cui ha fatto seguito la dottrina e la Tradizione viva della Chiesa lungo i secoli, agli occhi di Dio sono “marito e moglie”, cioè sposi, solo coloro che Egli stesso ha unito, col Sacramento del Matrimonio. Pertanto agli occhi di Dio gli sposati solo civilmente sono ancora “concubini” (come i conviventi, sia pure con più impegno) e i loro rapporti sessuali sono peccato in quanto di fatto extra-matrimoniali.

31. I rapporti sessuali tra persone divorziate e risposate sono peccato?

Non entriamo ovviamente qui nel merito di un’analisi approfondita dei contenuti del matrimonio cristiano (v. ad es. l’Esort. Ap. di Giovanni Paolo II Familiaris consortio). Ricordiamo solo che il matrimonio autentico (cristiano, cioè che è tale agli occhi di Dio) è fondato sul Sacramento del Matrimonio (operato da Dio), richiede quindi il Battesimo e la fede cattolica, deve essere libero (non costretto) ed ha queste fondamentali caratteristiche, riconosciute e assunte come impegno indelebile da entrambi gli sposi (di fronte a Dio a alla Chiesa, anche durante il Rito stesso del Matrimonio): è “unico” (cioè monogamico), “indissolubile” (solo la morte potrà scioglierlo!), “aperto alla vita” (si desiderano e accettano i figli che Dio vorrà donare, impegnandosi ad “educarli nella fede cattolica”). La dove non ci sono queste caratteristiche il Sacramento del Matrimonio non può essere celebrato. Se uno dei due (sposi) o entrambi, al momento del Matrimonio, mentisse su questi impegni, il Matrimonio sarebbe infatti “nullo”.
Quando invece il Sacramento del Matrimonio è stato validamente celebrato, e di due sposi se ne sono assunti gli impegni, è – secondo le parole stesse di Gesù – “per sempre” (caratteristica peraltro dell’amore vero) e nessuna prova o difficoltà potrà scioglierlo. In altri termini, agli occhi di Dio quell’uomo e quella donna saranno sposi per sempre, fino alla morte. E coloro che si sposano cristianamente credono questo e pubblicamente lo affermano e promettono.

Solo nel caso “limite” in cui lo stare insieme creasse più danni (ad esempio ai figli) che non il separarsi, è prevista anche una “separazione” di fatto, che non scioglie il matrimonio (e quindi non ne rende leciti altri, neppure per il coniuge che fosse stato abbandonato non per colpa propria) e mantiene anzi aperta la speranza di poter risanare questa ferita e riprendere l’impegno di una vita autenticamente matrimoniale.

Le parole di Gesù in questo senso sono chiarissime e non hanno neppure bisogno della interpretazione della Chiesa: Gesù vieta assolutamente il “divorzio” e agli nocchi di Dio chi si risposa o sposa un divorziato/a commette un  grave peccato (cfr. Mt 19,3-10 e Mc 10,2-12).

Dovrebbero ricordarselo anche coloro che molte volte oppongono Cristo e Chiesa (non comprendendo dunque nulla dell’autentica fede cristiana – v. nel sito la Chiesa) e vorrebbero proprio su questo tema che la Chiesa si aggiornasse e andasse incontro alla sensibilità attuale (anche in questo non comprendono che la Chiesa non cambia perché la volontà di Dio non cambia, essendo assolutamente vera e certa).

Il coniuge che provoca un divorzio commette già in questo una gravissima colpa, andando chiarissimamente contro la volontà di Dio e gli impegni indelebili che si è assunto nel momento stesso del Matrimonio. Il coniuge che lo subisce, se è davvero senza colpa, non fa peccato e non è in una situazione di peccato. Entrambi però non sono “liberi” di risposarsi (tanto è vero che non possono di nuovo farlo col Sacramento del Matrimonio), essendo comunque per sempre agli occhi di Dio marito e moglie solo loro due.
Il divorziato che si risposa (civilmente o che convive) non solo commette peccato, ma si mette in una “situazione stabile di peccato” (con l’evidente impossibilità, se ha avuto ad esempio nuovi figli dal nuovo partner, di uscire da questa situazione). Ebbene, fin quando vivrà coniugalmente (cioè con rapporti sessuali) con il nuovo partner è in una situazione stabile di peccato – il che vuol dire che non può esserci vero pentimento e soprattutto proposito di non commettere più il peccato – da rendere impossibile l’assoluzione nel Sacramento della Confessione e quindi di poter anche ricevere l’Eucaristia, non essendo “in grazia di Dio”.

31.1 La Chiesa può “annullare” un matrimonio cristiano?

Anche se qui non possiamo dilungarci sull’argomento, rispondiamo però brevemente alla frequente obbiezione che anche la Chiesa “annulla” però dei Matrimoni (con i tribunali ecclesiastici, in ultima istanza con quello romano detto “Sacra Rota”). La parola “annullamento” è in realtà falsa e la Chiesa non compie e non può compiere (neppure il Papa) l’annullamento di un Sacramento, essendo fatto da Dio! I casi a cui ci si riferisce – talora per sentito dire e spesso anche con gravi menzogne (come che tale annullamento si otterrebbe se si spendono molti denari o se si è persone di alto rango) – riguardano dei veri e propri processi canonici (che diverse istanze, avvocati, e persino “difensori del vincolo”) dove si può “riconoscere la nullità” (non <annullare>, ma <riconoscere che è nullo>!) di un Matrimonio, potendo documentare in modo inequivocabile che “al momento” del Matrimonio uno o entrambi dei contraenti hanno detto il falso, proprio sull’accettazione di uno o più di quelle condizioni sopra ricordate, senza le quali la celebrazione del Matrimonio stesso non è valida e quindi di fatto quel Matrimonio è come se non fosse mai stato celebrato (potendo quindi agli occhi di Dio sposarsi cristianamente con un’altra persona, perché agli occhi di Dio sarebbe la prima).

32. Quando e perché i rapporti sessuali possono essere peccato anche tra gli sposi?

Abbiamo osservato come solo il matrimonio è l’ambito adeguato per vivere in pienezza e con autenticità i rapporti sessuali, in quanto lì si realizza la chiamata (vocazione) divina ad un amore (sponsale) unico e per sempre e può essere degnamente accolto un figlio. 
Dunque nella vita coniugale i rapporti sessuali sono non solo moralmente leciti ma si potrebbe dire persino doverosi (potrebbe essere peccato anche rifiutarsi all’altro senza un serio motivo). Questo però non significa che possono essere vissuti in qualsiasi modo. Per questo si parla anche di una “castità matrimoniale”, nel senso che anche all’interno del matrimonio la sessualità non può essere vissuta come pura spontaneità o addirittura istintività (come in genere oggi si intende la sessualità), ma mantenendola nel suo vero significato, che è unitivo e procreativo, cioè legata ai due fondamentali valori dell’amore e della vita, nella consapevolezza umana e cristiana che i corpi (né il proprio né quello del coniuge) non sono oggetto né sono “nostri” (cfr. 1Cor 6,19-20) ma apparteniamo a Dio (sorgente dell’amore e della vita) e sono tempio dello Spirito, oltre ad essere segno dell’interiorità (anima) della persona. 
Per questo, anche all’interno del matrimonio, i rapporti sessuali devono essere il segno di un amore vero, di una vera attenzione e donazione all’altro, rispettandone la dignità e i tempi e impedendo che la passionalità degeneri in una pura fisicità o addirittura in perversioni dell’atto sessuale stesso.
L’autenticità e verità integrale dell’atto sessuale richiede poi che la dimensione procreativa (il valore della vita) non sia mai censurato, cioè artificialmente tolto (contraccezione). Gli sposi, e tanto più quanto è grande la loro fede, sanno che i figli sono il dono più grande di Dio e che è da Lui che si ricevono, non solo perché Dio è all’origine di tutto, anche della capacità sessuale di generare, ma perché il concepimento di un bambino richiede l’intervento diretto di Dio per creare immediatamente l’anima – cioè l’<io> – di quel bambino.

Per questo è quanto mai significativo che in italiano la generazione di un figlio si indichi con il termine “procreare”, perché mentre i genitori danno origine (con le loro cellule sessuali) ad un nuovo corpo (anch’esso unico e irripetibile e non più parte della donna fin dall’istante del concepimento ma un nuovo essere umano che, pur dovendo stare per 9 mesi nel grembo della madre così come richiederà anni per diventare autosufficiente e adulto, è pienamente un “altro”, con un proprio patrimonio genetico, gruppo sanguigno – per questo è molto ingegnoso che la madre lo nutra ma non lo respinga come un corpo estraneo – e dopo solo un mese con un proprio cuore e battito cardiaco e dopo due mesi persino già con le proprie uniche e irripetibili impronte digitali!), Dio crea l’<io> (anima) di quella nuova persona, che non è infatti una somma di quella dei genitori (l’anima dell’uomo è spirituale e non si trasmette) ma una vera persona (con la stessa dignità di quando sarà grande e in qualsiasi corpo umano abiti, anche se meno dotato), che vivrà non solo la vita terrena ma è chiamata alla vita eterna (infatti il concepito fin dal primo istante è in una vita che sarà per sempre … nell’eternità ci saranno come vere persone tutti i concepiti, anche quelli che hanno vissuto solo qualche mese all’interno della loro madre). Dunque i figli non si fanno, come da qualche tempo si dice con estrema banalità (e bisogna fare attenzione anche alle parole, perché la menzogna inizia sempre anche dallo stravolgimento delle parole, come il diavolo insegna) ma si procreano, cioè si ricevono da Dio (“dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome”, Ef 3,15), e non ne siamo noi gli artefici né tanto meno i proprietari (né potendo decidere di loro quando sono ancora nel grembo della madre, né della loro vocazione quando saranno giovani).

All’interno di questa consapevolezza dell’immenso “bene” che è il dono dei figli da parte di Dio, gli sposi cristiani non possono deciderne arbitrariamente il numero (ad esempio “meno figli” per avere qualche possedimento in più, “due figli” magari perché sta bene avere un maschietto e una femminuccia, “un figlio solo” pensando di avere un amore totale solo per lui – quando invece assai spesso risulta un amore oppressivo se non addirittura egoistico. Se poi decidessero di non avere figli non sarebbe neppure possibile sposarsi cristianamente col sacramento, come abbiamo visto). Quella davvero cristiana, là dove è possibile anche economicamente, è in genere una famiglia numerosa, dove l’amore non si divide ma si moltiplica (!) e dove i figli imparano assai meglio il valore della fraternità e della solidarietà, persino dell’aiuto reciproco, senza pensarsi egoisticamente sempre al centro dell’attenzione e del mondo (e persino da adulti le gioie si moltiplicano e i dolori si portano meglio). Tutto deve quindi essere vissuto nella logica dell’amore vero e nella consapevolezza che non siamo noi gli unici artefici della nostra vita e della nostra famiglia, ma che Dio abita con noi e ci rende “chiesa domestica” (espressione cristianamente usata per indicare la famiglia cristiana).
Quindi, là dove è possibile (fisicamente, economicamente, psicologicamente, logisticamente), il numero dei figli non va mai limitato come se fosse una decisione autonoma, ma nella consapevolezza di essere i cooperatori di Dio e in risposta alla sua chiamata (vocazione) non solo al matrimonio ma anche alla paternità e maternità. In questo modo sarà anche più facile che i rapporti sessuali siano vissuti con responsabilità, ma anche dentro la consapevolezza gioiosa dello loro potenzialità non solo d’amore ma di procreazione, cioè nel loro autentico significato.
Questo non significa però ovviamente (e anche cristianamente) che il numero dei rapporti sessuali coniugali debba essere ristretto a quelli che possono essere realmente aperti alla procreazione.
Là dove si ritiene – con maturato, cristiano e condiviso giudizio – che effettivamente non ci siano le condizioni per accogliere l’immenso dono di un nuovo figlio (in un determinato periodo o, dopo averne già avuti a sufficienza, anche per sempre), gli sposi cristiani possono rinunciare – potremmo dire con dispiacere, cioè nella consapevolezza che comunque sarebbe un dono immenso di Dio, ma che non è possibile accogliere proprio in rispetto ai diritti che tale figlio ha e che non è possibile assicurargli – alla potenzialità procreativa delle loro unioni sessuali.  A certe precise condizioni, non come rifiuto del dono di un figlio ma proprio per l’impossibilità di garantirgli un’adeguata accoglienza, gli sposi possono cioè regolare le nascite, vivendo quindi una vera paternità e maternità responsabile.

Anche all’interno del matrimonio, quindi, i rapporti sessuali sono peccaminosi quando non sono il segno di un amore vero ed anche quando sono artificialmente chiusi alla procreazione.

È quindi peccato fare ricorso a tutto ciò che invece censurerebbe artificialmente la dimensione procreativa dall’atto sessuale, cioè la contraccezione (preservativo, pillole, spirale), la sterilizzazione, il coito interrotto o altre forme impure di sessualità (già sopra menzionate, v. peccati contro il 6° comandamento).

[cfr. Documenti del Magistero: Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, Esort. Ap. di Giovanni Paolo II Familiaris consortio e il Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale]

32.1. Come è possibile “regolare” le nascite senza ricorrere alla contraccezione?

La dove è moralmente lecito, come regolare le nascite e vivere una paternità/maternità responsabile senza ricorrere alla contraccezione? Sembra un problema senza soluzione. Invece la soluzione c’è; ed è la più giusta, naturalmente e cristianamente.
Infatti Dio ha predisposto che nell’essere umano non tutti i rapporti sessuali siano naturalmente fecondi, essendoci nella donna un ovulo pronto per essere fecondato solo un giorno al mese, e che quindi nella sua intelligenza e libertà possa riconoscere i giorni fecondi e quelli infecondi e ricorrervi per vivere responsabilmente la propria paternità/maternità.

La natura stessa – cioè il disegno del Creatore – ha fatto sì che nel corpo della donna i giorni fecondi, cioè quando c’è un ovulo pronto per essere fecondato, siano assai pochi nel ciclo mensile (sostanzialmente uno, visto che l’ovulo non vive più di 24 ore, sia pur con 4-5 giorni di possibilità, visto che gli spermatozoi penetrati nel corpo della donna possono vivere per 4-5 giorni). Solo un’unione sessuale in quei giorni può risulta naturalmente in grado di procreare; mentre nei giorni rimanenti tale potenzialità procreativa è naturalmente assente, così che un’unione sessuale in quei giorni non è potenzialmente in grado di procreare, cioè non dà origine ad una nuova vita umana (figlio).

Abbiamo sottolineato volutamente il termine “naturale”, perché ciò determina anche il modo “naturale” (si chiamano infatti in genere “metodi naturali”) di regolare le nascite, cioè di vivere una paternità/maternità responsabile.

Come abbiamo osservato, mentre tra gli animali (che non possono ovviamente vivere che di istinti, non avendo la coscienza e lo spirito) i rapporti sessuali sono regolati dalle stagioni (feconde) di accoppiamento, nell’essere umano la presenza dello spirito, e quindi dell’autodeterminazione, gli consente di vivere sempre i rapporti sessuali (e con particolare intensità proprio nella fase riproduttiva, da cui la particolare intensità di desiderio sessuale proprio nell’età giovanile, come pure ad esempio nella donna proprio nei giorni fecondi, il che sta appunto a dimostrare che la sessualità è legata alla procreazione); ma in realtà la consapevolezza e la libertà che gli ha dato il Creatore non sono per “truccare” la natura (vivendo i rapporti ed escludendone l’amore o la potenzialità generativa, cioè nel peccato), ma per vivere appieno l’amore e accogliere con vera responsabilità il dono dei figli.

Non è qualcosa di analogo alla contraccezione, come se fosse semplicemente un “metodo” diverso e forse più complicato di viverla (se fosse compreso e vissuto come semplice metodo contraccettivo sarebbe ancora falso e peccaminoso): anzitutto perché deve essere autentico e cristiano il motivo per regolare le nascite, come abbiamo visto; poi perché ricorrendo alla natura stessa della sessualità (si chiamano infatti “metodi naturali”) non si elimina artificialmente la potenzialità generativa dell’atto sessuale, ma vi è assente naturalmente, cioè non deve essere censurata, facendo quasi violenza alla natura stessa (è inutile nasconderselo: la contraccezione è una violenza, alla natura stessa – strano che chi manifesta continuamente per il rispetto della natura sia poi in genere a favore di questa violenza alla “nostra” natura!).
Gli sposi cristiani, che davvero si amano in Dio e che sanno che i figli sono un immenso dono Suo, quando non sono sinceramente pronti per accogliere un figlio o un altro figlio (solo in quel periodo e poi anche stabilmente), possono avere i loro rapporti sessuali nei giorni (quasi 20 al mese) non fecondi, cioè quando nel corpo di lei non c’è un ovulo pronto per essere fecondato. Tali rapporti saranno infatti naturalmente infecondi
Inoltre, l’astinenza dai rapporti negli altri giorni fecondi (del mese), richiede e nello stesso tempo permette un domino di sé e una capacità di rispetto dell’altro, che aumenta e non diminuisce la bellezza e l’autenticità del rapporto, così che quando i rapporti sessuali sono possibili, sono ancor di più il segno di una vera “donazione” d’amore.

Chi obietta che stare a calcolare nel mese i giorni fecondi o infecondi sia brutto e “artificiale”, perché renderebbe il rapporto poco spontaneo, dimentica che la vera libertà è come sempre nell’obbedienza alla verità, cioè all’essere e alla natura stessa delle cose, e nasconde a se stesso che in realtà è semmai evidentemente “artificiale” ricorrere al preservativo (come a pillole o vari giochi erotici, per non dire che si sta diffondendo addirittura la mentalità di ricorrere all’aborto, cioè all’uccisione stessa del figlio!, come metodo per la regolazione delle nascite, nascondendo incredibilmente a se stessi che l’atto sessuale ha effettivamente generato un figlio e che l’eliminarlo è il più grave degli atti che si possano compiere – infatti si giunge a negare l’evidenza della realtà, cioè che quello è a tutti gli effetti un essere umano)!

Qui non trattiamo della questione dell’aborto, che sembra connessa con la morale sessuale, ma in realtà è un gravissimo peccato – che causa addirittura la “scomunica” (assolvibile solo dal vescovo o dal suo delegato “penitenziere”), perfino di chi vi collabora – non contro il VI comandamento, ma contro il V (“Non uccidere”).

Un figlio che già esiste, fin dall’istante del concepimento, nel grembo della madre, è il frutto di un atto sessuale (e non una malattia da curare o un’appendice del corpo della donna), ma è una persona a tutti gli effetti (anche se avrà bisogno di 9 mesi per nascere e di 18 anni per diventare pienamente adulto; ma ciascuno di noi è stato feto, embrione, ed era già quell’<io> che ora è); per cui la sua eliminazione è “omicidio” a tutti gli effetti (ed uno dei peggiori, essendo il più fragile, innocente e indifeso degli uomini), cioè uccisione di un essere umano.

Si cerca di nasconderlo a se stessi, non volendolo nemmeno guardare (ma l’ecografia ce lo fa vedere e i rifiuti degli aborti sono pezzi di corpo umano nel cestino), e cercando di esorcizzarne la terribile realtà mutandone persino il nome (chiamandolo “Interruzione volontaria della gravidanza”, i.g.v) e rendendolo persino diritto inalienabile della donna, sua autodeterminazione, salute riproduttiva!

Neppure la legge italiana che lo regola (194), pur essendo tra le più permissive al mondo, non chiama l’aborto un “diritto”, nega che possa essere un metodo di “regolazione delle nascite” e dovrebbe far di tutto per indurre la donna ad evitarlo.

Quando sappiamo che cos’è un aborto, comprendiamo che nessuna cosa al mondo può giustificarlo, perché giustificare l’uccisione del più fragile, innocente e indifeso degli uomini renderebbe assai difficile difendere qualsiasi altro diritto umano (il diritto alla vita è il primo!). Persino quando si fa ricorso ai casi pietosi (bambini malformi) o violenti (donna violentata), se si ha presente cosa sia effettivamente l’aborto, si capisce che non si può “selezionare la razza” (eugenetica) per far vivere solo sani, e che nel secondo caso semmai si potrebbe ipotizzare la pena più severa per il violentatore e non per il bambino concepito, che è il più innocente di tutti.

Occorre fare molta attenzione perché certe pratiche e strumenti passati come “contraccettivi” in realtà sono “abortivi”(perfino chiamati ipocritamente “contraccettivi d’emergenza”, o falsamente chiamati “medicinali” quando invece non servono per “curare” ma per “uccidere”), cioè non impediscono ad uno spermatozoo di entrare in un ovulo e fecondarlo, ma ad un ovulo già fecondato di annidarsi nell’utero e continuare a crescere ma di essere invece espulso). Si tratta quindi non di contraccezione ma di aborto. Così la spirale, la pillola del giorno dopo, del 5° giorno …

Ad esempio, la EllaOne, cioè la cosiddetta “pillola del 5° giorno (dal rapporto sessuale)”, da poco in commercio anche in Italia, viene falsamente denominata “contraccettivo d’emergenza da assumersi entro 120 ore da un rapporto sessuale non protetto o dal fallimento di altro metodo contraccettivo”, ma in realtà si tratta  di una pillola potenzialmente già abortiva (che uccide cioè il frutto del concepimento, quindi a tutti gli effetti già un nuovo essere umano). L’azione dell’ulipristal (EllaOne) è infatti scientificamente antinidatoria (impedisce l’annidamento dell’essere umano appena concepito, che quindi viene espulso), analogamente a quella del mifepristone (pillola Ru486).

Non possiamo qui entrare nel merito della concretezza dei “metodi naturali” per la regolazione delle nascite. In genere è bene affidarsi non solo a qualche lettura specifica e medica ben informata ma per un certo periodo almeno è bene che la donna impari a riconoscere i giorni fecondi o non fecondi del suo ciclo mestruale guidata da persone qualificate (medici, ginecologi, consultori) che sanno davvero conoscerli ed insegnarli. In realtà non è molto complesso, come si potrebbe pensare, anche se ogni donna potrebbe rappresentare un caso a sé,  perché proprio il progresso della medicina anche in questo campo – purtroppo assai spesso censurato, persino da certi ginecologi! – permette oggi di riconoscere sempre meglio e con più sicurezza questi giorni. Teniamo presente che proprio l’ignoranza o la scarsa conoscenza di tali metodi hanno spesso generato talvolta nell’opinione pubblica l’idea che non siano “sicuri” o scientificamente affidabili, mentre in realtà lo sono assai più degli stessi metodi contraccettivi (anche se non si dice).

Un tempo si conosceva magari solo il metodo scoperto nella prima parte del ‘900 (Ogino-Knaus) e non sempre risultava affidabile; ma oggi ci sono diversi metodi (sintotermico, Billings, …) che permettono di individuare con maggior precisione scientifica i molteplici sintomi che nel corpo della donna sono il segno dei giorni fecondi o non fecondi del suo ciclo mestruale (temperatura corporea, fluidità del muco cervicale, persino la saliva, …). Esistono perfino facili rilevatori medici per saperli interpretare, che non sono una violenza ma semmai una maggiore opportunità di conoscenza di sé, oltre che di rispetto della donna. 

Anche nel campo scientifico internazionale, sia pur con fatica e tra tante imposte censure (anche perché le industrie farmaceutiche produttrici di contraccettivi evidentemente si oppongono a questi metodi che “non costano nulla”!), si fa strada l’idea che questi “metodi naturali” siano più efficaci di quelli farmacologici (si esprime ad esempio in questo senso lo studio tedesco pubblicato già nel 2007 sulla rivista scientifica di Oxford Human Reproduction, 22, 5, pp. 1310-1319). Secondo gli ultimi dati, il metodo Bom (Billings Ovulation Method) è considerato sicuro al 98%.

Furono proprio gli scienziati e coniugi australiani John e Evelyn Billings a scoprire quel metodo naturale, oggi divulgato in tutto il mondo, che porta il loro nome (Billings Ovulation Method) e che, oltre ad essere approvato, insegnato e incoraggiato dalla Chiesa, trova sempre più sostenitori anche tra non credenti ma rispettosi se non altro della “natura” stessa delle cose (per una sorta di “ecologia umana”)..

Mentre, a 50 anni dalla scoperta della “pillola anticoncezionale”, sono sempre più forti i dubbi perfino sui danni fisici (otre che morali) che essa produce (le stesse femministe che ne avevano fatto una loro “bandiera” oggi sempre più vi si oppongono).

Il Metodo Billings ed il Metodo Sintotermico, basati su segni e sintomi di fertilità strettamente dipendenti dalla situazione ormonale propria del ciclo mestruale, non essendo fondati su calcoli di probabilità (come il vecchio Metodo del Ogino-Knaus), non richiedono che i cicli siano regolari, ma possono essere applicati in ogni circostanza della vita riproduttiva della donna (anche in cicli irregolari, durante l’allattamento al seno, in premenopausa, dopo la sospensione dei contraccettivi orali, …). Studi scientifici, tra cui alcuni condotti dalla Organizzazione Mondiale della Sanità attestano per il Metodo Billings e per il Metodo Sintotermico una elevata efficacia (98%), purché essi vengano correttamente insegnati, appresi ed applicati.

IL METODO BILLINGS

Questo Metodo si basa esclusivamente sulla rilevazione quotidiana di uno dei sintomi fondamentali della fertilità femminile: il muco cervicale prodotto dal collo dell’utero. L’ovulazione in ogni ciclo fertile è sempre preceduta ed accompagnata da una secrezione particolare di muco dal collo dell’utero, le cui caratteristiche modificazioni rispecchiano fedelmente l’andamento della secrezione ormonale ovarica. Il muco cervicale costituisce un fattore indispensabile per la fertilità della coppia in quanto condiziona la sopravvivenza degli spermatozoi nell’organismo femminile e consente il loro passaggio selettivo attraverso il collo dell’utero. La donna può riconoscere con facilità la presenza e i cambiamenti del muco cervicale non solo mediante una semplice rilevazione visiva, ma anche e soprattutto attraverso le caratteristiche sensazioni prodotte dal muco stesso a livello vulvare. Il Metodo Billings, consentendo l’identificazione positiva della infertilità preovulatoria, si rivela di particolare utilità in tutte le situazioni in cui l’ovulazione si verifica con molto ritardo o manca del tutto. Inoltre evidenziando il giorno di massima fertilità del ciclo, può essere di grande aiuto anche per le coppie che ricercano la gravidanza. 

IL METODO SINTOTERMICO

Il metodo sintotermico si fonda sull’osservazione non di uno solo, ma di un insieme di effetti fisiologici prodotti dagli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone) durante il ciclo mestruale. Essi sono principalmente tre: il muco cervicale, la temperatura basale e le modificazioni della cervice uterina (collo dell’utero). Sulla base dei dati scientifici finora acquisiti in merito ad ognuno di questi singoli indicatori clinici di fertilità, sono andati definendosi i metodi sintotermici che, basandosi sulla osservazione e sulla registrazione di ognuno di essi, sono in grado, attraverso precise regole, di aiutare la donna a riconoscere i periodi di fertilità e di sterilità di ogni ciclo. Il metodo sintotermico perciò si basa sul corretto utilizzo di tutti quegli specifici segni clinici di riscontro della fertilità: il sintomo del muco cervicale e della relativa sensazione che esso genera a livello vulvare; la temperatura basale, esaminandone l’andamento bifasico, segno di ovulazione; le modificazioni di posizione, consistenza e apertura dell’orifizio della cervice uterina, evidenziabili mediante autopalpazione, nonché eventuali sintomi minori quali spotting, dolori addominali, tensione al seno, ecc., che facilitano ulteriormente il riconoscimento del periodo fertile confermando le indicazioni degli altri indici. La combinazione in varia maniera di questi indici di fertilità/sterilità conferisce un’alta affidabilità al metodo sintotermico e la possibilità di avere più “metodi sintotermici”.

32.2. E’ moralmente lecita la “procreazione assistita”?

La fede cristiana, ma potremmo dire anche la ragione, ci fa capire che un figlio non è qualcosa che si costruisce artificialmente (ecco perché è già sviante dire “fare un figlio”), ma un immenso dono di Dio che deve nascere da un vero rapporto d’amore dei suoi genitori, che comporta la donazione vera delle loro persone e dei loro corpi, è non da un’unione di cellule fatta in laboratorio.

Inoltre la cosiddetta “procreazione medicalmente assistita” deve in genere produrre più embrioni, che sono pienamente esseri umani, di cui solo uno sarà poi impiantato nell’utero della madre, mentre gli altri verranno eliminati (cioè uccisi). In certi casi si producono poi numeri esorbitanti di embrioni, che si congelano (crioconservazione), si scongelano, si usano o si gettano a piacimento! In altri casi si prevede addirittura che lo sperma non sia del vero padre (fecondazione eterologa) ma di un uomo che l’ha donato o venduto ed è stato conservato in laboratorio, così che quel figlio sarà anche geneticamente non il vero figlio di quella coppia. In altri casi addirittura  persino l’ovulo non è della madre che richiede un figlio; poi vengono dati perfino “uteri” in affitto.

Insomma, basterebbe il buon senso per capire che qui siamo a livello di perdita della dignità dell’uomo e di un “delirio di onnipotenza” da parte dell’uomo (e della scienza), che si sente onnipotente e creatore (e che Dio certo non lascerà impunito).

Diverso e buono è invece il percorso che la scienza deve fare per capire sempre meglio e curare l’infertilità (femminile o maschile). [cfr.Istruzione Donum vitae, sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione].

Tra l’altro non è infrequente il caso che proprio il ricorso ai “metodi naturali” della regolazione delle nascite (appena sopra accennati), giungendo ad individuare meglio i giorni fecondi e non fecondi della donna, abbiano persino risolto certe presunte infertilità, e proprio conoscendo il giorno di piena fecondità delle coppie abbiano ottenuto un concepimento che credevano invece impossibile.

33. Perché l’uso del “preservativo” è peccato?

Ha del paradossale che sulla questione del “preservativo” si concentri gran parte dell’attenzione dei media (e di conseguenza nella società) circa la sessualità e che questo sia uno dei cavalli di battaglia contro la Chiesa Cattolica, che si ostinerebbe ad opporvisi e divenendo così addirittura complice di tanti mali, come ad esempio la diffusione dell’AIDS.

Si è giunti persino all’accusa esplicita contro Benedetto XVI da parte del Parlamento belga (!) per le parole da lui dette (peraltro parlando ai giornalisti sull’aereo che lo portava in Africa il 17.03.2009), secondo cui non si risolve il problema dell’AIDS semplicemente distribuendo preservativi, dato peraltro anche statisticamente e sociologicamente provato (là dove, anche in intere nazioni, come nello Zimbabwe o in Uganda, si è invece promossa una vera educazione sessuale basata sulla castità e sulla fedeltà matrimoniale, i casi di AIDS sono infatti notevolmente diminuiti).

Anche la comunità scientifica internazionale comincia ad avere dubbi sull’efficacia dei programmi finanziati dall’Occidente circa la prevenzione al contagio dell’AIDS, che hanno sempre visto nell’usa del preservativo l’unico toccasana per la risoluzione del problema, e prende sempre più in considerazione la via di una adeguata educazione sessuale, di un corretto comportamento sessuale, che preveda fedeltà al proprio partner e astinenza da rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, come insegna la Chiesa Cattolica. La rivista scientifica Plos Medicine sottolinea infatti che nello Zimbabwe il contagio è diminuito con l’insegnamento della castità. Mentre la diffusione di preservativi e di contraccettivi aumenta statisticamente la probabilità di contrarre il virus dell’Hiv. La rivista medica Lancet ha pubblicato (4.10.2011) il risultato di una ricerca scientifica secondo la quale nell’Africa sub-sahariana il contraccettivo ormonale più utilizzato (Depo-Provera della Pfizer), che le organizzazioni internazionali continuano a divulgare e viene somministrarlo a 12 milioni di donne africane, oltre ad essere usato anche dal 3% delle donne statunitensi, raddoppia il rischio di contagio del virus Hiv (da 3,78% a 6,61%). Il 25.11.2011 l’Istituto Nazionale di Sanità USA ha deciso di vietare il gel vaginale Voice propagandato come capace di evitare il contagio. Nel luglio 2011 40 membri della Camera USA hanno chiesto che la metà dei fondi stanziati per combattere l’AIDS siano destinati a progetti di educazione all’astinenza sessuale ed un progetto di legge in questo senso sta compiendo il suo iter al Congresso USA. Uno studio condotto dall’Università della Pennsylvania, pubblicato su Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine, fa notare come dei nuovi corsi di educazione alla castità prematrimoniale abbiano ottenuto anche negli USA una notevole riduzione dei casi di contagio da Hiv.

Oltre ad una diffusa ignoranza e persino a pericolose censure sulla sicurezza del “preservativo” – le stesse case farmaceutiche produttrici ammettono un fallimento del 5%, ma studi scientifici più accurati parlano di un’efficacia al 90% e alcuni persino all’82% (oltre alla possibilità di rompersi, di far uscire sperma, c’è pure la questione che il virus Hiv responsabile dell’AIDS ha dimensioni assai più piccole della spora del lattice con cui è fatto il preservativo), il che vuol dire 5, 10 o addirittura 18 possibilità (su 100 rapporti) di contrarre malattie (e perfino di morire), oltre che di generare vite umane! – attorno alla questione ruotano anche enormi interessi economici e commerciali (come quelli delle multinazionali che producono preservativi, distribuendo perfino prodotti ormai superati proprio nei Paesi in via di sviluppo), e vengono condizionate politiche nazionali e persino mondiali, che giungono a garantire aiuti economici ed alimentari ai Paesi poveri a condizione che questi acquistino preservativi o abbiamo politiche a favore della contraccezione e dell’aborto (con la scusa ipocrita che avrebbero fame perché sono in troppi, quando sono invece sfruttati dai paesi ricchi nelle loro stesse risorse).

Ciò assume progressivamente un aspetto addirittura ideologico, facendone una bandiera, e proprio in polemica contro la Chiesa Cattolica (la cosiddetta “educazione sessuale” che si vorrebbe imporre in tutte le scuole, anche nelle primarie, si riduce poi ad insegnare ad usare il preservativo; così come si vorrebbero distributori automatici di preservativi nella scuole, che si trovano in realtà ovunque, anche per strada o in Area di Servizio autostradale, mentre a scuola non ci sono neanche i distributori automatici di “penne”, che servono per scrivere!).

Tutto ciò serve ad alimentare una sessualità libera, senza alcuna responsabilità, che è proprio il contrario di quel che ci vuole per far crescere personalità mature e che da tempo ormai sta facendo vedere i suoi enormi danni, personali e sociali.

Non è difficile costatare che se si obbedisse e se si fosse obbedito alla legge di Dio, cioè al vero significato della sessualità, l’AIDS non sarebbe neppure nato e non si sarebbe neppure così diffuso (non a caso parliamo di categorie a maggiore rischio contagio, che sono proprio quelle che vivono abitualmente in modo sbagliato e peccaminoso la loro sessualità).

Dopo quanto abbiamo detto, si capisce che non è solo peccato usare il preservativo (come tutti i contraccettivi), ma avere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio.
L’uso del preservativo è quindi un “rimedio” – apparentemente facile ma in realtà contrario alla vera dignità dell’uomo, della sessualità e dell’amore – ad un modo moralmente sbagliato di vivere la sessualità, cioè al di fuori del matrimonio, di un amore totale e aperto alla vita.
Sull’uso poi del preservativo all’interno del matrimonio rimane sbagliato (e peccato) come tutti i metodi contraccettivi, come sopra abbiamo ricordato.

Nel caso limite che uno dei coniugi fosse potenzialmente in grado di trasmettere contagio di AIDS od altro, può sembrare una necessità, ma in realtà non rende ugualmente lecito ciò che moralmente non lo è (è più moralmente corretta l’astinenza dai rapporti).

34. Il “piacere” sessuale è qualcosa di peccaminoso?

L’elemento del “piacere”, che nel regno animale spinge all’atto sessuale (in vista del mantenimento della specie), è un elemento non secondario ma fondamentale anche della sessualità umana. Esso, che può assumere una forza che potrebbe sembrare irrefrenabile, è in realtà un elemento che accompagna la bellezza dell’atto sessuale e che anzi è tanto più intenso e puro quanto più la sessualità è vissuta nel suo autentico significato. Come tale anche il piacere sessuale è un dono di Dio, in vista di un vero rapporto d’amore e di una chiamata al dono della vita, è non è affatto peccaminoso. Tale importante componente, se diventa invece il criterio fondamentale di scelta e lo scopo stesso dell’atto (come nella “lussuria”), a tal punto che prende il soppravvento su tutto, allora col tempo risulta distruttivo invece che costruttivo, anche se immediatamente potrebbe non sembrare; e proprio per questo “abuso” di libertà e corruzione del suo autentico significato che diventa anche “peccato”.

35. La masturbazione è peccato?

Se la sessualità è legata ai grandi valori dell’amore e della vita (amore totale tra un uomo e una donna e trasmissione della vita), evidentemente la masturbazione non ha né l’uno né l’altro di questi valori, e come tale è oggettivamente peccato grave. Essa, specie se abituale, trascina verso un ripiegamento su se stessa della sessualità e della stessa personalità, oltre che ad una ricerca del piacere sessuale fine a se stesso e ad una sessualità (propria e altrui) che diventa semplicemente “oggetto” (tanto più se legata all’uso delle pornografia). Il corpo stesso, oltre che la psicologia, sente che non è il modo giusto di vivere la sessualità, che è fatta per essere in “relazione”.
Qualcuno potrebbe dire che durante la pubertà e l’adolescenza è quasi un passaggio abituale dello sviluppo psicologico e fisico della sessualità (la scoperta della propria sessualità prima ancora di quella complementare) o persino una sorta di necessità fisica quando non si vivono rapporti sessuali (specie se si vive nella castità prematrimoniale). In realtà non è così, anche se l’immaturità della persona, così come certi stati psicologici, può rendere meno grave l’immoralità di questo atto (1). In realtà la masturbazione, specie se diventa abituale e schiava della pornografia, può compromettere invece una vera maturazione sessuale ed affettiva, oltre a poter trascinare verso una vera schiavitù dalle pulsioni, talora in modo sempre più accentuato da diventare compulsiva o prendere anche direzioni perverse (come una sorta di droga, che crea schiavitù e che per provare piacere deve anche aumentare le dosi). 
Per il maschio poi non si tratta di una necessità biologica (quando non si vivono rapporti sessuali), come se solo in questo modo il corpo potesse espellere lo sperma prodotto: in realtà il corpo lo fa naturalmente, ad esempio con le “polluzioni notturne”, che non sono ovviamente peccato e che sono più giuste, sia fisicamente che psicologicamente oltre che moralmente.

(1) Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2352), pur indicando come oggettivamente la masturbazione  sia un grave disordine morale (peccato mortale), contempla però la possibilità che in certi casi possa essere anche soggettivamente meno grave. 

36. La pornografia è peccato?

Come abbiamo appena sopra accennato la pornografia sfrutta il desiderio sessuale – anche facendo enormi affari (è una delle industrie più redditizie) – ma lo rovina, staccando drammaticamente la sessualità dalla persona, resa totalmente oggetto, oltre ad indurre a vivere la sessualità in modo errato, come solo godimento, e progressivamente anche in modo perverso, fino al punto che ciò che è entrato attraverso gli occhi si imprime talora indelebilmente nella mente e può spingere a rivivere le stesse situazioni qualora se ne presentasse l’occasione. Può diventare come una droga, una vera schiavitù. Per uno ancora molto giovane tutto questo ha un impatto psicologico, morale e spirituale talora devastante. Un animo puro, un uomo autentico, nonostante gli stimoli sessuali che offre, ne avverte quasi spontaneamente lo squallore (di una sessualità così ridotta a merce e spettacolo) e persino ripugnanza. Oltre al gravissimo peccato di chi la produce e ne fa commercio, è peccato anche fruirne, specie se diventa abituale, oltre ad indurre alla masturbazione. 

[cfr. Documento Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione sociale: una risposta pastorale]

Ufficialmente c’è ancora qualche piccola censura per difendere i minori dalla pornografia (qualche film vietato ai minori di 14 o 18 anni, l’obbligo per l’edicolante di non esporre o sigillare le riviste pornografiche), ma di fatto ormai passa praticamente di tutto: non si prevede ad esempio alcun tipo di perseguibilità per gli edicolanti (che quindi possono vendere di tutto) e specialmente in internet c’è la possibilità di accedere (anche per i bambini, se non guidati e protetti dalle famiglia, ad esempio col filtro “davide.it”) anche ad ogni tipo di perversione. C’è ormai chi teorizza pubblicamente e dogmaticamente – anche sulla stampa – che “la pornografia non fa male”. In tutto ciò si dimentica la natura fortemente imitativa che tali immagini provocano. Si invoca ad esempio in modo assurdo la “libertà di espressione”, ma si disconosce quanto ad esempio la pornografia possa influire sui comportamenti sessuali delle persone (e di conseguenza sulle personalità in toto), contribuendo come minimo ad una “cosificazione” del corpo e della persona umana, resa esclusivamente oggetto di piacere e spersonalizzata (come conseguenza del distacco della sessualità dalla persona). Un serial killer statunitense T. R. Bundy (1946-1989), autore di omicidi di numerose giovani donne negli Stati Uniti tra il 1974 ed il 1978 e finito per questo sulla sedia elettrica, affermò: “è giusto che io sia punito per le perversioni ed i crimini a sfondo sessuale che ho commesso; ma di fatto io sono entrato fin dalla pubertà in questa schiavitù e poi perfino in tutte le perversioni a motivo dell’uso sempre più spasmodico della pornografia; perché allora non vengono puniti proprio coloro che possono in questo modo provocare queste perversioni in migliaia e migliaia di persone?” (ma la pornografia è la sesta industria per fatturato negli USA!).

37. Ma allora non posso fare niente?

Dopo questa analisi, potrebbe allora sorgere spontanea questa in fondo banale domanda, specie se una persona o un giovane non era stato educato a vedere bene la valenza morale degli atti sessuali. In realtà abbiamo osservato come la sessualità umana sia qualcosa di molto più ampio della stessa genitalità e che nell’essere umano le pulsioni sessuali possono e devono essere indirizzate sotto la guida della coscienza (e dello spirito), così da essere vissute in modo pienamente umano, legate ai valori più grandi, per cui deve essere ancora il nostro <io> a comandare ad esse e non viceversa. In questo modo si capisce che la questione più importante non è tanto il fare ma il significato con cui fare, e anche non fare. 
Quando la sessualità è vissuta anche fisicamente secondo il suo vero significato – e abbiamo colto che questo può realizzarsi pienamente solo all’interno del matrimonio – allora anche l’atto sessuale (il fare) è vissuto in modo giusto, pieno, nella sua vera dignità e bellezza, potemmo dire persino nel suo vero godimento, perché è centrato sul vero bene della persona e di entrambe le persone.

Quando l’uomo è davvero uomo, e quando l’amore è davvero autentico, nonostante i desideri e le pulsioni, sa vivere tanto il fare come il non fare; tutto è segno dell’amore! Così come lo sono anche le più semplici tenerezze fisiche che l’amore vero sa inventare ed esprimere. Invece assai spesso, come abbiamo già osservato, è proprio la fragilità di un amore, al di là dell’apparenza e dei desideri, che ha bisogno di essere continuamente “puntellato” dal fare, altrimenti manifesta la propria debolezza se non il proprio vuoto (persino il proprio egoismo, che è il contrario dell’amore). La vera forza dell’uomo non è nell’essere schiavo ma padrone delle sue pulsioni, anche sessuali.

38. Possiamo peccare contro la castità anche con gli occhi, la mente e le parole?

Sappiamo quante volte Gesù ha posto l’accento sul cuore, cioè sull’interiorità, affermando che da lì può nascere il male e da lì va estirpato, se vogliamo davvero eliminarlo dalla vita:

“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8);

“Avete inteso che fu detto <Non commettere adulterio>; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,27-28);

“La bocca parla della pienezza del cuore” (Mt 12,34);

“Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste cose rendono immondo l’uomo …” (Mt 15,18-20);

“Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo [… dichiarava così mondi tutti gli alimenti]. Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo” (Mc 7,15.19-23).

Del resto, già il Decalogo (i 10 comandamenti, dati già nell’A.T. e confermati e perfezionati da Gesù) aveva contemplato due comandamenti (il IX e il X: “Non desiderare la donna d’altri”, “Non desiderare la roba d’altri”) che riguardavano i pensieri, per estirpare proprio da lì il male (sia il furto che l’adulterio). 
Inoltre, in un atto penitenziale che facciamo all’inizio della Messa, confessiamo sinceramente che abbiamo molto peccato non solo in opere ed omissioni, ma anche in pensieri e parole.
Non si tratta certo di ciò che può affiorare spontaneamente nella mente, e neppure ovviamente del desiderio sessuale in quanto tale (che è dono di Dio), ma di ciò che volontariamente si coltiva nella mente, anche se non passa ai fatti. Per fare un peccato ci vuole infatti la consapevolezza e la volontà e ciò che non implica la volontà non può essere peccato (pensiamo ad esempio nel “sognare” o anche solo in un affacciarsi iniziale di un pensiero o di una fantasia).
Avvertiamo infatti che alcuni stimoli o pulsioni sessuali, come anche certe iniziali pensieri o fantasie, non dipendono da noi, cioè non hanno implicato ancora la nostra volontà (e quindi non sono ancora peccato); mentre altri li coltiviamo e li elaboriamo volontariamente, anche se non passassimo ai “fatti” (tra l’altro se non possiamo passare ai fatti perché non ne abbiamo l’occasione o ci venisse impedito, significa davvero che dentro di noi siamo comunque già nel peccato, come ci ha ricordato Gesù stesso). Siamo poi ancora più responsabili e maliziosi, se ci cerchiamo volontariamente questi pensieri, con l’aiuto anche di sguardi, visioni, immagini, letture, discorsi o parole. Dobbiamo quindi fare attenzione anche a ciò che leggiamo come a ciò che scegliamo di vedere (giornali, TV, cinema, internet), che ha comunque un’incidenza nella nostra persona e quindi una valenza anche morale. È infatti palese come in pochi decenni proprio questi strumenti abbiano contribuito al decadimento morale di intere società e di intere nuove generazioni, ed anche ad una visione moralmente distorta della sessualità, cui sono seguiti i relativi comportamenti immorali. 
Potremmo inoltre osservare come anche un certo modo di vestire, anche se oggi può sembrare normale e persino ostentato e pubblicizzato) sia un palese incitamento alla malizia (sessuale); per cui, oltre al peccato di vanità, c’è pure questo, se non addirittura quello di scandalo (inducendo altri a peccare).
Anche le parole, come ci ha ricordato Gesù stesso, hanno la loro importanza ed il loro rilievo morale, e possono essere espressione di ciò che c’è nel cuore.

(Anche nel Decalogo abbiamo infatti già due comandamenti, il II e l’VIII, che riguardano le parole: “Non pronunciare il nome di Dio invano”, “Non dire falsa testimonianza”).

Non è tanto grave una singola “parolaccia” (che non a caso è in genere riferita proprio al sesso ed è così diffusa che molti non ci fanno neppure caso; una sorta di pansessualismo, abbiamo ricordato all’inizio), quanto un linguaggio che continuamente fa riferimento al sesso o che addirittura è una vera ostentazione di malizia, contribuendo a diffondere anche tra gli amici e nella società una mentalità distorta ed una visione errata della sessualità, se non addirittura essendo di “scandalo” inducendo altri a peccare (il che è particolarmente gravi nei confronti dei piccoli che devono invece essere educati al bene – non a caso Gesù ha parole durissime contro chi “scandalizza” i piccoli, cfr. Mt 18,6).

39. Devo confessare tutti questi peccati, se li ho commessi?

Sappiamo che Dio, che vede anche i nostri pensieri e legge nel nostro cuore, perdona i nostri peccati se ne siamo sinceramente pentiti. Il perdono e la riconciliazione col Padre ce l’ha ottenuta Gesù con il sacrificio della Sua Croce, morte e risurrezione. Perché i peccati gravi o mortali – e tutti quelli sopra elencati oggettivamente li sono – siano però effettivamente tolti dalla nostra anima è necessario un particolare dono dello Spirito Santo che ci viene dato – così ha stabilità Gesù stesso (v. Gv 20,22-23) – attraverso il sacerdote nel Sacramento della Confessione. Solo confessando esplicitamente questi peccati commessi al sacerdote, che in qual momento è oggettivamente il segno efficace di Gesù, e solo ricevendone da lui l’assoluzione, cioè il perdono di Dio, tali peccati vengono tolti dalla nostra anima, che torna così “in grazia di Dio” e può accedere alla Santa Comunione (e morendo è salvata dalla dannazione eterna).
Si può capire che, trattandosi di peccati che riguardano la vita sessuale e la propria intimità, si possa avvertire un certo pudore o vergogna nel confessarli, ma con una vera visione di fede si deve superare questa difficoltà ed avvertire che in quel modo Gesù stesso rinnova oggettivamente la nostra vita.

Anche se è bene avere un proprio Confessore abituale, che possa così meglio aiutarci nel nostro cammino spirituale e che normalmente diventa allora anche il proprio “padre o direttore spirituale” (e proprio su questo campo morale è bene ed assai utile essere accompagnati spiritualmente, per evitare lassismi come pure rigorismi, superficialità o al contrario perdita di speranza), è però lecito confessarsi anche con un Confessore che non ci conosca, così come è un diritto del penitente poterlo fare anche ad un Confessionale con una grata (che garantisce più riservatezza).

Come abbiamo infatti detto anche nella apposita sezione del sito (Il sacramento della Confessione e Un aiuto per fare l’esame di coscienza), occorre imparare a fare bene e frequentemente la Confessione, con profondo pentimento per i propri peccati e col sincero proposito, con l’aiuto di Dio, di non commetterli più, ma occorre anche confessarli esplicitamente (e possibilmente anche quante volte si sono commessi, perché ne aumenta la gravità), senza essere vaghi o generici (non basta dire ad esempio “ho commesso atti impuri”, perché questo lo sono tutti quelli contro la castità, dalla masturbazione all’adulterio; il penitente può chiedere di essere aiutato a capire e con delle domande a bene confessarsi). Ricordiamo che i peccati non confessati rimangono sulla nostra anima, anche nel tempo.

40. E’ inutile che mi confessi di questi peccati se so che li rifarò?

La debolezza umana, appesantita inoltre dall’abitudine acquisita nel fare certi peccati (vizio), può farci sorgere questa domanda, che talora non è superficiale (come se uno dicesse “tanto è lo stesso, ogni tanto mi confesso”; come se fosse qualcosa di analogo alla necessità biologica di lavarsi) ma profonda e perfino dolorosa. Proprio tale domanda può diventare persino una terribile arma in mano al diavolo per indurci allora a non confessarci più, abbandonandoci così al peccato, cercando di non avvertirlo più come tale, con il gravissimo rischio dell’impenitenza, persino finale (al termine della vita), e quindi della dannazione eterna.
Dobbiamo allora cercare di capire bene la questione, sapendo inoltre che Dio vede nei cuori, ci conosce e ci ama più di noi stessi, ed è infinita misericordia.
Se la nostra presunzione spirituale ci inducesse a dire che facciamo “bene” a fare questi peccati (volendo saperne più di Dio o separando falsamente l’insegnamento di Cristo da quello della Chiesa) allora sarebbe certo falsa la nostra Confessione e quindi invalida (come un ammalato che non andasse più dal medico dicendo che sta bene; potrebbe essere l’inizio della sua fine). È in fondo quel peccato contro lo Spirito Santo che Gesù dice che è l’unico che non può essere perdonato (v. Mt 12,30-32) e questo perché in fondo non riconosce più il peccato come tale (ed è l’errore più grave che è oggi diffuso nelle anime).
Quando invece siamo consapevoli e di conseguenza pentiti dei peccati commessi, ma conoscendo la nostra debolezza sappiamo che purtroppo quasi sicuramente forse ci ricadremo, dobbiamo vedere se nella nostra mente c’è davvero la comprensione che tale peccato è il nostro male e ci fa male (se la mente pensa che sia in fondo bene è difficile che la volontà non lo voglia!), e se dobbiamo capire meglio è lecito e perfino doveroso chiedere o leggere ciò che ci possa aiutare a farlo [in fondo anche questo documento ha voluto aiutarci a farlo]; dobbiamo poi vedere se il nostro cuore ha non solo un sincero pentimento ma anche un sincero proposito di non commettere più tale peccato (se io ad esempio ancora lo “programmo” significa che non ho ancora capito che è male, altrimenti nessuno programmerebbe ad esempio di cadere di nuovo nella malattia una volta che è stato risanato).
Queste sono certo le condizioni (pentimento e proposito sinceri) senza le quali in fondo è inutile confessarsi e tale Confessione sarebbe infatti invalida.
Il proposito di non farlo più, oltre ovviamente a non programmare di fare di nuovo questo peccato, consiste anche di fuggirne le occasioni prossime (come si dice nell’<Atto di dolore>), cioè tutto ciò che può molto facilmente indurre a peccare (esempi: se prometto di piantarla lì con quell’amante ma continuo a chiamarla e a farle visita, se prometto di imparare a vivere castamente con la mia ragazza ma ho prenotato con lei una camera matrimoniale, se mi propongo di non fare più uso di pornografia e di masturbarmi ma lascio quel sito porno tra i “preferiti”; ebbene tutto ciò significa in fondo che non sto facendo – addirittura a mente fredda e in Confessione – un vero proposito).
Quando invece, con l’aiuto di Dio (e quindi della Sua grazia, che ci viene dalla preghiera e da una più intensa vita spirituale), c’è non solo il pentimento ed il proposito sinceri, ma anche qualche decisione precisa che mi faccia allontanare dal peccato e camminare verso la verità, allora non dobbiamo mai temere di abusare della misericordia di Dio, che è infinita: Dio mi perdonerebbe anche se ogni volta (fosse anche per anni) andassi purtroppo a confessarmi dello stesso peccato. Prima o poi vince la Sua grazia, il Suo amore, la Sua misericordia, sul nostro peccato.

Quando nonostante questi propositi cadiamo sempre ancora di nuovo nello stesso peccato, non è il motivo per non confessarci più (che sarebbe la nostra fine!), ma è anzi allora ancora più importante confessarsi spesso, fosse anche tutte le settimane, ma almeno una volta al mese, altrimenti il peccato prende sicuramente il sopravvento e il diavolo sa che noi siamo già indeboliti e ci fa cadere sempre di più, poi ci fa diradare sempre più la Confessione e alla fine cerca di non farci confessare più, che è la sua vittoria (così che diventiamo impenitenti e se siamo trovati così al momento della morte andiamo nella dannazione eterna).

Una volta che abbiamo sinceramente posto tutte le condizioni (pentimento, proposito, più intensa vita spirituale, Confessione frequente), non dobbiamo mai temere di abusare della misericordia di Dio, anche se ogni volta (o quasi) dovessimo purtroppo confessare lo stesso peccato. Anzi, questo ci fa cantare ancor più la misericordia e l’amore di Dio.

Gesù disse così a Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Misericordia: “Ciò che mi addolora di più, ancor più dei peccati, è quando gli uomini non credono all’infinita mia misericordia”.

Insegnava così il Santo Curato d’Ars (S. Giovanni Maria Vianney, l’infaticabile Confessore e patrono di tutti i parroci del modo): “Anche i nostri peccati più gravi sono un granello di sabbia rispetto alla montagna della misericordia di Dio”; e “anche se Dio sa che ritornerete a confessare lo stesso peccato, però lo nasconde anche a Se stesso”.


Documentazione del Magistero

Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), n.n. 2331-2400

Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (2005), n.n. 487-502


Un’ulteriore sintesi del Catechismo indirizzato ai giovani (con l’approvazione del Papa): Youcat (Youth Catechism per conoscere e vivere la fede della Chiesa), in italiano Città Nuova, 2011, n.n. 400-425

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Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae (25.07.1968)

Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana. Alcune questioni di etica sessuale (29.12.1975)

Giovanni Paolo II, Esortazione Ap. Familiaris consortio (22.11.1981).

Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale (1.11.1983)

Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi (Homosexualitatis problema) sulla Cura pastorale delle persone omosessuali (1.10.1986)

Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum vitae, sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione (22.02.1987)

Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Documento Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione sociale: una risposta pastorale (7.5.1989)

Pontificio Consiglio per la famiglia, Sessualità umana: verità e significato. Orientamenti educativi in famiglia (8.12.1995)

Pontificio Consiglio per la famiglia, Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale (12.02.1997)

Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3.06.2003)

Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi sulla Collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo (31.05.2004)