Introduzione alla morale cristiana


Quando abbiamo parlato della “vita cristiana“, abbiamo già visto molte risposte  alla domanda su cosa dobbiamo fare per essere cristiani e quindi in riferimento alla morale cristiana.

Così, ne “Un aiuto per fare l’esame di coscienza”, ci sono poi degli elenchi di peccati, cioè di ciò che si oppone alla legge di Dio e quindi al nostro autentico bene; si presenta perciò un panorama già abbastanza esteso della morale cristiana.

In questa sezione cerchiamo di sottolineare, sia pur sinteticamente, alcuni punti della morale cristiana,  alla luce della ragione e della fede, in riferimento ad alcuni decisivi fattori della vita umana ed alle più frequenti obiezioni.

In questa INTRODUZIONE analizziamo brevemente alcune questioni di fondo della morale (in genere, e cristiana in particolare) e alcune delle possibili obiezioni che possono sorgere.


Indice


La questione morale

1. Perché siamo obbligati a porci la questione morale?

Negli animali non si pone la questione morale, cioè la distinzione del bene e del male; infatti essi non fanno il male; ma nel loro fare quel che devono fare non c’è alcun merito.

Nell’essere umano invece, in quanto dotato da Dio di coscienza e libertà (segno della presenza dello spirito, in quanto non è il cervello a comandare ma noi comandiamo a noi stessi attraverso il cervello), c’è l’obbligo di fare delle scelte. Non siamo costretti a fare quello che facciamo, ma dobbiamo pensare e decidere. Ecco perché diventiamo responsabili delle nostre azioni. Ed ecco perché non possiamo scrollarci di dosso la questione morale, cioè la questione del bene e del male. Infatti, qualsiasi cosa decidiamo, inevitabilmente rientra in questa questione.

Anche se decidessi di non pormi alcuna questione morale, di fare qual che mi salta in mente, senza scrupoli, e ritenessi che porsi le questioni morali è da stupidi, un rovinarsi la vita, in realtà ho già fatto una scelta morale: ho considerato bene non avere principi morali e male averli, quindi mi sono fatto una legge morale, cioè una distinzione del bene e del male.

Cosa vuol dire scegliere?

L’uomo è attirato dalla felicità, cioè dal bene. Il problema morale è allora capire cosa sia il nostro vero bene, la nostra vera e duratura gioia. Il male è in fondo un bene sbagliato o un bene più grande che viene sacrificato per un bene più piccolo (e non viceversa, come deve essere).

Alcune decisioni sono piccole e hanno un’incidenza relativa. Altre invece sono determinanti e possono cambiare il corso stesso della vita (viene detta “opzione fondamentale”) e persino decidere del nostro destino eterno, beato o dannato. E sono proprio questi grandi linee di vita che poi orientano anche le piccole scelte quotidiane.
Dato che siamo costretti a scegliere – “condannati ad essere liberi” direbbe J. P. Sartre, con un accento pessimistico dato dalla perdita dell’idea di verità e quindi dal non sapere cosa farne davvero della libertà – ed ogni scelta comporta sempre una rinuncia (faccio questo e non quello; lo faccio così e non così), ci si pone sempre la questione “per che cosa vale la pena rinunciare ad un bene più piccolo?”. Ovviamente la risposta è “per un bene più grande”.

Per anni mi alzo presto la mattina per andare a scuola o all’università per avere un domani un titolo di studio. Continuo ad alzarmi presto la mattina per andare a lavorare. Sono masochista? No, rinuncio ad un bene più piccolo per un bene più grande.

La questione diventa allora: “quale è la giusta gerarchia (classifica) dei beni, dei valori?”.

Ognuno di noi, anche se non ne fosse consapevole, ne ha una, giusta o sbagliata che sia. E le proprie scelte la dimostrano.

La domanda più grande è allora “qual è il Bene più grande della vita?”. Anche se non ce ne accorgessimo esplicitamente, c’è nella vita di ognuno un assoluto, cioè un numero uno della propria classifica; esso è quel bene per il quale saremmo disposti a sacrificare anche tutto il resto pur di non perderlo. Potremmo dire che è il significato globale della nostra vita, ciò che pensiamo sia la felicità totale. In una parola si potrebbe dire che quello è il nostro Dio.

Se non è il Dio vero sarà allora un idolo, cioè ciò che sembra rispondere totalmente al nostro desiderio di felicità, ma non lo è – e per questo ci deluderà – o perché non è un bene (è quindi falso) o perché è un bene troppo piccolo, non è il vero significato della vita (lascia quindi con la strana nostalgia di un bene più grande o addirittura ci rende cinici, dicendo che la felicità non esiste).

Se ci pensiamo bene, siamo talmente affamati di infinito che ogni cosa finita (fosse persino una persona amata) alla fine risulta inferiore al nostro bisogno di felicità, di amore, di vita.

Ecco perché la questione di Dio è quella più decisiva della vita; perché è la questione del significato globale della nostra esistenza.

Quando capiamo questa questione fondamentale della vita, allora comprendiamo che le domande più decisive non sono “cosa mi piace? cosa ho voglia di fare? cosa mi diverte?” e neanche ”a che cosa mi serve?”, ma “cos’è giusto? cos’è bene? cos’è vero?”. È in fondo la domanda di significato, di verità, del vero bene, quello autentico, che non delude, che ci realizza davvero. E al fondo di questa questione c’è la domanda di quale sia il significato globale della nostra esistenza.

2. Perché la libertà è decisiva ma non è tutto?

Se non fossimo liberi non avremmo neanche la questione morale, come appunto non ce l’hanno gli animali. Invece proprio il fatto che possiamo e dobbiamo scegliere ci rende responsabili delle nostre azioni. Se non avessimo lo spirito (anima spirituale), se cioè il nostro <io> coincidesse col nostro cervello o con la nostra psiche, non saremmo liberi e responsabili delle nostre scelte, ma saremmo totalmente determinati da fattori esterni o interni.

Il pensiero moderno ha da un lato esaltato la nostra libertà come se fosse un assoluto (liberalismo, mentalità radicale, il “vietato vietare” del ’68), mentre invece la nostra è una libertà creata e limitata, e dall’altro ha negato la libertà, esagerando o i condizionamenti esterni e sociali (come nel marxismo) o quelli interni e psichici (come in Freud e in certe attuali tendenze della neurologia) o perfino ritornando ad un’idea di destino già scritto e inesorabile (come nell’“eterno ritorno dello stesso” di Nietzsche o nel neo-paganesimo), mentre invece c’è sempre un margine lasciato alla nostra coscienza e libertà (tanto è vero che questi autori che la negano si chiamano in fondo fuori dai determinismi che tutti gli uomini avrebbero).

L’uomo può essere privato della libertà sociale (come il carcerato) o può essere condizionato fortemente nella mente e nella psiche, ma è perfino in grado di rinunciare anche alla vita (come dimostra il martire) pur di non fare il male e di obbedire a Dio o anche ad un ideale.

Il cristianesimo ha dato all’uomo la certezza ed il senso vero della libertà: siamo creati a “immagine e somiglianza di Dio”, siamo liberi e responsabili, possiamo distinguere il bene dal male e scegliere di conseguenza. Quanto siamo liberi e responsabili lo sa però perfettamente solo Dio: per questo noi dobbiamo giudicare il bene e il male, ma non possiamo giudicare moralmente le persone (solo le loro azioni o le loro idee).

Sia per avere il merito di un’azione buona che la colpa di un’azione cattiva, dobbiamo infatti averne coscienza (si dice “piena avvertenza”) e possibilità di decidere (si dice “deliberato consenso”).

Sono due fattori senza i quali non c’è infatti neanche il peccato.

L’incapacità di intendere e di volere annulla perfino la responsabilità civile e penale.

Si capisce però che la capacità di prendere decisioni libere non è che il primo aspetto della libertà (libertà da), perché poi si pone il problema di quali decisioni dobbiamo prendere (libertà per), cioè di orientare la nostra libertà verso l’autentico bene (verità).

L’esaltazione unilaterale della libertà nel pensiero moderno (illuminista e post-illuminista, anche attuale), con le tragiche conseguenze e fallimenti che comporta, poggia proprio su questo equivoco, su questa riduzione della libertà a “libertà da”, come se la libertà più autentica fosse quella di non avere alcun vincolo, neppure della verità. Questa libertà impazzita, perché senza verità, è conseguenza della progressiva perdita della verità, che da Cartesio in poi diventa sempre più soggettiva e relativa fino a sparire completamente, come dimostra Nietzsche e l’esito nichilistico di questo percorso.

Se una verità senza libertà sarebbe come una via senza la possibilità di percorrerla (come se non avessimo le gambe), una libertà senza verità sarebbe come la possibilità di camminare senza sapere dove andare (come se non vedessimo la strada).

È come se immaginassimo un uomo incatenato ad un albero in mezzo ad un campo circondato da un burrone ed esiste solo un ponticello che permette di superare quel burrone e uscire; ma è anche notte fonda, senza alcuna luce. Cosa devo fare per liberare davvero quell’uomo? Devo certamente togliergli le catene (liberta da), ma non basta: devo anche illuminargli il cammino (libertà per), per non cadere nel burrone, per trovare il ponte e per camminare verso la meta. Limitarsi a considerare la libertà solo come un non avere catene può essere drammatico: l’iniziale euforia potrebbe tradursi assai presto nella nostra rovina, come se quell’uomo dopo alcuni passi cadesse nel burrone.

Molte delle ansie, delle paure, delle delusioni, della drammatica percezione smarrimento, di un non-senso (e per paura non vogliamo pensarci e porci la questione; ma è comunque un suicidio), che attanagliano l’esistenza contemporanea – specie in moltissimi giovani – sono dovute proprio a questo equivoco sulla libertà (solo libertà da), al dominante dogma relativista che non c’è alcun “ponte” ed alcun significato (verità), o dalla mancanza di aiuti (educazione) per trovarlo.

3. Perché la vera libertà consiste nell’obbedienza alla verità? non c’è contraddizione tra libertà e obbedienza?

Se la vita e le cose della vita hanno un senso (verità), allora il seguirlo è la cosa più intelligente che posso fare e l’uso più intelligente della mia libertà. Perché l’alternativa è il fallimento di me. Per questo l’obbedienza alla verità è in fondo l’obbedienza alla verità di me, cioè al mio vero bene.

Una libertà senza verità è come aver le gambe e non sapere dove andare. Solo una posizione folle può considerare maggiore libertà quella di guidare ad esempio nella nebbia (non vedo dove sto andando, col pericolo di distruggermi) che non nella chiarezza della strada e nel seguirla.

Cosa c’è più a monte di questa pretesa di vivere una libertà senza verità? In fondo proprio la percezione che non ci sia la verità, che non ci sia una strada (un significato dato), per cui si pensa che possiamo inventarlo di volta in volta. Al fondo è ancora la pretesa (del demonio e del peccato originale) di essere noi <dio>, cioè i creatori di noi stessi. Questo però urta contro la più elementare delle evidenze (perfino sul piano scientifico): ci troviamo ad esistere e la realtà cosmica, compreso noi stessi, non è una nostra invenzione. Noi esseri umani abbiamo (da Dio) l’immensa dignità di comprendere il senso e di liberamente impegnarci a viverlo (quindi con la possibilità di un “merito”), non certo la possibilità di inventarlo. S. Agostino lo esprime così: “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”, cioè l’essere (anche di noi) e il suo significato è dato, il viverlo dipende da noi. Ma poiché in sé non dipende da noi, alla fine siamo salvi solo nell’obbedienza al significato. La questione centrale è ancora quella di riconoscerci creature (cioè che tutto è dato).

Non a caso, anche un ateismo spietato e coerente come quello di Nietzsche, alla fine non conclude (contrariamente alle apparenze) con un’esaltazione della libertà (come una pretesa prometeica di essere Dio noi), ma con una sua negazione, dovendo riconoscere la nostra totale dipendenza dal cosmo (dal destino tragico: “eterno ritorno dello stesso” – l’oltre-uomo è un fanciullo che deve dire ).

Dice Gesù: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32). Poi specifica: “Se il Figlio (lui stesso) vi farà liberi allora sarete liberi davvero” (Gv 8,36). E di fronte all’obiezione che siamo già liberi specifica che “chi commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34).

4. Cos’è la “legge morale”?

La legge morale è in fondo l’indicazione della strada, cioè il ciò per cui noi esistiamo e il senso di tutte le cose della vita umana (la verità).

Come abbiamo già visto altrove (v. La vita cristiana, punto 6.9), essa è in fondo la legge della nostra natura umana, analogamente ad una legge fisica, chimica, biologica che troviamo nella natura o nel nostro stesso corpo. Si chiama infatti anche legge morale naturale.

S’è persa l’idea che esiste questa  legge morale naturale (quindi per tutti) perché s’è persa prima ancora l’idea che esista una natura umana, che cioè al di sotto di tutte le differenza di tempo e di luogo, e della stessa unicità e irripetibilità della nostra persona, esiste comunque qualcosa che ci fa essere degli esseri umani e non altro.

Come la natura umana è oggettiva (al di là appunto degli aspetti soggettivi e particolari), così è oggettiva e universale la legge morale naturale.

Il che non significa che sia “di fatto” riconosciuta da tutti, ma che caratterizza comunque la natura umana in quanto tale. Come la verità, non dipende dal consenso (cioè da quanti la riconoscono) e neppure dai tempi e dalle situazioni, e non cambia perché non cambia la natura umana a cui si riferisce.

Per quel che ci riguarda, cioè per quel che riguarda l’essere umano, comprendiamo in genere che lo cose stanno così in riferimento alle leggi biologiche e mediche che riguardano il nostro corpo.

Possiamo anche pretendere di mangiare 5 kg di cioccolata o fumare 4 pacchetti di sigarette in un giorno; ma poi sappiamo che stiamo male. Il male (cioè una scelta sbagliata) ci fa male; e il bene (la scelta giusta) ci fa bene! Comprendiamo quindi che la libertà autentica non significa fare qualsiasi cosa o quel che ci piace, ma ciò che è giusto (che è vero, che è bene).

Quando affrontiamo invece questioni che non sono spiegabili su un livello scientifico (anche se magari coinvolgono pure quello) ma sono perfino più decisive per la riuscita o meno della vita, allora improvvisamente ci crediamo i “creatori di noi stessi”, come se avessimo il diritto di fare qualsiasi cosa, come se non ci fossero delle leggi (in questo caso “morali”) che non dipendono da noi ma che ci costituiscono come esseri umani.

Pensiamo ad esempio a queste domande:  che senso ha la vita? cosa significa essere uomini? Come deve essere vissuta un’amicizia, un rapporto sentimentale, la stessa famiglia? che significato ha la sessualità? che significato hanno i soldi e quali limiti dobbiamo dare al potere dell’economia?

Quando passiamo per così dire dai doveri dell’ecologia della natura a quelli dell’ecologia della natura umana, improvvisamente l’orgoglio della nostra libertà si erge ad assoluto, come appunto se fossimo senza una natura umana precostituita, senza una legge morale oggettiva, come se fossimo i creatori di noi stessi.

5. Come scoprire la legge morale?

La negazione della verità (o della possibilità di conoscerla) e l’esaltazione unilaterale della libertà fanno sì che oggi si viva un’enorme confusione e vadano in crisi perfino dei valori fondamentali riconosciuti tali da millenni. Tutto diventa soggettivo e relativo, come le opinioni.

Tale malattia spirituale e intellettuale si è da non molto tradotta anche in stili di vita dove tutto sembra ormai possibile; e si richiede perfino che tali posizioni culturali ed esistenziali siano tutelati giuridicamente come diritti (possibilmente senza doveri) e garantiti economicamente dallo Stato.

Lo spettacolo che ne consegue è di una confusione totale, dove tutto sembra possibile e la libertà sia assoluta. L’ultimo e unico nemico da combattere è chi osa ancora affermare che esista la verità, una natura umana ed una legge morale naturale, con i diritti e doveri che ne conseguono.

In realtà poi questa posizione culturale ed esistenziale è talmente falsa e insostenibile, che poi di fatto tutti si lamentano e tutti accusano tutti! Ma non doveva essere tutto lecito e soggettivo? E se la legge morale fosse davvero relativa e soggettiva come potrei accusare un altro di non aver fatto quello che doveva fare? Su cosa potrei fondare questo dovere, cioè questa legge morale?

L’invivibilità anche sociale di questa posizione – lo vediamo anche ai nostri giorni – fa sì che poi alla fine o lo Stato (un partito, una magistratura) o l’economia, o perfino la legge del più forte, detti legge a tutti, autoproclamandosi fondatore di una nuova morale (in base a che cosa? a chi comanda al momento? alla provvisoria e sempre mutevole maggioranza? ai nuovi dogmi dell’economia?).

In realtà anche il buon senso ci fa capire che non è così, che esistono leggi morali insite nella nostra stessa natura e che possiamo scorgere dentro noi stessi, perfino se le negassimo coi fatti.

Kant diceva (nella Critica della ragion pratica) che “la legge morale dentro di me”, insieme al “cielo stellato sopra di me”, era ciò che maggiormente lo stupiva.

Anche un bambino capisce che amore è meglio che odio, che discordia in casa è peggio di concordia e amore, che un amico sincero e onesto è meglio di un compagno falso e che mi ruba le cose. Può anche arrivare a capire – specie se aiutato con una buona educazione – che superare la pigrizia (ad esempio nel fare i compito e nell’aiutare la mamma) richiede uno sforzo ma alla fine si è più contenti (è meglio) di averlo fatto, così come il condividere un gioco o rendere felice qualcuno alla fine dona più gioia che volere tutto per sé, che il non rinunciare a niente non rende più contenti ma più fragili e insoddisfatti, perfino annoiati (il classico bambino viziato, che infatti piange sempre).

Ed anche un bambino capisce che se 8 amici su 10 dicessero che questo male (ad esempio rubare o picchiare) è bene, rimarrebbe sempre male (cioè non dipende dal consenso e dalla maggioranza).

Nella nostra coscienza, cioè nella nostra interiorità, possiamo dunque avvertire che c’è un meglio (bene) e un peggio (male); e che questo meglio, anche se non ci venisse spontaneo o ci costasse fatica, alla fine ci rende più soddisfatti di noi stessi; mentre il male, anche se lì per lì ci sembrasse più piacevole e facile, alla fine ci lascia insoddisfatti e col rimorso.

Esiste talmente questa “voce della coscienza” (che è già una prima voce di Dio!) che quando abbiamo compiuto il male essa ci rimprovera dentro, anche se ci sforziamo di giustificarci in tutti i modi, e dalla paura di doverla ascoltare non vogliamo neppure fermarci a pensare, temiamo persino il silenzio e la solitudine; cerchiamo così dei complici, scarichiamo sugli altri le nostre colpe, ma nello stesso tempo abbiamo anche il desiderio di confessarlo a qualcuno per esserne liberati.

Certo la coscienza va anche educata: crescere in una famiglia di ladri renderà un figlio più propenso a rubare mentre un educazione all’altruismo fin da piccoli ci renderà meno egocentrici ed egoisti anche da adulti. Il che non significa però che la coscienza dipenda totalmente dall’educazione ricevuta o che la legge morale sia una convenzione sociale!

Inoltre possiamo osservare come noi, con il ripetersi di nostre scelte, condizioniamo anche noi stessi. Ad esempio il ripetere scelte o azioni buone crea pian piano in noi una sorta di allenamento, di abitudine (in senso buono, i latini dicevano habitus) che rende poi più facile fare il bene (si chiama virtù), come il ripetere scelte e azioni sbagliate crea in noi una tendenza a crescere nel male, fino quasi ad assuefarsi e a non poterlo evitare se non con grandi sacrifici (si chiama vizio).

Così possiamo osservare come le amicizie e i rapporti che viviamo, le letture che facciamo, le cose che vediamo, ci condizionano e ci spingono verso il bene o verso il male. Anche se ci crediamo forti (il giovanissimo è in questo senso certamente più fragile di un adulto, ma anche un adulto non è mai impermeabile), di fatto sappiamo che siamo condizionati da tutto questo: per cui dobbiamo discernere e fare delle scelte, fossero anche controcorrente rispetto al consenso dominante.

TV, cinema, spettacoli, letture, siti internet, testi musicali, discorsi ricorrenti … tutto ciò ha un’enorme incidenza su di noi e sulla nostra capacità di discernere il bene dal male e di operare di conseguenza. Per non parlare delle amicizie (che talora possono perfino diventare complicità).

L’esperienza certamente insegna. Molte volte comprendiamo proprio nella verifica esistenziale se un bene è autentico o no e se un male è davvero un male (come si suol dire: battendoci di naso, come indica anche l’esperienza del figliol prodigo della parabola evangelica). Questo non significa affatto che si debba fare esperienza per capire, come oggi spesso falsamente si dice (non debbo drogarmi per capire che è male); anzi talora il fare esperienza rende talmente ciechi da non essere quasi più in grado di discernere il bene dal male, oppure di non sapervi più resistere. Possiamo e dobbiamo infatti discernere a priori; e l’essere umano ne è in grado, con la sua ragione.

Anche l’esperienza altrui può esserci utile per scoprire la legge morale (infatti chiediamo spesso consiglio a chi “ci è già passato”).

Se ci pensiamo bene è il motivo per cui si studia storia: non solo per erudizione, ma per continuare a fare e migliorare le cose buone e per evitare il più possibile di ripetere gli errori del passato.

Per lo stesso motivo nelle società preindustriali (dove il contare non era il produrre) l’anziano era un punto di riferimento, perché se non altro certe cose le aveva colte per esperienza (per questo nella cosa pubblica un particolare ruolo di guida era affidato ai senatori, come nella Chiesa ai presbiteri, cioè appunto agli anziani).

È soprattutto con la ragione – che infatti ci caratterizza come esseri umani e ci differenzia e ci rende superiori a tutti gli animali – che possiamo riflettere, capire e discernere il bene dal male, cioè la legge morale naturale.

Questo è molto importante anche dal punto di vista sociale (perfino politico), perché, nonostante la molteplicità delle culture e degli orientamenti esistenziali, non solo la natura umana ma anche la ragione umana è uguale per tutti (non esiste una ragione cristiana, laica, musulmana, atea), ed è in grado di riflettere e in modo “logico” di cercare risposta alle proprie domande, di convincere (dialetticamente, mostrando cioè il valore del ragionamento e portando le prove di quello che dice) e di trovare quella base comune, che non è semplicemente un compromesso o una mediazione, ma quella legge morale naturale, inscritta nella nostra stessa natura (e dunque comune a tutti e perenne), e su di essa costruire anche una casa comune. Una società costruita sul relativismo, senza valori condivisi, è impossibile ed invivibile, come un semplice accostarsi di individui. Una politica senza il riconoscimento di una legge morale naturale diventa un’accozzaglia di posizioni dove il bene e il male sono tali non in sé ma a seconda della maggioranza e perfino se è detto dall’alleato o dall’avversario politico. Così democrazia diventa di fatto anarchia (preludio, come diceva già Platone, alla dittatura).

6. In che rapporto stanno la leggi morali e le leggi statali?

La società non è semplicemente un’accozzaglia di individui in lotta tra loro e neppure tra loro indifferenti. L’uomo realizza insieme ad altri il proprio bene ed il bene comune (a cominciare da quella prima cellula fondamentale della società che è la famiglia, poi nei corpi sociali intermedi, fino alla comunità nazionale ed internazionale, oggi diventata più che mai un villaggio globale interdipendente).

Occuparsi della cosa pubblica (politica) significa soprattutto occuparsi di questi beni, in base al principio di solidarietà (per garantire a tutti i beni fondamentali) e al principio di sussidiarietà (senza cioè travalicare la libertà, capacità e responsabilità dei singoli e dei corpi intermedi) (v. Dottrina sociale della Chiesa)

Come si vede, la questione di cosa sia il bene dell’uomo – cioè la questione morale – ritorna, senza possibilità di evitarla.

Per questo le leggi statali, pur dovendo garantire a tutti la libertà (dentro comunque certi limiti altrimenti diventa anarchia) e quindi un autentico pluralismo, non possono essere semplicemente un accordo provvisorio e programmatico in base alla maggioranza del momento.

La tendenza anarchica delle attuali democrazie fondate sempre più sul relativismo morale (etico), come se l’unico valore da garantire dovesse essere la libertà (magari con l’unica obbedienza alle leggi del mercato!), fanno sì che si confonda ad esempio la laicità con la nullità (nichilismo), dove cioè per il presunto rispetto di tutti si nega ogni identità. Questo diventerebbe uno Stato che sotto il pretesto di rispettare tutti alla fine non rispetta nessuno.

Certo, le leggi dello Stato non devono vietare tutto il male né garantire tutto il bene, ma non possono certo prescindere dal garantire per tutti alcuni beni fondamentali; anzi, i più importanti di essi non devono essere neppure sottoposti a discussioni parlamentari di provvisorie maggioranze.

Non a caso, a livello nazionale, esistono dei valori garantiti dalla Costituzione, che infatti non cambia ad ogni votazione e maggioranza parlamentare. Così, a livello internazionale, esistono dei diritti fondamentali dell’uomo (si pensi alla <Carta dei Diritto dell’uomo> delle Nazioni Unite) che pongono (o dovrebbero porre) dei vincoli e degli obblighi agli Stati (e relative sanzioni per coloro che li disattendono).

Tali valori fondamentali, ben evidenziati dalla legge divina rivelata (ad esempio il 5° comandamento “non uccidere” e il 7° comandamento “non rubare”) sono ciò che l’uomo deve dare a Dio e non a Cesare (cfr. Mt 22,21); qui anche Cesare deve sottomettersi a Dio.

In questo senso esistono dei valori cosiddetti “non negoziabili” (vita, famiglia, libertà religiosa e di educazione), evidenziati dalla fede cristiana ma riconoscibili anche solo con la ragione e quindi condivisibili da tutti, che specialmente i cristiani impegnati in politica devono garantire, al di sopra di qualsiasi mediazione.

Se dunque il diritto non coincide con la morale, non può non farvi riferimento, pena il diventare solo una questione tecnica, come se si trattasse solo di trovare accordi tra interessi di parte. Se poi si fa coincidere a priori il bene e il male addirittura con ciò che viene detto dall’alleato o avversario politico, allora non solo è impossibile qualsiasi dialogo (non c’è dialogo se non c’è una ragione “comune” ma solo un ragione “di parte”) ma qualsiasi politica e perfino qualsiasi società, che comunque su qualche valore condiviso può reggersi.

Non è invece vero che ciò che è considerato lecito dalle leggi dello Stato lo sia anche moralmente. Il male rimane tale e non è moralmente lecito anche se delle leggi dello Stato lo permettessero.

Poiché nell’opinione pubblica è facile che si consideri sempre più lecito, anche moralmente, ciò che lo Stato se non promuove almeno tollera, chi legifera deve anche tener presente del valore pedagogico (positivo o negativo) di una legge.

Se poi lo Stato non solo tollerasse alcuni mali ma obbligasse a compiere il male, allora diventa moralmente obbligatoria la disobbedienza civile (come dimostrano sommamente i martiri). 


La morale cristiana

7. Dio ci ha rivelato la legge morale?

Sì. Non siamo lasciati soli nella nostra necessaria ricerca della verità morale. Dio non solo ci ha dato la ragione per capire già molto della verità di noi stessi e di come vivere bene la nostra vita, distinguendo il bene dal male in tutte le cose, ma ce lo ha rivelato.

Nella Bibbia, cioè nella “storia della salvezza” che è iniziata con la rivelazione di Dio agli Ebrei (Antico Testamento) e che trova la sua pienezza ed il suo culmine in Cristo, vero Dio e vero uomo (Nuovo Testamento), troviamo non solo il manifestarsi di Dio ma l’esplicitarsi pieno della verità dell’uomo, cioè di chi siamo, di come siamo fatti, di qual è il nostro vero bene, cioè il senso vero della vita e delle cose più importanti della vita.

Nell’A.T. ci sono già le leggi morali fondamentali (i 10 Comandamenti), che sono perenni. La Legge (Torah) comprende però anche una miriade di precetti, che regolavano non solo la vita religiosa, ma anche quella sociale, politica, economica e perfino sanitaria del popolo d’Israele.

Con Gesù Cristo (N.T.), la legge morale fondamentale dell’A.T. viene completata, interiorizzata e portata a perfezione. Essa vale ormai per ogni uomo di ogni tempo, fino alla fine del mondo. Decadono invece tutte quelle norme che erano provvisorie e proprie del popolo ebraico.

8.Cos’è la morale cristiana?

Se abbiamo capito che esiste una natura umana, universale e creata da Dio, con lo stesso significato e quindi con la stessa legge morale naturale, e se abbiamo scoperto che Dio, facendosi uomo (Gesù Cristo), rivela pienamente non solo chi è Dio ma anche chi siamo noi (rivela cioè l’uomo all’uomo), allora possiamo capire che la legge morale cristiana non è semplicemente la legge morale di chi aderisce a questa religione (oggi 2,3 miliardi di persone, di cui 1,2 cattolici), come se fosse qualcosa di particolare o bastasse restarne al di fuori per non averla, ma l’esplicitarsi pieno della legge morale dell’uomo in quanto tale, cioè il significato, la verità, della vita umana in quanto tale e dei principali fattori della vita umana in quanto tali.

Per questo alla fine del mondo, quando Cristo ritornerà nella gloria come giudice universale, tutti saranno giudicati in base a questa legge morale, con le conseguenze eterne (di beatitudine o dannazione) della propria obbedienza o disobbedienza. La predicazione di Gesù (potremmo dire la “pretesa”, in modo un po’ provocatorio) è in questo senso chiarissima.

La morale cristiana è dunque l’esplicitarsi del senso vero della vita; non si aggiunge allora alla nostra natura umana, come un accessorio facoltativo, ma esplicita ciò che è già implicito nella nostra natura. Ecco perché è per tutti.

Allo stesso modo, il peccato (cioè l’opporsi a questa legge morale) non è peccato per chi è cristiano – come se non lo fosse per chi non lo è – ma è male per l’uomo in quanto tale.

I comandamenti di Dio sono dunque come le “istruzioni per l’uso” della vita umana.

È in questo senso significativo che proprio in riferimento alla famiglia, all’indissolubilità del matrimonio ed anche alla sessualità, Gesù, per spiegarne il senso, si richiami a Genesi, cioè alla creazione, e dunque a come Dio ha fatto la natura umana, a come essa si sia rovinata col peccato e come Egli la redima, cioè la rinnovi (cfr. Mt 19,3-9).

In Cristo ci si è svelato pienamente il senso della vita (è luce sulla nostra strada), ma ci viene data anche la forza (la grazia) per viverlo, per camminare cioè nella giusta direzione; infine per i meriti della Sua Croce ci viene dato anche il perdono se cadiamo nel peccato (se siamo pentiti e col proposito di camminare nella verità).

Questo punto è molto importante per sfuggire ad una possibile tentazione, visto che non è sempre facile vivere secondo l’autentica legge morale: se infatti comprendessimo ancora la legge morale cristiana come un’optional, un accessorio facoltativo, una norma particolare come quella di un club, allora basterebbe stare fuori dalla Chiesa o abbandonare la fede cristiana per sentirsi “liberati” da questo obbligo (come quando certi amici ti dicono che tu cristiano non puoi fare certe cose, mentre loro sono liberi di farle). E in certi momenti tale tentazione può rinascere forte. Ma se invece ho capito come si pongono i termini della questione morale, allora capisco che tutti hanno questa legge morale e saranno giudicati in base ad essa; ed io cristiano ho l’immenso dono di aver incontrato Gesù che non solo me l’ha rivelata, mi ha illuminato il cammino, ma con Lui ho anche la forza di percorrerlo; ed inoltre, se qualche volta cado, ho l’immenso dono di essere sempre rialzato dalla Sua infinita misericordia. Chi invece non è cristiano si priva di tutto questo; e quello che chiamano libertà in realtà è spesso schiavitù, autodistruzione. Il giudizio finale lo dimostrerà pienamente; ma non passano molti anni che lo dimostra anche la nostra stessa vita e la storia dell’umanità.

Nel La vita cristiana abbiamo visto che la vita cristiana non è però solamente un modo di pensare o di comportarsi (certo anche questo) ma una vita con Cristo, una vita già “divina”, cioè partecipe della vita di Dio, e proprio per questo una vita in pienezza (Gesù dice: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, Gv 10,10), una vita vissuta nel suo senso autentico, per questo con una gioia nuova, vera, autentica (dice ancora Gesù: “Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”, Gv 15,11), una vita che è già – pur tra le prove – anticipo di quel paradiso dove la comunione con Dio, e quindi la felicità, sarà piena ed eterna.

9. Qual è la legge morale fondamentale, che Dio ha inscritto nel nostro essere e che ci ha rivelato? 

Questa domanda è stata posta saggiamente a Gesù stesso, sia nella forma “cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 16,17) che in quella “qual è il grande comandamento?” (Mt 22,36-40).

Dio è amore (1Gv 4,8). L’uomo dunque, essendo creato a immagine e somiglianza di Dio, è tanto più se stesso quanto più ama. Per questo la legge morale fondamentale è quella dell’amore. E questa legge dell’amore può avere un limite inferiore, oltre il quale siamo nel peccato grave, ma non può avere un limite superiore (“Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”, Mt 5,48), perché Dio è infinito e l’Amore è infinito. Per questo S. Agostino azzardava perfino questa sintesi: “ama.. e poi fai quel che vuoi”.

La citazione completa di S. Agostino ne fa capire però il significato profondo, che non significa che l’amore permette tutto ma che regge tutto: “Se tu taci, taci per amore. Se tu parli, parli per amore. Se tu correggi, correggi per amore. Se tu perdoni, perdoni per amore. Metti in fondo al cuore la radice dell’amore. Da questa radice non può che maturare il bene” (Hom. 7,8).

L’amore deve però essere completo e concreto (cfr. Gv 14,15; Gv 15,10; 1Gv 2,3-6). Gesù specifica che il comandamento dell’amore significa un amore totale e incondizionato per Dio ed un amore per il prossimo come per se stessi (cfr. Mt 22,36-40) e rende questo amore ancora più forte tanto da chiamarlo comandamento nuovo: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).

10. Dio ci ha insegnato come vivere le cose concrete della vita?

Anzitutto Gesù Cristo ci ha svelato e donato il senso vero e globale della vita: che cioè siamo stati creati da Dio per entrare in comunione con Lui e godere eternamente di Lui. E se questo progetto d’amore si è infranto già col “peccato originale” (la pretesa autonomia da Dio posta già dal primo uomo) e si può rovinare e perfino distruggere coi nostri peccati (che chiamiamo infatti “mortali”), in Cristo ogni uomo può e deve trovare l’infinita misericordia di Dio che l’ha redento e ogni volta lo rinnova col Suo perdono e la Sua grazia.

Nell’Antico Testamento la Legge di Dio (Torah) insegnava al popolo ebraico tantissime leggi che riguardavano la vita non solo personale e familiare ma anche l’intera organizzazione sociale (come una sorta di teocrazia). In questo senso tutti quei numerosissimi precetti della Legge sono decaduti con la venuta di Gesù, che è la pienezza della Rivelazione. Però il cuore della legge, il Decalogo (i 10 Comandamenti – cfr. Es 20; Dt 10), non solo è confermato da Gesù ma è perfezionato e portato a compimento, secondo la logica dell’amore e della pienezza di vita che Lui ci dona (cfr. Mt 5,20-48).

La fondamentale legge dell’amore, che si specifica già nell’amore totale per Dio e nell’amore per gli altri come per se stessi (in fondo anche nei 10 Comandamenti i primi 3 riguardavano l’amore per Dio e gli altri 7 l’amore per gli altri e per se stessi), e che Gesù porta alla sua interiorità e pienezza, si traduce anche in un modo nuovo con cui vivere ogni aspetto della vita.

Gesù porta infatti a compimento e perfeziona gli stessi Dieci Comandamenti.

Questo non per renderci ancora più difficile la vita – visto che, come spiega più volte S. Paolo, non eravamo neppure capaci di vivere la Legge dell’A. T. – ma perché in Lui, cioè con la Sua grazia e con il dono dello Spirito Santo, possiamo divenire capaci di una vita nuova (cfr. Rm 5-8).

Ad esempio, circa il V comandamento (non uccidere), va alla radice della violenza e dice che è grave anche solo un odio coltivato interiormente (Mt 5,21-26); circa il VI comandamento (non commettere adulterio) insegna la purezza del cuore (Mt 5,27-32) e l’assoluta indissolubilità del matrimonio (Mt 19, 3-9), così da sconvolgere non solo l’uomo la mentalità di oggi ma degli stessi Apostoli.

Ogni peccato grave è fondamentalmente rivolto contro Dio (anche se non fosse direttamente contro di Lui è di fatto rifiuto della Sua legge e del Suo amore – cfr. Sal 51(50),6) ed ha come conseguenza un danno in noi stessi (anche se avessimo fatto del male ad altri). Così ogni opera buona (amore) può essere segno di amore di Dio, anche se fatta nei confronti degli altri (cfr. Mt 25, 34-46) e comunque fa crescere il mio spirito.

Oltre ai Vangeli, nel seguito del Nuovo Testamento noi vediamo come la Chiesa apostolica, guidata dallo Spirito Santo (specialmente attraverso gli Apostoli e sotto la guida di Pietro), capisce sempre meglio la volontà di Dio e specifica cosa significhi concretamente la vita nuova in Cristo e i peccati che vi si oppongono, Vedi ad esempio …

Rm 1,24-32: (i pagani, avendo adorato e servito le creature invece del Creatore) “Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi … Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento … (Non avendo conosciuto Dio adeguatamente) Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia,; pieni di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa”.

1Cor 6,9-20: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. <Tutto mi è lecito!>. Sì, ma non tutto mi giova. <Tutto mi è lecito!>. Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla. <I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!>. Dio però distruggerà questo e quelli. Il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! Non sapete che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due – è detto – diventeranno una sola carne. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Stati lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!”

Gal 5,16-26: “Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri”.

Ef 4,17-19: “Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità”.

Ef 4,31-32: “Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”.

Ef 5,3-5: “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere fra santi – né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappia telo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio”.

Ef 5, 18-20: “Non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti isopirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo”.

Col 3,5-17: “Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria; a motivo di queste cose l’ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi. Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca. Non dite menzogne gli uni gli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o in circoncisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti. Scelti da dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La Parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre”.

Col 3,18-21: “Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; voi padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino”,

1Ts 4,3-7: “Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione”.

1Tm 1,8-11: “Noi sappiamo che la Legge è buona, purché se ne faccia un uso legittimo, nella convinzione che la Legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i sodomiti, i mercanti di uomini, i bugiardi, gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato”.

1Tm 6,3-5.10-11: “Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina conforma alla vera religiosità, è accecato dall’orgoglio, non comprende nulla ed è un maniaco di questioni oziose e discussioni inutili. Da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i confitti di uomini corrotti nella mente e privi di verità, che considerano la religione come frutto di un guadagno … l’avidità di denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti. Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”.

2Tm 2,22-23: “Sta’ lontano dalle passioni della gioventù; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro. Evita inoltre le discussioni sciocche e da ignoranti, sapendo che provocano litigi”.

2Tm 3,1-5: “Sappi che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, empi, senza amore, sleali, calunniatori, intemperanti, intrattabili, disumani, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, amanti del piacere più che di Dio, gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore. Guardati bene da costoro!”.

Eb 12,15-16: “Vigiliate che nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati. Non vi sia nessun fornicatore o profanatore”.

Eb 13,4-5: “Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. La vostra condotta sia senza avarizia”.

Gc 1,19-21: “Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Infatti l’ira non compie ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò liberatevi da ogni impurità e da ogni eccesso di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata piantata in voi  e può portarvi alla salvezza”.

1Pt 4,3-4: “È finito il tempo trascorso nel soddisfare le passioni dei pagani, vivendo nei vizi, nelle cupidigie, nei bagordi, nelle orge, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli. Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione, e vi oltraggiano”.

2Pt 2,9-10.12-14.17-22: “Il Signore sa liberare dalla prova chi gli è devoto, mentre riserva, per il castigo nel giorno del giudizio, gli iniqui, soprattutto coloro che vanno dietro la carne con empie passioni e disprezzano il Signore. Temerari, arroganti … irragionevoli e istintivi, nati per essere presi e uccisi, bestemmiando quello che ignorano, andranno in perdizione per la loro condotta immorale, subendo il castigo della loro iniquità. Essi stimano felicità darsi ai bagordi in pieno giorno; scandalosi e vergognosi, godono dei loro inganni mentre fanno festa con voi, hanno gli occhi pieni di desideri disonesti e, insaziabili di peccato, adescano le persone instabili, hanno il cuore assuefatto alla cupidigia, figli di maledizione! … Costoro sono come sorgenti senz’acqua e come nuvole agitate dalla tempesta, e a loro è riservata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi arroganti e vuoti e mediante sfrenate passioni carnali adescano quelli che da poco si sono allontanati da chi vive nell’errore, promettono loro libertà, mentre sono essi stessi schiavi della corruzione. L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina. Se infatti, dopo essere sfuggiti alla corruzione del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso. Si è verificato per loro il proverbio: <Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango>”.

1Gv 2,15-17: “Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!”.

Ap 2,6.14-15 [Dio contro i “nicolaiti” (probabilmente cristiani che pensavano di poter partecipare a sacri banchetti pagani cui seguivano gravi immoralità) e i seguaci della dottrina di Balaam (dove a banchetti sacri seguivano unioni sessuali e prostituzione).

11. Basta la Bibbia per capire la legge di Dio o occorre anche l’insegnamento della Chiesa?

Come abbiamo visto (v. La Chiesa, n. 5), per comprendere sempre meglio l’insegnamento di Dio, che trova pienezza in Cristo e nella Bibbia (specie il N. T.) il fondamentale punto di riferimento, dobbiamo metterci nel solco della Tradizione (cioè la vita e la  riflessione della Chiesa) e nella sequela del Magistero (insegnamento ufficiale della Chiesa, cioè del Papa – successore di S. Pietro – e dei Vescovi – successori degli Apostoli – uniti con lui).
Così ha voluto Gesù, che infatti non ha scritto nulla ed ha affidato alla Chiesa fondata su Pietro e guidata dallo Spirito Santo l’autentica trasmissione comprensione della Sua Parola (cfr. Mt 16,18-19; Lc 22,31-32). Egli ha promesso alla Sua Chiesa il dono dello Spirito Santo, che ci ricorda e ci fa comprendere sempre meglio tutto ciò che Gesù ci ha detto e ci insegna (cfr. Gv 13,16; 14,26).
Per questo, alla luce dei 10 Comandamenti, il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) ci insegna a comprendere a fondo la legge di Dio, quindi l’autentica distinzione del bene e del male, su tantissimi aspetti della nostra vita, personale e sociale [cfr. la III parte, ai n.n. 2052-2557; cfr. anche relativo Compendio (2005), ai n.n. 357-533 e Appendice B), che da soli faremmo fatica a comprendere].

Ad esempio: la magia è un peccato contro il 1° comandamento, il culto del corpo è contro il 5° comandamento, la convivenza pre/extra matrimoniale è peccato contro il 6° comandamento, il non retribuire un giusto salario va contro il 7° comandamento, come il diffamare attraverso la stampa è un peccato contro l’8° comandamento (cfr. Esame di coscienza)

Dobbiamo evitare di cadere nell’errore di considerare questi giudizi morali come “il pensiero della Chiesa”, come se fosse un’associazione umana che elabora di volta in volta una dottrina morale e non una comunità divina voluta da Gesù (e che è il Suo Corpo), illuminata dallo Spirito Santo e guidata dal successore di Pietro (il Papa), per la salvezza di tutti gli uomini.

Come dobbiamo conoscere bene il giudizio morale della Chiesa (è un grave obbligo morale di cui dovremo rendere conto a Dio stesso, che l’ha fondata), dobbiamo evitare di usare espressioni banali – tipo “cosa dice la Chiesa? cosa dice il Papa?” – magari conoscendo solo per sentito dire ciò che effettivamente insegna e prendendone perfino le distanze, perché qua è in gioco una questione fondamentale: Gesù continua ad insegnare nella storia attraverso la Chiesa e ciò che essa lega o scioglie sulla terra è legato o sciolto in Cielo (Mt 16,16-19; 18,18; cfr. anche Gv 20,22-23). È quindi in gioco la nostra stessa salvezza eterna!

12. Perché le possibili e talora gravi incoerenze dei cristiani (perfino di alcuni della gerarchia ecclesiastica) non possono diventare un alibi per non obbedire agli insegnamenti della Chiesa?

Se ci sta a cuore la verità di noi stessi, il nostro autentico bene, ciò che ci realizza davvero e ci salva per l’eternità, siamo eternamente grati a Dio perché, oltre ad averci dato la ragione per capire, ci ha rivelato e donato in Cristo la via della vita.

L’autentico Maestro dell’umanità è solo Gesù (cfr. Mt 23,8; Mc 14,14; Gv 10,1-13; 13,13).

Siamo anche immensamente grati a Gesù per averci dato la Chiesa, che è il Suo Corpo mistico, per averci convocato nella Chiesa per camminare insieme sulla via della salvezza, perché ci guida Egli stesso attraverso il Magistero della Chiesa, così che – per il dono dello Spirito Santo – ci annuncia e ci spiega senza possibilità d’errore la via del bene e dell’eternità.

L’esempio perfetto e impareggiabile (anche in rapporto ai fondatori umani delle religioni) è solo Gesù: in Lui si manifesta pienamente Dio ma anche l’uomo perfetto.

Tra le creature l’esempio più eccelso è Maria Santissima, seguita poi da tutti i santi (canonizzati).

Dobbiamo essere assai grati anche a coloro che ci annunciano e ci insegnano questa verità di noi stessi, perfino se essi stessi non fossero poi all’altezza di quanto insegnano (tra l’altro nessuno lo è pienamente) e perfino se contraddicessero quanto insegnano. Potremmo rimanere dispiaciuti, forse perfino scandalizzati; ma certamente i cattivi esempi non trasformano l’autentico bene annunciato in male!

Se in auto uno davanti a me mi dicesse di affrontare più lentamente quella curva perché alla mia velocità potrebbe essere facile andare fuori strada e poi vedessi che lui va invece forte e va fuori strada, non sarebbe certo intelligente non seguire il suo consiglio e andare anche noi fuori strada. La sua incoerenza ci farebbe semmai pena, ma non cambierebbe la verità del suo consiglio (anzi, la confermerebbe), come non verrebbe meno la mia gratitudine per avermelo dato e l’intelligenza di obbedirgli ugualmente.

Teniamo poi sempre presente che assai spesso la cultura anticattolica, dominante, raramente ci parla degli innumerevoli e straordinari esempi di vita cristiana che ci sono stati e ci sono (basti pensare appunto ai santi famosi, ma non solo), mentre è sempre pronta, perfino con soddisfazione, a scovare e pubblicizzare gli esempi contrari, incoerenti, negativi; e spesso – sia nel presente e soprattutto nella storia – li inventa pure, mentendo gravemente.

Ecco perché dobbiamo conoscere l’autentica storia della Chiesa, come pure la vita dei santi e le numerosissime testimonianze storiche e attuali di vita cristiana, talora anche eroiche quanto silenziose.

13. La coscienza e la ragione sono d’accordo con la morale cristiana?

Tenendo presente che la verità è una e che non ci possono essere due verità tra loro opposte [cfr. La verità] comprendiamo che tra ciò che scoprono la ragione e la coscienza (se è vero) e ciò che Dio rivela (che è senz’altro vero) non ci possono essere contrapposizioni.

Se poi la nostra coscienza fosse erronea, già la ragione può correggerla (ad esempio osservando quali effetti possa produrre a lunga scadenza una determinata scelta che immediatamente la coscienza potrebbe non giudicare riprovevole; oppure se la stessa azione compiuta non da me ma da altri godrebbe ugualmente della mia approvazione).

Quando la ragione scopre la verità autentica, non può essere in contrasto con quanto in proposito ci dice Dio. Se però ci sembrasse di trovare ancora un’opposizione con la Parola di Dio – una volta ben compresa, anche con l’aiuto dell’insegnamento autentico della Chiesa – dovremmo umilmente riconoscere che siamo noi che ci sbagliamo, visto che Dio non si sbaglia (per definizione) e che la nostra natura umana (e la sua legge morale) è creata da Lui e solo Lui sa perfettamente il suo senso e ciò di cui noi abbiamo davvero bisogno.

In realtà ciò che Dio ci ha rivelato circa il senso della nostra vita umana e dei più importanti suoi fattori è la più chiara e piena verità, che anche la nostra ragione può capire (fin dove può capirla), senza alcun contrasto.

Ad esempio non posso dire “sì, sarà anche giusto, ma io sono un uomo” oppure “ma io sono fatto così”, perché questo vorrebbe dire non avere ancora capito che sono stato creato da Dio e ciò che Lui mi rivela è proprio la verità di quello che sono realmente.

14. Istinto e spontaneità (o il cuore) vanno sempre d’accordo con la legge di Dio?

Se la coscienza retta e l’uso corretto della ragione non possono trovarsi sinceramente in contrasto con ciò che Dio mi rivela (anche della legge morale), l’istinto o l’impulso o perfino il sentimento (cuore) del momento possono conoscere invece anche un duro contrasto con la verità.

Questo non perché ciò che è naturale sia in contrasto con la Parola di Dio, visto che tutto di noi è stato creato da Dio ed è bene [ad esempio negli animali è proprio l’istinto che garantisce il loro vero bene, non avendo altra guida e spinta nel loro agire], ma perché la nostra volontà può pervertirsi e pretendere di cambiare il significato stesso (verità) delle cose, magari inseguendo il piacere del momento.

Dopo il peccato originale – che è proprio questa perversione, cioè questa pretesa di cambiare il senso delle cose (l’albero della conoscenza del bene e del male) – la nostra natura umana conosce come una ferita, per cui non solo dobbiamo discernere il bene e il male e deciderci per il bene (questo anche prima, altrimenti i nostri progenitori non avrebbero neppure potuto peccare, cioè fare il male), ma compiere talora come una lotta interiore, perché notiamo in noi, oltre al fascino di ciò che è giusto (la bellezza della verità, del bene, e la pace interiore che ne consegue), anche un misterioso fascino del male, perfino della ribellione e della trasgressione (che ci lascia prima o poi delusi, proprio come Adamo ed Eva o il figliol prodigo della parabola evangelica), per cui occorre anche combattere e sforzarci per fare il bene.

Questa lotta interiore tra il bene (che vediamo e vogliamo) e il male (che invece facciamo) è ben espressa da molti pensatori (ad esempio Seneca), ma viene egregiamente indicata anche da S. Paolo (cfr. Rm 7,14-25), che poi esulta per la vittoria che ci è data in Cristo.

Grazie a Dio non è sempre così. Molte volte ci viene spontaneo anche fare il bene, anche per temperamento e soprattutto se ci siamo allenati a farlo (virtù). Assai utile è anche comprendere bene la questione morale, visto che al fondo della nostra volontà c’è comunque un desiderio di bene e capire quale sia l’autentico bene è già un aiuto perché la volontà lo scelga. Ma rimane comunque in certi momenti la necessità di una lotta (che deve essere sostenuta anche dalla grazia di Dio, come vedremo poi) perché vinca in noi il bene e non il male. Chi non avverte questo combattimento normalmente è perché è già vinto; tanto più oggi, che si è teorizzato che questa lotta sarebbe perfino dannosa, che tutto ciò che è istintivo è bene, che “il cuore ha sempre ragione” (e molte volte non è neanche il cuore, ma qualcosa d’altro). Insomma, l’uomo è uomo perché sa discernere il bene dal male e sa combattere con se stesso per fare il bene ed evitare il male.

Essere spontaneo può non voler dire niente, anzi può essere anche un male: perché se mi viene spontaneamente da fare il bene faccio bene ad essere spontaneo (magari sforzandomi comunque di fare sempre meglio), ma se mi viene spontaneamente da fare il male, faccio male ad essere spontaneo. Agli occhi di Dio, anzi, il merito è dato più dallo sforzo della volontà che dalla spontaneità (un irascibile che si sforza di essere calmo ha più meriti del pacifico per temperamento).

Perfino essere coerente potrebbe non essere sempre moralmente giusto, anche se la coerenza è in sé una qualità: infatti se ho preso nella vita una direzione sbagliata, c’è da augurarsi che smetta di essere coerente e cambi direzione, altrimenti faccio sempre peggio. Ecco perché la questione della verità è ancora più decisiva di quella della coerenza.

S. Tommaso d’Aquino diceva in proposito: “è meglio zoppicare sulla strada giusta che correre su quella sbagliata”. Comprendiamo infatti che, se devo raggiungere una meta ma sto andando nella direzione opposta, più corro e più mi allontano da dove devo andare; se invece la direzione è giusta, anche se cammino male, prima o poi arrivo.

Ecco perché anche le politiche vanno giudicate in base alla loro corrispondenza alla verità morale. Se infatti sono erronee, tanto più si perseguono tanto più producono danni (comprendiamo bene che se nazismo o comunismo fossero stati almeno incoerenti con le loro folli ideologie avrebbero fatto meno danni, meno morti, meno orrori).

Ed ecco ancora perché, chi accusa (molto volte falsamente) i cristiani o la Chiesa stessa di essere incoerenti, in realtà sta affermando che il Vangelo è giusto, altrimenti dovrebbero essere contenti che non siamo coerenti con qualcosa di sbagliato.

15. Cosa significa peccato?

Il peccato è un andare contro la legge di Dio, o addirittura contro Dio stesso; ma dopo quanto abbiamo osservato, possiamo dire che il peccato è un andare contro il significato vero delle cose, contro cioè la verità di noi stessi. Per questo ci fa sempre male, fa male a noi stessi (anche quando immediatamente non sembrasse), prima ancora che agli altri (che pur direttamente o indirettamente sono danneggiati dal nostro peccato); non può ovviamente procurare un danno a Dio, che pur è dispiaciuto, amandoci infinitamente, nell’osservare questa disobbedienza che ci rovina.
Poiché il male è una privatio boni, cioè l’assenza di un bene che deve esserci (ed è significativo che usiamo la parola mancanza – manca qualcosa, cioè un bene, che dovrebbe esserci – come sinonimo di peccato), prima ancora di chiederci “ma che male c’è?” – visto tra l’altro che la nostra volontà è comunque attirata da un bene e non può esserci un male puro, un male in quanto tale che ci attira – dovremmo chiederci “che bene manca?”, appunto perché il peccato è sempre la rovina di un bene (anche quando sacrifichiamo un bene più grande per fruire subito di un bene più piccolo, invece di fare il contrario, come dovremmo).
Al fondo di ogni peccato – visto che Dio nel suo amore ci rivela la legge morale, ci guida e ci sostiene con la sua grazia – c’è in fondo il sospetto e la pretesa che hanno mosso già gli angeli ribelli (diventati demoni) e i primi esseri umani (nel peccato originale, che ha rovinato la natura umana), cioè il sospetto assurdo che Dio non voglia la nostra felicità e impedisca la nostra libertà (che peraltro Lui ci ha dato!) e l’altrettanto assurda pretesa di saperne di più noi.
Tale sospetto e pretesa sono particolarmente gravi perché in fondo nascono dalla negazione di Dio, perché o negano il Suo amore (non ci vuole bene, non vuole il nostro bene, la nostra gioia) o negano la Sua sapienza (non sa quale è il nostro vero bene). Ma dire che ne sappiamo di più noi è in fondo come dire che Dio non c’è e siamo dio noi stessi, visto che lo sbagliarsi è un limite che ovviamente per definizione Dio non può avere (non sarebbe Dio se avesse un’imperfezione).
Quando questa avversione a Dio e alla sua legge è esplicita e costante crea in noi una situazione gravissima e pericolosissima, perché se rimane tale fino alla morte ci porta inesorabilmente allo stato di dannazione eterna. Infatti questo orgoglio (davvero satanico) ci impedisce anche di chiedere umilmente perdono dei nostri peccati e di affidarci alla Sua misericordia. Gesù l’ha definito   “bestemmia contro lo Spirito Santo”, cioè rifiuto dell’opera di Dio che ci salva, ed ha precisato che non è perdonabile (perché in fondo siamo noi a non chiedere neanche perdono) e ci porta alla dannazione eterna (cfr. Mt 12,31).
Spesso questo sospetto nasce però dall’ignoranza su come stanno le cose, dal non aver capito le ragioni di una certa legge morale, così che essa ci sembra odiosa e contro il nostro vero bene. Se le cose stanno così, abbiamo allora il dovere di informarci e capire bene (anche in questo fede e ragione vanno d’accordo ed è spesso decisivo vedere questo accordo); rimane comunque assai preziosa agli occhi di Dio, anche quando non capissimo, l’umiltà dell’obbedienza a Lui (il tempo e l’esperienza – già in questa vita e soprattutto nell’altra – ci mostreranno che questa era l’autentica verità).
Anche quando questa avversione non è esplicita, ma magari si nasconde sotto un’indifferenza (“non mi pongo il problema”) o una tiepidezza spirituale (“sì, dovrei, ma ci penserò, ora no”), rimane comunque pericolosa; tra l’altro il demonio, con l’astuzia delle sue tentazioni, fa sì che questo continuo rimandare, non deciderci al bene, crei una sorta di abitudine al male, che cresce in noi poco alla volta, senza quasi che ce ne accorgiamo, fino quasi a diventarne schiavi, con una vita spirituale e morale così arrugginita da diventare quasi impossibile rimetterla in moto.
I peccati possono essere ugualmente mortali per la nostra anima (e infatti così li chiamiamo, perché se non perdonati da Dio – in Confessione – possono trascinarci ugualmente alla dannazione eterna) anche quando non c’è una vera avversione a Dio e alla sua legge, ma sono comunque un cosciente e libero opporsi alla sua legge, specie in questioni importanti della vita [v. elenco dei principali peccati mortali nell’Esame di coscienza]. E’ certamente molto più grave quando questi peccati sono “programmati”, cioè quando progettiamo la vita o qualche aspetto importante di essa non tenendo conto o contro la legge di Dio – perché in fondo riemerge in questo modo quel sospetto su Dio e quell’orgoglio che dicevamo. Invece può essere meno grave se, nonostante il fermo proposito di obbedire a Dio (col Suo aiuto) ed il paziente allenamento ad allontanarci dal peccato grave e crescere nella virtù, in certi momenti cadiamo ancora in esso. Senza perdere la speranza – fondata sull’amore misericordioso di Dio – anche appena caduti nel peccato chiediamone umilmente e sinceramente perdono a Dio e quanto prima chiediamo in Confessione di essere liberati (assolti) da questi peccati. In questo la misericordia di Dio è davvero infinita e non si stanca mai di perdonarci.

Dobbiamo prestare molta attenzione perché in questa situazione il demonio cerca di tentarci ad un peccato che è ancora più grave e pericoloso dei peccati stessi: cerca infatti di agire in noi (persino psicologicamente) inducendoci alla delusione di noi stessi, perfino alla disperazione (di poter un giorno vincere definitivamente ed essere salvati), ci porta quasi ad aver vergogna e paura di Dio (lo vediamo già in Adamo dopo il peccato originale, cfr. Gen 3,8-10) – mentre Gesù ci assicura che va in cerca proprio della pecorella smarrita e quando la trova se la mette sulle spalle e tornato a casa fa festa (cfr. Lc 15,4-7) – e a dubitare della Sua infinita misericordia (ciò dispiace a Gesù più ancora del peccato stesso, come ha rivelato a S. Faustina Kowalska). Ma, come abbiamo detto, dobbiamo anche far attenzione a non diventare tiepidi e superficiali, a non rimandare ad esempio troppo la Confessione, perché il rimorso della colpa si affievolisce col tempo (ma lo stato di peccato no) ed è più facile ricaderci.

16. Perché la disobbedienza a Dio, il peccato, la trasgressione – anche quando ci sembrassero affascinanti – non sono la vera libertà e non ci realizzano davvero come uomini?

Perché in fondo, nonostante certe possibili illusioni iniziali, commettere il peccato è appunto andare contro noi stessi, contro la nostra vera natura. è come se non seguissimo le “istruzioni per l’uso” della vita.
Questo abuso di libertà, anzi questa libertà impazzita – che trasforma la possibilità di avere un merito nel fare ciò che dobbiamo fare (significato) nella pretesa di inventare il senso delle cose – prima o poi si paga a caro prezzo (come insegna Gesù nella parabola del “figliol prodigo”). Lo vediamo già in questa vita, quando sprofondiamo nella delusione e nel vuoto esistenziale (nonostante che cerchiamo di riempirlo con sempre nuove illusioni o piaceri). Ma nell’eternità sarà portato all’ennesima potenza: l’inferno è la delusione eterna, senza speranza.
Teniamo anche presente che il demonio fa di tutto per trascinarci nel suo stato di dannazione (anzi vuole che diventiamo suoi schiavi), ma è anche abilissimo nel trascinarci nel suo orgoglio e menzogna di una libertà assoluta (siamo noi dio – non riconoscendo più che siamo invece creature) e nel presentarci il male come bene o un bene più piccolo (qualcosa di piacevole) per rubarci il bene più grande (la vera vita qui, il paradiso poi, cioè la comunione con Dio), proprio come un pescatore che mette qualcosa di piacevole attorno all’amo per attirare il pesce, uccidendolo proprio con quello che gli offre.

17. La morale cristiana riguarda tutti o solo i cristiani?

Come abbiamo già osservato (n. 8), poiché Dio rivela all’uomo chi è l’uomo ed il senso della sua vita, la legge morale che ci rivela è quella che è già inscritta nella nostra natura umana (creata da Lui). Per cui ogni essere umano, di ogni luogo e tempo, l’ha già inscritta nel proprio essere; ha per questo il diritto di conoscerla e il dovere di viverla.
Una cosa non è dunque bene o male se sono cristiano, ma in quanto uomo. Ciò che Dio mi indica come peccato lo è per tutti. Se sono cristiano (e so cosa significhi esserlo) ho il dono di conoscerla meglio, la forza soprannaturale per fare il bene ed evitare il male e perfino il perdono se ho sbagliato e sono pentito.
Ecco perché alla fine del mondo tutti saranno giudicati in base alla parola di Gesù.

Questo obbligo morale che si estende a tutti gli uomini non significa che debba allora essere imposto per legge a tutti (questo sì che sarebbe “fondamentalismo”) ma che la libertà di ognuno è chiamata a declinarsi moralmente secondo questa modalità, condizione perché l’uomo sia veramente se stesso, diventi ciò che è chiamato a diventare, si salvi per la vita eterna.

Come abbiamo già osservato, esistono invece valori morali fondamentali, riconoscibili non solo con la fede ma anche solo con la ragione, che sono imprescindibili anche per una società che voglia essere davvero umana e possono (e debbono) quindi difendibili anche attraverso leggi civili e penali.

Esistono poi scelte che Gesù non chiede a tutti, ma sono una chiamata (vocazione) particolare. Per cui esistono dei doveri in quanto ad esempio uno è sacerdote (ad esempio vivere nella castità totale o nell’obbedienza al vescovo), altri se uno è monaco (ad esempio un maggior numero di ore di preghiera) ed altri doveri se uno è sposato e genitore (ad esempio i doveri coniugali e dell’educazione umana e cristiana dei figli). Si dice in questo senso che esistono i “doveri del proprio stato”.

18. Cosa significa che siamo stati “redenti” da Cristo?

Il rifiuto di Dio e della Sua legge, avvenuto su istigazione del diavolo fin dall’inizio della storia umana (il “peccato originale” di Adamo ed Eva, cfr. Gen 3), ha rovinato profondamente la natura umana (e perfino il resto del creato), a tal punto che ancora oggi ogni nuovo essere umano nasce con questa ferita, questa deformazione. Ecco perché, nonostante il desiderio di bene e di Dio che sta al fondo del nostro essere, siamo diventati moralmente fragili e perfino inclini al peccato. Tale ferita rende impossibile all’uomo entrare di nuovo nella comunione con Dio: data l’infinita sproporzione tra l’uomo e Dio, noi infatti possiamo tragicamente rifiutare questa comunione con Lui, ma non possiamo ricostruirla.
Ogni nostro peccato personale non fa poi che aumentare questa nostra tragica situazione. Ma Dio, nel Suo infinito amore per noi, non ci ha lasciato in questa situazione. Non solo ha ricostruito l’Alleanza con noi distrutta dal peccato, ma ci ha chiamati in Cristo ad una nuova ed eterna Alleanza, a partecipare cioè per sempre alla Sua vita divina, cioè della Santissima Trinità che è Dio.
Perché ciò si realizzasse in noi, non solo Dio – nella seconda persona della SS.ma Trinità, cioè il Logos, il Figlio – si è fatto uomo, assumendo cioè la nostra natura umana, ma ha preso su di se tutto il peccato del mondo, distruggendolo sull’altare della Croce, cioè annientandolo con la Sua morte per noi, per renderci partecipi della Sua vita, della Sua stessa obbedienza al Padre, della sua vittoria sul demonio e sulla morte, facendoci poi dono del Suo Spirito (lo Spirito Santo sceso già sulla Chiesa nascente e in ciascuno di noi – col Battesimo e la Cresima –  per renderci figli nel Figlio).
In questo modo, e a questo prezzo, siamo stati redenti, cioè siamo stati non solo assolti cioè liberati da ogni peccato, originale e personale, ma resi partecipi della vita di Dio, fin d’ora e per sempre.
Questa nostra redenzione, liberazione e salvezza, si attua fin d’ora in noi attraverso i sacramenti e troverà compimento – se continueremo ad essere “fedeli” (così infatti chiamiamo i cristiani) a questa comunione divina – nell’eternità beata, cioè nella partecipazione piena ed eterna alla vita di Dio.

19. Possiamo essere buoni solo con le nostre forze?

Come abbiamo osservato, anche se siamo fatti per il bene e solo il bene ci edifica davvero e quindi ci rende felici, talora dobbiamo anche lottare perché in noi stessi vinca il bene e sia vinto il male.
Occorre quindi una grande determinazione affinché la nostra volontà si impegni per il bene autentico e non cada nella trappola di beni illusori, oppure si dimentichi della meta e del Bene assoluto (Dio) per cui siamo fatti.
Questo però non basta; tanto più dopo il peccato originale e nuotando continuamente in una marea di peccato, come normalmente vive il mondo.

S. Paolo sottolinea fortemente (cfr. ad es.: Rm 5.12-21; Gal 3.23-27;1Cor 15,56-57) – ed è tutto il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla religione ebraica alla salvezza cristiana – che la “legge” (che è iscritta nell’uomo, ma che Dio rivela esplicitamente) sottolinea il peccato, indica la via, ma non dà la forza per viverla; così può far cadere ancora di più nella disperazione, nella consapevolezza di quella radicale debolezza umana, di quella nostra interna contraddizione che ci fa fare ciò che non vorremmo fare.

Occorre che ci venga in aiuto Dio stesso. Dio ci ha redenti in Cristo e ci fa dono dello Spirito Santo. Con la Sua grazia possiamo e dobbiamo non solo fare il bene, ma diventare “santi”, che non è qualcosa di eccezionale, ma il ciò per cui esistiamo, cioè la partecipazione fin d’ora alla vita divina che ci è donata, il vivere secondo la Sua volontà, il morire nella Sua grazia ed entrare quindi nella vita stessa di Dio (paradiso) [l’alternativa, tra l’altro, è l’inferno]. Senza Gesù non possiamo far nulla (cfr. Gv 15,5).

Pensare che siano sufficienti le nostre forze per fare il bene, la volontà di Dio, senza l’aiuto della Sua grazia è l’errore già formulato nell’eresia pelagiana (di Pelagio).

Questa non significa che noi non dobbiamo impegnarci, che non possiamo far altro che peccare.

Questo lo diceva Lutero, con l’eresia (protestante) opposta al pelagianesimo, secondo cui fa tutto la grazia di Dio, che ci copre come una coperta ma non ci risana davvero; tra l’altro, allora, visto che i dannati ci sono e ci saranno, allora si cade nella terribile concezione della “predestinazione”, secondo cui alcuni nascono per essere salvi ed altri per essere dannati, visto che comunque noi non possiamo farci niente.

Dobbiamo con molta decisione collaborare con la grazia di Dio, che è donata gratuitamente (appunto è grazia, gratis) a tutti coloro che la chiedono nella preghiera e la ottengono, specialmente attraverso i sacramenti (specialmente Confessione e Comunione frequenti). È la presenza in noi di Cristo stesso, risorto e vivo, che ci rende “creature nuove” (cfr. 2Cor 5,17).

L’intercessione di Maria Santissima, degli angeli e dei Santi, ci aiuta poi fortemente in questo combattimento spirituale.

Dobbiamo poi essere ben coscienti che il diavolo esiste ed è molto forte ed astuto, e che non si rassegnerà fino alla fine della nostra vita a vederci ancora nella possibilità di salvarci (cosa a lui negata per sempre), per cui tenterà in ogni modo e con ogni astuzia di farci cadere nel peccato, poi di farci credere che in fondo non è così grave, quindi ci toglierà la voglia di essere risanati dal perdono di Dio, e infine vuole condurci all’impenitenza finale, cioè che muoriamo fuori della grazia di Dio e non vogliamo neanche in quel momento la Sua misericordia (avendoci magari convinto che Dio non c’è e noi siamo solo come gli altri animali): a quel punto entriamo nella sua dimora infernale, siamo diventati davvero suoi schiavi per sempre.

Queste non sono favole per bambini, ma è l’autentica verità, che ci ha rivelato pienamente Gesù: il Vangelo ci presenta il diavolo assai più dell’Antico Testamento e di ogni altro testo religioso. Possiamo dire che Gesù lo scova, lo porta allo scoperto (cfr. ad esempio Mc 1,23-27 e Mt 8,28-32) – non a caso ha permesso a Satana di tentare lui stesso (cfr. Mt 4,1-11), ma per sconfiggerlo definitivamente (cfr. At 10,38; 26,18; 1Gv 5,19). E l’ultimo libro della Bibbia (Apocalisse, v. spec. 12-13-20) ci annuncia e prepara alla grande battaglia finale tra il diavolo e la Chiesa.

20. In che rapporto stanno la giustizia e la misericordia di Dio?

Nella cultura dominante, che pur non può negare l’esistenza del male, s’è come eclissata l’idea di peccato. Questo è conseguenza della perdita della fede, della certezza che c’è Dio, che Dio è venuto (Gesù Cristo), che saremo giudicati secondo la Sua parola e che abbiamo di conseguenza davanti a noi un’eternità beata (paradiso) o dannata (inferno).

Persino in molti ambienti cristiani s’è di fatto eclissata questa questione fondamentale, non parlando più di anima, peccato, inferno e paradiso, e riducendo la morale cristiana a fare qualcosa di bene per gli altri (un volontariato, che potrebbe essere anche fatto dagli atei). La scarsa attenzione alla dottrina cristiana, nella sua completezza, e l’impressionante ignoranza di essa anche da parte di moltissimi giovani cattolici ne è una tragica conseguenza.

Un’altra aberrazione, talora persino predicata, è quella di pensare che l’infinito amore e la divina misericordia di Dio non permetterebbero a nessuno di stare nei terribili tormenti dell’inferno per tutta l’eternità (cfr. L’aldilà).

Non ci si accorge quasi più di quanto spessore abbia invece tale verità (che alla fine c’è il giudizio di Dio e la separazione tra beati e dannati) nella predicazione di Gesù – anzi, è proprio e solo con Gesù che si alza il sipario sul nostro destino eterno, sul significato globale della nostra esistenza e sulla possibilità, affidata a noi, di farla eternamente fallire o realizzare, anche se Dio ci vuole tutti salvi perché ci ama tutti infinitamente.

Non ci si accorge neppure che in questo modo, oltre a banalizzare la stessa salvezza operata da Cristo e l’infinita misericordia di Dio (alla fine va tutto bene?!), si banalizza l’intera vita cristiana e ci viene tolta la consapevolezza e la forza del combattimento spirituale, per allontanarci dal peccato e fare sempre meglio.

Proprio perché l’amore di Dio, che chiama il nostro amore, deve essere libero (un amore obbligato è una contraddizione in termini), esiste la possibilità del nostro rifiuto della grazia di Dio, del Suo amore, fino a morire in questo rifiuto e rimanerne esclusi per tutta l’eternità.

Anzi, dobbiamo sempre ricordarci che alla fine della vita non saremmo giudicati dagli altri, secondo la mentalità dominante (ecco perché non possiamo dire “ma fan tutti così!”) e neppure dalle nostre stesse opinioni (con i nostri assurdi “ma io penso che”, anche di fronte alla Parola di Dio), ma secondo la legge di Dio, la Sua Parola. Dio è perfettamente giusto.

Spesso nascondiamo il nostro peccato, troviamo scuse ed attenuanti, non lo chiamiamo più così, pretendiamo perfino di definirlo positivamente; ma in questo modo siamo come un malato che rifiuta di guardare alla propria malattia o narcotizza il proprio dolore senza curarsi (sarebbe la sua fine!). Non possiamo vederlo solo negli altri, nelle strutture, nei condizionamenti sociali. Dobbiamo riconoscerlo in noi. La legge di Dio è uno specchio che permette all’uomo di vedere tutto il suo male, il disordine che c’è in lui. Per questo è scomoda e talora preferiamo non guardare o rimanere nell’ignoranza.

Proprio la consapevolezza del nostro peccato, che può portarci verso la rovina eterna – ecco perché i più gravi li chiamiamo appunto “mortali” – ci fa sentire quanto è grande la misericordia di Dio, che può cancellarlo (e per questo Gesù è salito sulla Croce!), per chi vi si abbandona fiducioso, con umiltà e col proposito, col Suo aiuto, di non più cadervi (come ci fa sperimentare la Confessione).


Altre domande e obiezioni

21. Posso vivere la fede solo come un fatto interiore e privato? 

Molti pensano che la religione, anche la fede cristiana, sia qualcosa che riguardi solo la coscienza di ciascuno, un livello talmente interiore e privato da avere quasi pudore ad esternarlo e che potrebbe essere sconosciuto perfino alle persone più vicine.

Questa idea ha qualcosa di vero: il senso religioso – che esiste nell’uomo da sempre e ovunque e che neppure gli sforzi e le terribili violenze delle ideologie atee di questi ultimi due secoli sono riusciti a sradicare dal cuore dell’uomo – nasce e deve nascere nella massima profondità del nostro io (anima, coscienza) e riguarda soprattutto il rapporto con ciò che c’è di più alto: Dio stesso. In questo senso possiamo anche avvertire una certa fatica o pudore ad esternarlo, come avviene proprio per le cose più profonde e intime di noi stessi.

Per questo motivo, se la fede non viene interiorizzata, non diventa cioè un’esperienza personale e interiore di Dio, prima o poi o la si perde o diventa un’esteriorità ipocrita (contro cui Gesù ha usato parole molto severe, cfr. ad es. Mt 6,1-6). Senza questa interiorità la fede diverrebbe un’ideologia astratta, non un’esperienza, un vero rapporto, una vera comunione con Cristo; e in fondo non ci farebbe sperimentare la gioia e la pace di un’amicizia profonda con Lui. Per lo stesso motivo la fede non può essere imposta; infatti si potrebbe al massimo obbligare qualcuno a compiere qualcosa di esterno (e sarebbe ovviamente inutile e sbagliato) ma non a credere davvero nell’anima.

Molti pensano che per essere credenti basti andare alla Messa, e magari solo in certe feste (come a Natale) e circostanze (come nei matrimoni o nei funerali o in occasione di pellegrinaggi ai santuari).

Altri poi pensano che essere impegnati nella vita cristiana significhi fare qualche attività ecclesiale,  dare una mano in parrocchia o partecipare alle attività di qualche associazione o nel volontariato. Infine molti pensano che per essere cristiani basti fare genericamente del bene o addirittura non fare del male a nessuno (e dicono non ho ammazzato e non ho rubato, dunque sono a posto).

Invece, se la fede in Cristo non coinvolgesse tutta la vita, nei suoi fattori concreti e specialmente in quelli più determinanti, non sarebbe una vera fede.  Perché?

Anzitutto perché Dio è Dio, cioè l’Assoluto, la Verità suprema, il Bene Sommo; e quindi non c’è qualcosa che non dipenda da Lui. Egli è poi il nostro Creatore; e quindi sa come siamo fatti, per che cosa (anzi per Chi, che è Lui stesso) siamo fatti e di che cosa abbiamo davvero bisogno, cioè qual è il nostro vero bene.

Poi perché se ciò che sta nella massima profondità del nostro “io” non trasformasse ciò che dal nostro io scaturisce (i pensieri e le decisioni), in fondo non sarebbe vero, autentico, e ci lascerebbe come spaccati in due, in una sorta di schizofrenia esistenziale.

Visto poi che Dio si è rivelato e ci ha parlato (Bibbia), fino addirittura a farsi uomo (Gesù), avere fede significa seguirLo in tutto, vivendo o almeno cercando di vivere sia la vita che le singole cose della vita secondo quel significato che Dio ci ha rivelato, cioè secondo la Sua Parola che è verità.

Già l’esperienza religiosa in generale non è mai stata un fatto solo privato ma anche comunitario ed ha avuto sempre un forte riflesso nella società e nella cultura (basti pensare le feste, i templi, i riti, gli usi e costumi popolari che ne derivano).

Vediamo poi nella Rivelazione come Dio, pur conoscendoci e amandoci personalmente, forma sempre il Suo popolo: nell’A.T. è il popolo di Israele, nel N.T. è il nuovo popolo di Dio, universale, che è la Chiesa (si chiama infatti cattolico, che significa appunto universale).

Una religione che fosse solo interiore o solo esteriore non sarebbe una vera esperienza religiosa.

La vita cristiana non è un francobollo che si appiccica alla lettera della vita, ma il modo migliore di scrivere questa lettera.

In Cristo ci si svela il senso pieno di ogni cosa (e quindi il bene; e il male che vi si oppone).

Nessuna cosa della nostra vita gli è nascosta, nulla deve rimanere nell’ombra, non illuminata dalla Sua parola e sostenuta dalla Sua grazia, nulla deve essere vissuto senza tener conto della Sua santa volontà, che è il nostro vero bene. Per questo un giorno (nel giorno della nostra morte, col giudizio particolare, e alla fine del mondo, nel giudizio universale) dovremo rispondere a Lui di tutto. Nulla e nessuno – non solo i cristiani – potrà sottrarsi al Suo giudizio.

22. Posso prendere solo qualcosa della morale cristiana o farmela a modo mio?

Siamo talmente dentro una cultura soggettivistica e relativistica, che facciamo fatica a comprendere che la verità è oggettiva e non “secondo me”. Se poi capisco che Dio me l’ha rivelata, mi ha rivelato cioè il significato di tutte le cose, è inconcepibile che noi scegliessimo dalla Sua Parola qualcosa e ne scartassimo qualche altra cosa. Come abbiamo già detto, fare questo sarebbe come dire che Dio non è Dio, che su qualche cosa si sbaglia, che su qualche cosa ne sappiamo di più noi, cioè siamo dio noi e non Lui!

Posso cercare di capire meglio il perché Dio (anche attraverso la Sua Chiesa) mi dice di fare questo (il bene) o di non fare quest’altro (il peccato); devo certamente ammettere la mia debolezza nel fare la Sua volontà e chiedere con fiducia perdono se sono caduto; ma non dire che va bene perché ho ragione io! Questa sarebbe la nostra rovina (anche eterna!); come se un ammalato dicesse che sta bene e non si facesse curare e non volesse togliere o cambiare ciò che lo far star male.

Una fede o una morale cristiana “a modo mio”, scegliendo questo o scartando quello come tra i banchi di un supermercato, non è più la fede in Cristo e non mi salva, appunto perché è una mia invenzione e non più il dono di Dio che mi salva.

23. La morale cristiana riguarda solo il rapporto con gli altri?

Molti pensano che la questione del bene e del male (legge morale) riguardi solo il rapporto con gli altri. Ecco perché qualcuno si sente a posto semplicemente dicendo che “non ha fatto del male a nessuno”. In realtà, come abbiamo più volte sottolineato, non c’è alcun aspetto della nostra vita che non implichi una valenza morale, cioè che non si riferisca alla questione del bene e del male. Ogni decisione serve poco o tanto per la mia edificazione (per diventare chi devo diventare) o per la mia distruzione (per fallire questo progetto buono che Dio ha su ciascuno di noi). Dio ci ha rivelato sia il senso globale della vita (il perché vivo) che il senso delle cose più importanti della vita. Là dove non c’è nella Bibbia o nel Vangelo un insegnamento specifico (anche perché alcune problematiche etiche allora non c’erano, come ad esempio l’uso dell’energia nucleare, la possibilità di intervenire a livello genetico, certe nuove problematiche di tipo economico), il Magistero della Chiesa – alla luce di ciò che Gesù ha detto e di ciò che lo Spirito Santo ci ricorda e ci insegna (cfr. Gv 13,16; 14,26) – lo specifica e ce lo trasmette con fedeltà.

Come abbiamo più sopra osservato (domande 7/11), la morale cristiana riguarda tutto: il rapporto con Dio, con gli altri e che con se stessi (corpo, mente e spirito), le azioni e le omissioni, i pensieri e le parole.

Non sono ancora morali o immorali i pensieri che affiorano, ma possiamo peccare anche in pensieri, quando volontariamente permettiamo che certi pensieri continuino e addirittura li coltiviamo, così che l’inquinamento morale della nostra vita comincia proprio da lì. Gesù sottolinea molto spesso questo, quando parla delle intenzioni del cuore e di come il male non nasca da fuori ma da dentro il cuore dell’uomo (cfr. Mt 5,28;6,1-6.18.22-23; 7,18-23; 12,34; 15,8.17-20). Se non facciamo attenzione a coltivare il bene e ad estirpare il male dal cuore, dalla mente, dalla coscienza, prima o poi il male prende il sopravvento e si passa dal pensare al fare. Per questo dobbiamo fare molta attenzione a non far inquinare gli occhi, le orecchie e quindi la mente con ciò che possiamo vedere, leggere, ascoltare.

Anche le parole hanno una valenza morale: quanto bene o anche quanto male possono infatti procurare; anche le parole possono edificare (l’intelligenza e perfino l’anima) o distruggere (tentare, scandalizzare, insegnare male, calunniare). Dobbiamo quindi fare attenzione a quello che diciamo ed anche a quello che ascoltiamo o leggiamo. Non c’è niente di davvero neutrale: anche fosse la cosa più banale, o mi edifica o non mi edifica, talora anche mi danneggia (specie se siamo solo e sempre bombardati da messaggi contrari alla legge di Dio, come normalmente purtroppo avviene anche in TV).

Infine anche il non fare quel bene che possiamo fare (peccati di omissioni) – e non solo nei confronti degli altri ma appunto nei confronti di Dio e di se stessi – possono essere una grave colpa: pensiamo ad esempio a tutte le occasioni spirituali perse, attraverso le quali il nostro spirito poteva crescere, anche per l’eternità, e le abbiamo trascurate o sciupate. Forse nel momento della morte, quando si chiuderà il tempo a nostra disposizione per crescere spiritualmente e moralmente, e il nostro livello avrà conseguenze eterne, potremmo essere particolarmente tristi e angosciati per queste occasioni di bene e spirituali perse.

La legge morale insegnataci da Gesù riguarda anche la famiglia, la comunità cristiana, i rapporti sentimentali, la sessualità, le amicizie, il lavoro o lo studio, il denaro, il tempo libero, i mezzi di comunicazione sociale, come pure tutte le questioni sociali.

24. Basta essere “brave persone” per essere cristiani? 

Qualcuno pensa che basti essere delle brave persone e non far del male a nessuno per essere a posto con Dio, per essere cristiani. Questo è talmente riduttivo da essere erroneo.

Anzitutto perché il cristianesimo non è semplicemente un codice di comportamento. La fede cristiana, e conseguentemente la morale cristiana, è l’assenso cosciente e libero alla Rivelazione di Dio, che trova la sua pienezza insuperabile in Cristo e che chiama l’uomo – ogni uomo di ogni tempo e luogo – alla comunione con Sé, fin d’ora e perfettamente nell’eternità. Ecco perché la vita cristiana è anzitutto comunione d’amore con Gesù e attraverso Lui con l’intera Santissima Trinità che è Dio, che si traduce poi anche in nuove relazioni d’amore con gli altri.

Come abbiamo detto, tutto di noi deve essere illuminato dalla luce di Cristo e deve essere vissuto in Lui, in un modo nuovo.

25. Si può essere “brave persone” anche senza andare in chiesa? 

Essere cristiani non significa semplicemente essere brave persone ma essere chiamati alla santità, cioè alla comunione piena con Dio (che può e deve cominciare già in questa vita).

La Messa della domenica è imprescindibile per la vita cristiana (v. anche “per vivere bene l’Eucaristia“), perché nell’Eucaristia incontriamo il Risorto come comunità cristiana. Così ha comandato Gesù (cfr. Lc 22,19) e così la comunità cristiana ha fatto fin dall’inizio (ci sono stati perfino dei martiri che hanno preferito morire piuttosto che rinunciare alla Messa domenicale). Per questo la Chiesa ha tradotto il III comandamento dell’A.T. (“Ricordati di santificare il sabato”) nell’obbligo morale (per questo è peccato mortale non farlo) di santificare la domenica (e le altre 6 feste di precetto) soprattutto partecipando alla S. Messa (ma tutto il giorno deve avere un carattere santo, oltre che di riposo).

Essere “brave persone” è certamente un segno che l’anima non è schiava di egoismi e cattivi sentimenti. Questo può essere anche il frutto di un buon carattere o magari anche di uno sforzo naturale della volontà. Siamo comunque stati tutti creati “ad immagine e somiglianza di Dio” ed un raggio di Dio è presente almeno un poco anche nell’anima più corrotta. Dio parla infatti comunque alla coscienza dell’uomo, anche se non se ne rendesse conto (ecco perché al fondo dell’uomo c’è sempre un anelito non solo del bene, ma di infinito, di Dio stesso).

È possibile che eccezionalmente lo Spirito Santo muova anche chi non è visibilmente partecipe della vita della Chiesa (cfr. Lc 9,49-50), così come che in un’opera buona si serva Cristo anche senza saperlo (cfr. Mt 25,31-40). Se è così, questi non sarà però mai contro ciò che lo Spirito dice attraverso la Chiesa, perché lo Spirito Santo non può contraddirsi ed è garantito alla Chiesa nell’insegnamento della verità di Cristo.

Per questo ci possono essere anche buone persone che non sono né praticanti e forse neppure religiosi; anzi talora si possono perfino trovare alcuni atei che si comportano meglio e sono più amabili di certi credenti.

Attenzione però a non esagerare questa contrapposizione: di fatto i santi, e tutte le loro straordinarie opere, sono sorti sempre all’interno della Chiesa e di una fortissima comunione con Cristo.

Se passiamo poi dalle singole persone ai grandi cambiamenti sociali e alle ideologie (e persino religioni) che talora sconvolgono il mondo, noi vediamo invece che proprio la negazione di Dio (o una concezione erronea di Lui) – come ad esempio la storia del XX secolo ci ha tragicamente testimoniato! – può portare perfino alla distruzione di milioni di uomini e dei più fondamentali diritti dell’uomo. Dovremmo aggiungere che anche una concezione sbagliata di Dio – ad esempio non un Dio-Amore come ci si è svelato in Cristo ma un Dio che chiede sacrifici umani (come in tutte le religioni arcaiche) o la conversione forzata del mondo anche mediante la guerra (come nell’Islam) – può portare ad una distruzione dell’uomo o dei suoi fondamentali diritti.

Di fronte alla frequente obiezione che nella storia anche i cristiani (e la Chiesa) avrebbero fatto questo, dobbiamo rispondere che – una volta verificati davvero i fatti storici come sono avvenuti, vista la frequente presenza di “leggende nere” sulla storia della Chiesa, totalmente false e frutto di ideologie e polemiche anticristiane – in questi casi (peraltro immensamente inferiori rispetto a quanto compiuto in altre religioni e infinitesimali rispetto agli orrori perpetrati anche solo negli ultimi due secoli dalle ideologie atee!) si è trattato di incoerenza, quindi non il frutto della religione cristiana ma proprio del suo tradimento (anche da parte di coloro che magari si dicevano cristiani). Mentre le tragedie umane provocate da ideologie (e perfino religioni non cristiano-cattoliche) sono avvenute proprio a causa degli errori dottrinali e morali insegnate da esse.

Oggi è poi più che mai evidente che senza la luce della Parola di Dio persino gravi peccati, chiaramente contrari alla Parola di Dio e all’autentico bene dell’uomo (come il divorzio e perfino l’aborto), vengono non solo considerati normali ma perfino richiesti come un diritto.

È’ altrettanto evidente che, al di là dei singoli temperamenti e caratteri, senza la forza che ci viene dalla grazia di Dio, il peccato prende normalmente il sopravvento; anche perché il diavolo cerca sempre di farci peccare e di portarci così alla dannazione eterna (con lui e sotto di lui) e che con le sole nostre forze, come abbiamo osservato, è di fatto impossibile resistergli.  

26. Basta andare alla Messa per essere cristiani?

Certamente, se ho scoperto l’autentico Cristo – quello reale e non quello immaginario del “secondo me” – non posso vivere senza pregarlo e soprattutto senza incontrarlo nell’Eucaristia (tutte le domeniche) e nella Confessione (il più frequente possibile), ma so anche che Egli illumina e trasforma tutte le cose della vita, per cui tutto prende nuovo e vero significato, e tutta la vita riceve progressivamente luce, forza e il vero orientamento.

Come abbiamo appena visto, la Messa imprescindibile per la vita cristiana; ma la vita cristiana non si riduce certo ad andare alla Messa, perché la fede coinvolge tutta la vita.

La Messa e la Liturgia (cioè la preghiera ufficiale della Chiesa) sono “la fonte e il culmine” della vita cristiana: tutto parte da lì come sua sorgente e tutto ritorna lì come suo culmine (per la lode e la gloria di Dio), ma la vita “in Cristo” non si identifica solo con questo.

27. L’impegno cristiano consiste nel fare qualche attività in Parrocchia o in qualche gruppo, o impegnarsi in campo caritativo, nel volontariato?

Se non basta essere brave persone per essere cristiani (ed essere salvi) e non basta neppure andare alla Messa la domenica, oggi si assiste anche ad un’altra forma di riduzione della fede e della morale cristiana: è quella che pensa che per essere cristiani, anzi cristiani “impegnati”, basti fare qualche attività in Parrocchia (associazione, movimento, confraternita), dare una mano, fare il coro, oppure il catechismo, la Caritas o un po’ di volontariato. Insomma, l’impegno di vita cristiana si ridurrebbe a quello di fare qualcosa per gli altri nel tempo libero.

Perché questo è ancora sbagliato? Se per molti oggi viene considerato già da “bigotti” andare alla Messa e se ci vuole già una buona dose di generosità per impiegare un po’ del proprio tempo libero in qualche attività cattolica o di volontariato, cosa si dovrebbe fare di più?

La questione non è infatti quella di fare qualcosa ancora di più! La vita cristiana non è vivere la vita come tutti gli altri con l’aggiunta di qualche impegno in più, ma anzitutto vivere tutte le cose della vita in un altro modo, secondo un’altra logica, un’altra mentalità, come conseguenza dell’incontro con Cristo e della Sua presenza, del Suo Amore. La fede in Gesù non si traduce soltanto nel fare qualcosa in più (di bene) o in meno (di male) degli altri, ma nel vivere ogni cosa in modo nuovo. Il cammino di “conversione continua” che è il cammino della fede, la via della “santità”, è anzitutto proprio quello del cambiamento nel modo di concepire e di vivere la vita e le cose normali della vita. Non è un peso in più, che diventerebbe asfissiante, ma la liberazione vera, cioè l’imparare pian piano a vivere le cose con verità, secondo cioè il loro autentico significato, che è la loro bellezza.

La prima cosa da fare è allora proprio quella della propria formazione cristiana, per essere illuminati e rafforzati dalla fede in Cristo Signore.

È strano che molte volte si trovino giovani e adulti disposti anche a fare molto – le attività, che pur ci vogliono, e sembrano magari immediatamente più attraenti (ma poi spesso ci si stanca e si molla alla prima delusione o di fronte ai nuovi impegni della vita reale) – ma non a fare questo cammino di formazione, per imparare sempre di più la bellezza della vita con Cristo, anticipo del paradiso (anche se passa attraverso la Croce). Eppure questa è la cosa più necessaria e importante per la vita umana e per la salvezza eterna.

Non si tratta allora anzitutto di dare una mano in Parrocchia, di partecipare alle attività di qualche associazione, gruppo, confraternita, movimento, di cantare nel coro o di fare catechismo – cose tutte importanti e se possibili anche doverose – o semplicemente di fare un po’ di volontariato (che potrebbe fare anche un ateo), ma di imparare pian piano a vivere la concretezza della vita (famiglia, lavoro, studio, sport, sessualità, denaro, idee, giornali, televisione, internet, politica, economia) secondo Cristo. Fin quando la vita concreta scorre su un altro piano – e addirittura ci sembra giusto che scorra su un altro piano! – senza che neppure ci si ponga il problema di cosa significhi essere cristiani dentro questa cose della vita normale, allora non c’è un vero cammino di fede e la morale cristiana è ridotta a fare semplicemente qualcosa. È come si dicessimo a Gesù “qui stai fuori, lì non c’entri!”; e in genere, facendo così,  ci precludiamo la scoperta e la bellezza della novità cristiana, e diventiamo perfino obbedienti, quasi senza accorgercene, all’ideologia o mentalità dominante, che in molti casi è persino opposta (e magari non ce se ne accorge neppure) al cristianesimo.

Per questo incontriamo assai spesso anche negli ambienti cristiani delle persone che magari sono anche impegnate nel fare qualche attività, ma con idee e giudizi (mentalità, cultura, decisioni) che sono assai distanti dalla fede e morale cristiana, e non se ne rendono neppure conto.

È capitato ad esempio che in un’inchiesta fatta tra coloro che uscivano da Messa risultò una percentuale elevatissima che credevano nella reincarnazione! Oppure che tra giovani impegnati in parrocchia stia fortemente crescendo il numero di coloro che ritengono giusto convivere prima del matrimonio. E già da bambini si è in questo senso spesso male educati, per cui da un lato si crede che siamo creati da Dio e dall’altro che siamo solo evoluti casualmente dalle scimmie.

A motivo di questa dicotomia tra fede e cultura e tra fede e morale (che è poi indice di una non vera fede), spesso ci si stanca anche degli impegni assunti, o per delusione o perché prima o poi le cose della vita (un innamoramento, il lavoro) premono … e diciamo che non abbiamo più tempo per fare quella attività (il gruppo, il catechismo, il coro, il volontariato).

Attenzione: non si tratta di un moralismo, cioè di pretendere che immediatamente tutta la vita cambi! Anzi, ci vuole appunto il cammino di conversione di tutta una vita perché con l’aiuto della grazia di Dio questo accada. Siamo tutti chiamati alla santità, ma siamo sempre anche peccatori bisognosi di conversione. Si tratta però di conoscere e capire cosa significhi la vita (morale) cristiana, almeno di porsi il problema e desiderare di camminare in quella direzione!

Non si tratta quindi tanto della incoerenza morale, ma di un errore ancora più a monte, rappresentato dal fatto che non si sa nemmeno più cosa dovremmo fare, cosa ci insegna Dio, quale sia la Sua legge, cosa sia peccato! È ormai enorme questa ignoranza (eppure basterebbe prendere in mano e studiare la III parte del Catechismo della Chiesa Cattolica!), ma anche addirittura la presunzione di dire “sono cattolico ma non sono d’accordo su quello che dice l’insegnamento morale della Chiesa – che magari non si conosce neppure realmente – su alcune o molte questioni morali, perfino su certi valori fondamentali (anche socialmente “non negoziabili”), e perfino su quello che dice Gesù stesso (come nel caso della possibilità di “separare ciò che Dio ha unito”, cfr. Mt 19,6).

Questo è un grande e pericoloso equivoco, generato talora anche dalla paura di perdere consenso, persone, aiuti, da parte dei responsabili, anche sacerdoti. Ma in questo modo si continua davvero a mantenere una facciata di cristianesimo, che prima o poi crollerà; come già accade.

Non si tratta appunto di essere integralisti, o di pretendere che tutti siano santi (tutti siamo chiamati alla santità, ma tutti siamo ancora peccatori), ma di sapere almeno cosa sia il cristianesimo, cosa sia la fede e la morale cristiana. Se neppure si conosce la strada, come si può pensare che possiamo percorrerla?

28. Ma se obbedisco sempre alla legge morale non rinuncio alla mia libertà, a godermi la vita? Non divento un bigotto, fanatico, integralista?

Abbiamo già considerato (domanda 3) come l’obbedienza alla verità non elimini la libertà, ma anzi permetta la vera libertà! (cfr. La vita cristiana).

In realtà sotto questa domanda, o c’è il dubbio che non sia Dio a parlarci – perché certo l’ipotesi che un Dio si sbagli è irrazionale – o c’è il sospetto (istigato dal diavolo fin dall’inizio, provocando il “peccato originale”, cfr. Gen 3) che Dio non voglia il nostro vero bene, sia cioè cattivo e voglia toglierci la libertà e la gioia della vita; il che significa non credere che Dio è Amore!

Il bene mi fa bene, mi edifica davvero; e il male mi fa male, prima o poi mi distrugge. E se Dio mi indica la strada, cioè il bene da fare e il male da evitare, lo fa proprio perché mi ama, vuole cioè il mio vero bene, la mia vera felicità.

Il fanatismo è invece l’esasperazione di una verità parziale che pretende di essere totale, e per questo mi rimpicciolisce, mi distrugge; mentre la verità totale di me – che Dio mio rivela – più la seguo e più mi edifica, mi rende davvero uomo, anzi, mi rende santo, cioè ciò che sono chiamato ad essere, il ciò per cui sono nato, il senso e la bellezza autentica della vita.

Bigotto è semmai uno che “riduce” la vita cristiana solo ad atti di culto, come se l’essere cristiani volesse dire essere sempre in chiesa; non certo che a partire dall’incontro con Cristo, che trova la sua sorgente e il suo culmine nell’Eucaristia, tutta la vita concreta venga illuminata e rafforzata da questa Comunione con Lui (ed anche tra coloro che Lo seguono, cioè con i fratelli nella fede).

La fede deve essere “integrale”, perché una fede spezzettata o ridotta – prendendo cioè qualcosa e scartando qualche cos’altro – non è più la fede cristiana; perché Gesù è Dio, quindi il senso di tutto.

Integralista – contrariamente a quel che potrebbe sembrare – è semmai colui che separa fede e ragione, fede e morale, fede e cultura, pensando che la fede escluda tutto il resto o non c’entro appunto con tutto il resto; non ha bisogno mai della ragione, di traduzioni e mediazioni (che non significa compromessi). E fondamentalista è proprio colui che vorrebbe imporre la fede – salvo che alcuni valori fondamentali dovrebbero certo essere obbligatori, per costruire una società veramente degna dell’uomo – senza spiegarla e senza sapere che la verità può convincere in virtù della sua stessa forza, e dimenticando che senza libertà (di coscienza) non si può dare neppure un vero atto di fede.

29. Cosa fare per non rimanere nella pigrizia o per non cadere nell’opposto pericolo dello scoraggiamento?

Occorre davvero puntare tutto sulla vera fede in Cristo. ConoscerLo, seguirLo, amarLo. Si tratta quindi di conoscere la Sua Parola, di conoscere i contenuti della fede e della morale cristiana. E soprattutto si tratta di pregare, bene e col cuore, e di ricevere spesso il Suo perdono nella Confessione e la Sua vita nella Comunione.

In questo dobbiamo essere davvero decisi. Il rimandare sempre a domani ci impedisce davvero di metterci in cammino. Raccogliamo anche tutti gli aiuti – letture, incontri, comunità, guida spirituale – che possiamo raccogliere lungo la strada della nostra vita.

Comprendendo pian piano (con la conoscenza e facendone sempre più esperienza) cosa sia la vita cristiana, allora dobbiamo proprio sentirci in cammino. E un cammino è fatto di decisioni, di passi, di evidenze e bellezze, ma anche di buio, di cadute, di fatica ed anche di tentazioni di tornare indietro.

Già nell’esperienza dell’Esodo, all’inizio della Bibbia, vediamo come Dio liberi il suo popolo, ma alle gioie dei continui segni di Dio, che è presente ed accompagna, si mescolano momenti di paura, di fatica e perfino di nostalgia della schiavitù dell’Egitto.

Dobbiamo davvero evitare sia le pigrizie spirituali (accidia) che le delusioni di sé (scoraggiamento). Il diavolo all’inizio cerca di fermarci con la pigrizia, forse perfino con la paura di questo cammino, la paura di perdere la felicità, quando invece è proprio questa la strada della felicità vera; ma poi ancor più cerca di prendere pretesto dalle nostre cadute (peccati che ancora ci sono) per farci scoraggiare, fermare e persino tornare indietro. Questo pericolo è peggiore del primo, perché quando si torna indietro (dicendo “basta, non è per me, non ne sono capace”) la situazione può diventare addirittura peggiore di prima (cfr. quello che dice Gesù in Mc 12,43-45).

Gesù ci dice che con il Suo aiuto (per questo la preghiera e i sacramenti sono fondamentali e necessari) e con la nostra perseveranza salveremo le nostre vite (cfr. Lc 8,15; 9,62; 21,19).