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Questione 7


L’Aldilà


C’è davvero una vita dopo questa vita? 
Ci sono davvero l’inferno e il paradiso? Come facciamo a saperlo? 
Cosa sono?
Se Dio è Amore, se siamo stati creati per il paradiso e se Gesù è morto in Croce per ridonarcelo ... come fa ad esserci l’inferno?


 

Quest'ultima questione (7, nella sezione "Un aiuto per < per capire la fede" vedi) è in realtà quella più decisiva e fondamentale della vita. Non si tratta infatti semplicemente di sapere se c’è qualcosa dopo questa vita e che cosa c’è, ma tutta la nostra esistenza è orientata e mutata in un senso o in un altro, perfino inconsapevolmente, dalla risposta che abbiamo dentro di noi a questa questione.

Come in un viaggio - e la vita in fondo è un grande viaggio - la questione della meta non è una semplice curiosità e neppure l’ultimo passo del percorso, ma è lo scopo, ciò che dà senso ad ogni nostro passo: non è semplicemente la fine, ma il fine di esso. Se alla fine del viaggio non ci fosse la meta verso cui tendiamo, sarebbe ultimamente vanificato il viaggio stesso, nonostante le eventuali piacevoli tappe che forse potremmo fare. Se poi alla fine del viaggio fossimo certi che c’è per noi un incidente mortale, che ci distruggerà completamente, e che inoltre non potremmo evitare, esso sarebbe una terribile e angosciante corsa verso il nulla … Ogni attesa, ogni speranza, sarebbe annientata alla base. In fondo ogni voglia di vivere, al di là delle maschere o delle droghe che potremmo darci per non pensarci, ogni speranza sarebbe avvelenata ed annientata alla base. E quando un uomo non ha più la speranza si dice che è “di-sperato”. 

Tutte le questioni qui viste finora - quale sia la verità della vita, se c’è Dio, se Dio ci parli e ci chiami in Cristo alla comunione con Sé, cosa sia e a che cosa serva la Chiesa, che senso abbia la vita (cristiana) - tutto in fondo tende a questo scopo; e tutto sarebbe vanificato se alla fine ci fosse il nulla totale di noi.  

Che il corpo non sia tutto di noi e che quindi quando muore il corpo non muore tutto il nostro “io” ma ci sia una vita dopo questa vita è una delle più antiche e diffuse convinzioni che l’uomo mostra di avere da quando appare sulla Terra e in ogni civiltà. Infatti il culto dei morti è antico quanto l’uomo ed è unito all’universale convinzione che c’è l’anima, c’è un’altra vita e c’è Dio nell’aldilà. Le principali civiltà antiche (pensiamo ad esempio agli egiziani, come pure agli etruschi) hanno perfino edificato le dimore anche artisticamente più ricche e preziose non solo per Dio (altari, templi), ma anche per i morti (tombe). Ovviamente tutto ciò non avrebbe alcun senso se non per la convinzione che c’è l’aldilà e che i morti in qualche modo ancora vivono.

Anche una civiltà come quella occidentale, plasmata dal cristianesimo ma sospinta da decenni a diventare materialista e atea, solo apparentemente si dice convinta del contrario, che cioè fermatosi il nostro cuore e spentosi il nostro cervello - per cui il nostro corpo comincia a marcire - ci sia il nulla totale di noi. Se questo, nonostante la spavalderia con cui talora lo si proclama, sarebbe già l’angoscia di fondo della nostra esistenza personale, diventa poi quasi insopportabile quando ci muore una persona cara: intuiamo nel più profondo di noi stessi che, nonostante la sua salma e la sua tomba ora siano lì, sarebbe assurdo che questa cara persona non ci sia assolutamente più. Tanto è vero che anche da noi troviamo scritti, poesie, invocazioni, dialoghi, in cui ai cari morti si continua a dare del “tu”, così come portiamo loro fiori e talora perfino dei doni. Espressioni come “sei sempre con noi”, ” sei nei nostri cuori”, “non ti dimenticheremo”, sarebbero appunto parole al vento, se quella persona in qualche modo o da qualche parte non ci fosse e potesse ascoltarci e vederci.

Per questo si dice che solo l’uomo in senso proprio “muore”, cioè sente il problema della morte, l’angoscia di poter precipitare nel nulla totale, e spontaneamente intuisce che non può essere così. Questa universale questione esistenziale dell’uomo è invece totalmente assente nel mondo animale, dove infatti non troviamo mai traccia dell’idea dell’aldilà (come del resto di nessun’altra idea). 

Tutte le religioni (come abbiamo visto nella Questione 3.2) hanno queste tre fondamentali convinzioni: c’è Dio, c’è l’anima, c’è l’aldilà; pur diversificandosi nella modalità di concepire Dio, l’unione dell’anima col corpo e come sia la vita nell’aldilà. 

Non solo l’universale intuizione dell’umanità, ma anche le vette del pensiero razionale filosofico, già nella classicità greca, avevano compreso non solo che Dio c’è (come abbiamo visto nella Questione 2), ma che l’uomo ha un’anima spirituale e quindi immortale. 

L’inizio della Bibbia (Genesi), dopo averci detto che tutto è “creato” da Dio (Gen 1,1), ci rivela anche che l’essere umano è creato da Dio “a Sua immagine e somiglianza” (Gen 1,26-27), culmine della creazione. Ora, tale immagine non può essere ovviamente nel corpo - tanto più che proprio il popolo ebraico capisce con assoluta chiarezza che Dio è puro Spirito, tanto da essere considerata persino blasfema qualsiasi immagine di Lui - ma nello spirito. Inoltre all’uomo viene offerto in dono anche l’<albero della vita> (Gen 2,9.16-17), segno dell’immortalità. Nonostante ciò, lungo tutto l’Antico Testamento rimane ancora oscuro cosa possa essere questo Aldilà, questo regno dei morti (Sheòl), da cui eccezionalmente si possono perfino evocare (cfr. 1 Sam 28,8), questo modo di vita in cui c’è forse una ricompensa ai meriti della vita terrena (cfr. Sap 2,22; 3,1). Solo negli ultimi tempi dell’A.T. si capisce che possiamo anche pregare per i morti e così aiutarli (cfr. 2Mac 12,44-45); ma ancora ai tempi di Gesù i teologi discutono animatamente se ci possa essere o no una risurrezione (cfr. Mt 22,23-33; At 23,6-8).

Lo stesso Islam, pur creato da Maometto 6 secoli dopo Gesù, a motivo della sua concezione di Dio (Allah) assolutamente trascendente e quindi irraggiungibile, ha un’idea ancora molto materialista e ingenua dell’aldilà e del paradiso, come una sorta di luogo con tanti piaceri sensibili, cioè ancora una proiezione nell’aldilà dei piaceri terreni, non una vera comunione con Dio.

 

Solo con Gesù tutto diventa più chiaro: l’uomo è chiamato a partecipare per sempre alla vita stessa di Dio (paradiso); e non solo con la sua anima ma perfino con il suo corpo trasformato. Siamo al mondo per questo; e con Gesù questo è diventato possibile. In quanto creato libero, l'uomo può purtroppo rinnegare questa sua altissima vocazione e persino rifiutarla per sempre, precipitando nella disperazione eterna dell’inferno (privazione di Dio).

Sappiamo bene questo, non solo perché Gesù ce l’ha detto - e della Sua parola siamo sicuri perché Egli è Dio - ma perché è risorto! Appunto non si tratta di una nuova teoria o religione, ma di un fatto, dell’avvenimento centrale della storia e dell’universo, come abbiamo osservato (Questione 4.4 e 4.7). 

È allora davvero sciocco che ancora oggi, dopo duemila anni, qualcuno dica “non è mai venuto nessuno dall’Aldilà a dirci come stanno le cose”, quando è venuto addirittura Dio stesso! L’umanità ora può e deve sapere. Tutte le teorie filosofiche e religiose (immortalità dell’anima, reincarnazione) sono ormai sorpassate o completate da Cristo, con assoluta certezza.

Ed è strano che oggi se ne parli così poco, perfino nella predicazione cristiana, quando questa questione decisiva e fondamentale della vita (“cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”, Mt 19,16) occupa una parte preponderante del Vangelo (*), così che perfino quando Gesù ci parla dei nostri doveri terreni, lo fa ancora in riferimento all’aldilà e al Suo giudizio finale (cfr. ad es. Mt 25,31-46).

Gesù è venuto, è morto in Croce ed è risorto, soprattutto proprio per liberarci dall’inferno e per riaprirci le porte del paradiso, dicendoci cosa credere, ricevere e fare per andarci!

 

(*): cfr. Mt 5,3-11.19-22.29-30.46; 6,1-6.16-17.19-20; 7,2.13-14.21-23; 8,11-12; 10,15.22.28.32-33.39.42; 11,21-24; 12,32.36-37.41-42; 13,30.39-43.48-30; 16,25-27; 18,3-4.8-9.35; 19,16.24.28-30; 20,8-16.23; 22,13.30-32; 23,32; 24,(3-29), 30-51; 25,1-13.14-30.31-46; 26,64; 27,52. Mc 8,35-38; 9,41.43-49; 10,15.17.23-27.30.40; 12,18-27.40; 13,4-36; 14,62; 16,14-16. Lc 6,20-26.38; 9,24-26; 10,12.14.25; 11,31-32; 12,4-5.8-10.19-21.33-48; 13,3.5.23-30; 14,14.15-24; 16,9.19-31; 17,20-37; 18,8.17.1824-27.30; 19,11-27; 20,27-38.47; 21,8-36; 22,28-30.69; 23,42-43. Gv 1,51; 3,11-13.15-18.36; 5,22-29; 6,27.35-40.44.47-51.53-58; 7,34; 8,21-23.51; 10,9.17-18.28; 11,23-26; 12,25.47-48.50; 13,33.36; 14,1-6; 16,16-23.28; 17,1-3.24; 18,36.

 
 

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7.1: C’è davvero una vita dopo questa vita? Che differenza c’è tra immortalità dell’anima, reincarnazione e risurrezione?

Che l’uomo abbia un’anima spirituale e immortale è non solo convinzione universale dell’umanità, presente in ogni civiltà, cultura e religione della storia, ma è anche conclusione razionale raggiunta dalla maggior parte delle filosofie (almeno fino al sec. XIX).

Come la ragione può scoprire che l’anima dell’uomo è spirituale e come tale è immortale? Perché le attività tipiche dell’uomo, cioè il pensiero (astratto) e la volontà (libera) sono facoltà superiori, che non si spiegano solo con la materia (cervello). I più grandi filosofi dell’antichità greca avevano infatti colto che, se ogni vivente richiede un principio di vita (anima), tale causa nell’uomo deve essere spirituale (spirito, “pneuma”) a motivo dei suoi effetti spirituali.

Noi infatti, pur non potendo vedere l’anima in quanto invisibile, ne abbiamo una sorta di intuizione: siamo infatti coscienti delle nostre azioni e perfino dei nostri stessi pensieri. Soprattutto possiamo compiere attività intellettuali (spirituali), come pensare in modo astratto, concettuale, ragionare (collegando concetti e affermazioni, così da raggiungere nuove conoscenze) e volere in modo libero (così che siamo padroni e responsabili dei nostri atti). E proprio questo ci caratterizza come esseri umani, rendendoci superiori ad ogni altro animale, così che appunto noi, pur fisicamente meno dotati di tanti animali, siamo diventati i signori del pianeta e continuamente progrediamo nelle nostre conoscenze. Gli animali infatti non hanno un’anima spirituale e non hanno di conseguenza né la coscienza di sé, né tanto meno la coscienza di Dio e neppure di una vita dopo questa vita.

Nello stato attuale di vita terrena, queste due facoltà (pensiero e libertà) richiedono certamente per esprimersi un cervello particolarmente evoluto, miliardi di neuroni, ma il cervello è lo strumento e non il soggetto dei nostri atti propriamente umani, quelli appunto di cui siamo moralmente responsabili: sono infatti ancora “io” che posso comandare ai miei impulsi e non loro a me; altrimenti non sarei moralmente responsabile dei miei atti, perché non sarebbero in fondo “miei”, non avrei scelto di farli e non avrei potuto non farli.

Questo “io”, che è il vero soggetto della nostra vita, si trova dunque in un corpo e comunica normalmente attraverso di esso, ma non coincide con esso e non ne segue il percorso biologico: tagliarsi i capelli o le unghie non è perdere un po’ del proprio “io”, nel mio “io” posso essere più giovane e bello a ottant’anni che a venti, un embrione o un adulto hanno ugualmente il proprio “io”, un handicap fisico e soprattutto mentale può creare enormi difficoltà di comunicazione (in quanto strumenti) ma ciò non indica lo stato dell’“io”. Potremmo dire che risiede proprio qui l’irriducibile e superiore dignità di ogni uomo, il fondamento dei suoi inalienabili diritti, in qualsiasi condizione fisica o mentale egli si trovi.

Ora, quando muore il nostro corpo, non muore il nostro “io”: l’anima spirituale (o spirito) continua a vivere senza il corpo.

Il tentativo moderno di ridurre l’anima al cervello (neuroni) o alla psiche (inconscio, subconscio) non ha alcuna prova e confonde il soggetto con lo strumento.

Confondere lo strumento con il soggetto è come confondere l’auto con l’autista. Così è sciocco, come alcune volte la storia del pensiero ha fatto, cercare un organo che costituisca l’anima: è come se cercassi l’autista sotto il cofano del motore o tra i pezzi meccanici dell’auto.

Così, come scrivo con la penna o il computer e se essi si danneggiano non scrivo più, ma essi non sono il soggetto che scrive, così se un osso o muscolo o collegamento nervoso o parte del cervello non funziona più bene non posso più muovermi o comunicare, ma essi non sono il soggetto del movimento o del comunicare. Per questo motivo solo l’uomo è consapevole e responsabile delle proprie azioni e perfino ad uno stesso stimolo fisico (puntura di spillo o iniezione) può reagire in modi opposti (mi muovo repentinamente o sto fermo, in base ad un giudizio - è per il mio male o per il mio bene? - che guida la volontà).

Sulla differenza tra l’<io> e il cervello scrisse acutamente il premio Nobel 1963 per la Medicina J.C. Eccles, uno dei più autorevoli neurologi contemporanei (v. punto 4.1 del Dossier Darwin e l'evoluzionismo)

 

Se l’esistenza in noi di un’anima spirituale e immortale è convinzione universale, sia religiosa che assai spesso anche filosofica, non è invece chiaro - e qui nascono le differenze tra le religioni e tra le filosofie - come l’anima sia unita al corpo, come possa sopravvivere senza il corpo e cosa sia la vita dopo questa vita (come abbiamo già osservato nella Questione 3.3).

Solo nel cristianesimo c’è una spiegazione totale e razionalmente valida, che tiene conto di ogni nostro fattore costitutivo e dell’unità della nostra persona.

L’anima dell’uomo è spirituale, per questo è creata da Dio non solo nella creazione del primo uomo (diversificandolo così dagli animali e rendendolo addirittura capace di entrare in relazione con Dio) ma ad ogni concepimento di un essere umano, poiché essa, non essendo materiale, non può derivare dalla materia, cioè dal patrimonio cromosomico dei genitori e neppure dal loro <io> che è spirituale e non trasmissibile.

Si dice infatti correttamente che i genitori “pro-creano”, dando cioè origine con la loro unione sessuale al corpo del figlio, mentre Dio crea l’<io> di quel figlio (si pensi quanto è banale che oggi si dica “fare un figlio”).

Ma l’anima dell’uomo è fatta per essere unita ad un corpo, non è uno spirito come quello degli angeli. Per questo anche il corpo umano ha una dignità enorme, riflette la presenza e spesso anche lo stato dell’anima (pensiamo alle infinite capacità espressive del volto, specie degli occhi - lo dice Gesù stesso, cfr. Lc 11,34 - come pure alla presenza del centro deputato alla parola nel nostro cervello).

Anche per questo motivo, oltre ad essere senza alcun fondamento razionale, l’idea della metempsicosi o delle reincarnazione - assai diffusa in Oriente ma ormai purtroppo anche in Occidente - cioè la convinzione erronea che un’anima, alla morte del corpo, possa andare in altri corpi, addirittura non umani (e ciò nelle religioni orientali è considerato una punizione dovuta alle colpe della vita o delle vite precedenti, come una doverosa purificazione fino alla liberazione totale dalla materia), non tiene conto dell’unità profonda tra corpo e spirito; in fondo è un disprezzo della materia e del corpo, quasi che il corpo sia un abito da poter indossare e cambiare, così da poterne avere più di uno nel nostro divenire, e pone seri problemi sulla libertà delle nostre scelte, condizionate dalla o dalle vite precedenti.

Anche nelle filosofie platoniche, spiritualiste, idealistiche, gnostiche, la materia crea problema: è la sede del male? come può venire da Dio? come può persistere? come quindi liberarsene? e quindi viene censurata.

Solo nella Bibbia (Genesi) anche la materia è opera di Dio, è buona; e il corpo umano, abitato dallo spirito e pur dovendo essere guidato dallo spirito, è opera buona di Dio ed è costitutivo ineliminabile dell’unità della nostra persona.

Con Gesù infine vediamo che Dio stesso, per salvarci, prende un corpo ed un’anima umani, quindi risorge ed entra nella gloria del Padre anche con il proprio corpo risorto. Egli ha poi voluto che pure Sua madre, Maria Santissima, fosse subito in paradiso anche con il suo corpo (Assunzione). Per la potenza di Dio tutti gli esseri umani alla fine del mondo risorgeranno anche coi loro corpi e parteciperanno anche con il loro corpo trasformato alla vita eterna (beata o dannata) (come diciamo nel Credo: “credo la risurrezione della carne, la vita eterna” oppure “aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”).

Nella risurrezione l’anima (spirito) per la potenza di Dio rientra nel corpo e lo trasforma in una nuova dimensione, non più soggetta allo spazio-tempo e alla morte; così che viene ricomposta l’unità dell’essere umano, della nostra persona, e tutto di noi partecipi della vita eterna.

In Gesù è avvenuto, per Sua potenza divina, due giorni dopo la Sua morte in croce. Maria SS.ma è già stata subito accolta in paradiso anche col suo corpo. Invece tutti gli uomini risorgeranno alla fine del mondo, quando Cristo ritornerà nella gloria come Giudice universale.

La concezione di molte religioni orientali dell’eternità come nirvana è invece di fatto un annientamento dell’io nel tutto (che poi è niente) e quindi risulta una sorta di dissolvimento della propria persona e individualità.

 

 

7.2: Possiamo sapere con certezza come stanno le cose? Gesù ce ne ha parlato?

Il fatto che con Gesù non siamo appunto di fronte ad un filosofo e neppure ad un fondatore di una religione, ma a Dio stesso fatto uomo, ci offre l’assoluta certezza di come stiano le cose; anzi, la questione del senso vero della nostra esistenza e del nostro destino eterno sono il centro del cristianesimo e in fondo il motivo per cui Dio stesso si è incarnato in Cristo.

Dio ci rivela pienamente che siamo stati creati per poterLo conoscere, servire, amare e per godere pienamente di Lui per tutta l’eternità; per questo siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza. La vita terrena era già un paradiso (terrestre), nell’amicizia di Dio, senza dolori e fatiche, dopo di che, senza traumi (come un bruco che diventa farfalla), si sarebbe entrati nella vita eterna.

Questo disegno originario si è rovinato subito con il “peccato originale”, cioè con la pretesa autonomia da Dio che l’uomo, istigato dal diavolo, ha compiuto.

Dio aveva creato anche gli angeli, puri spiriti (intelligenti e liberi più di noi), la cui gioia infinita è di essere con Dio ed al Suo servizio. Anche tra essi però un grande numero (un terzo? - cfr. Ap 12,4) si è ribellato a Dio volendo essere come Dio e contro Dio e per questo sono decaduti e divenuti diavoli. La loro decisione è irrevocabile, come sono le decisioni al di fuori della vita terrena, per cui rimangono nell’odio a Dio per tutta l’eternità (inferno). Conoscendo la nostra chiamata alla comunione con Dio e alla felicità eterna, i diavoli cercano di opporvisi in ogni modo, volendo trascinare il maggior numero possibile di persone nel loro stato di dannazione. Essendo superiori a noi il loro inganno e la loro forza sarebbero per noi invincibili, se Dio non ci assistesse con la Sua grazia. Essi non possono invece nulla contro Dio e neppure contro l’aiuto della Madonna. Se Dio permette loro di tentarci è perché in questo modo noi possiamo con il Suo aiuto combattere e vincere, aumentando così la grazia e la felicità eterna.

Il destino eterno di tutti gli uomini (anche di quelli buoni), se non fosse venuto Gesù Cristo, sarebbe stato inesorabilmente l’inferno, perché il peccato originale ha creato questa frattura con Dio che l’uomo da solo non può risanare; inoltre anche solo un singolo nostro peccato mortale (che non a caso si chiama così) ci procurerebbe la morte dello spirito e cioè la perdita della grazia di Dio e l’inferno.

L’uomo, finito e indebolito dal peccato, non ha la forza di riconciliarsi con Dio, se Dio non si abbassa a riprenderlo e riconciliarlo con Sé.

Gesù, vero Dio e vero uomo, nella sua stessa persona ha di nuovo unito la natura umana e quella divina. Morendo in Croce ha preso su di Sé i nostri peccati (originale e personali) ed ha pagato Lui - Agnello di Dio - il nostro debito infinito, riconciliandoci col Padre. Risorgendo ci ha resi partecipi della Sua vittoria sul demonio, sulla morte e sull’inferno. Donandoci lo Spirito Santo ci chiama a partecipare alla comunione divina della Santissima Trinità.

Con Gesù si è aperta la Via della Vita, che è Egli stesso, così che possiamo, uniti a Lui, entrare in Dio, nostra eterna felicità. Questo è il paradiso: Dio stesso, Amore infinito, Verità infinita, Bellezza infinita, felicità infinita. E la Via per arrivarci è Cristo stesso.

Poiché è una chiamata d’amore, non può essere obbligata, forzata, ma deve essere una risposta d’amore, e cioè frutto di un libero assenso. Per questo possiamo talmente abusare della nostra libertà, dataci per acquisire dei meriti, da trasformarla in disobbedienza alla Sua legge, in ribellione, in colpa, perfino in odio a Lui. Se moriamo in questo stato di peccato, rimaniamo per tutta l’eternità in questo vuoto d’amore, in questo vuoto di Dio. Questo è linferno: è la totale assenza d’amore, ribellione eterna a Dio, ma è anche sofferenza infinita e senza speranza (perché nell’aldilà non si può cambiare) perché nella profondità del nostro essere rimaniamo come Dio ci aveva fatti, cioè con una sete infinita d’Amore, di Bellezza, di Vita, di Verità, cioè con il desiderio di Dio.

Come si può evincere dal Vangelo (cfr. le numerose citazioni sopra riportate) e poi da tutto il Nuovo Testamento, Gesù è venuto proprio per liberarci dal potere del demonio (cfr. At 10,38; 1Gv 3,8), che infatti si evidenzia più che mai e si scatena proprio alla Sua venuta, e riconciliarci con Dio, così da sottrarci dalla dannazione eterna (ancora possibile, col nostro rifiuto di Lui) e renderci partecipi per sempre della Sua vita (beatitudine eterna, paradiso).

Gesù è per questo il nostro Salvatore, ma alla fine del mondo ritornerà come Giudice universale (tutti lo vedranno e tutti saranno giudicati da Lui) e separerà i beati dai dannati. Gesù ce lo ha detto innumerevoli volte.

Dunque, abbiamo una sola vita terrena e in base ad essa e a come siamo trovati al suo termine saremo poi beati o dannati per sempre. Ma per entrare nella comunione eterna di Dio (paradiso) non basta essere “brave persone” (non fare del male a nessuno) (v. Introduzione alla morale, n. 24), ma occorre che già in questa vita entriamo nella comunione divina, attraverso Cristo (per questo Gesù dice che dobbiamo essere battezzati, che dobbiamo nutrirci del Suo Corpo, che dobbiamo essere perdonati dei peccati e riconciliati con Dio) (v. Questione 5.4 e 6).

Gesù ci ha detto che non si torna indietro, che c’è una vita sola (non posso dire “la prossima volta farò meglio”!) e che non si passa dall’inferno al paradiso e viceversa (cfr. Lc 16,26).

Gesù non ci ha detto invece quando avverrà la fine del mondo (cfr. Mc 13,32), così come non sappiamo quando la nostra vita singola finirà, ma ci ha richiamato continuamente ad essere vigilanti, pronti, cioè ad essere trovati nella Sua grazia, nella Sua comunione.

Sullo stato dei nostri corpi nell’aldilà non ci ha detto molto: solo che non avremo più bisogni materiali (alimentari, sessuali) ma saremo come angeli (cfr. Mt 22,30), cioè in una dimensione in cui anche il corpo sarà spiritualizzato e uscito dai limiti spazio-temporali.

 

 

7.3: È una nuova teoria, una dottrina o un fatto, una certezza, una verità indubitabile? 
Proprio perché Gesù è Dio, non possiamo dubitare della Sua parola. Quindi ora sappiamo con certezza che nell’aldilà c’è Dio (Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo), che nella Sua infinita misericordia ci chiama alla comunione con Sé, che questo è il significato della nostra vita, ma che potremmo anche dannarci per sempre rifiutando questo Suo Amore.

Proprio il fatto che Gesù sia risorto - fondamento di tutta la fede cristiana (v. Questione 4.7) - dimostra non solo che Gesù è davvero l’unico vero Dio, ma che la morte è vinta, che anche noi risorgeremo e che in Cristo possiamo salvarci dalla dannazione eterna e partecipare alla vita di Dio per sempre (cfr. 1Cor 15).
 

 
 

7.4: Cosa avviene nell’istante in cui moriamo?

Che moriremo è la cosa più sicura, mentre quella più insicura è quando (anche se normalmente avviene nella tarda età). Per questo Gesù ci invita continuamente ad essere vigilanti e pronti, cioè ad essere sempre in comunione con Lui, nella grazia di Dio.

L’ora della nostra morte è quella più decisiva della vita e per il nostro destino eterno. Non a caso preghiamo continuamente la Madonna (in ogni “Ave Maria”) di assisterci in ogni momento ma specialmente in quell’ora.

Cristianamente chiediamo al Signore di risparmiarci possibilmente una morte immediata e non cosciente, così da prepararci invece bene all’incontro con Lui, nella preghiera e soprattutto potendo confessare tutti i nostri peccati ad un sacerdote, ricevendo il sacramento dell’Unzione degli Infermi e facendo l’ultima Santa Comunione (detta “Viatico”). Al di là della delicatezza del momento e delle questioni di ordine psicologico, non è per questo da cristiani nascondere ad un moribondo ciò che sta per avvenire. Potrebbe dipenderne tutta la sua eternità!

Per entrare in paradiso l’anima deve essere trovata “in grazia di Dio”. La via ordinaria è ricevere questi sacramenti. Anche una Confessione alla fine può salvare un’intera vita (cfr. Lc 23,39-43). Ma in modo straordinario Gesù può dare valore di pentimento anche ad una semplice e profonda invocazione alla Sua misericordia, al bacio di un Crocifisso, cioè a qualsiasi segno di amore a Lui.

Nell’istante della nostra morte, l’anima si distacca dal corpo (che non è infatti più “animato”, cioè è morto) e si incontra subito con Dio. Da quel momento non possiamo più volontariamente cambiare, perché è terminato il tempo e comincia l’eternità. Avviene così subito il giudizio particolare di Dio (della nostra singola anima), così che o siamo salvi (paradiso) o dannati (inferno), per sempre. Chi muore già nella comunione con Cristo, ma non perfettamente, può essere ulteriormente purificato da Dio nel Purgatorio.
 

I funerali oggi (esequie cristiane?)

L’incoscienza e la perdita della fede cristiana, anche nei Paesi che l’hanno avuta per 2000 anni, si evidenzia anche e forse soprattutto di fronte alla morte e perfino in occasione dei funerali.

Si vive come se la morte non ci fosse e non ci fosse il giudizio di Dio. Si crede che siamo come gli animali (o addirittura che gli animali siano superiori a noi) e che la morte è la fine di tutto. Si gioca con la morte (ad esempio sulle strade). Si muore banalmente, senza pensare all’anima.

Nei funerali (purtroppo sempre più anche le esequie cristiane) si fanno gli applausi e tutti i morti sarebbero già in paradiso. In realtà noi non ci troviamo semplicemente “per dare l’estremo saluto”, né tanto meno per fare degli “elogi funebri” (di cui il defunto non sa che farsene), dove appunto tutti sembrano essere stati bravi, ma per celebrare la fede in Cristo e chiedere la misericordia di Dio (suffragio) per l’anima di quel defunto (se fosse in Purgatorio, perché se fosse già in Paradiso non avrebbe bisogno delle nostre preghiere e se fosse all’Inferno ogni preghiera sarebbe inutile).

La certezza che un’anima sia già in paradiso è data solo dal giudizio (in questo caso infallibile) del Papa mediante la “canonizzazione” e dopo un rigorosissimo processo, che può durare secoli, e che richiede pure un miracolo certificato (anche scientificamente) avvenuto dopo la morte di quel defunto e per sua intercessione.

 

Il corpo morto
Come si può vedere anche nell’Aiuto per fare bene l’esame di coscienza (circa il 5° comandamento), la fede cristiana nella “risurrezione della carne” lascia al corpo di un defunto, pur in disfacimento provvisorio dopo il distacco dell’anima, una grande dignità personale, in attesa della risurrezione alla fine del mondo. Per questo nelle esequie cristiane si incensa anche la bara, cioè si onora anche il corpo del defunto; ed è moralmente doverosa la sepoltura. Il corpo umano non è mai “una cosa”, né da vivo né da morto. 
La cremazione, se fatta in avversione alla fede nella risurrezione della carne (come era specialmente in passato) è proibita e impedisce pure il funerale cristiano. Se non richiesta per motivi di ostilità alla fede cristiana nella "risurrezione della carne", la cremazione può essere concessa; anche le ceneri devono però essere sepolte, non tenute in privato né tantomeno disperse nella natura (pratica neo-pagana o panteista) (v. Istruzione della Congregazione per la Dottrina della fede del 15.08.2016)
Anche la donazione degli organi è lecita se fatta su un corpo realmente morto (se l'organo è vitale) e per motivi di carità, non per disprezzo del corpo defunto, come se fosse una cosa, un insieme di organi, perché tutto l’uomo (anima e corpo) ha diritto alla propria integrità ed è destinato alla risurrezione.


 

 

7.5: Cosa avverrà alla fine del mondo?

La fine del mondo ci sarà sicuramente (Gesù ce ne ha parlato in molti modi) e non sarà il semplice esaurimento delle energie solari o cosmiche; anzi, sarà improvvisa. Come alla morte e risurrezione di Gesù, la fine sarà preceduta dall’apparente vittoria del diavolo (cfr. Ap 13,8; 20,7-10) e proprio allora si manifesterà invece tutta la vittoria di Cristo, centro del cosmo e della storia, Signore della vita e della morte, e la Chiesa si unirà gloriosa al Suo Sposo (Cristo). Per questo in quel momento finale Gesù ritornerà - non sono previste venute intermedie, anzi Gesù ci ha messo in guardia da questo possibile inganno (cfr. Mt 24,4; Mc 13; Lc 21,8) - e tutti gli uomini vissuti lungo tutta la storia dell’umanità risorgeranno, cioè le anime di tutti i defunti della storia rientreranno nei loro corpi (che, anche se ormai decomposti e inesistenti, risorgeranno in una nuova dimensione) e saranno sottoposti al giudizio di Cristo Signore (Giudizio universale). Tutti Lo vedranno, tutti capiranno che erano nati per questo (cioè per partecipare alla vita di Dio in Cristo), e nessuno potrà sfuggire al Suo giudizio. Anche il Purgatorio finirà. Rimarrà solo l’Inferno e il Paradiso, per sempre.

Anche la natura, cioè la creazione, che trova nell’uomo il suo culmine ed è fatta per Cristo (“per mezzo di Lui tutte le cose sono state create”, come diciamo nel Credo - cfr. anche Ef 1,10), che attendeva la nostra conversione e la venuta del Regno di Dio (cfr. Rm 8,22), sarà trasformata e ci saranno “cieli nuovi e terra nuova” (cfr. 2Pt 3,13; Ap 20,11 e 21,1.5).



 

7.6: Cos’è il Paradiso?

La parola paradiso significa giardino e si riferisce inizialmente a quel “paradiso terrestre”, descritto all’inizio della Bibbia, che era la condizione dell’uomo prima del peccato originale, quando viveva in amicizia di Dio e non conosceva per questo ancora il male, la sofferenza, la malattia e la morte.

Il Paradiso ovviamente non è un luogo, non essendoci nell’aldilà lo spazio-tempo (che sono caratteristiche di questo mondo fisico), ma è Dio stesso, che ci si è rivelato come SS.ma Trinità, cioè come la comunione perfetta del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dio è infinito, Verità suprema, Bene Sommo (felicità infinita), Bellezza insuperabile, Vita in pienezza, Amore infinito. Il Padre ci ha creato e ci ha chiamato in Cristo e per il dono dello Spirito Santo ad entrare in questa comunione intra-trinitaria, a diventare cioè Dio per partecipazione alla vita di Dio.

Ecco perché nell’uomo c’è una fame di infinito, una ricerca naturale di Dio, anche quando non se ne rendesse conto. Siamo stati creati per questo. Con una parola sola si dice che siamo al mondo “per diventare santi”, cioè partecipi della vita di Dio (unico vero e tre volte Santo).

Gesù dice: “Questa è la vita eterna: che conoscano te (o Padre), l’unico vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).

Anche al cosiddetto “buon ladrone”, crocifisso con Lui, Gesù dona - a motivo della sua fede in Lui e nonostante la sua vita da peccatore - la certezza che quello stesso giorno, appena morto, sarebbe stato con Lui in Paradiso (Lc 23,39-43).

 

7.7: Cos’è l’Inferno?

Quando Dio ha creato degli esseri liberi (gli angeli e poi gli uomini) - e la libertà è un dono immenso perché permette una risposta d’amore ed anche il merito di poterla dare - ha certamente voluto correre il rischio che come tale, cioè come libertà, potesse anche pervertirsi e volgersi in direzione opposta al motivo per cui era stata data, cioè contro Dio, contro l’amore, capovolgendo quindi il merito in colpa.

Per questo, a motivo di un insano orgoglio (voler essere non più creature ma Dio stesso), già alcuni angeli hanno pervertito la loro volontà, perso la loro bellezza e dignità, e sono diventati demoni (diavoli). Già così è nato l’Inferno, cioè una stato eterno di ribellione a Dio, di rifiuto del Suo Amore, pur rimanendo fatti per Lui.

Anche gli uomini, fin dall’inizio, ingannati e tentati dal diavolo, hanno pervertito la propria libera volontà in rifiuto di Dio (per essere “come” Dio), hanno perso così la loro dignità, innocenza, bellezza e sono entrati in una vita rovinata dal peccato e sempre più deturpata dai peccati personali e collettivi.

Gli angeli, non essendo nel tempo, in un unico irreversibile atto della loro libera volontà si sono decisi per Dio (rimanendo angeli) o contro Dio (divenendo diavoli), e non possono cambiare.

Per l’uomo invece, essendo ancora nel divenire del tempo, Dio non si è rassegnato a vederli tutti perduti (dannati) per sempre, ma è venuto sulla Terra, è morto per i nostri peccati ed è risorto per renderci non solo di nuovo innocenti (per grazia), ma figli nel Figlio e quindi partecipi della vita divina.

Questo in ogni singola persona avviene già con il Battesimo-Confermazione-Eucaristia, cioè l'<Iniziazione cristiana> che ci inserisce in Cristo, ci dona lo Spirito e ci introduce fin d’ora nella Comunione della Santissima Trinità. Anche i nuovi peccati commessi dopo il Battesimo possono essere sciolti (assolti) nella infinita  misericordia di Dio (con la Confessione).

Il diavolo fa di tutto perché anche noi entriamo nella sua dannazione. Per questo tutta la vita è anche una lotta (soprattutto interiore, prima che sociale) tra il bene e il male, tra il Regno di Dio e l’opera di Satana (principe dei diavoli), che vuol renderci suoi schiavi per sempre.

Dio ci dona tutte le grazie necessarie per salvarci e diventare santi e fino alla fine ci offre il Suo amore e la Sua misericordia, con gli strumenti (la Chiesa, i sacramenti, la Sua Parola) che Egli ha voluto per operare in noi questo progetto d’amore. Ma se l’uomo, il singolo uomo, anche quando conosce questo, si ostina a rifiutarlo - o direttamente o anche indirettamente con le scelte di vita opposte alla legge di Dio - e giunge sino alla morte in questo rifiuto, Dio non può più salvarlo, perché non può obbligarlo all’amore. Tale uomo va dunque incontro alla dannazione eterna, cioè all’Inferno.

Perché l’Inferno è una sofferenza infinita ed eterna? Perché nonostante questo rifiuto di Dio, che con la morte si è per così dire fissato per sempre, il suo essere rimane ugualmente fatto per Dio, per cui entra come in una perenne contraddizione interna, rifiuta per sempre ciò per cui è fatto (anche l’immagine del fuoco delinea l’ardere di questa contraddizione nel proprio essere).

La sofferenza infinita è data da questo perenne rifiuto di Dio ed è infinitamente disperata perché non c’è la minima speranza che tale condizione possa cambiare, per sempre, per tutta l’eternità.

 

Siamo talmente fatti per Dio, che l’amicizia di Cristo ci permette di sperimentare già nella vita terrena la bellezza della comunione con Dio; mentre il rifiuto di Dio, di Cristo, della Sua Parola e del Suo Amore, pian piano, aldilà delle illusioni iniziali, ci fa sperimentare un progressivo vuoto interiore che è già angosciante in questa vita. In fondo l’Inferno e il Paradiso cominciano già di qua, nella vita terrena.



 

7.8: Com’è possibile che ci sia l’Inferno se Dio è amore e ci ama infinitamente?

Dio non ha creato nessuno per l’Inferno ma tutti sono creati per il Paradiso, per diventare santi, cioè partecipi della Sua vita, del Suo Amore. In Gesù, attraverso la Chiesa, ci sono dati tutti i doni (le grazie) necessari per andarci, cioè per essere salvi. Ma proprio perché deve essere una risposta d’amore all’Amore non può che essere una risposta libera. Se Dio ci togliesse la libertà che ci ha dato in fondo non ci amerebbe perfettamente. Per questo, possiamo dire che Dio soffre d’amore nel vedere il nostro rifiuto, nel vedere che noi ci autoescludiamo dal Suo amore, dalla gioia infinita del Paradiso.

La Sua misericordia, manifestatasi pienamente nella Croce di Cristo, è infinita. Sulla Croce Gesù paga per tutti i nostri peccati, prega e chiede al Padre di perdonare perfino i suoi uccisori, dona il paradiso all’ultimo momento anche al “buon ladrone” crocifisso con Lui e che lo implora umilmente di ricordarsi di Lui nel Suo Regno. Ma se c’è il rifiuto di Lui, del suo amore, dei suoi comandamenti, e perfino del suo perdono, non c’è alternativa: potrebbe salvarci solo togliendoci la libertà, ma non sarebbe più una risposta d’amore, non ne avremmo alcun merito, non sarebbe una risposta personale nostra.

L’uomo ha dunque la drammatica e tristissima possibilità di autoescludersi dal Paradiso, dalla vita di Dio, o con un rifiuto esplicito di Cristo o anche con un rifiuto indiretto - cioè vivere come se Dio non ci fosse, come se Gesù non fosse venuto, come se non ci avesse parlato - e soprattutto con il rifiuto anche della Sua infinita misericordia (morendo senza riconoscere e confessare i propri peccati mortali).


 

 

7.9: Perché nell’Aldilà non si può cambiare? Perché è per sempre?

Divenire, cambiare, è caratteristica di un essere in divenire, che è nel tempo, che può quindi pian piano, con le proprie scelte morali, migliorare o peggiorare.

Dall’istante della morte, il tempo finisce e comincia l’eternità. Eternità non significa infatti una lunghezza infinita di tempo, ma un essere senza tempo (“tota simul”, dicevano in latino, cioè non più un passato-presente-futuro ma un tutto insieme, in un unico presente, come è in Dio).

Per questo è decisivo il momento della nostra morte, perché lo stato (di grazia o di peccato) della nostra anima rimane per così dire fissato per sempre come è trovato in quel momento, non potendo più compiere scelte, che invece possiamo e dobbiamo (nel bene) compiere fin che siamo nella vita terrena, temporale.


 



 

7.10: Cos’è il Purgatorio?

Nell’eternità, dopo la fine del mondo e il giudizio universale, non ci sarà più il Purgatorio, ma solo l’Inferno e il Paradiso.

Come indica la parola, il Purgatorio è una condizione dell’anima che è al momento della morte del corpo era già nella comunione con Cristo (si chiamano infatti già “anime sante del purgatorio”), ma o per la presenza di peccati veniali o per il residuo di pena (*) o comunque per un amore di Dio ancora tiepido e imperfetto, non è pronta per incontrare subito Dio, ma deve essere ancora purificata e innalzata, per poter essere in grado di vedere Dio e godere appieno del Suo Amore.

(*): La pena è quella ferita che rimane nell’anima anche quando il peccato mortale è stato confessato e assolto; ma può essere scontata anche in questa vita o con le sofferenze sopportate con amore e offerte a Dio, con delle preghiere, e soprattutto con le indulgenze, che si possono ottenere da Dio e dalla Chiesa con particolari preghiere, atti di carità, in luoghi (certe chiese o santuari) o tempi particolari (ad esempio nei Giubilei o in tante altre speciali circostanze spirituali).

L’indulgenza può essere applicata anche ai defunti (non ad altri, oltre a sé, che sono ancora in vita) e può essere parziale o totale (plenaria).

Il Purgatorio è uno stato di grande sofferenza dell’anima, ma ormai sostenuta dalla certezza di essere salvati, perché dal Purgatorio si passa poi infallibilmente in Paradiso.

Questa purificazione ultraterrena non può essere opera dell’anima stessa (che non può più scegliere) ma della misericordia di Dio, cui Dio però associa anche la preghiera e i meriti della Chiesa.

Le anime del Purgatorio pregano per noi (chissà quanti nostri avi, parenti, amici defunti lo fanno!); e noi possiamo (e dobbiamo) pregare per loro, per diminuire o accorciare questa loro purificazione.

Nella “comunione dei santi”, cioè tra i cristiani che sono ancora nella vita terrena e quelli che sono in Paradiso o in Purgatorio, c’è una profonda unione: la anime sante che sono in Paradiso e in Purgatorio pregano per noi, noi possiamo pregare per aiutare le anime del Purgatorio e possiamo pregare le anime già in Paradiso (Santi) perché intercedano per noi presso Dio (loro ovviamente non hanno bisogno della nostra preghiera, essendo già nella perfetta beatitudine del Paradiso). Le anime che sono all’Inferno, avendo chiuso ogni comunione con Dio, hanno anche chiuso ogni comunione con noi. Ogni nostra preghiera sarebbe ovviamente inutile per loro, non potendo più cambiare e salvarsi.

Ogni preghiera cristiana per i defunti è quindi in fondo preghiera per le anime del Purgatorio. Dal semplice “L’eterno riposo” alla suprema preghiera per loro che il sacerdote eleva a nome di tutti in ogni S. Messa. Possiamo offrire per loro anche i nostri sacrifici ed applicare a loro anche le indulgenze (nei modi stabiliti).

È preziosa e diffusa tradizione cristiana che si facciano celebrare delle Sante Messe anche per una singola anima (parenti, amici, conoscenti defunti), offrendo in sacrificio anche una relativa offerta al sacerdote celebrante.

Su una possibile purificazione nell’aldilà Gesù fa solo un cenno (cfr. Mt 12,31), ma la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, ha sempre elevato a Dio preghiere e Sante Messe di suffragio per i defunti: il che significa, vista l’inutilità di pregare per i defunti che fossero all’inferno o in paradiso, che si è sempre creduta questa ulteriore possibilità di purificazione per entrare in Paradiso.


 

 

7.11: Le nostre decisioni e scelte terrene incidono positivamente o negativamente sull’aldilà? Cioè, andare all’Inferno o in Paradiso dipende da noi?

Il grande disegno divino, che riguarda addirittura il cosmo, è quello di “ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1,10). L’uomo è stato poi creato da Dio “a sua immagine e somiglianza” per poter partecipare alla vita di Dio.

Tutti i singoli uomini nascono quindi per unirsi a Cristo e sono chiamati a partecipare per sempre alla vita di Dio, che ci è donata in Cristo (vero Dio e vero uomo) e per opera dello Spirito Santo. In altri termini, ogni uomo è al mondo per diventare santo e può avere da Dio le grazie necessarie e sufficienti perché questo disegno d’amore si compia. Per questo, l’alternativa è l’inferno, perché appunto anche nel rifiuto di Dio il nostro essere rimane fatto per Lui.

È terrificante pensare, come nella Riforma protestante, che l’esito eterno (di beatitudine o dannazione) non dipenda da noi ma sia una sorta di “predestinazione”. Sarebbe davvero meglio non nascere che nascere per l’inferno.

Pur essendo salvi per “grazia”, cioè per i meriti di Cristo, crocifisso e risorto per noi, spetta però a noi accogliere questo immenso e gratuito dono e viverne le conseguenze nella vita quotidiana. Rimane quindi affidata a noi la responsabilità dei nostri atti e della nostra adesione o rifiuto di Cristo: Egli “sta alla porta e bussa”, dipende da noi aprirgli o no (cfr. Ap 3,20).

L’uso della nostra libertà, se nell’obbedienza a Cristo o nel rifiuto di Lui, ha conseguenze eterne: in fondo scegliamo noi di andare in Paradiso o all’Inferno.

Questa è una terribile responsabilità; ma ci dona anche la forza e la gioia di “combattere la buona battaglia” (cfr 2Tm 1,3-6.11-12; 4,6), ci sospinge a fare ogni sforzo, ci dona una giusta gerarchia di valori. Dio e andare con Lui per sempre (Paradiso) è l’unico vero assoluto, mentre tutto il resto è relativo. Dice Gesù: “Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?” (Mt, 16,20). Questo è il vero tesoro (cfr. Mt 6,19-34; 13,44; Lc 12,33). Questo deve essere l’amore più grande (cfr. Mt 22,37; Lc 14,26).

Questo ci libera dalla sempre incombente tentazione, visto il nostro bisogno di assoluto, di crearci dei falsi assoluti (idoli), che prima o poi ci deluderebbero o perfino ci distruggerebbero. Vivere nella prospettiva dell’eternità ci richiama all’essenziale, ci rende davvero liberi, non schiavi dell’idolo del momento, del giudizio degli altri.

 

Del resto comprendiamo che, corta o lunga che sia la vita, essa è comunque infinitamente corta rispetto all’eternità, come è infinitamente piccolo un segmento (corto o lungo che sia) rispetto ad una semiretta.

Per questo Gesù, pur avendo amorevole attenzione anche ai bisogni materiali della vita presente (e ci insegna a fare altrettanto per il prossimo), però proietta tutto sull’essenziale, cioè sull’aldilà. Perdere l’anima, perdere Dio, perdere il Paradiso è la vera “disgrazia” (com’è significativo che in italiano indichiamo con questa parola anche un incidente, un dolore; ma la parola indica appunto la vera “dis-grazia”, cioè la perdita della grazia di Dio), a confronto della quale ogni disgrazia terrena, anche la più terribile, è poca cosa, come dice Gesù (cfr. Lc 13,1-5). I santi dicevano perfino: “è tale il bene che mi aspetto che ogni pena m’è diletto”.

Del resto, non sarebbe davvero ingiusta la vita, specie con alcuni, se avessimo solo questa vita? Perché uno muore bambino e uno invece anziano? Perché uno è intelligente e un altro stupido? Perché uno è bello e uno è brutto? Perché uno nasce in un Paese ricco e uno in un Paese povero, uno in una  buona o in una pessima famiglia? Non sarebbe insopportabile, se avessimo solo questa vita? se ogni sofferenza, specie se offerta unitamente alle sofferenze di Cristo in croce, non ci ottenesse un premio eterno (ottenendo perfino grazie per altri)?

Questa prospettiva non toglie affatto l’impegno nel presente (come era l’accusa di Marx, che sulla scia di Feuerbach considerava per questo la religione come alienante, come “oppio dei popoli”), ma anzi proprio il contrario, cioè proprio il sapere che ogni mia più piccola scelta terrena ha conseguenze eterne, che ogni sacrificio e impegno, anche se non visto dagli uomini o immediatamente non gratificato dai risultati, è visto da Dio ed avrà un premio eterno, così come ogni colpa avrà, se permane nell’anima, conseguenze negative eterne, tutto questo permette di avere la carica giusta per affrontare qualsiasi situazione, perché tutto abbia valore e senso, perché non giunga più il momento in cui ci viene da dire “chi me lo fa fare”. Possiamo sempre dire: “me lo fa fare Dio … e me ne donerà anche il premio”.

Invece, come si capisce facilmente, proprio la perdita della consapevolezza del premio o del castigo eterno toglie energia e forza al cammino dell’esistenza umana, mai privo di difficoltà (croci); ed ha perfino enormi conseguenze sociali, in quanto se si fanno le cose solo per gli altri o per una gratificazione personale, è assai più facile abbandonarsi al comodo, all’egoismo, alla disonestà, alla delusione, all'“intanto così fan tutti”.

Questo non ci deve far cadere in una paura angosciante, ma non ci lascia neppure “addormentati” (quante volte Gesù ci dice “vegliate!”: cfr. Mt 24,42; 25,13; 26,38.41; Mc 13,33.37; 14,34.36; Lc 21,36) in una pericolosissima superficialità. Si può dire che è essenziale avere anche un giusto “timor di Dio”.  

Quali danni morali provoca in un bambino o giovane che cresce la perdita del “timor di Dio”, cioè di questa consapevolezza, come se alla fine il bene e il male avessero lo stesso esito. Quali conseguenze anche sociali ha questo non “dover più rendere conto a Dio”: pian piano non vogliamo rendere conto più a nessuno, neppure alla nostra coscienza; allora occorrono continui controlli (statali, dei superiori), e poi occorrerà controllare chi deve controllare … ed alla fine chi controlla i supremi controllori? L’uguale esito del bene e del male, dovuta alla perdita della consapevolezza del giudizio finale di Dio, conduce da un lato ad un relativismo morale (il bene e il male sono soggettivi, lo Stato dovrebbe garantire solo la libertà) e dall’altro a creare una società dove “tutti accusano tutti” e dove lo Stato rischia di diventare poliziesco (un supercontrollore di tutti, ultimamente in mano ad un potere che non accetta di essere controllato perché si sente portavoce dell’autentico bene di tutti). È già avvenuto dalla rivoluzione francese in poi (dove la libertà si è trasformata in terrore), nelle ideologie totalitarie del XX secolo (comunismo e nazismo); ed oggi può accadere - in modo più subdolo ma non meno violento - con le false democrazie (fondate sul relativismo etico) che rischiano di diventare “dittature del relativismo”; ed ora, con l’aiuto dell’elettronica, i controlli possono diventare immensamente più spietati che nelle dittature passate. Diceva S. Giovanni Bosco: “Se togliete il prete dalla società (cioè la formazione cristiana), dovrete mettere carabinieri (cioè forze dell’ordine) ovunque”.

Come potremmo accettare, al di là del giudizio sulla singola anima, che spetta solo a Dio che solo può davvero conoscere, che Hitler o Madre Teresa di Calcutta abbiano lo stesso esito eterno? 

Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo - potrebbe esserlo, visto che tutti quelli che sono morti improvvisamente non l’avrebbero mai detto la mattina stessa quando si sono svegliati - non è un incubo. Per chi ha scoperto Cristo e il senso vero ed eterno della vita, è scoprire e vivere ogni cosa secondo il suo autentico significato, come un dono da trafficare e di cui rendere conto a Dio (cfr. Mt 25). Sapere che ogni giorno devo e posso abbandonare sempre più il peccato, che ogni sforzo sarà premiato, che posso crescere sempre più nella grazia e nell’amore per Dio e per il prossimo, dona senso al cammino, rende uno spirito giovane, cioè con la voglia e la possibilità di crescere, anche in un anziano; senza questa prospettiva potrebbe invece essere vecchia anche l’anima di un giovane (quando dice “son fatto così”, non combatto neanche più, mi lascio andare).

Ogni giorno posso aumentare la mia felicità eterna, salire sempre più verso Dio, oppure posso tragicamente allontanarmi sempre di più, cadere sempre più nel peccato, divenire schiavo del male e del demonio, aumentare la mia disperazione eterna.

Questa è una grande spinta contro l’accidia: il tempo scorre, non ritorna, le grazie sciupate non tornano (anche se Dio potrà darcene altre).

Questo è il vero “carpe diem”, non quello che coglie l’attimo fuggente senza alcun senso, senza sapere dove sta correndo, fuggendo, il tempo!

 

Per questo Gesù non ci ha detto “né il giorno né l’ora” in cui terminerà la nostra vita (o il mondo stesso) e dovremmo comparire tutti davanti al giudizio di Dio, sia che ci crediamo sia che non ci crediamo.

Dobbiamo quindi uscire dai seguenti errori:
- quello (eresia pelagiana) di pensare che ci “guadagniamo” il paradiso con le nostre forze, mentre fondamentalmente è Gesù che ci ha guadagnato il paradiso con la Sua croce;
- quello opposto (eresia protestante) di considerare che noi non dobbiamo far niente perché c’è solo la grazia di Dio e noi non possiamo far altro che peccare (con la conseguente idea dei predestinati alla salvezza o alla dannazione);
- quello (oggi di moda anche in ambienti cristiani) di considerare l’inferno come inesistente (o vuoto, che è la stessa cosa, visto che l’inferno non è un luogo ma uno stato delle anime), perché la misericordia divina salverebbe tutti, anche quelli che non vogliono essere salvati, che rifiutano volontariamente la fede, i comandamenti e gli strumenti (sacramenti) per essere salvati, come se in fondo Dio abolisse la nostra libertà e facesse tutto Lui.

Sono proprio questi errori che da un lato gettano nella disperazione (Dio non può salvarmi perché sono troppo peccatore) o lasciano nella presunzione (posso salvarmi con il solo sforzo della volontà, impegnandomi, senza bisogno della preghiera, dei sacramenti, della grazia di Dio, dell’aiuto della Madonna), e dall’altro ci tolgono la voglia e la forza di fare il buon combattimento contro il peccato (tanto mi salvo sicuramente perché Dio è buono), la ricerca della grazia di Dio, banalizzando in fondo sia la nostra dignità e libertà umane che lo stesso amore di Dio, come pure la bellezza della Sua “chiamata” alla santità.



 

7.12: Possiamo avere un contatto con l’aldilà, coi nostri cari? come?

Nell’esperienza cristiana, cioè nella vera comunione con Dio che si sperimenta già in questa vita, in Cristo e per il dono dello Spirito, il cielo e la terra si toccano continuamente, sia pur in modo misterioso. Nella comunione dei santi esiste quindi un profondo legame non solo tra i cristiani che vivono ancora pellegrini su questa terra (Chiesa pellegrinante o militante), ma anche con coloro che sono in Purgatorio (Chiesa purgante) e con coloro che sono già santi in Paradiso (Chiesa trionfante).

Come Madre di Gesù, che ci ha affidati a Lei sotto la Croce, e per la più alta partecipazione alla vita della SS.ma Trinità che gode in Paradiso, anche già col suo corpo, la Madonna ci ama, ci assiste, ci guida e intercede per noi in modo continuo ed efficace, specie se apriamo a Lei il nostro cuore e ci lasciamo guidare da Lei. I Santi ci sono particolarmente vicini e di aiuto; anzi, qualcuno di loro in modo perfino particolare, come i nostri Patroni e quelli cui ci sentiamo particolarmente legati e che preghiamo più frequentemente.

Anche gli Angeli sono lieti di servire Dio anche aiutandoci nel cammino terreno, specie quel particolare Angelo (custode) a cui siamo stati personalmente affidati fin dal momento del nostro concepimento. Dobbiamo essere invece consapevoli che purtroppo, fin che siamo in questa vita, il demonio (i diavoli, cioè gli angeli decaduti) cerca continuamente di tentarci, per trascinarci nel suo stato di dannazione (inferno); dobbiamo essere vigilanti (cfr. 1Pt 5,8-9) ma anche sicuri che il demonio non può nulla contro Dio, contro Maria Santissima (cfr. Gen 3,15 e Ap 12), contro l’arcangelo Michele (che lo combatte, cfr. Ap 12,7) e contro di noi, se stiamo sotto la loro protezione e non gli apriamo le porte della nostra anima.

Nella Liturgia della Chiesa questa comunione tra Cielo e terra è particolarmente forte (pensiamo quando, nell’introdurre col Sanctus il Prefazio della Preghiera Eucaristica, si dice che noi “uniti agli Angeli ed ai Santi cantiamo …”); anzi, proprio la (divina) Liturgia della Chiesa è quasi un anticipo della perfetta e solenne Liturgia del Cielo (ed anche nella sua bellezza dovrebbe darcene un segno). Proprio nella Liturgia Eucaristica (della S. Messa), come invochiamo l’intercessione della Madonna e dei Santi, c’è sempre una particolare preghiera per le anime del Purgatorio; e proprio facendo celebrare delle SS. Messe per loro possiamo più che mai aiutarle.

Possiamo così essere davvero uniti anche ai nostri cari defunti. Se sono già in Paradiso (Santi), possiamo chiedere il loro aiuto e la loro preghiera presso Dio, affinché siamo sostenuti nelle vicende della vita e soprattutto camminiamo sulla vera strada di Dio, nella Sua grazia, così che un giorno viviamo anche con loro l’infinita gioia del Paradiso. Anche se sono in Purgatorio, essi possono pregare per noi; e noi possiamo e dobbiamo pregare per loro (offrire sacrifici, far celebrare SS. Messe, ottenere indulgenze e offrire opere di carità per loro, cioè in loro suffragio), avvicinandoli così più rapidamente alla piena comunione con Dio in paradiso. Questo per loro è immensamente più gradito di altre forme di ricordo (lapidi, fotografie, fiori), pur lecite, se fatte nell’ottica cristiana della “comunione dei santi” e non nell’ottica pagana del “culto dei morti”.

 

Dobbiamo invece cristianamente diffidare di qualsiasi altra pretesa di “contatto con l’aldilà”, che non solo è deviante dalla concezione cristiana e quindi autentica dell’aldilà, ma può essere morbosa (i nostri morti certamente non lo vorrebbero), peccaminosa (forme di superstizione, di magia, di autosuggestione psicologica; v. il ricorrere a persone che si definiscono “medium”, maghi o comunque intermediari con l’aldilà) e perfino estremamente pericolosa per la nostra anima. Infatti assai spesso, questa pretesa di aprire delle porte sull’aldilà e di avere contatti coi morti (come nelle “sedute spiritiche”) apre invece anche involontariamente le porte al diavolo, che non solo può intervenire facendoci credere, magari anche con qualche segno convincente, che sia un nostro caro defunto, ma rimanendo poi in qualche persona (possessione) o nel luogo dove ciò è stato fatto (infestazione), il che, come si può facilmente comprendere, è estremamente fastidioso e pericoloso.

Qualora invece fossimo raggiunti gratuitamente, cioè senza averlo cercato, da qualche segno straordinario dall’aldilà (dai morti, dai Santi), non diamone comunque la priorità rispetto al “via normale” che Gesù stesso ci ha indicato e lasciamo al giudizio autorevole e ufficiale della Chiesa il riconoscimento della loro autenticità. In fondo è il criterio da assumere, anche là dove ci fossero effettivamente particolari ed eccezionali segni spirituali, quali le esperienze mistiche, o particolari effetti dello Spirito Santo, e perfino le apparizioni della Madonna o di Gesù stesso.



 

7.13: Se la salvezza c’è solo in Gesù, chi non crede in Lui è dannato?

Abbiamo già parlato di questo nella Questione 4.12 e abbiamo osservato come, anche se ciò sembra strano per la cultura dominante relativista, la salvezza eterna ci è data solo in Gesù Cristo ed attraverso i “canali di grazia” da Lui stesso voluti e che si trovano in pienezza solo nella Chiesa Cattolica.

Del resto, negare questo, sarebbe come vanificare tutta l’opera della Redenzione compiuta da Cristo a prezzo non solo del Suo abbassamento nell’Incarnazione ma delle atrocità della Sua Passione e morte in Croce. Proprio dalla potenza della Sua morte e risurrezione sono scaturiti i sacramenti che ci donano la vita divina. Se fossimo andati in Paradiso lo stesso anche senza Gesù sarebbe come dire che quello che Egli ha fatto era in fondo inutile; e questa è la più grave bestemmia (in fondo quella che Gesù stesso dice essere imperdonabile in eterno, cfr. Mt 12,31). Se andassimo in Paradiso anche senza la fede in Lui, il Battesimo (cfr. Mc 16,15-16), l’Eucaristia (cfr. Gv 6,51.53-58), sarebbe negare ciò che Gesù stesso ha detto e fatto.

Oggi alcuni (teologi) sembrano affermare che sì la salvezza è solo in Cristo, ma che Egli l’ha ottenuta per tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi, anche se essi non ne fossero coscienti. Se è vero che l’opera della Redenzione ha un’efficacia universale, è altrettanto vero che Dio non ci tratta mai da “automi” ma da esseri coscienti e liberi come ci ha creati e ciò richiede che noi per essere salvi conosciamo l’autentica fede (cristiana), ne diamo il nostro libero assenso (obbedienza), sia con l’intelletto che con la volontà, traducendola nella vita con l’aiuto della Sua grazia. Senza questa certezza sarebbe in fondo vanificata tutta la missione della Chiesa (cfr. appunto Mc 16,15-16).

Ogni uomo ha quindi il diritto e dovere di conoscere Cristo e di partecipare alla Sua vita che ci è donata in pienezza attraverso la Chiesa Cattolica (cfr. Questione 5), la quale ha il dovere di compiere questo mandato (missione) ricevuto da Cristo, per tutta la terra e fino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,16-20).

Questa missione investe in primo luogo gli Apostoli, quindi nella storia i Vescovi, uniti sotto la guida del Papa, e in modo a loro subordinato i sacerdoti, come i “missionari” che portano il Vangelo in terre dove ancora non è conosciuto. È però dovere di ciascun cristiano, battezzato ma anche “cresimato” per questo.

Per i genitori questa responsabilità educativa cristiana è un impegno gravissimo preso davanti a Dio nel sacramento del Matrimonio e quando hanno fatto battezzare da neonati i loro figli; Gesù ha le parole forse più severe proprio per chi ostacola (“scandalo” in greco) o non alimenta la fede dei piccoli (cfr.Mt 18,6).

Chiunque ha una responsabilità educativa (maestri, professori, catechisti, animatori) ha particolarmente questo dovere di donare e far crescere la fede e la vita cristiana in coloro che sono affidati al loro insegnamento (se non sono educatori cristiani, non ostacolino le fede in alcun modo, nemmeno con errori o pregiudizi culturali).

Ciascun battezzato e cresimato ha poi questo dovere specialmente nei confronti del prossimo, cioè in coloro che ci sono più vicini (colleghi, amici, persone che il Signore mette sul nostro cammino, magari proprio per questo). Questa è anche la più grande carità, perché nulla di più grande e importante c’è da dare agli altri che la fede cristiana e la salvezza eterna.

Questa dunque è la via ordinaria della salvezza, quella che oggettivamente conosciamo e Gesù ci ha comandato di seguire e insegnare (cfr. Gv 14,15;15,10).

 

Per quanti sono nati prima di Cristo o per quanti sono nati (nascono e nasceranno) anche dopo e non sono stati ancora raggiunti dall’annuncio di Lui, pur avendone appunto il diritto (e da parte dei cristiani il dovere di annunciarlo), non hanno quindi una colpa, perché non c’è un rifiuto di Lui, ma un’incolpevole ignoranza di Lui. In “via straordinaria” e sempre per i meriti di Cristo, Dio - che conosce la coscienza di ogni uomo - potrebbe salvarli, se almeno hanno obbedito alla legge di Dio che già conoscevano (S. Paolo dice ad esempio che i pagani potevano conoscere Dio anche con la sola ragione e per questo sono colpevoli se sono atei - cfr. Rm 1,16-32) e che in fondo già risuona un poco nella coscienza di ognuno.

Questo potrebbe valere anche per coloro che, pur nascendo in territori già cristiani (magari da secoli o da duemila anni, come l’Europa) e dove è presente la Chiesa Cattolica, di fatto non per colpa loro non conoscono più la “via della vita” (Gesù). È vero che oggi, con l’accresciuta cultura e le innumerevoli possibilità di conoscenza (libri, internet), tale ignoranza di Cristo potrebbe essere anche “colpevole” e quindi già l’indifferenza e la pigrizia potrebbero essere una forma di “rifiuto”.

In fondo solo a Dio, che conosce le coscienze e sa il rapporto tra i doni (talenti) da Lui dati e quelli messi a frutto dalla singola anima (cfr. Mt 25,14-30), spetta il giudizio. Così un’anima può aprirsi alla grazia di Dio anche all’ultimo momento e salvarsi.

Chi invece ha potuto sapere e non ha fatto un cammino di catechesi o comunque non ha curato la propria formazione cristiana; oppure, ancor peggio, ha conosciuto la verità (Cristo, la Chiesa Cattolica, la legge di Dio e gli strumenti della grazia per essere salvati) e l’ha rifiutata, oppure l’ha rifiutata dopo averla accolta (apostasia) e muore “impenitente”, cioè senza la grazia di Dio, non può essere salvato, va inesorabilmente verso la dannazione eterna (inferno).




 

7.14: Perché quella dell’Aldilà è la più grande questione, sfida e scommessa della vita?

Comprendiamo bene come quella della vita eterna sia allora la questione più decisiva dell’esistenza, quella per la quale è terribilmente grave non solo un rifiuto, ma anche già solo l’indifferenza, il rimandare, la pigrizia (accidia).

Non si tratta infatti semplicemente della curiosità sul “cosa c’è poi”, ma di orientare tutta la vita ed ogni suo particolare, cioè ogni scelta, in questa prospettiva. Infatti, che siamo chiamati al Paradiso è dono gratuito di Dio (per tutti) - e questo è il significato della nostra vita, che non dipende da noi - ma che effettivamente ci andremo dipende anche da noi. S. Agostino diceva: “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”. 
Il significato vero ed esauriente della vita è proprio quello che non solo dura nel tempo, ma supera anche il tempo, la morte, non finisce mai, è eterno. Questo deve essere il nostro tesoro, il vero assoluto. Tutto il resto è relativo (Mt 6,19-21.24-34; 8,21-22; Lc 9,59-62; 12,33-48). Tutti i falsi assoluti (idoli) finiscono presto e deludono, comunque finiscono con la morte.
Questa è la bellezza e la drammaticità della condizione umana: che esistiamo è un dono e non una nostra decisione (siamo creati); anche il perché (significato) del nostro essere stati creati non dipende da noi ma è oggettivo, perché è inscritto nel nostro essere (ed è proprio questo che ha provocato la ribellione di Satana ed è anche la radice di ogni nostro peccato personale); che invece si realizzi soggettivamente, cioè per ciascuno di noi, questo significato oggettivo, dipende da noi.

Questa è la decisione più grave, più importante, ed anche più personale della nostra vita. Possiamo infatti essere aiutati o danneggiati dagli altri, ma la decisione deve essere mia, come sarò solo nel momento della morte e di fronte al giudizio di Dio (quello che pensano gli altri di me non conterà nulla!) (cfr. Mt 24,40-41; Lc 17,34-35).

Non siamo padroni della nostra vita, siamo amministratori. Per questo non solo non saremo giudicati dagli altri, ma neppure da noi stessi: cioè se andremo in paradiso o all’inferno non solo non dipende da ciò che pensano gli altri di noi ma neppure da quel pensiamo noi (il “secondo me”, la mia idea, opinione, verità - oggi atteggiamento trionfante!), ma solo da quello che siamo di fronte a Dio, dal Suo giudizio.

E che grande libertà dona questa certezza! Sembrerebbe una rinuncia alla propria libertà ed invece è la sorgente della vera libertà. Non la ridotta libertà illuminista di essere indipendente da tutto e da tutti (per poi in realtà diventare dipendente dagli impulsi, dal denaro, dal potere, dalle mode, dall’ideologia dominante), ma la libertà vera di essere dipendente solo da Cristo (cfr. Gv 8,312.36). Conta solo il giudizio di Dio, di Dio che mi conosce e mi ama più di qualsiasi altro. Questo è ciò che ogni potere mondano non accetta, che cioè ci siano uomini così liberi perché dipendono solo dal giudizio di Dio (cfr. At 4,18-20; 5,26-29).
Questa giusta e autentica prospettiva con cui vivere ogni giorno della vita non la intristisce, come potrebbe superficialmente sembrare, ma le dona anzi l’autentico senso e bellezza, un centuplo fin d’ora (Mt 19,29), una sovrabbondanza (Gv 10,10; 15,11), senza più paura.

Invece chi si nasconde il problema (in realtà fa finta di nasconderlo o si sforza di nasconderlo), chi vive un “carpe diem” inseguendo un attimo fuggente (ed è appunto inquietante che fugga!) per spremervi il maggior piacere possibile, certo che non sazierà, che avrà fine; questo continuo camminare verso un baratro, un nulla, quello che sarebbe il nulla totale della morte, nascondendo la testa sotto la sabbia come uno struzzo, cercando in ogni modo di non pensarci, avendo paura perfino di star solo o di un po’ di silenzio; questo continuo essere schiacciati dal “tutto passa”, dal tempo che scorre … questo sì che è alienante (non la religione), questo sì che è un dormire, un vivacchiare, un sopravvivere, che in fondo logora la vita. 
Questa è la più grande sfida della vita, la vera scommessa, la vera prova, la vera battaglia per cui val la pena combattere. Ed è unica, non ci sarà un’altra vita; qui e su questo ci giochiamo tutto. È l’esame più decisivo ed è unico, non avrà altri appelli. È davvero irragionevole e stupido anche solo il non pensarci. Visto che comunque è davanti a noi.

Perfino se non fossimo ancora proprio credenti, se non avessimo ancora capito, ma concedessimo una sola possibilità su mille o un milione che sia così, il non tener conto di questa Verità sarebbe un rischio troppo grande, eterno, senza possibilità di ritorno. Sarebbe ugualmente stupido non prepararsi, non ricorrere all’amore misericordioso del Padre, alla Confessione dei nostri peccati.

In fondo anche quando firmiamo un contratto d’assicurazione e paghiamo una forte somma per la  polizza, mettiamo le mani avanti: per un’eventualità (un incidente) che speriamo non capiti mai, ma che potrebbe però accadere, siamo disposti a pagare molto.

Che moriamo invece è sicuro, come è sicuro che non torniamo indietro. Perché non assicurarci il Paradiso, che tra l’altro ci è offerto con una polizza già pagata da Dio? Qui il rischio è infinito: la disperazione eterna!

Perfino se ci fosse una possibilità remota che sia così - che ci sia cioè una vita dopo questa vita, che ci sia l’inferno o il paradiso, che dipenda dalla mia accoglienza o no di Cristo (in realtà siamo sicuri perché Gesù ce l’ha detto e Lui  non si sbaglia perché è Dio!) - varrebbe già la pena impegnarci con tutto noi stessi per non perdere questa occasione infinita di felicità.

Come diceva B. Pascal, questa è la vera scommessa. Mettiamo che tu scommetta che dopo questa vita non ci sia nulla e invece io scommetta che sia tutto vero, che cioè sia vero quello che Gesù ha detto e la Chiesa ci insegna. Se avrai ragione tu, non lo saprà mai, perché se c’è il nulla ci sarà anche il nulla di te! Ma se invece avrò ragione io (cioè aveva ragione Dio … e come non potrebbe!), che gioia infinita per me e che disperazione infinita per te! Non è troppo rischioso fare questa scommessa? E non è ancora più rischioso restare indifferenti?

Non ci sarà un’altra opportunità!

Una volta Gesù ci ha aperto una finestra sull’aldilà (cfr.Lc 16,19-31), raccontandoci di uno che dall’inferno, soffrendo terribilmente senza poter avere alcun sollievo, senza poterne più uscire, dice di avvisare i suoi parenti che sono ancora sulla terra perché non vadano anche loro lì. Gli viene risposto che hanno la Parola di Dio per saperlo. Quel poveretto insiste e dice che se andrà però uno dall’aldilà a dirlo loro potrebbero svegliarsi e cambiar vita. Gesù conclude: “Non sarebbero persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”!

Possibile che dopo duemila anni dalla venuta di Cristo, cioè di Dio stesso sulla terra, duemila anni dopo la Sua risurrezione, ancora dormiamo, stiamo a discutere, a non pensarci, a perdere tempo, a non convertirci, a non camminare speditamente con Lui e verso di Lui?



 

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