50 anni di divorzi in Italia
[1/12/2020]
50 anni fa, il 1°.12.1970 il Parlamento italiano approvò* la legge n. 898 (Fortuna-Baslini), con cui si introduceva in Italia il divorzio.
La legge n. 898 del 1.12.1970 è intitolata “Disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”, ma è più nota anche come “legge Fortuna-Baslini”. Pubblicata sulla Gazzetta del 3.12.1970, è entrata in vigore il 18.12.1970. La proposta di legge era stata presentata dal deputato socialista Loris Fortuna il 1°.10.1965, ma i più focosi e combattivi fautori, alla guida di tutto il fronte laicista e anticattolico, furono i Radicali di Marco Pannella. Nel 1966 si formò addirittura la Lega italiana per l’introduzione del divorzio (LID) e nel gennaio 1967 la Commissione Affari Costituzionali della Camera (a guida socialista) ritenne ammissibile la proposta di legge Fortuna, che verrà ripresentata nel 1968 e approvata appunto il 1°.12.1970.
* Votarono favorevoli al divorzio i seguenti Partiti: PCI (Partito Comunista Italiano), PSI (Partito Socialista Italiano), PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), PSDI (Partito Socialista Democratico Italiano), PRI (Partito Repubblicano Italiano) e PLI (Partito Liberale Italiano) = 319 deputati
Votarono contrari al divorzio i seguenti Partiti: DC (Democrazia Cristiana), MSI (Movimento Sociale Italiano), PDIUM (Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica) e SV (Südtiroler Volkspartei) = 286 deputati
La lotta, da parte di tutte le forze laiciste, non fu tanto in riferimento al bene della famiglia, alle conseguenze sulla vita dei figli, tanto meno al bene della società, quanto per determinare il primo grande passo – particolarmente decisivo nel centro mondiale della Cattolicità (Italia)! – in ordine all’emancipazione dalla legge di Dio e dalle indicazioni della Chiesa, una vera svolta antropologica in chiave anticristiana e nichilista, una visione ‘libertaria’ della vita, per l’affermazione individualistica di quelli che saranno chiamati sempre nuovi presunti “diritti”.
L’entrata in vigore della legge e il fallimento del Referendum abrogativo che ne seguì, furono infatti salutati come “vittoria” di questa visione (persino in questo 50° anniversario abbiamo sentito diffusi proclami in questo senso). E ciò che è avvenuto in questi 50 anni ha purtroppo drammaticamente dimostrato e continuamente dimostra che proprio di questo si trattava e si tratta; con conseguenze catastrofiche appunto per la famiglia, i figli e la stessa società, oltre che per le anime.
Quando in quel frangente qualcuno poi profetizzava che tale legge avrebbe aperto la strada a tutte le altre “conquiste” laiciste e nichiliste (aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali, ecc.), molti, anche cattolici, giuravano e spergiuravano che non sarebbe stato così e che in tal caso si sarebbero fieramente opposti. Invece è stato ed è proprio così!
Nonostante la contrarietà alla legge da parte della Democrazia Cristiana, però la presunta visione neutrale (in realtà corresponsabile della diffusione del laicismo anticattolico!) da parte di quei Cattolici che hanno guidato e guidano la “cosa pubblica” ha fatto sì che in questi 50 anni abbiamo conosciuto questo paradosso: il divorzio è entrato in Italia a causa di un governo guidato dal cattolico Emilio Colombo (1970), l’aborto con un governo guidato dal cattolico Giulio Andreotti (1978), e, più recentemente, le unioni civili omosessuali con un governo guidato dal cattolico Matteo Renzi (2016); e ora le legge sull’omofobia e probabilmente anche quella sull’eutanasia da un governo guidato dal cattolico Giuseppe Conte (“Non c’è nulla da fare – ha sottolineato l’avv. Gianfranco Amato su NBQ del 2.12.2020 – servono sempre gli ‘utili idioti’ [cattolici] per realizzare la rivoluzione antropologica della sinistra radicale e anticristiana”).
Nonostante la deriva anticattolica, che in Italia iniziò già dal Risorgimento (vedi), nel 1970 ci fu ancora una forte reazione popolare e una decisa presa di posizione da parte del Magistero della Chiesa (ma purtroppo non di tutti i fedeli e movimenti cattolici, già feriti dal ’68 e da certe svolte post-Conciliari), consapevole della gravità di tale legge in ordine alla disgregazione della famiglia, dell’educazione dei figli e dell’intera società. Così, subito dopo l’approvazione della legge che introduceva il divorzio, iniziò un’immensa raccolta di firme per portare ad un Referendum abrogativo di tale legge; e lo si ottenne.
Il Referendum abrogativo della legge sul divorzio si tenne il 12.05.1974 (con una partecipazione dell’87,7%, degli aventi diritto) e portò a questi risultati:
contrari all’abrogazione (cioè favorevoli al divorzio): 59,1%;
favorevoli all’abrogazione (cioè contrari al divorzio): 41,9%.
La legge veniva dunque purtroppo confermata.
La battaglia fu durissima, non priva anche di fondamentali equivoci, presenti pure in non pochi Cattolici. Uno di questi fu che l’indissolubilità del matrimonio (secondo le parole stesse di Gesù) era certamente un valore, ma che non poteva essere “imposto” per legge a tutti. Molti cattolici dicevano: io la penso così (no al divorzio) ma non posso obbligare gli altri a pensarla così. Questo è un grave equivoco che si ripresenterà molte volte nell’ultimo secolo e di cui i laicisti scaltramente si servono [cfr. nel sito il documento sulla Dottrina sociale della Chiesa, punto 8.1 e punto 26].
A parte il fatto che una democrazia non è un’anarchia; per cui ogni legge, che ha anche un valore educativo (cioè di promozione del bene e freno al male), è proprio pensata non tanto per coloro che sono già convinti di certi valori (per loro non ci sarebbe bisogno di una legge dello Stato perché seguono già quella legge morale e loro convinzione interiore), ma specialmente proprio per coloro che altrimenti sarebbero portati a fare diversamente [ad esempio: la legge che proibisce di rubare, con pena corrispondente per chi ruba, non è fatta per gli onesti, che comunque in coscienza non andrebbero mai a rubare, ma proprio per obbligare quelli che senza legge andrebbero a rubare; quindi si tratta di vedere se certi “beni” debbano essere garantiti e promossi anche dalle leggi dello Stato, in quanto bene della persona e della società, anche di coloro che non li riconoscono]. A meno che non si ritenga appunto la democrazia sinonimo di “anarchia”, cioè dove ognuno può fare quello che vuole, in cui lo Stato debba solo registrare le scelte individualistiche dei singoli cittadini.
Inoltre certi valori, pur essendo esaltati dalla fede cristiana (come appunto nel caso della indissolubilità del matrimonio), hanno una loro ragionevolezza, un fondamento sulla stessa natura umana (non a caso Gesù stesso lega il matrimonio e la sua indissolubilità alla creazione stessa dell’uomo e della donna), che anche un non-cattolico può capire.
Secondo questo equivoco, il risultato del Referendum era dunque già falsato in partenza: i cattolici non dovevano cioè dire come la pensavano, per rispetto degli altri; invece i laicisti dicevano apertamente come la pensavano.
Sottolineiamo ancora: la promozione dell’unità (monogamia) e indissolubilità (impossibilità di sciogliere tale legame) del matrimonio, oltre ad essere un fortissimo e indubitabile valore cristiano (e la legge di Dio non è un’opinione, tanto è vero che tutti ne dovranno rendere conto a Lui, con conseguenze eterne!), è dunque un valore anche umano e sociale, che può quindi essere riconosciuto e vissuto dagli uomini e donne “di buona volontà” (anche se il Sacramento e la grazia di Dio che ne scaturisce lo eleva e lo sostiene in modo pure “soprannaturale”). Per questo è uno dei valori anche umani e sociali (oggi si direbbe anche “laici”) che possono e devono essere sostenuti anche socialmente e politicamente (i cosiddetti “valori non negoziabili”).
Quindi, quando i Cattolici, certo illuminati dalla legge di Dio, proponevano democraticamente e politicamente a tutta la società il matrimonio unico e indissolubile, sostenuto anche dalla legge civile, non compivano un atto politico fondamentalista (come se fosse la Jihād islamica. A proposito, si dovrà allora arrivare ad ammettere per i musulmani presenti in Italia anche la loro poligamia maschile? sarebbe allora una violenza contro gli uomini musulmani obbligarli per legge al matrimonio monogamico? e per le donne, che invece nell’islam sono condannate a morte se adultere, si deve fare una legge che permetta la loro condanna?), ma una legge di grande importanza e irrinunciabile per il bene della vita stessa dell’uomo e della società.
Fondamentalismo religioso sarebbe obbligare ad un atto religioso o di culto (ad es. andare a Messa), non il proporre democraticamente una legge che garantisca un bene, anche razionalmente fondabile, per tutta la società.
Ripetiamo: senza valori fondamentali e irrinunciabili la democrazia diviene sinonimo di anarchia (vedi Enciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor, n. 101)!
Ci fu in occasione di quel Referendum abrogativo della legge sul divorzio anche un secondo equivoco, di tipo “tecnico”, che incise però non poco sull’esito della votazione (tale equivoco emergeva anche dal fatto che quello fosse il primo Referendum abrogativo della Repubblica e molti, specie a livello popolare, potevano cadere anche in questo inganno); cioè la domanda referendaria risultava ovviamente capovolta rispetto al divorzio in sé: votare SI’ (all’abrogazione della legge) voleva dire NO al divorzio, mentre votare NO voleva dire SI’ al divorzio (per cui molti semplici e sprovveduti cittadini, pure ingannati dai laicisti anche su questo, erano convinti di votare contro il divorzio votando NO, mentre invece così di fatto lo approvavano).
Come sempre, tra le menzogne che fanno presa psicologica sul popolo, ci fu poi, anche in occasione della legge e del referendum sul divorzio, come si fece poi anche per l’aborto, la solita evocazione di casi limite, pietosi, ingigantiti da false statistiche (famiglie cadute nella disperazione, casi di violenza di un coniuge sull’altro o sui figli, situazioni insostenibili, addirittura infernali!).
Tra l’altro, quanti si sono invece impegnati in questi 50 anni a promuovere il fidanzamento come vera conoscenza reciproca, come allenamento al vero amore e seria preparazione al matrimonio? (mentre invece anche la ‘rivoluzione sessuale’ del ’68 offuscava sempre più la limpidezza della capacità di discernimento, annebbiata emotivamente dai rapporti prematrimoniali, divenuti sempre più normali, così come la perdita della padronanza sulle proprie passioni rendeva più fragile la propria volontà e lo stesso amore, oltre alla perdita della grazia di Dio, inducendo poi a più facili tradimenti anche nel matrimonio)!
Di fronte a tali reali o ingigantite situazioni di fallimento matrimoniale, la vera liberazione prospettata era invece l’introduzione del divorzio.
E purtroppo di recente anche la Chiesa, che pur ha da Dio la luce e la grazia per sostenere il matrimonio, già nella sua remota preparazione (per i giovani e nel fidanzamento, come sottolineò saggiamente Paolo VI nell’Enciclica Humanae vitae, spec. III parte), quindi per affrontare e risolvere il problema nella sua causa più profonda, ha dato invece l’impressione di rincorrere la mentalità dominante, confondendo la misericordia con l'<apertura> addirittura al peccato grave, fino a giustificarlo pastoralmente e persino teologicamente, cioè contro la stessa esplicita volontà di Cristo Signore!
Si diceva che esistevano comunque di fatto miriadi di separazioni, che la legge avrebbe finalmente reso legali, permettendo così nuove unioni e matrimoni. Tutto ciò per dimostrare che con quella legge non si sarebbero incrementati i divorzi ma si sarebbero solo reso legali situazioni familiari di fatto già definitivamente compromesse.
I numeri di questi 50 anni, sotto riportati, smentiscono statisticamente e storicamente questo assunto (che sarà usato anche per far passare altre leggi gravissime)!
A parte che ci mancherebbe altro che una legge dovesse semplicemente rendere legale una situazione immorale di fatto esistente (allora si potrebbe permettere di tutto, anche i furti!).
Ci si nasconde inoltre che una legge ha anche un enorme valore educativo, cioè di promozione del bene e di freno al male. Tra l’altro, si è sempre più diffusa la falsa e grave idea secondo cui ciò che è civilmente permesso sia anche moralmente lecito. Per cui una legge dello Stato che permette un certo atto, che rimane moralmente assai grave (come appunto nel caso del divorzio) esso viene sempre più avvertito come normale, persino come moralmente lecito (poi si arriverà a chiamarlo persino un diritto!), mentre rimane moralmente illecito (anche di fronte a Dio, a Cui un giorno tutti dovranno rendere conto).
È poi fuor di discussione che sapere in anticipo che un matrimonio non si possa sciogliere (come del resto promettono gli sposi anche nel Rito) renda assai più responsabile tale decisione della vita; mentre sapere che si può sciogliere, oggi anche in pochissimo tempo, renda molti giovani assai meno responsabili di fronte a questa scelta fondamentale e decisiva per la vita, ipotecando fin dall’inizio la stabilità del loro matrimonio!
Il divorzio
Lo scioglimento del matrimonio riguarda ovviamente solo il matrimonio civile o la parte civile del matrimonio “concordatario” (quello cioè, e sono la maggior parte di quelli celebrati ‘in chiesa’ come Sacramento, che ha valore anche civile, viene infatti trascritto anche allo Stato Civile dell’Anagrafe).
Il matrimonio cristiano infatti, cioè com’è agli occhi di Dio, non si può sciogliere per alcun motivo. Gesù (cfr. Mt 19,3-9) ha infatti ribadito esplicitamente e con forza, perfezionando anche l’Antico Testamento, che nel disegno di Dio (addirittura dalla creazione) non esiste altra unione totale, cioè anche sessuale, tra un uomo e una donna che nel Sacramento del Matrimonio (da Lui istituito e da Lui sostenuto perennemente con la Sua grazia), e l’ha voluto unico, cioè monogamico, tanto per l’uomo come per la donna (e questa parità era una novità, anche rispetto all’Antico Testamento) e indissolubile (valido cioè sino alla morte di un coniuge). E così fanno e promettono solennemente gli sposi cristiani, anche nel Rito cattolico del Matrimonio.
Quindi di fronte a Dio esiste solo il matrimonio-Sacramento (ed è l’unica unione totale uomo-donna e l’unico matrimonio moralmente obbligatorio per tutti i Battezzati che hanno questa vocazione): non esistono agli occhi di Dio né divorzi, né matrimoni solo civili, né libere convivenze.
I matrimoni cristiani, cioè come Dio vuole, non sono quindi abrogabili per alcun motivo e non contemplano assolutamente la possibilità di divorziare.
Semmai, in casi eccezionalmente gravi e possibilmente provvisori, si può arrivare ad una “separazione”.
Chi è causa di separazione o di divorzio commette peccato grave; chi invece solo li subisce non commette peccato; ma non è ugualmente libero di risposarsi (tanto è vero che lo potrebbe fare solo civilmente) o anche di riaccompagnarsi (nel senso di una convivenza che comporti anche l’intimità sessuale con una persona che non è appunto il proprio coniuge).
Il divorzio quindi è contro la legge di Dio e, in caso di nuova unione, crea una situazione stabile di peccato (e in quanto stabile non è assolvibile in Confessione, mancando i due requisiti fondamentali per ottenere la misericordia di Dio, cioè il pentimento e il proposito di non farlo più – v. nel sito Confessione ed Esame di coscienza).
Dunque un matrimonio “concordatario” (religioso ma con effetti anche civili) in base alla legge dello Stato può essere sciolto con divorzio solo per la parte civile, ma rimane valido, unico e perenne (fino alla morte di uno dei coniugi) agli occhi di Dio.
Ricordiamo che invece i Matrimoni riconosciuti “nulli” dalla Chiesa, dopo un Processo apposito che lo certifichi, indicano che tali Matrimoni non sono stati celebrati validamente e come tali non sussistono; perché invece, in caso di validità, essendo appunto il Matrimonio cristiano un Sacramento e quindi opera di Dio, nessuno, nemmeno un Papa e tanto meno gli sposi stessi – e neppure alcuna evenienza che subentri dopo la celebrazione, durante tutta la vita – può scioglierlo. E’ dunque erroneo dire che la Chiesa “annulla” dei Matrimoni (come è un falso ‘luogo comune’ che ci vogliano molti soldi per tale Processo); la Chiesa, in modo ufficiale, cioè attraverso i Tribunali ecclesiastici diocesani (altro erroneo luogo comune: non è necessario, tranne in casi eccezionali, ricorrere a quello vaticano storicamente detto “Sacra Rota”), può riconoscere un matrimonio come “nullo”, in quanto invalidamente celebrato e quindi di fronte a Dio da sempre inesistente (anche se fosse durato anni, persino con prole).
Infine, la legge che ha introdotto il divorzio in Italia richiederebbe comunque da parte degli avvocati e del giudice il dovere di certificare se esistano davvero le cause gravi che portino a tale decisione e di fare il possibile per evitarlo; tutto questo non viene ovviamente quasi mai osservato (come sarà anche per la legge 194 sull’aborto!). Eppure, come testimoniano consultori e associazioni cattoliche, certe crisi si possono superare con un particolare aiuto (oltre che e soprattutto con la conversione e la grazia di Dio).
La legge fu in seguito ulteriormente peggiorata (v. News del 8.06.2014).
Ad esempio, la Legge n. 55 del 6.05.2015, che introduce il cosiddetto “divorzio breve”, permette di giungere al divorzio senza aspettare 3 anni (prima erano 5), ma solo 12 mesi per la separazione giudiziale e 6 mesi per quella consensuale, indipendentemente dalla presenza o meno di figli. Insomma, ci si può sposare e già divorziare dopo 6 mesi dal Matrimonio!
A questo punto ci si può persino chiedere perché lo Stato stia ancora a legiferare sul matrimonio, quando tale “contratto pubblico” (in quanto ha una valenza sociale) può avere valore solo per 6 mesi e quando è persino più conveniente (anche economicamente e fiscalmente) essere “single” o conviventi. Perché poi le attuali politiche (in genere di sinistra) si danno tanto da fare in Occidente per ammettere legami giuridici a “coppie di fatto” o si considera così urgente legiferare persino su matrimoni omosessuali, quando quasi nessuno tra i giovani vuole più sposarsi? A questo punto, secondo questa logica, lasciamo che ognuno faccia e disfi quel che vuole, senza più leggi dello Stato in merito (cioè: anarchia)! Infatti una fetta continuamente crescente di giovani opta per la convivenza libera, senza bisogno neppure di vincoli statali: e ciò pare pure più conveniente anche economicamente. (Paradossalmente, secondo il pensiero unico dominante, pare che a volersi unire di fronte allo Stato siano solo le coppie omosessuali! Anche in questo caso si dimostra così che certe battaglie laiciste sono solo polemiche e distruttrici della società, specialmente dei fondamenti storici della nostra civiltà cristiana).
La riprova è che in questi ultimi anni sono crollati i matrimoni, a favore delle libere convivenze.
Ecco alcune conseguenze della legge in questi 50 anni!(in Italia)
Divorziati:
1991: 375.569
2011: 1.363.000
2016: 1.671.534
Divorzi:
1971: 17.134
1972: 31.717
2001: 40.051 (nonostante il costante calo della popolazione e degli stessi matrimoni)
2011: 53.806
2015 (dopo l’introduzione del cosiddetto “divorzio breve”): 82.469 (+57% in un anno!)
1995: 290.000 matrimoni e 52.000 separazioni
2011: 204.000 matrimoni e 89.000 separazioni
2017: 1.563.797 divorziati (633.402 uomini; 930.395 donne)
Differenze tra le Regioni (in ordine decrescente in base alla percentuale di divorziati sulla popolazione regionale):
Liguria: 67.158 (4,3%); Valle d’Aosta: 5.499 (4,3%); Friuli-Venezia Giulia: 48.255 (4,0%); Piemonte: 164.131 (3,7%); Emilia-Romagna: 150.809 (3,4%); Trentino-Alto Adige: 32.706 (3,1%); Lazio: 177.640 (3,0%), Lombardia: 300.759 (3,0%); Toscana: 107.568 (2,9%); Veneto: 136.439 (2,8%); Umbria: 22.299 (2,5%); Marche: 36.403 (2,4%); Sardegna: 35.809 (2,2%); Abruzzo: 27.093 (2,0%); Sicilia: 78.610 (1,6%); Molise: 4.608 (1,5%), Puglia: 59.777 (1,5%); Basilicata: 8.108 (1,4%); Calabria: 24.960 (1,3%); Campania: 75.166 (1,3%).
Nel 2019, in Italia abbiamo avuto una media di 1,5% divorzi per abitante (mentre nella UE è di 1,9%; ma questa percentuale minore per l’Italia è un’aggravante, in quanto dovuta al minor numero in Italia di matrimoni e al maggior numero di convivenze!); infatti, se verifichiamo invece la percentuale di divorzi per matrimoni celebrati, abbiamo in Italia un 47,9%, che ci pone tra i primi 5 Paesi della UE!
Per nessun motivo, dunque, la legge che dal 1970 ha introdotto in Italia il divorzio può essere considerata una conquista e un progresso sociale e tanto meno il divorzio un diritto.
Essa si oppone gravemente alla legge di Dio; e si oppone gravemente anche al vero bene della famiglia, dei figli (che in genere subiscono gravi sofferenze dalla disgregazione dell’unione da cui sono nati, oltre ad essere poi contesi o comunque sballottati tra padre e madre) e della stessa società. Talora, negli stessi divorziati, emergono danni psicologici anche gravi (persino con casi di suicidio o di omicidio del coniuge); e in non pochi casi subentrano inoltre ingenti danni economici (talora il coniuge divorziato è ridotto persino alla povertà).
Ricordiamo di nuovo che anche in occasione del Referendum del 1974, che confermò il divorzio per la legge italiana, si parlò di “perdita della Chiesa”, di inizio della fine della “mentalità cattolica” degli Italiani, di vittoria del pensiero laico (laicista). Anzi, fu proprio questo il vero scopo; e gli occulti “poteri forti” proprio questo si proponevano!
Se diavolo significa “colui che divide” (e Gesù lo chiama pure “padre della menzogna”), non è difficile scorgere dietro a questa legge sul divorzio, fatta passare per conquista moderna e progresso sociale, la sua firma!