Alla ricerca di Dio, esplorando la verità assoluta e le prove dell’esistenza di Dio secondo la fede cristiana

Alla ricerca di Dio (2007)


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Introduzione

“Grazie a Dio sono ateo”. Leggo questa paradossale ed ironica dichiarazione su una t-shirt, che un giovane porta con disinvoltura e forse perfino con orgoglio, mentre cammina allegramente per strada.
“I belong to Jesus” (io appartengo a Gesù). Milioni di spettatori e telespettatori hanno visto quest’altra dichiarazione, esistenzialmente impegnativa, scritta sulla propria maglietta e mostrata con entusiasmo dal calciatore Kakà, al termine di un’importante partita.
Siamo in una società libera; e meno male. Qui ciascuno pensa come vuole; e crede quello che vuole. La libertà di pensiero, la libertà di coscienza, la libertà religiosa, sono diritti fondamentali dell’uomo, anche se ancora non ovunque riconosciuti o rispettati.
Libertà di pensiero non significa però, come molti credono, che possiamo inventarci la verità.
Ad esempio, di fronte ad un’evidenza, che è il caso più lampante di una verità, la mia intelligenza non è infatti libera di negarla. Se apro gli occhi e vedo un libro, la mia mente non può negarlo. E’ libera invece la mia volontà; e per questo posso anche rifiutare una verità. Posso dire, mentendo, che non è un libro, ma non posso pensarlo; posso volerlo o rifiutarlo, leggerlo o neppure aprirlo, e perfino bruciarlo.
Certo, quando non si conosce ancora bene la verità, possono esserci opinioni diverse. Se c’è buio nella stanza, posso dire che mi sembra un libro ed un altro dire che gli sembra una scatola. Ma quando una verità si manifesta chiaramente, quando c’è luce e si vede, non si può negare. La verità è una. Perché le cose sono quello che sono. Perché l’essere è uno.
Questo è ovvio, anche se il relativismo dominante vorrebbe oscurare
anche questa certezza assoluta. Anche quando non so quale sia la verità, so però con certezza che è una1. Essa ha certo molteplici aspetti e posso conoscerla a gradi diversi; ma in sé è una. Se uno mi dice che ora in casa ci sono tre persone e un altro mi dice che ci sono in casa due ragazze possono avere entrambi ragione, perché ci possono essere due ragazze e un ragazzo; stanno cioè parlando della stessa cosa, ma in realtà sotto aspetti diversi; ma se uno mi dice che in casa ci sono tre persone e un altro mi dice che ci sono due persone, non possono avere entrambi ragione. Sono sicurissimo. Essi possono avere entrambi torto, perché magari ce ne sono quattro o cinque, ma non entrambi ragione. Se poi uno mi dice che in casa c’è qualcuno e un altro mi dice che in casa non c’è nessuno, oltre a non poter avere entrambi ragione, non possono avere neppure entrambi torto. Se uno ha ragione l’altro ha torto e se uno ha torto l’altro ha ragione. O c’è qualcuno (qualsiasi numero) o non c’è nessuno. Non si può affermare e contemporaneamente negare la stessa cosa. Perché tra essere e non essere, non c’è una terza ipotesi. E non si tratta di una legge del pensiero, ma dell’essere. La cosa stupefacente è che questa certezza assoluta noi l’abbiamo “a priori”, cioè prima ancora di entrare in casa e verificare. Dovrò verificare, entrando in casa e guardando in ogni stanza, quante persone ci sono effettivamente, ma sono assolutamente certo ancor prima di entrare che la verità è una, che non possono essere tre e contemporaneamente non tre, qualcuno e nessuno. Questa è una magnifica capacità dell’intelligenza, che ci permette di avere un’evidenza assoluta. Da qui partono e con questa evidenza si muovono sia il buonsenso che tutti i nostri ragionamenti, sia nella vita quotidiana, come nella matematica, sia nella scienza che nella metafisica. Su questo si fonda la logica, senza la quale ogni nostro dire e ogni nostro ragionare rimarrebbe senza senso.

Detto questo, torno alle due affermazioni: Dio c’è o no? Gesù è Dio o no? Qual è la verità? Anche se dicessi ancora che “non so”, è però assolutamente certo che l’affermazione dell’esistenza di Dio e l’affermazione dell’ateismo (che è la negazione dell’altra) non possono essere entrambe affermazioni vere e neppure entrambe false. Se una è vera l’altra è ovviamente falsa; e viceversa.
Questo è ovvio, assolutamente certo. Ma non possiamo dire niente di più? Dobbiamo rimanere in una perenne sospensione di giudizio, senza poter sapere in proposito qual è la verità?
Molti pensano che le cose stiano in questi termini, che la questione di Dio non sia cioè risolvibile: poiché non si può vedere (almeno in questa vita), non si potrà mai sapere se ci sia o no? Per questo c’è chi ci crede e chi non ci crede. Sarebbe quindi un “atto di fede” cieco, senza alcuna prova, tanto credere in Dio quanto l’ateismo? Anzi, molti pensano addirittura che, poiché Dio non si vede, sarebbe una sciocchezza credere che esista e sarebbe quindi più razionale essere atei. In un diffuso stile di vita materialista, la questione sembra poi diventare evanescente: una questione astratta, senza via d’uscita, oziosa, e quindi sostanzialmente indifferente per la nostra vita concreta. Molti pensano perfino che sia non solo inutile ma perfino nocivo credere in Lui: se l’influsso del marxismo portò nei decenni passati molti a considerare la fede in Dio come alienante, in quanto impedimento a realizzare l’autentica giustizia ed il vero cambiamento sociale, oggi l’individualismo e l’edonismo dominanti spingono a considerare la fede come alienante in quanto insopportabile limite alla propria libertà ed impedimento a godere appieno i piaceri della vita. Negli ultimi tempi sta pure crescendo la paura che l’affermazione di Dio porti al fondamentalismo e sia cioè fonte di intolleranza.

In questo fascicolo vedremo invece sinteticamente come la questione di Dio sia non solo la più decisiva ed urgente per la vita dell’uomo, ma anche come già la sola ragione umana possa almeno un poco risolverla, giungendo a capire che Dio c’è.

Siamo fatti per la verità

Prima di addentrarci nella questione di Dio, ci chiediamo se sia in genere importante la ricerca della verità. Per molti cercare la verità pare oggi essere un’occupazione insignificante, un’inutile perdita di tempo, o roba per filosofi. Il relativismo vuole poi con forza convincerci che questa ricerca non porti intanto da nessuna parte, che potremmo avere su ogni cosa soltanto opinioni, non certamente la verità. Peccato però che il relativista non si accorga che si contraddice, perché intanto non relativizza se stesso, anzi si mostra molto inquietato con chi non è d’accordo lui; vorrebbe anzi imporre socialmente questa sua posizione, come condizione per una vera libertà e di una autentica democrazia. Insomma, una sorta di “dittatura del relativismo”2. Dovrebbe essere infatti chiaro che chi dice “non c’è la verità” vuole intanto già affermare una verità. Il relativismo è in realtà impossibile e contraddittorio; coerentemente dovrebbe condurre al silenzio, come osservava già Aristotele3.
In realtà l’uomo mostra da sempre di essere fatto per la verità. Perfino un bambino piccolissimo ci bombarda con i suoi “perché?” e perfino coi perché dei perché. Ma ogni domanda di perché è in fondo una domanda di verità. Così l’adolescente comincia poi a domandarsi i grandi perché della vita. Perché poco o tanto, prima o poi, l’uomo intuisce che non si vive senza un perché, senza un significato.
Una vita tutta assorbita dalle cose “da fare” e spesso attirata spasmodicamente dalle cose “da avere”, rischia di diventare molto presto una vita disumana. Il materialismo, non solo quello teoretico di alcune filosofie ma quello pratico oggi assai diffuso specie in Occidente, vorrebbe convincerci che questa è la concretezza della vita, ciò di cui abbiamo bisogno. In effetti abbiamo bisogno di tante cose, senza le quali sarebbe difficile vivere. La logica commerciale sollecita poi in noi perfino dei bisogni artificiali, per poterci vendere sempre qualcosa di nuovo, che sembra indispensabile. “Tutti vogliono tutto; per poi accorgersi che è niente”, canta Renato Zero. Perché intanto ci accorgiamo che le cose più importanti della vita in realtà non si possono comprare: come l’amore vero, l’amicizia sincera, la pace interiore, il senso stesso di quello che facciamo. Non c’è un centro commerciale per acquistare queste cose.
Da quando esiste sulla terra, noi vediamo infatti che l’uomo ha sì bisogno, come gli altri animali, di mangiare, bere, dormire, sente la voglia di accoppiarsi… ma, a differenza di tutti gli altri animali, l’uomo ha dentro di sé un bisogno più grande, una fame di qualcosa che lo attira e nello stesso tempo sempre lo supera. Già l’uomo delle caverne ha sì bisogno di cose immediatamente utili per vivere, come costruire un bastone con una pietra acuminata per cacciare o difendersi dalle belve, ma disegna anche un graffito sulla parete della caverna e prova a fare della musica, sia pur rudimentale. Questo non risponde ad un bisogno materiale, cioè alla domanda “a che cosa mi serve”, all’utile, ma ad una bisogno più profondo. La domanda “a cosa serve?’” non è la domanda più importante. L’utilitarismo è una riduzione della vita. Abbiamo ad esempio fame di bellezza. L’esperienza della bellezza,
come la conoscenza della verità, è già un godimento in sè, anche se interiore4. Ogni forma d’arte, dalla più rudimentale alla più elevata, esprime questo bisogno. E nello stesso tempo ogni produzione artistica, anche la più alta, non soddisfa pienamente la nostra fame di bellezza. Ogni vero artista prova questa gioia e nello stesso tempo questa inquietudine. Abbiamo infatti fame di una Bellezza infinita. Anche l’arte manifesta dunque che siamo nella materia ma in noi c’è un elemento spirituale, che ci eleva al di sopra delle cose e tende all’infinito. Sarebbe ridicolo ricondurre l’arte alla materia: una sinfonia di Beethoven non sarebbe che un insieme di onde sonore che percuotono il timpano del nostro orecchio? Un quadro di Caravaggio non sarebbe che un insieme di colori che colpiscono la retina del nostro occhio? In realtà anche questo ci manifesta che siamo nel mondo, ma c’è in noi qualcosa di più della materia, che va più su, e che vuole andare sempre più su. Forse anche per questo Dostoevskij è arrivato a dire: “la bellezza salverà il mondo”.
Così, l’essere umano non si accontenta di provare piacere nell’accoppiarsi, ma si sente solo e sente di essere fatto per l’altro: per tanto che cerchi di accontentarsi del piacere, in realtà sente che ha fame d’amore. Ma anche in questo, anche nell’esperienza dell’amore, fosse pure il più bello, prima o poi si rivela un limite. Abbiamo bisogno di un amore più grande. Potremmo confonderlo col bisogno di cambiare persona, di provare un nuovo amore. Molti credono che basti questo e si buttano in sempre nuove avventure. Anche se ci fosse un amore più grande, non potrebbe ugualmente soddisfarci pienamente. Siamo fatti per un Amore infinito.
Quando poi la morte ci passa vicino, prendendoci una persona cara, proviamo una tristezza infinita; ci sembra impossibile che lei o lui non ci sia più. Sapere poi con certezza che anche noi moriremo non può non farci porre la più grande questione della vita: perché sono nato? perché vivo? sono fatto per il nulla? La morte ci si presenta come un limite angosciante, come se intuissimo che non dovrebbe esserci, che siamo fatti per un oltre, che essa non può segnare la fine totale di noi5. L’uomo di ogni tempo e civiltà ha avuto infatti questa intuizione. Potremmo dire allora che l’uomo ha fame non solo di vita, ma di vita eterna.
Ogni nostra scelta è sospinta dal desiderio di felicità. Quando un uomo non ha più questa speranza di felicità diciamo infatti che è “disperato”. E’ una fame talmente forte che il disperato può arrivare anche al suicidio: meglio non vivere che vivere senza una speranza, senza un’attesa di felicità, meglio non vivere che vivere senza senso. Ma la gioia vera non può essere costruita artificialmente, non si può comprare: per fare allegria può bastare anche un po’ d’alcool o altro nel sangue (un po’ d’euforia che spesso si paga con la successiva depressione; non si tratta dunque di vera libertà, ma di una schiavitù); per avere la gioia c’è però bisogno di ben altro.

Può capitare inoltre di confondere la felicità con delle tappe intermedie: “sarò felice quando avrò quella cosa”, “quando farò quella cosa”. Poi ci accorgiamo che non è così, che anche quando abbiamo raggiunto quella meta, nella migliore delle ipotesi è solo una tappa, cioè poi non ci basta, siamo fatti per qualcosa di più. Molti si affannano allora a moltiplicare le cose da avere e le cose da fare. Lavoro estenuante e vissuto senza senso, serate rapite sempre dalla televisione, discoteche per accendere i sensi e spegnere il cervello, notti bianche e giorni neri, domeniche passate a dormire o ai centri commerciali, vacanze comandate dalle agenzie di viaggi; tutto sempre di corsa, obbedendo all’ultima moda; fino ad arrivare a dimenticare non solo gli altri, perfino di casa, ma anche se stessi, a non pensare nemmeno più perché viviamo. In questo modo si diventa poi cinici, anche a vent’anni, si arriva cioè a convincersi che la felicità non esiste, che al massimo esistono solo felicità passeggere, che esistano solo scampoli fuggevoli di felicità. Ma anche se cerchiamo di accontentarci, sentiamo in realtà che siamo fatti per un oltre. Se siamo sinceri con noi stessi, riconosciamo che abbiamo fame di una felicità infinita, di un Bene infinito.
Non abbiamo dunque solo bisogno di cose da fare, ma abbiamo ancora più bisogno di un senso con cui farle, abbiamo cioè bisogno di un significato e di un significato vero. Non abbiamo solo bisogno di vita, ma del senso vero con cui vivere. Vivere senza un senso vero, in realtà non è vivere ma è un sopravvivere. Abbiamo fame di significato, di un senso vero, abbiamo cioè fame di verità di vita.
Quindi, se abbiamo il coraggio di guardarci dentro, di vedere realisticamente noi stessi, dobbiamo prima o poi riconoscere che il nostro più profondo bisogno di bellezza, di vita, di amore, di felicità, di verità, è in realtà bisogno della Bellezza, Vita, Felicità, Verità infinite, di Amore infinito. Possiamo dire che abbiamo bisogno di un Essere infinito.
Siamo un essere davvero speciale: l’uomo è un essere finito, ma con dentro una fame di infinito, per cui nelle sue aspirazioni non si accontenta mai e trascende sempre se stesso e l’universo intero; è parte del mondo ma con il suo pensiero è più del mondo, è un animale evoluto ma ha dentro qualcosa di spirituale, di divino, che lo rende di fatto signore del pianeta; e nello stesso tempo l’universo intero non gli basta.
Quando appare l’uomo, per la prima volta vediamo infatti sulla terra un essere che non è solo un animale biologicamente e cerebralmente evoluto, ma un essere che porta in sé una traccia divina, una caratteristica spirituale che lo rende simile a Dio. Del resto in ogni civiltà, ovunque e sempre, l’uomo ha almeno intuito che non è fatto solo di un corpo, ma possiede un’anima, un “io” spirituale che lo rende superiore ad ogni altro animale, e che non gli permette di accontentarsi, ma lo sospinge verso l’infinito. Anche la filosofia ha quasi universalmente compreso che l’uomo ha un’anima spirituale: essa, pur essendo ovviamente invisibile, si manifesta però attraverso quella superiore capacità di pensare e di essere libero, che caratterizza appunto l’umano. La superiore grandezza e dignità dell’uomo sono date da questo dono, da questa capacità che è anche anelito infinito; per questo è anche sorgente della sua inquietudine, possiamo cioè soffrire e gioire più di tutti gli altri esseri viventi. Siamo infatti sì finiti, ma con dentro un’ineliminabile fame di infinito. Dovrebbe già da questo risultarci chiaro che l’uomo è non solo simile a Dio, ma è fatto per Dio.

Poiché dunque siamo esseri pensanti e liberi, la questione della verità è per l’uomo di fatto una questione per così dire obbligatoria. Infatti non possiamo non pensare e non possiamo non volere, non decidere: anche se ci sforzassimo di non pensare e di non scegliere, sarebbe anche questo un pensare e uno scegliere.
Fin dall’adolescenza ci piace avere le “nostre” idee e fare le “nostre” scelte, poiché dobbiamo essere noi stessi; e ciascuno di noi è unico e irripetibile. Crescendo però, pensando cioè più in profondità, ma anche attraverso esperienze positive o negative, ci rendiamo conto che non è solo importante che le idee e le scelte siano nostre, ma soprattutto che siano giuste, cioè vere. Non basta cioè avere le proprie idee e fare le proprie scelte, ma abbiamo bisogno di avere idee vere e di fare scelte giuste; perché un’idea sbagliata può essere rispettabile, ma in realtà non corrisponde alla realtà. Una scelta sbagliata esprime sì la mia libertà, ma in realtà non mi edifica, mi rovina. Quante volte facciamo infatti l’esperienza che una scelta anche più facile e immediatamente più allettante in realtà poi ci ha lasciato vuoti e delusi; e invece scelte magari più difficili e immediatamente richiedenti sacrificio ci hanno poi colmato di gioia e realizzati davvero.
Per questo la questione di che cosa sia vero e giusto, quale sia la verità e l’autentico bene, è quella apparentemente più astratta, ma in realtà è quella più decisiva dell’esistenza; e tutto ne dipende. Solo la verità ci edifica davvero, ci rende cioè veri uomini6.
Può sembrare strano, specie in una cultura fondamentalmente soggettivistica e relativistica come la nostra, ma è più importante amare la verità che le proprie opinioni. Volersi davvero bene, cioè amare davvero la propria vita, e conseguentemente poter desiderare anche l’autentico bene dell’altro, richiede di cercare e seguire la verità. Continuare a vivere con un “secondo me” e “a modo mio”, “se mi va… fin quando mi va”, senza una sincera ed appassionata ricerca della verità, ci mette nel serio pericolo di fallire la nostra esistenza, ora e per l’eternità7.
Dobbiamo però sinceramente riconoscere che, se è vero che siamo fatti per la verità e il bene, è anche vero che questo cammino non è facile e siamo continuamente tentati anche dalla falsità e dal male. Perché? Perché è più facile lasciarsi andare, vivere senza pensarci, fare le cose come vengono, seguendo quello che fanno altri o le nostre stesse voglie del momento. Scoprire e vivere la verità è bello e ci edifica davvero, ma non è facile. Possiamo avvertire perfino un’interiore resistenza alla verità8. Pur essendo fatti per la verità, possiamo paradossalmente averne perfino paura; questo non solo o non tanto perché sia difficile trovarla, ma perché talora riconoscere la verità vuol dire ammettere che dobbiamo cambiare qualcosa della nostra vita; e questo può essere difficile, può inizialmente scoraggiarci e farci “preferire le tenebre alla luce”9. Se però vogliamo davvero bene alla nostra vita, se ci sta davvero a cuore la felicità autentica della nostra esistenza, dobbiamo amare la verità più delle nostre opinioni e desiderare il nostro autentico bene più del nostro comodo10.

La verità più importante

L’uomo è fatto per la verità. E per questo gode della verità. All’inizio c’è un fondamentale stupore, potremmo dire ontologico, da recuperare continuamente, se vogliamo davvero essere uomini. Vediamo infatti come l’uomo sia l’unico essere che si meraviglia, che prova stupore per tutte le cose e per il suo stesso esserci. Che le cose esistano, che siano così straordinarie, e soprattutto che io stesso esista non può essere lasciato nell’ovvio. L’abitudine può corrompere anche le cose più belle, come una ruggine che distrugge pian piano tutte le cose e rende la vita banale. Prima o poi devo svegliarmi, prendere coscienza che esisto, che non c’ero e mi trovo come gettato nell’esistenza; e che mi trovo in un universo spettacolare, che mi precede con la sua esistenza ed il suo ordine stupefacente di leggi armonizzate tra loro. Solo se mi stupisco posso cominciare a chiedere e iniziare così il percorso della scoperta della verità. Anche la scienza, la filosofia, l’arte e perfino la religione partono da qui11. E’ una ricerca che, come abbiamo osservato, non è mai sazia: non è però inutile, anche se tende verso una Verità infinita. Ed è una ricerca mediante la quale l’uomo diventa diventa per così dire sempre più uomo12. Per questo da quando è apparso sulla terra, quella dell’uomo non è più un’evoluzione biologica, ma una evoluzione culturale.
Ovviamente non tutti hanno questo desiderio con lo stesso grado di intensità; dipende anche dal grado di intelligenza e di sensibilità; ma almeno un poco sicuramente e necessariamente sì, perché non esiste un uomo che non si sia mai domandato un perché, né potrebbe vivere davvero la vita e le cose della vita senza un significato; così come non potrebbe vivere neppure un istante da scettico, cioè con il sospetto che ogni conoscenza sia falsa.
Il campo del sapere è oggi talmente vasto che anche un mente geniale come quella di Leonardo non potrebbe ovviamente tutto abbracciarlo. Evidentemente su alcune questioni, come quelle che ineriscono alla nostra professione, dobbiamo essere particolarmente competenti. Non è però chiesto a tutti di sapere certe cose. Noi siamo più competenti in certi rami del sapere e per altre verità ci fidiamo di chi è in esse più competente. Qualcuno con particolare passione e genialità, e magari senza alcun interesse immediato, dedica perfino l’intera vita per la scoperta di una verità, di cui poi milioni o miliardi di persone potranno godere. Anche un piccolo prodotto della tecnica, che usiamo continuamente nelle nostre giornate,
è partito da uno stupore, ha richiesto secoli di ricerche, anni di studi, gente geniale che ha pensato, si è domandata il perché delle cose, rompendo l’ovvietà con cui viveva la maggior parte della gente, e lo ha scoperto, permettendo poi ad altri di scoprire nuovi perché.
Nella nostra ricerca della verità, ci sono semplici curiosità, ma anche questioni più urgenti e perfino alcune da risolvere necessariamente. Esistono cioè delle questioni così decisive per l’esistenza sulle quali, pur essendoci anche in questo caso degli specialisti, non possiamo essere ignoranti o superficiali, pena il fallimento della nostra stessa vita. Ci sono infatti verità più importanti e decisive di altre, su cui sarebbe veramente sciocco e perfino tragico andare avanti “per sentito dire”, secondo le mode (“così fan tutti”), i desideri o le sensazioni del momento.
Per la ricerca intellettuale, conoscere significa andare più in profondità, risalire dagli effetti alla causa, come diceva già Platone. Una verità è tanto più importante quanto più profondo è il suo livello e nello stesso tempo quante più cose riesce a spiegare ed unire. La penna scivola dalle mie mani e cade sul tavolo. Se mi fermo all’osservazione questo è ovvio e banale. Se invece mi stupisco e mi chiedo il perché, come Newton, scopro la forza di gravità e la legge che la regola. E questo spiega non solo la caduta della mia penna ma quella di tutti i gravi, anzi scopro una legge fondamentale dell’universo. Se poi continuo a stupirmi e a domandarmi il perché, posso arrivare a capire come sia possibile che in questo universo tutto esista e si muova secondo leggi rigorose, così precise che la scienza moderna può esprimere in termini addirittura matematici: è la questione più difficile ma anche la più importante, perché in fondo tutte le altre verità ne dipendono; è quella del perché di tutte le cose, cioè della causa prima di tutto l’essere. Non per nulla il pensiero filosofico nasce subito come ricerca dell’arché: già i presocratici la ricercano, anche se la identificano ingenuamente ancora con gli elementi della natura. Già Platone, che per questo li chiama i “fisici”, capisce invece che questa Causa prima è trascendente; e intelligente. Come si può capire, questo è in fondo il problema di Dio, che per definizione stessa è Colui da cui tutto dipende.
Questo può sembrare questione certo interessantissima, ma per addetti ai lavori, per filosofi.
Se però in gioco metto invece la mia vita, cioè se mi stupisco del mio stesso esserci e mi domando che senso abbia la mia vita, la questione ritorna, questa volta con un’urgenza esistenziale ineliminabile. Certo anche questa potrebbe sembrare una questione astratta, così globale e apparentemente non concreta, da lasciare il tempo che trova. In realtà se non so da dove vengo e dove vado non so in fondo perché vivo; ma se non so perché vivo, faccio fatica a capire il senso vero anche delle singole cose della
mia vita e della mia giornata. Questa domanda sul senso ultimo della vita è però in fondo ancora la questione di Dio13.

La questione di Dio

“Le vie del Signore sono infinite”, come si dice anche proverbialmente. Ed è vero. Ci sono cioè infiniti modi con cui un uomo ad un certo punto della sua vita può accorgersi non solo che Dio c’è, ma che è cercato personalmente da Lui, che Dio gli parla, lo chiama, lo ama. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù stesso (Gv 15,16). Non ci sono limiti alla grazia di Dio, che vuole che ogni uomo Lo conosca, si accorga del Suo amore, Lo segua e si salvi. L’unico limite che Dio stesso rispetta e quello della nostra libertà: se uno proprio non gli vuole aprire la porta, Egli non entra (cfr. Ap 3,30).
Ci sono certo molti casi in cui Dio entra improvvisamente e con irruenza d’amore nella vita di un uomo, trasformandolo completamente. Conosciamo ad esempio come Cristo risorto capovolse in un istante la vita di Paolo, trasformandolo da persecutore dei primi cristiani ad Apostolo delle genti (cfr. At 9,1-19; 26,9-18; Gal 1,11-24). Questo può accadere anche oggi, e l’interessato lo sperimenta misteriosamente ma con assoluta certezza. Si pensi ad esempio al caso di A. Ratisbonne14 o a quello più recente di A. Frossard15.
Normalmente però occorre non solo un’apertura d’animo e di intelligenza per poter iniziare un percorso di ricerca che conduca a Dio, ma pure qualcuno che ci aiuti, intellettualmente, spiritualmente ed esistenzialmente, a muovere i passi in questo cammino, tenendo conto anche dei nostri dubbi e delle nostre difficoltà. Occorre soprattutto qualcuno che ci annunzi Gesù Cristo, perché, come dice S. Paolo, “come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? e come potranno credere, senza averne sentito parlare? e come potranno sentirne parlare senza uno che l’annunzi?” (Rm 10,14). Abbiamo bisogno di testimonianze forti, ma anche semplicemente di amici che condividano con noi questo cammino, nell’esperienza bellissima della fraternità cristiana.

Esistono dunque infiniti modi per arrivare alla scoperta di Dio. E, se vogliamo, abbiamo moltissimi “indizi” per intraprendere questo percorso ed arrivare a dare il nostro assenso.
Ad esempio: l’uomo di ogni tempo e di ogni civiltà, in un modo o in un altro, ha sempre creduto in Dio; anzi l’uomo non ci ha solo creduto, ma ha sempre sentito come decisivo il rapporto con Lui (da cui probabilmente l’etimologia della parola “religione”, cioè un legarsi a Lui), l’ha sempre pregato, ha cercato di conoscerne la volontà, gli ha obbedito, tanto da offrirgli il meglio di sé, come dimostra ogni civiltà, perfino nella propria arte. Ci sono stati e ci sono innumerevoli modi di concepire Dio, da chi adora una pietra o il sole alle tre grandi religioni monoteiste; ma che Dio esista e tutto dipenda da Lui è una fede universale; come del resto la consapevolezza che l’uomo abbia un’anima immortale e sia fatto per l’aldilà (infatti il rapportarsi coi morti è antico e universale quanto l’uomo). Quindi non dovrei dire con troppa leggerezza e disinvoltura che Dio non c’è: infatti se io oggi non credo in Dio, di fatto non credo in ciò in cui l’uomo ha sempre creduto, pur in modi diversissimi. Essere atei è di fatto un cambiamento radicale, rispetto a tutta la storia dell’umanità, un capovolgimento totale di ciò che l’uomo è sempre stato.
Rischioso dunque; ma certamente lecito. Perché avrebbero potuto tutti sbagliarsi fino ad oggi. Improbabile, ma possibile. La verità non dipende infatti dal consenso.

Dovrei inoltre rendermi conto, come fa seriamente Nietzsche, il filosofo forse più seriamente ateo della storia del pensiero, che negare Dio significa rendere tutto, compreso me stesso, casuale e senza senso, proveniente dal nulla e fatto per il nulla, un prodotto infinitesimale ed estremamente breve di una cieca energia vitale, senza scopo alcuno, senza un vero fondamento e punto di riferimento per orientarsi tra vero e falso, tra bene e male16. L’ateismo potrebbe provocare la fine dell’uomo e dell’umanità, almeno come sono stati intesi fino ad oggi, riconosce lucidamente Nietzsche. Dunque è una negazione estremamente rischiosa, sia a livello personale che sociale.
La questione di Dio, contrariamente a quanto oggi si cerca di far credere, relegando la religione tra i fatti solo intimi e privati, è infatti strettamente legata alla questione dell’uomo. Non è una semplice curiosità sul soprannaturale, sull’aldilà. La questione religiosa non è mai stata, in nessuna civiltà, una semplice questione di culto o esclusivamente intima e di coscienza, pur dovendo necessariamente sgorgare da lì (e per questo non è né vietabile né obbligabile, come riconosce quel primo fondamentale diritto dell’uomo che è appunto la libertà religiosa). E’ in fondo la questione del senso stesso della vita: casuale o creata? fondamentalmente “sola” o amata? destinata al nulla o fatta per l’eterna felicità di Dio?
Noi vediamo infatti che, contrariamente a quanto si potrebbe superficialmente credere, quando un uomo capisce davvero che Dio c’è o quando comincia a non credere più in Dio, tutta la sua vita prende una direzione o un’altra; ed anche le singole scelte, quelle decisive della vita come quelle quotidiane, cambiano la loro direzione e la loro intenzione. Lo si vede anche oggi, nella vita di un giovane, quando cambia in un senso o in un altro questa “opzione fondamentale”.

Tra l’altro, abbiamo un tale bisogno di infinito e di assoluto, che se neghiamo Dio, l’Assoluto vero, infinito, giungiamo di fatto ad assolutizzare qualcos’altro, che è però finito. Se non adoriamo Dio, arriviamo cioè inesorabilmente e magari inconsciamente a crearci e ad adorare un “idolo”, a credere che qualcosa o qualcuno possa darci la vera felicità, che sia cioè il nostro bene assoluto: magari il denaro, il piacere, la carriera, una persona, una cosa; o magari ci illudiamo perfino di essere Dio noi stessi, cioè i creatori di noi stessi, gli inventori a piacimento del bene e del male. Fino a quando ne scopriamo la menzogna, magari per noia o per una dura prova che la vita ci presenta e che ci fa aprire improvvisamente gli occhi sulla nostra pochezza e insieme sul nostro infinito bisogno di felicità, di vita, di bellezza, di amore, che nessuna cosa limitata può colmare.
Esiste infatti nella vita di ognuno, anche se non ce ne accorgessimo, un senso ultimo, un’idea di felicità suprema e di verità fondamentale, da cui tutto dipende. Se non troviamo Dio ci facciamo inesorabilmente un idolo, cioè ci aggrappiamo a qualcosa o a qualcuno come se fosse il nostro tutto. Potremmo dire che non si vive senza un “numero uno” nella classifica dei nostri valori, un assoluto, un “tesoro” per il quale, pur di non perderlo, saremmo disposti a lasciare anche tutto il resto17. Se però ci facciamo un idolo, un falso dio, se assolutizziamo ciò che in realtà è relativo e finito, prima o poi rimaniamo vuoti e delusi18.
Non dimentichiamo inoltre che la questione del tempo che passa, l’obbligo inesorabile di compiere delle scelte che ci edifichino davvero, la propensione verso l’infinito che ci caratterizza, l’inesorabilità della morte con il nostro apparente fallimento totale, la questione dell’eternità, con la possibilità senza ritorno di una vita eternamente beata o eternamente dannata (la “grande scommessa”, direbbe Pascal), tutto questo è il vero grande problema della vita umana, anche se ci sforzassimo di non pensarlo. Rimuoverlo sarebbe dannoso; anche perché di fatto prima o poi emerge in tutta la sua drammaticità e concretezza. Ma tutte queste questioni sono evidentemente ancora legate alla questione di Dio: se esista o no, chi sia e per qual fine ci abbia creati.
Di fatto dunque la negazione di Dio, anche se possiamo spavaldamente dichiararla perfino su una t-shirt, in realtà è esistenzialmente drammatica. Consciamente o inconsciamente, Dio (l’Infinito) è il più grande desiderio dell’uomo. Ma questo fondamentale nostro anelito è vero, perché siamo stati creati da Lui e per Lui19, oppure è una “passione inutile”, come afferma il filosofo ateo contemporaneo J. P. Sartre20?

La più grande prova che Dio esiste, ma che qui non analizzeremo, è evidentemente l’esistenza di Gesù Cristo; perché in questo caso, unico nella storia, anche nel panorama di tutte le religioni, si presenta un uomo che ha per così dire la “pretesa” non di essere un profeta o un illuminato di Dio, come dicono di sé i fondatori delle religioni, ma di essere Dio stesso, l’unico vero Dio, fatto uomo. Se così fosse, come è, Dio s’è fatto allora addirittura visibile, incontrabile, ascoltabile, toccabile, come una presenza tra noi21. La fede cristiana è questa, nella sua assoluta originalità. Perché fede, in senso cristiano, non è credere semplicemente che Dio esista (questo è comune a tutte le religioni) o che abbia parlato attraverso qualche uomo (come Buddha per i buddisti o Maometto per i musulmani, o gli stessi profeti dell’Antico Testamento per ebrei, cristiani e musulmani), ma credere che si sia fatto presenza fisica tra noi. Questa è la questione di Gesù di Nazaret. Guardando Lui si vede Dio22. Seguendo Lui, entrando in comunione con Lui, ogni uomo di ogni tempo può entrare nella vita infinitamente felice ed eterna di Dio; ed è ciò per cui ognuno è stato creato.
Molti certo, anche di recente e talora in modo assai banale, hanno tentato di screditare la storicità di Cristo, la Sua divinità, la Sua risurrezione, l’attendibilità dei Vangeli. In realtà gli studi in proposito sono innumerevoli ed estremamente seri23.
E’ però già impressionante osservare come fin dall’inizio, nonostante la Sua condanna a morte di croce, non sia mai stato possibile sbarazzarsi di Gesù di Nazaret; ed è sufficientemente ragionevole ammettere, oltre che per le Sue stesse parole, che non lo sarà mai24. Basterebbe dare uno sguardo alla storia di questi due millenni, ma anche solo a quella del secolo appena trascorso, dove potenti ideologie e sistemi sociali, economici e politici hanno tentato in ogni modo di farlo, provocando anche 40 milioni di morti cristiani, senza riuscire a sopprimere il cristianesimo.

Rimane cioè il più grande enigma della storia come questo uomo, vissuto duemila anni fa in una regione sperduta dell’Impero romano, in soli tre anni circa di predicazione, senza scrivere nulla, senza raggiungere alcun potere, anzi morendo di una terribile condanna a morte riservata ai malfattori (croce), una fine che umanamente sembra determinare non solo il fallimento totale della sua missione ma l’apparente smentita della sua pretesa di essere Dio, non si possa cancellare dalla storia e dopo 2000 anni abbia ancora più di due miliardi di seguaci.
Potremmo dire che questo è il più grande interrogativo che percorre la storia e che bussa alla coscienza di ogni uomo di ogni tempo, le cui conseguenze sono decisive per la vita e l’eternità: chi era quell’uomo? Davvero Dio, o il più grande ingannatore della storia?
Possiamo trovare risposta nella sue parole, nei suoi miracoli; ma la questione più decisiva per capire è chiederci cosa sia avvenuto due giorni dopo la sua morte, così da far passare i suoi discepoli dalla quasi generale delusione totale (se era Dio non poteva morire e morire così! dunque siamo stati ingannati…25) ad un entusiasmo incontenibile, che trasforma improvvisamente tutta la loro vita, rendendoli coraggiosi testimoni di Lui, fino a morire pur di non tradirlo. Dicono di aver incontrato più volte il Cristo risorto, per quaranta giorni, dopo la sua morte e sepoltura. Dunque è vivo, per sempre, ed ha definitivamente sconfitto la morte, per tutti. Dunque era tutto vero: Lui è davvero Dio, la Verità assoluta, l’unico salvatore dell’uomo26. Come spiegare questo dato storico, le cui conseguenze giungono fino a noi e non si fermeranno mai fino alla fine del mondo? Allucinazioni? Ma gli Apostoli erano e continueranno ad essere persone normali. Menzogna? Ma come è possibile che si dia la vita e si muoia (gli Apostoli, tranne Giovanni, sono tutti morti martiri, cioé uccisi pur di non tacere o rinnegare Gesù Cristo) per una cosa che si sa essere falsa, per una persona che si sa non essere Dio perché morto in croce e definitivamente sepolto? Davvero difficile tentare un’altra risposta a quella che Cristo sia veramente risorto ed essi lo abbiano davvero toccato con mano; la risposta quindi che Gesù di Nazaret è davvero Dio, l’unico vero Dio, Dio con noi e l’unico salvatore dell’uomo.
Ora dunque conosciamo davvero Dio27. Ora sappiamo perché siamo stati creati e perché viviamo. L’incontro con Lui, possibile dunque anche oggi, il seguire Lui e la Sua parola, l’entrare in comunione d’amore con Lui, tutto questo provoca il più grande cambiamento della vita, la vera gioia dell’uomo e l’inizio fin d’ora della vita eterna beata. Milioni di convertiti, e specialmente migliaia di santi, ci testimoniano questo. Milioni di martiri (che significa infatti: testimoni), in duemila anni, ci testimoniano perfino col sangue che è meglio morire, piuttosto che perdere Cristo, perché solo in Lui c’è la vita vera e la vita eterna28.

Tra gli altri indizi per scorgere l’esistenza di Dio potremmo così raccogliere quello dato dai “miracoli”, soprattutto quelli compiuti da Gesù durante la sua missione terrena, ma anche gli innumerevoli altri che sono accaduti e che continuano ancor oggi ad accadere29. Negarli a priori sarebbe un atteggiamento dogmatico e irrazionale, perché il primo atto della ragione è guardare ai fatti e non rifiutarsi a priori di esaminarli. La stessa scienza sperimentale, che oggi con più consapevole umiltà deve intanto rifarsi al principio di falsificabilità30, di fronte a queste esperienze straordinarie (miracolo significa infatti “ciò che meraviglia”, in quanto fenomeno comunque al di fuori dall’ordinario), che spesso può rigorosamente e obiettivamente analizzare e studiare, al massimo può onestamente solo affermare di non conoscerne la causa (naturale? soprannaturale? oggi ignota ma domani forse nota?). Dunque è anche razionalmente lecito vedervi l’intervento stesso di Dio e non è pienamente razionale escluderlo.
Potremmo poi esaminare le esperienze eccezionali dei “mistici”31; così come delle “apparizioni” di Gesù o di Maria SS.ma, specialmente quelle attentamente studiate e poi riconosciute come autentiche dalla Chiesa, che pur non obbligano la fede, e almeno chiederci se sia poi così facile ridurle a suggestioni, allucinazioni o quant’altro.

Lasciamo qui però, anche se a malincuore, questi e altri “indizi”, per concentrare ora un poco la nostra attenzione su un altro percorso: quello della possibilità della nostra ragione, che è comune a tutti gli uomini, di risalire fino alla scoperta di Dio, muovendo dall’osservazione della realtà.

La questione di Dio per la ragione

Questa possibilità della nostra ragione, quella che è comune a tutti gli uomini, di risalire fino alla scoperta di Dio, muovendo dall’osservazione della realtà, è estremamente importante, sia per la propria vita (se già crediamo in Lui, per capire meglio che è vero, se ancora non crediamo, per cominciare ad aprirsi a Lui), sia per un vero dialogo tra credenti e non credenti. Infatti, se potessi parlare di Dio solo dicendo che “io ci credo perché lo sento”, cioè a livello solo interiore ed emotivo, sarebbe difficile comunicarlo e discuterne. Un altro potrebbe dire che invece lui “non lo sente”. E tutto sarebbe finito lì. Tra l’altro, fondare la fede in Dio solo su un livello emotivo, potrebbe metterla in serio pericolo, qualora perdessi ad esempio per un certo periodo (cosa possibile anche nei santi) questa percezione emotiva ed interiore di Lui o mi capitasse nella vita qualcosa che potrebbe darmi l’impressione di essere abbandonato da Lui o che addirittura appunto non esista. Ma se ho dei motivi razionali per affermare che Dio c’è, oltre a rafforzare la mia fede in Lui (è proprio vero che c’è, indipendentemente da quello che ora sento), so anche comunicarla a chiunque voglia usare la ragione per fare questa scoperta. Non esiste infatti un vero ragionamento da credente ed un vero ragionamento da ateo, ma esiste solo un vero ragionamento. Se è corretto, è corretto per tutti; e se non è corretto, non è corretto per nessuno. E un ragionamento corretto può essere verificato nella sua esattezza da chiunque onestamente voglia farlo, se non ha paura della verità32.

Anzitutto dobbiamo chiederci: è proprio vero che ciò che è invisibile è inesistente o comunque rimane sconosciuto, al massimo solo creduto?
No. Invisibile non significa sempre inesistente.
Certo, se credo a qualsiasi cosa, pensando come davvero esistente ogni cosa che mi viene detta o che immagino, sono un ingenuo credulone. Se da bambino credo che a Natale sia Gesù bambino (o più laicamente: Babbo Natale) a portare i doni, va bene. Se ci credo ancora quando sono in università, sono imbecille. Possono però esistere realtà invisibili.

Possono essere solo ipotizzate o credute (esistono ad esempio altri pianeti come il nostro attorno ad un’altra stella? Ci saranno anche là forme di vita?) o possono essere anche trovate da un ragionamento.
Oggi ad esempio sappiamo che esistono un sacco di cose che prima non sapevamo che esistessero. Schiaccio il pulsante del telecomando e cambia il canale della TV: non ho visto i raggi infrarossi che sono partiti dal telecomando e sono giunti al televisore; gli scienziati li hanno scoperti, i tecnici li hanno applicati al telecomando per trasmettere al televisore; mi fido; e in effetti sono sicuro che comunque qualcosa è invisibilmente partito dal mio telecomando, perché ne vedo gli effetti: il canale è cambiato. Metto a scaldare il latte nel forno a microonde. Accendo. Non vedo niente, né una fiamma, né una resistenza elettrica che diventa incandescente.
Eppure dopo qualche secondo il latte è caldo. Non ho visto niente che potesse scaldare il latte. Gli scienziati hanno scoperto le microonde, i tecnici le hanno applicate al forno; mi fido; e in effetti sono comunque sicuro che una causa sia pur invisibile c’è stata, perché ne vedo gli effetti: il latte era freddo ed ora è caldo. Cosa avrebbero pensato solo cento anni fa? Prima non si sapeva; e uno poteva credere all’ipotesi che non c’erano infrarossi o microonde, e un altro all’altra ipotesi, risultata poi vera, che esistono. Ma se uno le avesse negate a priori sarebbe stato sciocco e presuntuoso. Negare a priori l’invisibile non è dunque pienamente razionale.
Noi abbiamo delle evidenze immediate, che non hanno bisogno di ragionamenti, basta osservare la realtà (ricordiamo: per sapere quante persone ci sono effettivamente in casa basta guardare). Abbiamo però anche delle evidenze mediate, cioè che partono sempre dall’osservazione della realtà, ma che hanno bisogno di un ragionamento per essere scoperte (come appunto che in questo momento esistono microonde nel mio forno perché il latte si è scaldato). La ragione può infatti non solo conoscere la realtà, ma anche e soprattutto passare dalla conoscenza degli effetti alla conoscenza della causa.
Come la nostra intelligenza, abbiamo osservato, è assolutamente certa che l’essere non possa coesistere col nulla (in casa c’è qualcuno o nessuno? ci sono tre persone o non ci sono tre persone? non può essere vera l’una e l’altra affermazione), è altrettanto certa che il nulla, proprio perché è nulla, non opera nulla. Per cui, se qualcosa accade, c’è sempre una causa, cioè c’è qualcosa (essere) che provoca quel fatto. E tale causa deve essere anche adeguata, proporzionata, perché deve spiegare tutto, non deve cioè lasciare nulla al nulla.
Se una sedia si sposta, è perché c’è qualcosa che la spinge; ma non può essere una formica, perché non avrebbe la forza sufficiente per spostarla, non sarebbe cioè una causa adeguata a provocare tutto quell’effetto.
Su questo principio assoluto, che il nulla non fa nulla (è un principio filosofico, metafisico), si basa non solo il buonsenso, ma anche la scienza. Tutto il lavoro della scienza si muove da questa certezza assoluta, altrimenti non inizierebbe neppure a studiare un fenomeno; tutta la ricerca è tesa ad individuare quale causa specifica (legge, forza) abbia un fenomeno, ma che abbia una causa proporzionata è invece ovvio. Le scoperte scientifiche sono sicure, ma non sono per sé assolutamente certe. Hanno il pregio di poter essere mostrate non solo con un ragionamento, ma anche con gli esperimenti, verificabili da tutti. La scienza moderna è infatti “sperimentale”; e proprio perché non possiamo sperimentare il tutto e il sempre, ci possono essere progressi e perfino smentite. E’ invece assolutamente certo che ogni effetto ha una causa, ed in questa evidenza assoluta non ci sono né progressi né possibilità di smentita.
Molti però pensano che non si possa andare oltre questo livello scientifico. In realtà non è così. Perché la ragione umana, pur essendo limitata, in base proprio a quell’evidenza prima per cui il nulla non è essere e non produce essere (il nulla non fa nulla), non solo può ma deve andare oltre, fino a trovare la Causa prima di tutte le cose, quella causa adeguata senza la quale l’universo stesso non ci sarebbe e non sarebbe quello che è. Che tale Causa ci sia non ha bisogno di essere sperimentata in laboratorio, perché gli effetti ci sono (l’universo c’è). Per la ragione, la questione di Dio si pone in questi termini33.

Il punto di partenza della ragione, dovendo necessariamente muoversi dall’esperienza, è che Dio non si vede. Sembra facile dire che allora non c’è. In realtà, abbiamo visto, anche dire che non c’è è un atto di fede, perché non ho la prova che non c’è. Inizialmente sarei più onesto a dire: non so.
Non possiamo dire niente di più? Poiché non si vede, alcuni lo sentono e ci credono e altri non lo sentono e non ci credono; alcuni si sentono attirati da Lui ed altri se ne sentono perfino infastiditi (come da un ostacolo alla propria libertà ed al godimento della vita). Altri ancora cambiano continuamente posizione: se gli chiedono qualcosa e la fa allora vuol dire che c’è, se invece non la fa o le cose vanno male allora vuol dire che non c’è. Oggi è poi diffusa la religione “fai da te”: Dio c’è, ma “a modo mio”, senza bisogno di capire, di fede, di Rivelazione, di Chiesa, di fastidiose mediazioni. In realtà c’è una grande confusione.
Molti pensano che il problema stia così e che in fondo non si possa davvero risolvere, tanto meno razionalmente.
Pochi però oggi sanno che possiamo scoprire che Dio c’è, e perfino qualcosa di ciò che è, anche con la sola ragione, se ragiona bene34, indipendentemente dal fatto che uno a priori già ci creda oppure no. Questa possibilità può sembrare totalmente preclusa e presuntuosa, perfino a molti credenti, tanto oggi siamo imbevuti di una mentalità relativista e scientista; ma in realtà c’è, è sicura e questo percorso puramente razionale può essere fatto anche da chi non crede e giungere alla certezza che Dio c’è.

Infatti le nostre conoscenze razionali non si limitano all’esperienza empirica (ciò che si vede) e non si fermano neppure al livello scientifico (la scoperta delle leggi scientifiche che regolano i fenomeni), ma possono raggiungere anche la Causa prima di tutte le cose.

La maggior parte della gente e perfino degli studenti universitari (che pur dovrebbero saperne di più, almeno in base agli studi filosofici, se fatti seriamente35) pensa che la questione di Dio non sia razionalmente risolvibile; e quindi sia perfino vano porsela. Anzi, molti pensano che proprio gli studi scientifici vadano a smentire pian piano tutte le credenze religiose, rendendo così sempre più falsa l’ipotesi che Dio esista. Solo gli ignoranti e gli ingenui potrebbero ancora continuare a credere in queste cose. Si pensa che una persona razionale e di cultura non possa più credere in Dio (anche se poi molti laureati e uomini di cultura, che fanno tanto gli atei e gli scettici, non si vergognano di andare da maghi, di credere negli oroscopi, in energie sconosciute, o in filosofie e religioni esoteriche).
Questa è stata in realtà una credenza diffusasi a fine ‘800, quando lo scientismo (e positivismo) credeva che dopo il tempo dei miti e delle religioni e dopo quello delle filosofie, fosse finalmente sorto il tempo della scienza (cfr. A. Comte), che avrebbe spiegato progressivamente ogni cosa, rendendo appunto sempre più inutile e falsa l’idea che Dio esista e tutte le convinzioni religiose, Bibbia compresa. Nonostante l’alta cultura abbia in genere abbandonato da tempo questa presuntuosa e possiamo dire dogmatica posizione36, il livello di divulgazione culturale più basso, per non parlare di quanto predicato capillarmente dagli strumenti di comunicazione sociale, è spesso ancora fermo a questo pregiudizio. In realtà basterebbe una semplice indagine obiettiva sulla storia del pensiero filosofico (almeno fino alla fine del XIX sec., ma anche oltre), così come sulla storia della stessa scienza moderna sperimentale, per rendersi conto che la maggior parte dei filosofi e degli scienziati sono credenti in Dio. Perfino tra i premi Nobel viventi i credenti, o comunque chi non esclude che Dio possa esistere, sono una schiacciante maggioranza (anche se in televisione e sui giornali vanno quasi sempre i pochi non credenti)37.
In realtà, infatti, è proprio il progresso scientifico, con le sue sempre più straordinarie scoperte, a rendere per così dire sempre più chiaro che Dio c’è, come vedremo più avanti. E non perché ci siano ancora troppe cose ignote, non nel senso cioè che lo spazio della fede in Dio sarebbe quello lasciato ancora dalla non conoscenza della spiegazione scientifica, e quindi progressivamente sostituito da essa, ma proprio a motivo delle scoperte scientifiche, cioè della scoperta di un cosmo che ci si svela sempre più complesso ed ordinato.

Osserviamo dunque, sia pur brevemente, qualcuno dei molteplici percorsi che la ragione può fare per raggiungere la certezza che Dio c’è, muovendosi proprio dall’osservazione della realtà.

Se l’universo ha un’età, ci deve essere un Essere al di là dell’universo

Proprio perché nulla si crea dal nulla, ogni cosa che ha un inizio significa che ha una causa fuori di sé, cioè presuppone un altro essere per aver iniziato ad essere. L’idea di un inizio assoluto (di ogni forma di essere) è infatti assurda, perché sarebbe come dire che il Nulla ad un certo momento ha fatto qualcosa. Visto che ora qualcosa c’è (c’è l’essere e non il nulla), dunque qualche essere c’è sempre stato38. O l’universo stesso o un altro Essere al di fuori di esso, che non solo c’è sempre stato ma non ha bisogno di una causa esterna per esserci (possiamo dire che è causa di sé ma è forse meglio dire che non ha bisogno di causa in quanto “è” e non diviene).
Proprio la scienza ci dice però oggi che quasi sicuramente l’universo ha un’età. Tutte le galassie che compongono l’universo (circa 200 miliardi), composte a loro volta da 100/200 miliardi di stelle ciascuna, sarebbero sorte circa 13,7 miliardi di anni fa da un unico punto (“Big Bang”). Il loro essere in fuga le une dalle altre, come una sfera in espansione, permette questo calcolo. Nell’universo c’è ancora oggi come l’eco di quello scoppio iniziale (la “radiazione di fondo”). Se questa scoperta fosse confermata, dovremmo riconoscere allora che ci fu un vero e proprio inizio totale dell’universo: da lì sarebbe scaturita ogni energia, prima ancora della formazione del primo atomo di idrogeno e ovviamente prima ancora della formazione della materia. Si calcola persino la densità d’energia e l’incredibile temperatura di quell’istante iniziale39.

Inoltre, già da quel momento vediamo all’opera quelle leggi (chimiche, fisiche) che provocheranno l’evoluzione cosmica e che ancora oggi regolano tutto l’universo. Se così fosse davvero, se tutto l’universo ebbe un inizio, dovremmo necessariamente concludere che prima dell’universo (anche se il termine prima non è più utilizzabile non essendoci neppure il tempo prima dell’universo, perché il tempo è una caratteristica dell’universo) c’era il non-universo, cioè il nulla di universo40. Non-universo non significa ovviamente il Nulla assoluto, perché il nulla assoluto non avrebbe prodotto nulla (ricordiamo che questa è la base indiscutibile di ogni ragionamento e di ogni scienza). In altri termini, se l’universo prima non c’era e poi c’è, non può essere scaturito ovviamente dal Nulla, ma da un altro Essere, che sta alla sorgente del suo stesso essere41. Questo Essere che trascende l’universo e che è causa dell’universo corrisponde al concetto Dio, che significa appunto l’Essere da cui tutto dipende. In altri termini il “Big Bang” sarebbe il frutto dell’atto creativo di Dio42. Se cioè Dio non ci fosse non avrebbe mai potuto esserci questo universo.

L’universo è in continua trasformazione; dunque dipende da un Essere eterno

Non solo l’inizio di una cosa richiede una causa esterna, ma il suo stesso divenire, trasformarsi, rimanda ad altro, perché nessuna cosa può darsi ciò che non ha. Infatti ogni cosa che si trasforma ha una causa fuori di sé, cioè presuppone un altro essere. Ad esempio, se mi chiedo come mai esiste una lampadina, visto che non c’è da sempre, devo risalire alla ditta che l’ha costruita. Ma se mi domando come mai fa luce in questo momento devo risalire ad una centrale elettrica che in questo momento deve inviarmi energia elettrica, altrimenti non ci sarebbe questo effetto. Tra l’altro, se l’operaio o la ditta che l’ha costruita termina la sua attività (cioè termina la causa del suo inizio) la lampadina continua ad esistere; se invece la centrale elettrica termina di esistere o di mandare corrente, la lampadina si spegne (cioè, se termina la causa termina l’effetto). Questo ci permette di capire che, anche se per ipotesi estrema dicessi che questa lampadina sta facendo luce da sempre, non farebbe ugualmente luce da sé, ma richiederebbe ugualmente la centrale, la lampadina dipenderebbe cioè ugualmente da essa, e dunque la centrale dovrebbe esserci ed essere attiva da sempre43.
In altri termini, ogni cosa che inizia dipende necessariamente da altro; ma anche una cosa che non avesse inizio, ma fosse in divenire, dipenderebbe ugualmente da altro, anche se la ipotizzassi “da sempre”. La questione del tempo perde cioè qui di importanza (da quanto tempo c’è questo effetto?), perché intanto il problema non cambia col tempo, neppure se lo ipotizzassi all’infinito. Perfino il concetto di “automobile” è in questo senso ridicolo, perché niente si automuove44.
Ora, anche nell’ipotesi (mai verificabile) che l’universo esista da sempre, per il fatto che comunque si trasforma, diviene, si muove, dipende da qualche Essere oltre sé; tale Essere deve dunque non solo esserci ma a sua volta non deve divenire, ma deve essere eterno, dove eterno non significa un divenire infinito ma un non-divenire, cioè non un tempo infinito ma un oltre il tempo.
Potremmo in questo senso osservare come ogni catena di esseri causati, anche se fosse infinita, continua ancora a dipendere da altro, cioè una catena di esseri che hanno ricevuto l’essere o un essere che si trasformi da
sempre indicherebbero ancora che non sono essi stessi l’Essere (senza causa) e che quindi dipenderebbero ancora da questo altro Essere45.
Nessuna trasformazione cioè è davvero spiegata, anche risalendo indietro in una catena infinita, se non si trova una sorgente di tutto il divenire, una sorgente di essere che non derivi da altro il proprio essere e la propria forza. Occorre dunque necessariamente ammettere l’esistenza di un Essere che causa ogni divenire, senza a sua volta divenire, altrimenti sarebbe a sua volta causato ed il problema sarebbe solo spostato, rimanendo lo stesso, senza soluzione; invece una soluzione ci deve essere perché di fatto io vedo come “esistente” questo divenire. Poiché facciamo esperienza di esseri divenienti (e tutto l’universo diviene), l’intelligenza è costretta a riconoscere che esiste un Altro Essere, che “trascende” l’universo, che è causa del divenire e che a sua volta non diviene: è l’Essere, indiveniente, fuori dal tempo, eterno; e ciò corrisponde al concetto di Dio, comunque lo si chiami.

L’universo è regolato da leggi; dunque dipende da un’Intelligenza superiore

Tra i molti possibili percorsi che la ragione può fare per risalire da ciò che sperimentiamo alla sua Causa prima, questo è forse il più bello e perfino il più facile a comprendersi.
Che l’universo fosse non un Caos ma un Cosmo, cioè un insieme
ordinato, lo avevano già scoperto sia la filosofia greca che la maggior parte delle civiltà antiche46; ma proprio il continuo progresso delle scienze, con le loro sempre più precise scoperte, permette oggi di avere una consapevolezza sempre più grande dello stupefacente ordine che troviamo in ogni cosa, sia nel macro-cosmo (ciò che studiano l’astronomia, l’astrofisica…) che nel microcosmo (fisica nucleare, subnucleare…), per non parlare del miracolo della vita (ciò che studia la biologia) e di quell’essere straordinario che è l’uomo (anche se ci limitassimo agli studi della medicina). Tutto è regolato da leggi rigorose: per questo possiamo fare scienza. Sappiamo oggi che l’universo stesso inizia e si trasforma in base a delle leggi: non è cioè l’universo a fare le leggi ma sono le leggi a fare l’universo. Ciò che costituisce sia una stella che un pezzo di carta è sempre un insieme di protoni, neutroni ed

elettroni, regolati da leggi ed equilibri rigorosissimi. Il progresso scientifico quindi non diminuisce ma aumenta sempre più la consapevolezza di ciò e lo stupore per questo straordinario ordine e pone con ancora più evidenza la questione di come ciò sia possibile, di quale cioè ne sia la causa (adeguata).
Di fronte allo spettacolo cosmico, possiamo fermarci a studiarlo sempre più, cioè a conoscere e spiegare sempre più ogni fenomeno e le sue cause (leggi), cercando di esprimerle in termini obiettivi, addirittura matematici. Questo è il compito di tutte le scienze. Ma possiamo e dobbiamo
anche chiederci quale sia la Causa prima di questo ordine, come ciò sia possibile47.
Non risolviamo il problema dicendo che l’universo si struttura pian piano in base a delle leggi (necessarie) e in modo casuale. Oltre a dover spiegare da dove derivi già il primo scoppio di “luce”, dobbiamo spiegare anche da dove derivino le stesse leggi che regolano i fenomeni ed il loro progressivo sviluppo48. Allo stesso modo sarebbe un errore, tanto più irrazionale quanto più la scienza scopre questo ordine immenso, continuare a pensare dogmaticamente che tutto questo straordinario ordine possa essere solo il frutto del caso. Nella natura ci possono certo essere fenomeni casuali (il che non vuol dire che non abbiano cause precise, ma che si incrociano casualmente effetti per sé tendenti ad altro); ma cercare di spiegare tutto l’ordine del cosmo e di ogni sua parte e di ogni sua legge con la pura casualità è assolutamente irrazionale, anche con un eventuale calcolo di probabilità49.

In realtà, dove c’è ordine c’è intelligenza; c’è cioè una logica e quindi un pensiero50. Evidentemente non è intelligente quella realtà stessa che è fatta e si comporta secondo una logica; non lo è neppure la somma di tutti i fenomeni (la cosiddetta Natura) ad essere essa stessa intelligente. Intelligenza, come capacità di pensare, richiede una mente, è una facoltà spirituale, che comunque le cose non hanno e neppure l’universo in quanto tale ha. Credere che la Natura stessa sia intelligente non è essere moderni, come potrebbe sembrare, ma tornare primitivi (come gli “animisti”). L’ordine, l’armonia e la finalità che vediamo nelle singole cose e addirittura nell’universo stesso richiedono un’Intelligenza trascendente ed infinita (Dio).
Dunque la necessità di pensare a questa Intelligenza suprema non è data da un’ignoranza scientifica, cioè dal fatto che non sappiamo le cose come stanno, ma al contrario proprio dal fatto che lo sappiamo sempre meglio. Quindi il progresso scientifico, se ci si pone la domanda di fondo sul perché primo, non diminuisce ma aumenta la certezza che Dio esiste51. Qualcuno potrebbe pensare: un tempo pensavano ad esempio che fosse Dio a scagliare i fulmini dall’Olimpo, poi la scienza ci ha spiegato che il fulmine è una potentissima scarica elettrica dovuta ad una differenza di potenziale. Dunque pian piano avremo sempre più spiegazioni scientifiche e sempre meno bisogno di pensare a Dio come causa di tutte le cose. In realtà la scienza scopre sempre più quali siano le leggi della natura (cause immediate dei fenomeni); ma sono proprio queste ad essere create da Dio. E Dio stesso, che pur potrebbe mutarle (come nel caso del “miracolo”), normalmente le rispetta e le mantiene, così che appunto noi possiamo vederne la regolarità e studiarle, e lascia alla nostra ricerca la loro scoperta52. Non c’è dunque Dio direttamente dietro ad ogni singolo fenomeno53, anche se può parlarci attraverso ogni singolo evento, ma c’è certamente Dio come creatore delle leggi che regolano tutte le cose. Questa certezza appunto non diminuisce ma aumenta con la progressiva scoperta delle leggi.
Anche la sola nostra ragione ci permette dunque di scoprire che questo universo, non solo perché c’è ma proprio per come è, richiede necessariamente che esista un Essere pensante come sua causa prima. Non basta quindi neppure pensare ad una creatrice Super-energia, cieca e impersonale. Il fatto che l’ordine dell’universo ci riveli una Sapienza immensa e richieda un’Intelligenza suprema è estremamente importante, perché indica un Essere pensante, dunque non Qualcosa, ma Qualcuno, un Tu, con cui posso entrare in rapporto. Come l’uomo di ogni tempo e ogni religione ha in fondo intuito e sempre desiderato.

Alcune domande conclusive

1) Perché diciamo che la Causa prima è Dio?

Il concetto di Causa prima di tutte le cose, cioè quell’Essere da cui tutto dipende, corrisponde all’universale concetto di Dio. “Dio” significa infatti questo: ciò o Colui da cui tutto dipende. Qualcuno, che soffre di idiosincrasia per questo nome, può anche usarne un altro; intanto non è questione di nomi ma di intendersi sul concetto. Può anche chiamarlo una “X” da cui tutto dipende. Ma tale essere, come abbiamo brevemente osservato, deve essere trascendente (non è nell’universo, ma oltre; non è nel tempo ma è eterno) e deve essere pure infinitamente intelligente, perché quello che ha fatto lo ha fatto con infinita sapienza. Anche la ragione può e deve allora dire che la Causa prima di tutte le cose non è “qualcosa” (un’energia cieca), ma “Qualcuno” (l’Intelligenza suprema). Nelle religioni primitive il “ciò da cui tutto dipende” veniva ancora identificato con qualcosa dell’universo (un “totem”, un sasso, una montagna, il sole, ecc.). In realtà la ragione (filosofica), come le grandi religioni monoteiste, arriva abbastanza presto a capire che la causa prima dell’universo è una ed è oltre l’universo (trascendente).
Come abbiamo osservato, dobbiamo invece fare attenzione all’uso del termine “Natura”, oggi diffuso ma ambiguo, perché questo termine è collettivo e astratto, cioè indica la somma organicamente strutturata dei fenomeni, non la loro Causa54. Se dico che la natura è bella e fatta con sapienza dico una cosa giusta; se dico che si è fatta da sé dico una cosa falsa, perché ci mostra che non si è fatta da sé e non può essere essa stessa sapiente. L’insieme dei fenomeni è la Natura (il cosmo, l’universo). Essa è ancora immanente. La Causa prima dei fenomeni è in realtà trascendente tutti i fenomeni, ed è Dio.

2) Il Dio scoperto dalla ragione è quello della fede cristiana?

Evidentemente non esistono più dèi. Anche la ragione scopre che Dio è uno, come lo sanno le tre grandi religioni monoteiste. Esistono quindi modi giusti o errati di intenderlo oppure modi più o meno profondi di scoprirlo. Anche in questo caso la verità è una, sia pur compresa a livelli diversi. Ed ancora per questo non può esistere un Dio della ragione opposto a un Dio della religione.
Ciò che qui abbiamo sinteticamente ricordato è che la ragione, anche solo indagando il mondo, può scoprire che Dio c’è, cioè che la Causa di tutte le cose è un Essere trascendente, eterno ed Intelligenza infinita, quindi un “Tu”. Le religioni, specialmente le tre grandi religioni monoteiste (che risalgono ad Abramo: ebraismo, islam e cristianesimo; e che comprendono la maggioranza assoluta della popolazione mondiale) conoscono questo Dio che è uno, trascendente, onnipotente, eterno. Il concetto stesso di “creazione”, che appare fin dalle prime parole della Bibbia (Gen 1,1) coglie ancor più in profondità (più di quanto compresero Platone e Aristotele) in che senso tutto dipenda da Dio ed abbia anche un inizio.
Dio stesso si poi è rivelato dapprima agli ebrei (nell’Antico Testamento della Bibbia, il che è creduto anche dai cristiani e dai musulmani), quindi si è addirittura incarnato e fatto uomo in Cristo (come sa il cristianesimo). Ora cioè possiamo conoscere Dio in modo immensamente più profondo, reale, bello e affascinante. Dio è Amore; Dio è la comunione perfetta di tre “persone” (Padre, Figlio e Spirito Santo); ed entrando in comunione con Cristo possiamo entrare nella vita piena ed eterna di Dio.
Il Dio scoperto dalla ragione non è dunque altro da quello rivelatosi nell’A.T. e fattosi uomo in Cristo; anche se come si rivela pienamente in Cristo è certamente e infinitamente oltre quello che la ragione aveva scoperto e potrebbe da sola scoprire. Non a caso S. Giovanni inizia il suo Vangelo dicendo appunto che “In principio era il Logos, e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio” (Gv 1,1), e che lo stesso Logos poi “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” Gv 1,14). Dio quindi non si è limitato a parlarci attraverso il creato o nella nostra coscienza, e non si è limitato neppure a parlarci attraverso dei profeti; in Cristo si è fatto presenza tra noi.

Per questo non dobbiamo oggi limitarci, specialmente con la vita, a quanto la ragione coglie di Dio attraverso le cose; e neppure fermarci a quello che le diverse espressioni religiose hanno intuito e perfino Dio stesso ha rivelato prima di Cristo, ma dobbiamo volgere il nostro sguardo su Cristo per vedere Dio, e per capire anche chi siamo noi e qual è il senso vero della nostra vita.
Per chi può fare però questi ragionamenti è estremamente utile sapere che anche per la ragione Dio c’è, cioè che è vero anche razionalmente. La fede è anche ragionevole: perché abbiamo motivi anche razionali per dire che Dio c’è, come li abbiamo per riconoscere che Gesù è l’unico Dio, fatto uomo.

3) Se possiamo scoprire con la ragione che Dio c’è non siamo più liberi di dire che non c’è? Ma la fede non è un atto libero?

Abbiamo già osservato, essendo libera la volontà ma non l’intelligenza, che non posso razionalmente dire che Dio non c’è, ma posso ancora liberamente accoglierlo o no nella mia vita, obbedirgli o no, amarlo o no. Sono solo moralmente obbligato ad accoglierlo, ad obbedirgli e ad amarlo, essendo creato e redento da Lui per questo. Anche il demonio sa infatti perfettamente che Dio c’è, ma è il “padre della menzogna” (come lo definisce Gesù stesso – Gv 8,44) e continua a ribellarsi a Lui, e per questo è dannato; e cerca di dannare anche noi. In senso più specifico, cristiano, fede è credere che quel Dio già scoperto un po’ dalla ragione e dalla religione, si è davvero fatto uomo in Cristo, per cui ora fede autentica significa credere in Lui, seguire Lui, amare Lui, obbedire a Lui. Questa è la verità e solo la verità ci fa davvero liberi (Gv 8,32). L’atto di fede, con cui l’uomo non solo crede in Dio ma aderisce alla sua volontà, è allora sia razionale che libero. Per questo c’è in esso anche un nostro merito, cioè un movimento della nostra volontà nel credere.

4) Se possiamo scoprire con la ragione che Dio c’è, perché diciamo che la fede è una “grazia”?

Proprio perché “fede” non è solo sapere che Dio c’è, ma occorre anche un movimento della volontà verso di Lui, occorre non solo il dono naturale (di Dio) della ragione ma anche il dono soprannaturale della “grazia”, per aprirci totalmente alla Sua presenza ed alla Sua chiamata. Questa grazia è comunque data prima o poi a tutti coloro che la cercano.

Molti dicono: mi piacerebbe avere fede ma non ho questa grazia… beato lei che ha la fede…
Spesso queste espressioni denotano ancora un’ignoranza di quanto la ragione può sapere dell’esistenza di Dio e più ancora una non conoscenza di cosa significhi avere fede. Denotano purtroppo, nonostante 2000 anni di cristianesimo, come molti non abbiamo ancora percepito la grandezza dell’avvenimento cristiano, che cioè Dio si sia ormai fatto presenza in mezzo a noi, in Cristo. Non si tratta infatti di provare sensazioni (almeno non solo questo, che può essere soggettivo e perfino momentaneo), ma anche di sapere. Occorre quindi informarsi, studiare e capire bene; quindi far seguire un movimento della volontà che si decide finalmente a seguire Cristo Gesù, anche se ci fosse ancora, a livello di percezione, un certo buio interiore (che peraltro in certi momenti anche i santi possono avere, pur continuando a credere ed amare Cristo, quindi con ancora più merito). Facendo esperienza di Cristo, poi si capisce ancor più che è vero.
Come abbiamo già ricordato, molto di quel buio che molti dicono di avere, non è però forse perché “la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,5)? Non sarà che molti dicono che Dio non c’è perché hanno paura di dover cambiare vita credendo in Lui? “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19).

5) Allora non sono libero di essere ateo?

Certamente. Ma in realtà non è vero. Se ragiono correttamente posso scoprire infatti che è vero che Dio c’è. Con la volontà (che è libera) posso continuare a dire che Dio non c’è o vivere come se non ci fosse; ma con l’intelligenza (che non è libera), se faccio un ragionamento corretto, posso invece scoprire che Dio c’è.
Esistono infatti nella storia del pensiero filosofico numerose dimostrazioni dell’esistenza di Dio55. Mentre non esistono dimostrazioni dell’ateismo56. Lo stesso ateismo di Nietzsche, forse appunto il più drastico, rigoroso e portato coerentemente alle estreme conseguenze, deve infatti concludere paradossalmente ad una nuova irrazionale credenza, al mito dell’“eterno ritorno dello stesso”57.
Ci sono certamente persone intelligentissime che sono atee. Però, se analizziamo bene questa loro posizione, possiamo vedere che: o questa è
una loro scelta esistenziale, quindi non un frutto dei loro ragionamenti ma una decisione volontaria e libera della loro vita58; oppure, pur essendo esperti in qualche settore della scienza, possono benissimo non esserlo nel procedimento razionale (filosofico) che risale dalle scoperte scientifiche alla Causa prima; oppure, se questo processo razionale è stato fatto, possiamo analizzarlo e di fatto possiamo scorgerne l’errore che ne ha falsata la conclusione.
Dunque: Dio c’è. L’ateismo è falso. Ma se scopro che Dio c’è non è più ragionevole essere atei, nè vivere da atei (come se Dio non ci fosse).


  1. Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio (14.09.1998), n. 34 ↩︎
  2. Significativa e drammatica espressione usata solennemente, com’è noto, dall’allora Card. Ratzinger, il 18.04.2005, nell’omelia alla celebrazione della S. Messa per l’apertura del Conclave, che solo il giorno dopo lo avrebbe eletto Papa. Cfr. anche Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, n. 82 ↩︎
  3. Cfr. Aristotele, Metafisica (IV, 4, 1006 a). Lo stesso Nietzsche, forse non solo il più feroce ateo contemporaneo ma anche e prima ancora il più spietato nemico della parola “verità”, volendo ridurre tutto a opinione, ad interpretazione, confessa una volta questa aporia: “Posto poi che anche questa fosse soltanto una interpretazione – e voi sareste abbastanza solleciti da obiettarmi ciò – ebbene, tanto meglio” (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, VI-2, p.28); ma questo non è altro che costringersi al silenzio ↩︎
  4. Aristotele inizia significativamente così la sua celebre Metafisica (I,1,980a): “Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza: ne è un segno evidente la gioia che essi provano per le sensazioni, giacché queste, anche se si metta da parte l’utilità che ne deriva, sono amate di per sé…” ↩︎
  5. Ricordiamo in proposito quanto abbiamo già visto insieme l’anno scorso, nel mio fascicolo Il tempo e il suo senso (A. Cecchini, LUP 2006 – Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma) ↩︎
  6. Gesù ha sintetizzato ciò con un’affermazione insuperabile: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”(Gv 8,32)  ↩︎
  7. Questo lo sperimentiamo continuamente; ma alla fine della vita e della storia ci sarà quello che chiamiamo il “giudizio universale”: sarà in fondo l’evidenziarsi pieno della verità (che già in sé è infatti un giudizio) e la nostra conformità o difformità ad essa. La partecipazione piena alla Verità-Bene che è Dio sarà la nostra felicità infinita ed eterna; un significato inventato (questo è in fondo il peccato) si rivelerà in tutta la sua falsità e ci lascerà totalmente vuoti e disperati ↩︎
  8. La Bibbia, come ci fa conoscere fin dall’inizio non solo l’esistenza di Dio creatore e che l’uomo è creato “a Sua immagine e somiglianza”, ci fa anche sapere che questa resistenza, questa fatica, è dovuta alle conseguenze del “peccato originale” (Gen 3), che è quell’originale pretesa di inventarci il bene e il male, cioè di essere Dio (inganno sospinto dal demonio, che per primo ha vissuto questa pretesa e questa ribellione, sperimentandone il fallimento radicale). Per questo, pur essendo fatti per la verità, per il bene, per il bello, per l’amore, cioè per l’Essere (Dio), in noi agisce anche una tentazione contraria, potremmo dire una irrazionale spinta verso il falso, il male, l’abbruttimento, l’odio, cioè in fondo una “tentazione del nulla”; tentazione che si fa ancora più forte se ci lasciamo andare su questa strada con le nostre false scelte personali, cioè con i nostri peccati ↩︎
  9. Cfr. Gv 3,19-20 ↩︎
  10. Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, n. 28 ↩︎
  11. “Lo stato d’animo del filosofo è la meraviglia. L’origine della filosofia è la meraviglia” (Platone, Teeteto 155 d). “Gli uomini furono mossi a filosofare, allora come ora, dalla meraviglia, rimanendo dapprima stupiti dinanzi ai problemi più semplici, e poi progredendo a poco a poco sino a porsi problemi molto più alti” (Aristotele, Metafisica I 2, 982 b 14). “Lo stupore è il desiderio di sapere qualcosa: esso nasce nell’uomo per il fatto che questi vede l’effetto e ignora la causa; oppure per il fatto che la causa di quell’effetto trascende la conoscenza o la capacità dell’uomo. Perciò lo stupore è causa di piacere, in quanto gli è congiunta la speranza di poter giungere alla conoscenza di ciò che si desidera sapere” (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 32, a. 8, resp.). “Il motivo per cui il filosofo è vicino al poeta è questo: ambedue hanno a che fare con ciò che desta lo stupore” (S. Tommaso d’Aquino, Commento alla Metafisica di Aristotele, I, 3). “La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Essa è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza. Sapere che ciò che è per noi impenetrabile esiste realmente, manifestandosi come la più alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono comprendere solo nelle forme più primitive, questa conoscenza, questo sentimento, è il centro della vera religiosità” (Albert Einstein, Come io vedo il mondo, 1929) ↩︎
  12. Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO (Parigi, 2.06.1980), nn. 6-7: “L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura. La cultura è un modo specifico dell’«esistere» e dell’«essere» dell’uomo […] La cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, «è» di più, accede di più all’«essere». E’ qui anche che si fonda la distinzione capitale fra ciò che l’uomo è e ciò che egli ha, fra l’essere e l’avere”  ↩︎
  13. Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, n. 102. Ludwig Wittgenstein, uno dei più acuti filosofi del ‘900: “Chiamo null’altro che il senso della vita” ↩︎
  14. Alfonso Ratisbonne era un giovane e ricchissimo banchiere di Strasburgo, di famiglia ebrea ma di fatto completamente ateo e con una particolare avversione alla Chiesa Cattolica. Durante un viaggio in Italia nel 1842 fece per questo a malincuore una visita a Roma, in verità per un disguido turistico. Entrato casualmente nella piccola e bella chiesa di S. Andrea delle Fratte (non lontano da Piazza di Spagna, che è ancor oggi particolare luogo di preghiera e meta di pellegrinaggi per questo motivo), gli apparve la Madonna, secondo le sembianze della cosiddetta “medaglia miracolosa”, cioè come apparve a S. Caterina Labouré nel 1830 a Parigi: di colpo si convertì al cattolicesimo. “Non mi ha detto nulla, ma ho capito tutto – racconterà – ed ho trovato la vita, la grazia, la felicità”. A tal punto che non solo si fece battezzare, ma, lasciata la bellissima fidanzata, volle diventare sacerdote ↩︎
  15. André Frossard è stato uno dei più autorevoli giornalisti francesi degli ultimi tempi: dopo una gioventù totalmente atea, si convertì improvvisamente entrando casualmente in una chiesa di Parigi; dopo anni, nel 1969, spinto da alcuni amici, raccontò quell’incredibile episodio (“sono entrato in quella chiesa completamente ateo e ne sono uscito poco dopo con una fede cattolica certissima”) nel suo libro Dio esiste io l’ho incontrato (SEI, 1993), che fu un caso editoriale, un autentico best-seller mondiale, stampato anche in Italia in 30 edizioni  ↩︎
  16. Basti pensare la drammaticità con cui annuncia la “morte di Dio”, ad esempio nel celebre aforisma 125 de La gaia scienza (Adelphi, V-2, pp. 150-152): “Dove se n’è andato Dio? Ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l’intero orizzonte? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? … Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli. Chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali riti espiatori, quali sacre rappresentazioni dovremo inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?”  ↩︎
  17. Il vero “tesoro” è la presenza di Dio, come ci dice Gesù: cfr. Mt 13,44-46 (“Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”) e Mt 6,21 (“Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”) ↩︎
  18. Cfr. Sal 115 (113 B), 4-8: “Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano…”, cioè hanno tutta la parvenza di rispondere al nostro bisogno di felicità ma non possono esserlo; per questo prima o poi ci deludono  ↩︎
  19. Ricordiamo la nota espressione di S. Agostino: “Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei Tu, Signore, che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per Te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in Te” (Le Confessioni, 1,1,1) ↩︎
  20. L’être et le néant, Paris 1960, p. 708. Se così fosse, se a questa fame infinita dell’uomo non corrispondesse niente, non ci fosse risposta, l’uomo sarebbe tra l’altro la prima assurdità cosmica, perché mai nella natura si registra l’esistenza di un bisogno fondamentale “vano”, cioè senza risposta. Esempio: se c’è la sete è perché da qualche parte c’è l’acqua; si può anche morire di sete, ma perché uno non trova acqua, non perché l’acqua non esista. Se non esistesse l’acqua non esisterebbe neppure un essere che ha sete, come è ogni vivente ↩︎
  21. “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1, 1-3) ↩︎
  22. “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9). “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). Così il Papa: “Nessuno ha mai visto Dio come Egli è in se stesso. E tuttavia non è per noi totalmente invisibile, non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile… Dio si è fatto visibile: in Gesù noi possiamo vedere il Padre” (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, 25.12.2005, n. 17). “La vera novità del Vangelo non sta in nuove idee, ma nella persona stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito” (ibi- dem, n. 12) ↩︎
  23. Non entriamo qui in questa questione decisiva; ma possiamo osservare come anche per questa questione “credere” non sia un atto cieco, ma esistano motivi seri per dare il proprio ragionevole assenso. Un autorevolissimo testo su cui poter far oggi riferimento per capire questa questione decisiva è ovviamente quello di Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), Gesù di Nazaret (Rizzoli 2007). Per chi poi non ha la possibilità di accedere agli innumerevoli studi specialistici sulla questione di Gesù, può più agevolmente leggere i testi, estremamente corretti ma più divulgativi, di Vittorio Messori: Ipotesi su Gesù (SEI 2001), Patì sotto Ponzio Pilato? (SEI 2003), Dicono che è risorto (SEI 2000) ↩︎
  24. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mc 13,31). “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) ↩︎
  25. Cfr. ad es. Lc 24,21: “Speravamo fosse lui…” ↩︎
  26. Cfr. At 2,22-24.32-33.36; 4,10-12; sono le prime parole di Pietro a tutto il popolo ed ai suoi capi, dopo la Pentecoste, con una parresia, un’audacia ed una franchezza impressionanti, tanto più se confrontate con la paura ed il rinnegamento di qualche giorno prima, durante il processo a Gesù (cfr. Mt 26,69-75) ↩︎
  27. Cfr. At 17,23; Gal 8,9. E ora sappiamo che “Dio è amore” (1Gv 4,16). “Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto” (1Gv 4,16) ↩︎
  28. Dice infatti Gesù: “Chi perderà la propria vita per causa mia la troverà. Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria l’anima?” (Mt 16,25-26) ↩︎
  29. Basterebbe pensare ad esempio ai 132 “miracoli eucaristici” (vedi) avvenuti nel mondo, su molti dei quali la scienza ha seriamente indagato rimanendo attonita e senza risposta, o alle migliaia di guarigioni fisiche istantanee avvenute in 150 anni a Lourdes, documentate dal punto di vista scientifico e medico (di cui la Chiesa ne riconosce miracoli solo 67) ↩︎
  30. Come ricorda K.R. Popper, poiché le certezze della scienza non sono mai assolute, le sue scoperte possono essere ritenute vere sino a prova contraria e smentite anche da un solo esperimento che ne dimostrasse la falsità. Questo proprio perché la scienza moderna è sperimentale, quindi fondamentalmente induttiva, cioè compie molteplici osservazioni, ripete più volte l’esperimento e notando la costanza del risultato lecitamente conclude all’esistenza di quella causa; ma in fondo ha generalizzato casi comunque particolari (non c’è esperienza del sempre o del mai in senso totale). Per questo le certezze raggiunte dalla scienza (questo effetto ha questa causa) non sono assolute, come lo sono invece quelle metafisiche (ogni effetto ha una causa). Sotto questo aspetto la scienza non può rifiutare a priori che possa avvenire un miracolo, cioè qualcosa al di fuori della norma: anzitutto perché in moltissimi casi può analizzare questi fenomeni ed osservare come nessuna spiegazione scientifica nota sia plausibile; in secondo luogo perché non può escludere a priori un intervento che sfugga al proprio tipo di conoscenza, e quindi anche all’ipotesi di una causa soprannaturale, a meno che non sia ideologicamente e irrazionalmente chiusa a questa ipotesi. ↩︎
  31. Si veda ad esempio lo studio critico di questi fenomeni nei 4 volumi di 500 pagine ciascuno di Joachim Bouflet, pubblicati a cominciare dal 1992, con il titolo Encyclopédie des Phénomènes extraordinaries de la mystique; o quello, con metodo ancora più critico ed empirista anche se più datato, di Herbert Thurston, dal titolo “I fenomeni fisici della mistica” ↩︎
  32. Si veda in proposito quanto autorevolmente sottolineato dal Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, ad es. ai nn. 48, 79, 92 e 144; e pure a quanto detto dal Papa Benedetto XVI all’Università di Regensburg nella celebre lezione, anche se volutamente travisata dagli organi di stampa internazionali e così inizialmente recepita da ampi settori del mondo islamico, tenuta il 12.09.2006 ↩︎
  33. Questo muoversi dall’esperienza sensibile e ragionando su di essa per arrivare all’esistenza di Dio si chiama argomento “a posteriori” (a differenza di quello “a priori”, come quello ontologico di S. Anselmo, che parte invece dal concetto stesso di Dio per concludere necessariamente alla Sua esistenza). L’esempio forse più celebre ed estremamente preciso di questo ragionamento “a posteriori” sono le cosiddette “cinque vie” di S. Tommaso, in cui colui che è forse il più grande teologo e filosofo di tutti i tempi riprende e perfeziona anche le dimostrazioni di Platone ed Aristotele e giunge alla necessità razionale di ammettere l’esistenza di Dio (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3. Si noti però che questo articolo 3, intitolato “Utrum Deus sit” cioè “Se Dio esista”, che l’Autore pone giustamente all’inizio di questa sua immensa opera su Dio (che non è l’unica), non è che un articolo, cioè circa 100 righe, di un’opera che da sola comprende 33 volumi! Si può vedere in proposito anche la Summa contra Gentiles, I,c. 13 e II, c. 64; De potentia, q. 3, a. 6; il Commento alla metafisica di Aristotele, XII, 10, lect. 12; il Commento al Vangelo di S. Giovanni, Prologo; il Commento al Simbolo degli Apostoli, a.1) ↩︎
  34. Ricordiamo che “ragionare bene” non può essere arbitrario, a piacimento, ma dipende da una rigorosissima scienza che è la logica (da cui peraltro dipende anche la matematica e conseguentemente anche la scienza). Questa possibilità della ragione di scoprire Dio è testimoniata dai ragionamenti di moltissimi filosofi, del passato e del presente; è affermata anche dalla Bibbia, sia nell’A.T. (ad es. Sap 13,1-9) che nel N.T. (ad es. Rm 1,18-32); fu poi dichiarata autorevolmente (ed in modo vincolante per l’autentica fede cattolica) anche dalla Chiesa Cattolica nel Concilio Ecumenico Vaticano I (Cost. dogm. “Dei Filius”), ripresa più recentemente dal Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, n. 52-53, dal Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 27-38) e dal relativo Compendio (nn. 2-5) ↩︎
  35. E’ purtroppo frequente che durante gli studi liceali, e talora perfino in quelli universitari, non si affrontino o non si analizzino adeguatamente quei filosofi, spesso anche grandi teologi, che sono esempio della straordinaria fecondità del rapporto tra fede e ragione. Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Fides et ratio (n. 74), ne cita alcuni: tra i Padri della Chiesa san Gregorio Nazianzeno e sant’Agostino, tra i Dottori medievali sant’Anselmo, san Bonaventura e san Tommaso d’Aquino; tra i pensatori più recenti, tra gli occidentali John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Etienne Gilson, Edith Stein, e tra gli orientali Vladimir S. Solov’ev, Pavel A. Florenkij, Petr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky ↩︎
  36. Si veda in proposito, ad esempio, R. Laurentin Dio esiste. ecco le prove. Le scienze erano contro, ora conducono a Lui, Piemme Pocket, 2001 ↩︎
  37. Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, n. 88. Il mito scientista, come quello dell’opposizione tra scienza e fede e la credenza che la Chiesa Cattolica avrebbe posto e ponga ostacolo allo sviluppo della scienza, è un dogma anticristiano di fine ‘800 ma purtroppo tutt’oggi perdurante e divulgato non solo dai mass-media ma anche a livello scolastico. Purtroppo non possiamo qui soffermarci su questo falso storico. Sarebbe intanto interessante osservare, come molti anche non credenti oggi finalmente riconoscono, che la scienza moderna nasca non a caso in area culturale cristiana; e che poi di fatto moltissimi grandi scienziati erano fermamente credenti e cattolici (da G. Galilei stesso a N. Copernico, da L. Pasteur a J.G. Mendel; solo ad esempio nel campo elettrico potremmo citare i credenti e praticanti: A. Volta, A.M. Ampère, M. Faraday, L. Galvani, G. Ferraris, J. Foucault), che appartennero alla Pontificia Accademia delle Scienze scienziati del calibro di Lamaitre, Marconi, Planck, Heisenberg e Fleming e tutt’oggi vi appartengono la maggior parte dei premi Nobel; e che il Vaticano possiede pure un Osservatorio Astronomico di riguardo (la Specola Vaticana, i cui telescopi erano dapprima in Vaticano, poi trasferiti – per motivi di inquinamento luminoso – prima a Castelgandolfo ed ora nel deserto dell’Arizona). Si veda in proposito anche il recente libro di Thomas E. Woods, Jr. Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Ed. Cantagalli, 2007, spec. il cap. 5 “La Chiesa e la scienza” (pp. 75-122) ↩︎
  38. Filosoficamente, dice anche S. Tommaso d’Aquino, potremmo anche ipotizzare un universo che esista da sempre: non sarebbe cioè contraddittorio (lo sarebbe però se fosse causa di se stesso, come vedremo). La scienza potrebbe ipotizzarlo, ma non lo potrebbe mai provare, proprio in quanto si può dare esperienza di un inizio, se c’è, ma ovviamente non di un non-inizio (per definizione non sperimentale). La Bibbia però, oltre a dirci che tutto è creato da Dio, ci dice che c’è stato anche un inizio (Gen 1,1: “In principio…”) ↩︎
  39. In quel primo attimo tutto l’universo era miliardi di miliardi più piccolo di una testa di spillo: 1 cm cubo diviso per 1 seguito da 33 zeri ed ha una temperatura di 10 gradi elevato alla 32; ma contiene tutta l’energia esistente nell’universo. In una porzione di secondo che va da 10 alla -33 e 10 alla – 32 si espanse in modo prodigiosamente rapido, raggiungendo le dimensioni di un’arancia, dove compaiono già elettroni, neutroni e quark. Oggi l’universo misura 15 miliardi di anni luce (cioè, in km., 300.000 x 60 x 60 x 24 x 365, il tutto moltiplicato ancora per 15.000.000.000) ed una temperatura di 2,7 gradi Kelvin (-270 gradi centigradi), cioè solo 3 gradi sopra lo zero assoluto (e, se continuerà la sua espansione, fra 100 miliardi di anni raggiungerà la temperatura di -272 gradi centigradi) ↩︎
  40. Non-universo significa assenza totale non solo di ogni materia ma di ogni energia che compone l’attuale universo. Se prendessimo invece per buona l’ipotesi (ora poco praticata) di un eventuale collasso di un universo precedente, allora il problema sarebbe semplicemente spostato alla questione della nascita di esso. Se invece ancora prendessimo per buona l’ipotesi di una perenne esplosione-implosione di un universo esistente quindi da sempre (e ricordiamo che questa rimarrebbe per sempre una pura ipotesi, essendo il “da sempre” per definizione stessa non verificabile), dovremmo comunque osservare, come vedremo tra poco, che l’universo, proprio per le caratteristiche che presenta, rivela comunque la propria dipendenza da un altro Essere, anche se cioè per pura ipotesi fosse da sempre ↩︎
  41. L’idea di “inizio assoluto”, cioè senza alcuna forma di essere precedente, è infatti un’idea assurda, come è assurdo che il nulla faccia qualcosa. Lavoisier ha ragione nel dire che “nulla si crea”, ma si deve aggiungere “dal nulla”. Infatti nulla si crea dal nulla, ma da Dio. Con più esattezza dovremmo dire però che Dio (Essere perfetto, fonte di ogni essere) non è solo la causa dell’inizio dell’universo, ma del suo stesso essere  ↩︎
  42. L’idea della dipendenza di tutte le cose da Dio è presente in tutte le religioni e nella maggior parte delle filosofie, ma l’idea precisa di “creazione” (Dio che fa esistere dal nulla tutte le cose) è un’originalità biblica, che tanto ha fecondato non solo la riflessione teologica, ma anche quella filosofica. Tale idea, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe credere, non è affatto irrazionale o contraddittoria, perché dire che Dio fa esistere tutte le cose dal nulla non è affatto dire che si passa dal nulla all’essere a causa del nulla (questo sì sarebbe assurdo), ma che si passa dal nulla (non assoluto, perché Dio c’è da sempre) all’essere (dell’universo) proprio a causa dell’intervento di quell’Essere supremo che è Dio. Dire che le cose passano dal non esserci all’esserci a causa dell’Essere supremo fonte di ogni essere non è quindi affatto irrazionale, ma è la risposta più razionale e necessaria al problema dato dall’esserci di tutte le cose. Questo universo si manifesta tra l’altro come non-necessario, addirittura come uno dei tanti universi possibili, cioè come l’attuarsi di una delle tante possibilità; e ciò mostra nuovamente la contingenza (dipendenza) dell’universo stesso e pure la libertà di Dio Creatore ↩︎
  43. Anche in questo dovremmo aggiungere al “tutto si trasforma” di Lavoisier (anche se la scienza non può mai dire “tutto”, perché non ne ha esperienza) “a causa di qualche cos’altro”. Poiché tutto si trasforma, c’è qualcosa oltre l’universo che non si trasforma e provoca ogni trasformazione, come aveva già scoperto Aristotele. Non si risolve cioè il problema del divenire fino a quando si rimane nel divenire stesso. Aristotele ipotizza ancora un universo eterno, ma poiché è in divenire ha la propria Causa prima oltre se stesso (trascendente). Egli definisce questa Causa “Primo Motore Immobile”, cioè causa di ogni divenire senza divenire lui stesso; e ciò corrisponde all’idea di Dio ↩︎
  44. Il concetto di “automobile” è infatti per sé contraddittorio; l’automobile (con enfasi detta anche “la macchina”) si è chiamata così perché apparentemente si automuove, non essendoci più bisogno della forza trainante di un animale (ad es. il cavallo); in realtà si è sostituita soltanto la forza muscolare dell’animale con la forza del carburante che brucia e spinge il pistone nel cilindro, facendo muovere la ruota (non a caso ancora oggi esprimiamo questa potenza in “cavalli”). L’“automobile” in realtà, come un gioco di prestigio, nasconde il “trucco”, cioè la forza che muove è semplicemente nascosta; infatti basta lasciarla senza benzina ed anche una “Ferrari”, che pur ha la “potenzialità” di muoversi a più di 300 Km/h, sta ferma. Anche ogni energia deriva sempre da altre fonti (il petrolio ridona una energia accumulata in milioni di anni da altre fonti di energia). Nessuna cosa dunque si “automuove”. Perfino il “vivente”, che pur sembra capace di automuoversi, in realtà per vivere e divenire ha bisogno di energia assunta esternamente, ha bisogno cioè di altri esseri ed energie non solo per nascere, ma per continuare a vivere e trasformarsi; tanto è vero che anche noi, se non respiriamo e non mangiamo, cioè se non prendiamo essere ed energia dall’esterno, non viviamo più ↩︎
  45. “E’ nato prima l’uovo o la gallina?”, spesso ci si chiede. Al di là di tutta l’evoluzione della realtà fisica e della stessa vita, dobbiamo pensare che c’è un Essere che non è mai nato, perché è eterno. Ad esempio, un euro ricevuto da uno che a sua volta l’ha ricevuto. anche una catena infinita non spiega ancora come possa ora avere in mano questo
    euro. Un vagone di un treno che si muove perché trascinato da un altro vagone. una
    catena infinita di vagoni senza motrice non spiega ancora come fa il treno a muoversi ↩︎
  46. Già Platone riconobbe che il mondo fisico riflette quello delle Idee e che esse sono il frutto di un Logos superiore; è in fondo quanto oggi noi diciamo con il termine legge scientifica. Sono proprio queste leggi, questa logica di fondo presente in tutte le cose ad indicarci il Logos. Non a caso il Vangelo di Giovanni (1,1-18) comincia parlandoci di questo Logos, che è al principio e per mezzo del Quale tutto esiste, e che si è fatto carne in Cristo  ↩︎
  47. “Chi si impegna seriamente nella ricerca scientifica finisce sempre per convincersi che nelle leggi dell’Universo si manifesta uno Spirito infinitamente superiore allo spirito umano” (dalla lettera A. Einstein del 24.01.1936, in Albert Einstein. Il lato umano, TO 1980, p. 31) ↩︎
  48. Questo interrogativo vale non solo per lo sviluppo cosmico, ma anche per la nascita e l’evoluzione della vita. Ammesso e non concesso che l’evoluzione spieghi tutto (in realtà la nascita della vita ed ancor più la nascita dell’uomo non è riconducibile a questo, e forse nemmeno certi passaggi da una specie ad un’altra), la questione è appunto perché ci sia ad esempio l’evoluzione e non l’involuzione. Non si può rispondere dicendo che “è così perché è così”, perché questo non sarebbe razionale: come non è razionale dire che un oggetto cade perché cade, così non è razionale rispondere che c’è la forza di gravità perché c’è, o che le forze magnetiche ci sono perché ci sono. Allo stesso modo quando diciamo che continuano a vivere solo quegli animali che sono più idonei a sopravvivere o che si evolvono per adattassi meglio all’ambiente, dobbiamo ancora spiegare perché c’è questo “inno alla vita”, cioè perché la vita tenda verso il mantenimento e il miglioramento di sé e della specie e non ad esempio verso il suicidio (v. ad esempio G. Sermonti / R. Fondi, Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo, Rusconi 1980; Vittorio Marcozzi, Caso e finalità, Massimo 1976) ↩︎
  49. Il caso, quando lo generalizziamo e lo assumiamo come spiegazione di tutto, diventa un “mito” irrazionale, un dogma materialista. Come infatti non posso ragionevolmente pensare che il maglione sia opera di un gatto che gioca coi gomitoli di lana, anche se è vero che la lana c’è; come non posso ragionevolmente pensare che lasciando un neonato davanti ad un pianoforte, schiacciando cioè a caso i tasti, venga fuori una Sonata di Beethoven, anche se le note ci sono tutte; come non posso ragionevolmente pensare che lasciando una scimmia davanti ad una macchina da scrivere venga fuori la prima pagina della Divina Commedia, così non posso pensare che tutto l’ordine cosmico (in ogni suo ambito, macroscopico e microscopico) possa essere il frutto del caso. Posso al massimo pensare al caso per certe piccolissime combinazioni, non per un ordine che trovo ovunque e sempre; tanto più che più studio i fenomeni, più faccio scienza, e più scopro che questo ordine è straordinariamente complesso ed armonico, che basterebbe la variazione piccolissima di una componente per far saltare tutto l’ordine. Ecco, tra le tante, la testimonianza dell’astrofisico americano di origine vietnamita Trinh Xuan Thuan: “L’universo è regolato con estrema precisione. Occorre poco più di una decina di numeri per descriverlo… Ora, basterebbe che uno di questi numeri fosse diverso, e l’universo non esisterebbe… Erano possibili migliaia d’altre combinazioni, ma era necessaria questa perché comparisse la vita… Questo concorso di circostanze è troppo straordinario perché il caso ne sia il solo responsabile. Ecco perché sono certo che c’è un Creatore” (Figaro Magazine, 28.04.1989, p. 142). Un gruppo di biologi ha tentato con un potentissimo computer di fare un calcolo delle probabilità sulla possibilità che il “caso” sia responsabile dell’ottenimento anche solo degli oltre 2000 enzimi necessari per ciascuno dei circa 20 amminoacidi che compongono una cellula vivente: 1 su 10 alla millesima potenza, come se tirando due dadi la somma facesse ininterrottamente 12 per 50.000 volte di seguito; e se si concedesse che una cellula si fosse formata casualmente, per formare una molecola di acido ribonucleico, la natura dovrebbe moltiplicare i tentativi per un milione di miliardi di anni, 100.000 volte di più dell’età dell’universo (G. Bogdanov). Il grado di informazione di un batterio è circa 5000 volte superiore alla Divina Commedia, ma chi direbbe che battendo a caso sui tasti di una macchina da scrivere potrebbe venir fuori per 5000 volte la Divina Commedia? (biochimico molecolare Bucci). Tra i grandi scienziati contemporanei che negano assolutamente che il caso possa produrre quell’ordine che noi vediamo nella natura, ricordiamo ancora, ad esempio, il fisico A. Kastler (premio Nobel 1966), J. Rostand, E. Borel, G. Cavalleri. Si pensi anche alla recente teoria del “principio antropico” (B. Carter, J. Barrow, F. Tipler e altri), secondo cui i parametri fisici fondamentali delle forze fondamentali dell’universo (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare elettrodebole, nucleare forte), da cui poi dipendono le leggi fisico-chimiche, sono stati proprio quelli necessari a poter ospitare la nascita della vita, ma essi sono dati dai primi istanti dell’universo. Si possono vedere, tra gli altri i seguenti testi: David J. Bartholomew, Dio e il caso, SEI 1987; Paul Davies, Dio e la nuova fisica, Mondadori 1984, e La mente di Dio, Mondadori 1993; René Oth, La scienza a caccia di Dio, Rusconi 1984  ↩︎
  50. Ad esempio, una camera lasciata in ordine e poi trovata in disordine può in teoria anche essere stata messa in disordine da una forza casuale come il vento (ha la forza sufficiente per farlo); se invece l’ho lasciata in disordine e la trovo in ordine non posso più pensare che sia stato il vento a metterla in ordine (avrebbe la forza per farlo ma non il pensiero richiesto per farlo). “Un magazzino lungo un chilometro pieno sino al soffitto di pezzi aeronautici; un ciclone che per centomila anni o per cento milioni di anni faccia roteare o scontrare fra loro quei pezzi; quando il vento si placa, dove c’era il deposito c’è una serie di aerei, già coi motori avviati. Ecco: le probabilità che io, scienziato, do al “caso” sono queste” (Sir John Eccles, premio nobel per la neurologia) ↩︎
  51. Si veda ad esempio il volume di A. Zichichi Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo (tra fede e scienza), Il Saggiatore 1999. Ricordiamo che Zichichi, noto anche al grande pubblico televisivo e da noi (universitari di Roma) incontrato anche durante lo scorso anno accademico al Teatro Argentina (su iniziativa dell’Ufficio Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma), è uno dei più grandi scienziati viventi: Ordinario di Fisica Superiore all’Università di Bologna, membro e talora presidente di importanti istituti o consessi scientifici internazionali, è colui che tra l’altro ha scoperto l’antimateria nucleare ↩︎
  52. E’ ciò che Concilio Ecum. Vaticano II (Gaudium et spes, n. 36) chiama “relativa autonomia delle realtà terrene” ↩︎
  53. Se mi chiedo ad esempio come mai ho fatto un incidente stradale, molto probabilmente devo cercarne la causa nella guida sbagliata (mia o altrui) o nel guasto di qualche parte dell’automobile, non certo nella volontà di Dio (sarebbe una visione ancora magica, superstiziosa e primitiva di comprendere l’intervento di Dio nei fatti naturali); e se mi chiedo come mai mi è venuta una malattia, anche senza mia colpa, dovrò cercarne la risposta nella medicina. Se in via del tutto straordinaria Dio può anche intervenire con un miracolo (si chiama “miracolo” proprio in quanto “meraviglia” per la sua straordinarietà, che Dio può liberamente far accadere e che è perfino lecito chiedere), normalmente Dio non si sostituisce alla mia guida o al meccanico a cui avrei dovuto rivolgermi per controllare l’efficienza della mia auto o al medico che ha studiato quella patologia e può curarmi. Non dobbiamo quindi vedere sempre un colpevole (Dio o l’uomo, come quando diciamo “Dio non doveva farmelo” oppure “ma che ho fatto di male per meritare questo” – Gesù stesso insegna a non vedere ovunque questo nesso, cfr. Lc 13,1-5). Certo, in Cristo, che ci libera dal male, dalla morte e soprattutto dalla dannazione eterna, tutto, anche il dolore, può diventare occasione di “grazia”. Se infatti Dio lo permette (anche se non lo vuole direttamente) è perché può trarre, con la nostra adesione alla Sua volontà, un bene anche da un male (quante volte ad esempio è proprio la sofferenza ad essere occasione di crescita spirituale ed umana, cioè una “grazia”) ↩︎
  54. Se guardo un maglione, vedo che non è un groviglio di fili di lana, ma c’è dietro un pensiero, un progetto, cioè una logica. Posso studiare sempre più come è fatto; ma rimane la questione di fondo: perché è fatto così? Non posso certo dire che è il maglione ad essersi fatto così, perché non è il maglione ad essere evidentemente intelligente, ma colui che lo ha fatto. Posso però dire la stessa cosa di un albero: posso studiare come è fatto, la logica che presiede alla funzione clorofilliana, alla caduta della foglie in autunno, al modo con cui farà trasportare il suo polline in primavera. Questo è il compito delle scienze. Ma non posso dire che è intelligente l’albero stesso. E’ cioè fatto con intelligenza e agisce con una logica, ma non è intelligente esso stesso. Questo vale per ogni cosa. Se dicessimo invece che è la Natura stessa ad essere intelligente, non saremmo affatto moderni, ma torneremmo indietro di millenni: saremmo appunto “animisti”, come gli uomini primitivi che credevano fossero intelligenti le cose stesse, che fossero cioè degli “spiriti” ↩︎
  55. Ad esempio quelle di Platone, Aristotele, S. Agostino, S. Tommaso d’Aquino, Cartesio, Leibniz, Berkeley, Pascal, Schelling, Hegel, Rosmini, ecc.; ma anche laddove non ci sia una vera e propria dimostrazione, nella storia del pensiero (almeno fino al XIX sec.) abbiamo quasi sempre un’accettazione razionale dell’esistenza di Dio o almeno del divino ↩︎
  56. Il grande ateismo scoppiato nel XIX secolo (che, come nel caso di quello marxista, ha obbligato ad esso miliardi di persone lungo il XX secolo, a prezzo di innumerevoli sofferenze e di milioni di morti) è in realtà “postulatorio”, cioè voluto ma non dimostrato. I cosiddetti “maestri del sospetto” (Marx, Nietzsche, Freud), se ben guardiamo, di fatto non affrontano razionalmente la questione se Dio ci sia o no, se ad esempio questo universo dipenda da Dio o no, ma si muovono semplicemente dall’analisi dell’universale bisogno umano di Dio, cercando di spiegarlo in modo da renderlo patologico (una patologia dell’inconscio per Freud, una alienazione sociale per Marx, una debolezza per Nietzsche), dando in fondo per scontato che Dio non ci sia e cercando allora di mostrare come questa idea di Lui sia falsa o addirittura nociva. Anche i più recenti e isolati casi di ateismo presenti nell’esistenzialismo non sono mai corredati da una dimostrazione, ma assumono per così dire la forma di una ribellione, come quello di A. Camus (per l’esistenza del male e l’assurdità dell’uomo) e di J.P. Sartre (per l’affermazione della libertà e il fallimento del bisogno umano) ↩︎
  57. Mi permetto in proposito di segnalare due miei studi specifici: A. Cecchini, Il in F. Nietzsche (Glossa, MI 2003) e Oltre il Nulla. Nietzsche, nichilismo e cristianesimo (Città Nuova 2004) ↩︎
  58. Dall’insospettabile (in quanto assai ostile alla fede sia intellettualmente che esistenzialmente) André Gide questa espressione: “ Non credere in Dio è molto più difficile di quanto si creda. Comunque, per continuare a farlo, bisogna vietarsi assolutamente di guardare la natura e di riflettere su quanto si vede” (citato da V. Messori / M. Brambilla, in Qualche ragione per credere, Mondadori 1997, pp. 233) ↩︎