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Equivoci sociali

Equivoci sociali


In questa News – che porta significativamente la data del 29 aprile, festa liturgica di S. Caterina da Siena (vedi), Dottore della Chiesa ma anche Compatrona d’Italia e d’Europa per quanto ha fatto per il bene non solo della Chiesa ma anche per la vita civile del nostro Paese e Continente – desideriamo offrire uno stimolo e un aiuto per comprendere quanto sia necessario e persino moralmente doveroso per un credente uno studio almeno sommario della Dottrina sociale della Chiesa (si veda nel sito l’apposito e articolato documento) e come ciò costituisca un decisivo contribuito che ciascuno, secondo certo diversi compiti e gradi di responsabilità, è chiamato a porre in atto per la costruzione di una società veramente degna dell’uomo, secondo la volontà di Dio, cioè con verità. Ciò rappresenta quindi una vera forma di “carità sociale”, che non si limita infatti ad un generico “fare del bene”, come invece molti credono.

Poi, nella II parte della News, sottolineiamo alcuni equivoci di fondo, sorti specie dall’Illuminismo in poi e oggi più che mai diffusi e creduti addirittura come ovvii, persino da molti Cattolici, e che costituiscono invece non solo una falsa concezione della fede e della morale cristiana ma minano pure alla base la possibilità della costruzione appunto di una buona società (di tali equivoci nel documento sulla Dottrina sociale se ne parla al n. 6 vedi). 

Anche questa è dunque una lunga News formativa, da leggere e persino studiare con calma, magari  a puntate, cercando di cogliere i fondamenti e i ragionamenti che reggono tali argomentazioni.


Prima parte: Perché la Dottrina sociale della Chiesa

La fede cristiana è un assenso anche ragionevole (fides et ratio) a ciò che Dio ha rivelato, specie in Cristo (Dio fatto uomo); un assenso che impegna ovviamente non solo la ragione ma anche la volontà, sostenuta dalla grazia di Dio.

Essa è completa e perfettamente armonica, cioè rispettosa di tutte le componenti della vita umana, e perfettamente rispondente alle aspettative più profonde che albergano nel cuore dell’uomo.

Tale perfetto equilibrio è invece minato alla base dalle “eresie” (la parola stessa indica la “scelta” di una componente della fede a scapito di altre). Il rapporto tra la fede e la ragione, tra la natura e la grazia, tra l’essere salvi “per grazia” (per i meriti di Cristo) e l’impegno della volontà (della morale, delle opere buone), è infatti un equilibrio da tenere saldamente intatto, pena appunto la deturpazione della fede autentica e in fondo il fallimento eterno della nostra stessa esistenza. Possiamo notare questo equilibrio già nelle Lettere del Nuovo Testamento, ad esempio tra quelle di S. Paolo (dove forte è la sottolineatura, specie in quelle ai Romani e ai Galati, della salvezza “per grazia”) e quella di Giacomo (dove è invece più fortemente rimarcata l’importanza delle opere). Mentre ad esempio l’eresia “pelagiana” ha privilegiato la volontà a scapito della grazia, quella “luterana” (e “protestante” in genere) ha posto al contrario in modo unilaterale il proprio accento sulla grazia (“sola Scrittura”, “sola grazia”, “sola fede”, diceva Lutero) a scapito dell’impegno della conversione e delle opere buone corrispondenti (il Protestantesimo giunse per questo perfino a censuare la Lettera di Giacomo, che invece è anch’essa Parola di Dio).  

La rottura di questo equilibrio, i cui effetti si fanno ampiamente sentire anche oggi (persino all’interno degli ambienti cattolici!), genera da una lato un “fideismo” disincarnato, fino ad un vago ed alienante “spiritualismo” o comunque un cristianesimo ridotto a “culto”, e dall’altro un “moralismo” alla fine insopportabile e vuoto o un cristianesimo ridotto a valori più facilmente condivisibili e ad un impegno sociale in genere vago e persino inconsciamente asservito alle ideologie dominanti.

Primo scopo della fede cristiana è quello della “salvezza eterna” delle nostre singole anime.

In questo consiste anche la prima, fondamentale e insostituibile “missione” della Chiesa; perché in fondo è il motivo stesso della Rivelazione di Dio e della Sua Incarnazione (come recita il Credo: “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”). E ciò corrisponde appunto, anche se la supera, alla più profonda aspettativa (vocazione) dell’uomo, cioè alla dimensione trascendente ed eterna con cui è stato creato e che lo caratterizza nel profondo, come senso ultimo della propria esistenza.

Non dimentichiamo quindi che la negazione di Dio (ateismo), teoretica o pratica, è la più grave mancanza dell’uomo e la minaccia più grave non solo per la sua esistenza personale ma anche per la stessa vita sociale, come le ideologie e le rivoluzioni atee della Modernità hanno peraltro già ampiamente dimostrato (vedi documento).

Questo non significa che singolarmente non possano esserci persone atee anche buone, ma ci ricorda che comunque, anche socialmente e storicamente, l’ateismo costituisce la più grande minaccia all’esistenza umana, anche a livello sociale, come lucidamente riconobbe lo stesso Nietzsche, sia pur promuovendolo (vedi la News “Dio è morto”), e come dimostrano storicamente anche gli ultimi secoli, oltre appunto a costituire la negazione della dimensione più propria ed alta della stessa vita umana, cioè quella trascendente ed eterna, dunque il motivo stesso per cui Dio ci ha creato (che è “conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e poi goderlo nell’altra in paradiso”, come recitava sinteticamente l’antico Catechismo di S. Pio X)!

Quindi l’espressione “non è credente o non è praticante, ma è più bravo di molti credenti e praticanti”, asserzione che spesso si sente ripetere, dimenticando peraltro il 1° e il 3° Comandamento (vedi) e riducendo già la vita cristiana ad essere semplicemente “brave persone”, se singolarmente può forse talora essere anche riscontrabile, rappresenta di fatto la negazione stessa non solo del cristianesimo e appunto del motivo stesso per cui Dio ci ha creati e redenti, ma del fondamento e senso ultimo dell’esistenza umana e di conseguenza della stessa società. È quindi una posizione esistenziale, morale, culturale e sociale grave e dannosa, oltre ovviamente e soprattutto a mettere a serio rischio la propria salvezza eterna!

Se ne tenga conto anche per un giudizio morale, culturale e politico nei confronti di tutte le ideologie (e rivoluzioni) atee nate appunto nella Modernità (vedi) e tuttora persistenti in posizioni culturali, sociali e politiche persino dominanti (anche se non sempre con la violenza ad esempio dei Paesi comunisti, come la Corea del Nord ma anche la stessa Cina, vedi la News “Cristianofobia”).

La fede cristiana, se trova appunto nella vocazione trascendente dell’uomo e nella sua salvezza eterna (meritataci da Cristo Crocifisso e Risorto) il suo fondamento e il suo scopo fondamentale, non si riduce però a questo. Tutta la vita umana, nella sua dimensione personale, familiare e sociale, ne viene coinvolta. Se ne tenga conto, perché la Modernità e il pensiero sedicente “laico”, anche laddove non si oppone apertamente alla religione, la riduce però ad un fatto solo privato e interiore, quindi in fondo già minandola subdolamente dall’interno, oltre che a non corrispondere a ciò che Dio chiede e persino a ciò che ogni religione della storia è stata per ogni civiltà.

È significativo e paradossale che il pensiero e le posizioni culturali, sociali e politiche che si oppongono alla fede ed alla Chiesa Cattolica o ne vogliano prescindere totalmente, si autodefiniscano oggi “laici”, perché tale termine è in realtà tipico ed interno alla stessa Chiesa Cattolica, per indicare tutti i fedeli cattolici che non appartengono al clero. Si tratta dunque di un ulteriore esempio, come vedremo anche dopo, di come la società occidentale risenta comunque della fede cristiana persino quando vi si oppone!

Questo non significa cadere al contrario in un “fondamentalismo” religioso, come spesso si sente dire e come effettivamente risulta in alcune Religioni. Tale erronea, deprecabile e pericolosa posizione, peraltro contraddittoria perché intanto non si può “imporre” interiormente una convinzione, vorrebbe obbligare socialmente ad aderire ad una religione (anche con la violenza, “vincendo” e non invece “convincendo” mediante spiegazioni anche razionali), oppure pretende di trovare nei testi sacri soluzioni preconfezionate ad ogni problema sociale e politico, anche nelle situazioni più contingenti (una sorta di “teocrazia” che vorrebbe far coincidere in tutto le leggi di Dio con le leggi dello Stato).

Nell’umanità, nella storia e talora anche nel presente, possono esserci state e ancora esserci tali pretese “fondamentaliste”. Lo si vede soprattutto nell’Islam, ma non solo (vedi in molte News, ma anche in riferimento alla questione storica, in genere falsata dalla anticattolica cultura dominante, delle stesse Crociate vedi).

È invece storicamente errato, e ancora frutto di pregiudizi anticattolici, affermare che anche la Chiesa Cattolica lo avrebbe ampiamente fatto, soprattutto nel Medioevo (vedi il dossier), ad esempio con l’Inquisizione (vedi il dossier o nei documenti più sintetici vedi e vedi). Infatti l’Inquisizione stessa, nata per la difesa dell’autentica fede e per contrastare le emergenti eresie, pericolose per l’anima e spesso anche socialmente (come ad esempio nel caso dei Catari), non aveva alcuna giurisdizione sui non-Cattolici, quindi nessuno era obbligato ad essere cattolico; inoltre offriva garanzie razionali e giuridiche (anche agli imputati), oggi riconosciute come un’importante conquista portata proprio dall’Inquisizione nella stessa storia del Diritto (vedi appunto il dossier).

Semmai sono state proprio le ideologie e le rivoluzioni della Modernità ad esercitare in modo massiccio e violento tali pressioni sociali per imporsi (vedi), talora con violenze inaudite e persino producendo milioni di morti (come nel caso del comunismo, vedi documento e in numerose News) [ma si potrebbe pure parlare di ciò che hanno fatto contro i Cattolici persino i Protestanti (vedi) e gli Anglicani (vedi)]. Paradossale quindi che siano proprio queste ideologie della modernità a continuare a diffondere ancor oggi, già attraverso le scuole, il mito e le falsità storiche (spesso assorbite acriticamente persino dagli stessi Cattolici!) circa le violenze esercitate dalla Chiesa Cattolica.

Si tenga invece presente, come vedremo più avanti, che è stato proprio il cristianesimo ad operare una sana “distinzione” (non separazione!) dei due ambiti, religioso e politico [basterebbe pensare alla nota espressione di Gesù “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mc 12,17), da intendersi però correttamente (vedi il n. 10 del documento sulla Dottrina sociale della Chiesa)], fondando per così dire l’idea stessa di una corretta laicità” dello Stato (da non confondersi come vedremo col “laicismo” moderno).

Tale distinzione (non separazione) ed equilibrio permette di evitare sia il “fondamentalismo” religioso sopra ricordato che all’opposto un’erronea visione solo “spiritualistica” ed interiore della religione, al massimo ridotta  a “culto”, come vorrebbe appunto il liberalismo e laicismo moderno e come sono pure certe false e riduttive spiritualità (tra l’altro di tipo più orientale ma penetrate recentemente e persino di moda anche in Occidente, fino a condizionare magari inconsapevolmente pure la fede di molti cattolici).

La storia moderna ci offre ampi e dolorosissimi esempi di questo tentativo violento, anche se sedicente liberale e poi democratico, di ridurre la fede cattolica a fatto solo “intimo” e “privato”, rendendola peraltro così più asservita al potere statale. Si pensi già alla Rivoluzione francese, che ad esempio subito nel 1790 giunse ad obbligare il clero stesso, pena la ghigliottina, ad una sorta di abiura e a “giurare” fedeltà ad una Costituzione anticattolica. Ugualmente anche in Italia, seppur in modo più velato, tale violento tentativo di emarginazione della fede fu posto in atto dal Risorgimento (vedi dossier o vedi documento): si pensi ad esempio come già l’ingannevole motto di Cavour “libera Chiesa in libero Stato”, che sembrava appunto tanto “liberale”, di fatto giunse persino a sciogliere gli ordini religiosi, chiudendone i conventi, e ad incamerare tutti i beni della Chiesa [anche dello Stato Pontificio (su come si sia formato e cosa fosse tale Stato della Chiesa in territorio italiano si veda appunto nel documento sul Risorgimento o nel relativo dossier vedi 6.1); compresa poi, dopo la conquista di Roma (1870), persino la dimora stessa del Papa (Quirinale)], per poi escludere i Cattolici dalla vita politica. La Chiesa, laddove veniva ancora tollerata (e in Italia, centro mondiale della Cattolicità e sede del Papato, non si poteva non tenerne conto), doveva semmai occuparsi solo delle anime e della loro salvezza eterna, lasciando la cultura e l’organizzazione sociale, politica ed economica, in balia di poteri e princìpi persino opposti alla fede e alla morale cristiana, cioè a ciò che Dio ha rivelato e che sono l’autentico bene dell’uomo.


Ecco perché, anche nel presente sito, se sono prioritarie le questioni (e catechesi) relative alla fede,  alla spiritualità, alla preghiera, ai Sacramenti, non mancano certo le specificazioni “morali” (vedi la sezione Fede e morale, ma anche nello schema per fare bene l’Esame di coscienza vedi), che coinvolgono anche il livello “sociale”.

Perché appunto una “fede senza la morale” sarebbe un vuoto “spiritualismo” (magari anche consolante ma che non ci porterebbe alla salvezza eterna – vedi ultima News “Surrexit …”), come una “morale senza fede” ridurrebbe la fede ad un opprimente “moralismo” (pur giusto, perché i “valori” hanno anche un loro fondamento razionale e sociale, condivisibile anche da chi cristiano non è) o ad un vago impegno sociale (caritativo o persino politico) e la Chiesa ad una sorta di organizzazione umanitaria (anche se è vero che i Cattolici sono chiamati pure a questo impegno; infatti la Chiesa Cattolica, nella storia e nel presente, costituisce pure la più grande organizzazione caritativa del mondo!).

È però significativo che anche in questo sito, proprio all’interno della sezione Fede e morale, ci sia appunto un importante ed esteso documento sulla Dottrina sociale della Chiesa, come sottolineeremo tra poco, in quanto parte integrante della morale cristiana, perché Dio stesso ci chiede di occuparci non solo dell’autentico bene e salvezza eterna della propria anima (anche se ciò è ovviamente prioritario!), ma anche del bene e della salvezza degli altri, cominciando dalle persone a noi più vicine (si dice infatti “il prossimo”),  dunque dalla propria famiglia, dal proprio coniuge, per l’educazione umana e cristiana dei propri figli (impegno che gli sposi si assumono solennemente di fronte a Dio e alla Chiesa già nel Sacramento del Matrimonio come nel Battesimo dei propri figli), e progressivamente occupandosi anche del bene (umano ma anche eterno) dei propri amici, conoscenti, colleghi, fino appunto alle responsabilità che ognuno ha, secondo diversi gradi, nei confronti della società, del proprio Paese (Patria) e del mondo intero!

Tra l’altro, se i consacrati hanno un compito prioritario nella missione della Chiesa (tanto più che vescovi e sacerdoti hanno non solo il compito di insegnare autorevolmente la fede perenne della Chiesa ma hanno anche il dono soprannaturale di santificare, cioè di comunicare la grazia di Dio attraverso i Sacramenti), la “missione” di portare il Vangelo nella società e di costruirla in modo tale che assomigli sempre più al Regno di Dio è invece compito specifico dei cristiani “laici” (già hanno ricevuto la Cresima, cioè lo Spirito Santo, anche per questo, oltre ad avere le grazie specifiche per il proprio stato, cioè per i propri compiti specifici).

Sempre nel sito, la sezione Fede e cultura (vedi; ma anche tutto il materiale presente nei Dossier, in Archivio e nelle News) sottolinea poi come la fede, corroborata da un autentico rapporto con la ragione (appunto fides et ratio) e pure da una più corretta e documentata visione della storia (soprattutto della storia della Chiesa, in genere invece censurata o calunniata dalla cultura dominante), permetta non solo un più equo e corretto giudizio sui fatti appunto storici e di attualità, come sui diversi rami del sapere (ad esempio sul rapporto fede e scienza, in genere presentatoci fin dalle più tenere età in modo falso e calunnioso, e quindi pericolosissimo per le proprie coscienze!), ma una consapevolezza più grande della verità del cristianesimo come autentico bene dell’uomo, dunque per raggiungere una più grande maturità di fede e capacità di giudizio che da esso dipende.

Se la fede cristiana non si identifica con alcuna cultura – anche se la cultura dell’Occidente è stata intrisa, sostenuta e portata a maturità dalla fede cristiana, divenendo peraltro, con tutto rispetto per ogni altra cultura, la civiltà trainante del mondo intero (vedi il dossier sul Medioevo, vedi il documento sulla nascita stessa della scienza) – non si può però scindere la fede dalla cultura, pena arrecare danni ad entrambe!

Ovviamente con il termine “cultura” qui non si intende solo un livello “accademico” di essa o comunque per specialisti, ma anche nel senso di “mentalità diffusa” (e spesso assorbita oggi acriticamente attraverso il grande e invasivo potere mediatico), secondo cui comunque ogni essere umano possiede le proprie idee, specie quelle “di fondo” che più incidono nella propria vita e appunto persino nella società, e fa di conseguenza le proprie scelte.

Dobbiamo dunque ritenere e persino amare come indispensabile, sia a livello personale, familiare e sociale, anche questo rapporto di “fede e cultura” e dedicarvi del tempo per approfondirlo, magari sottraendosi un poco alla fugace e spesso falsa e persino ossessiva informazione di cronaca, come oggi sempre più spesso avviene coi mezzi di comunicazione e pure ora coi social! Anche se non ce ne accorgessimo, tutto la nostra vita, con le sue idee e decisioni, ne viene di conseguenza, a livello non solo di esistenza privata o familiare, ma anche sociale.

Giovanni Paolo II ebbe in proposito a dire (vedi discorso all’UNESCO, Parigi 2.06.1980): “L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura. La cultura è un modo specifico dell’«esistere» e dell’«essere» dell’uomo […] La cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, «è» di più, accede di più all’«essere». È qui anche che si fonda la distinzione capitale fra ciò che l’uomo è e ciò che egli ha, fra l’essere e l’avere”.

Ancora Giovanni Paolo II sottolineò inoltre come “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” [discorso ai Partecipanti al Congresso nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC), 16.01.1982 (vedi), n. 2]

Del resto già Paolo VI ebbe a sottolineare come “la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca” [vedi Esortazione Ap. “Evangeli nuntiandi” (1975), n. 20]. Verso il termine della sua vita Paolo VI ebbe poi a confessare all’amico e grande intellettuale cattolico francese Jean Guitton (citato già nella VI Parte del nostro documento “Quale Chiesa?” vedi): “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta  il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia” (dialogo con Jean Guitton del 8.09.1977, riportato nel suo celebre libro “Paolo VI segreto”, Paoline MI 2002, p. 152).

La Dottrina sociale della Chiesa

Presente da sempre nella storia e nel magistero della Chiesa, perché è appunto parte non secondaria della morale cristiana, poiché la natura umana ha una dimensione sociale e la legge di Dio coinvolge evidentemente anche questo aspetto della vita, la Dottrina sociale della Chiesa è parte integrante dell’annuncio cristiano (fede e morale) e impegna quindi non secondariamente la coscienza, la vita, la missione e le responsabilità anche sociali dei Cattolici. Se tale Dottrina emerse subito con più forza quando il cristianesimo cominciò ad avere soprattutto in Occidente una grande rilevanza sociale, essa si è sviluppata soprattutto dalla fine del sec. XIX, per compiere una più lucida e necessaria disanima della gravi questioni sociali allora emergenti ed offrire soluzioni più eque, rispetto a quelle ideologie, in genere anticristiane, che emergevano con forza e che tanto avrebbero condizionato anche con inaudita violenza il futuro (sec. XX), provocando danni immensi non solo ai singoli ma alla società e al mondo intero, proprio a causa delle loro false o riduttive visioni antropologiche e sociali (vedi). Esse erano costituite soprattutto da un lato dal liberalismo (e il conseguente capitalismo selvaggio emerso dalla rivoluzione industriale) e dall’altro dal socialismo-comunismo, che per opporvisi produceva danni umani e sociali ancora peggiori di quello, oltre che una gravissima persecuzione alla Chiesa, come conseguenza del materialismo e ateismo dell’ideologia marxista.

Com’è noto, per oltre un secolo (ma le conseguenze sono tuttora evidenti e pericolose!) tali opposte ideologie, concezioni dell’uomo, della società e della stessa economia (peraltro entrambe figlie del pensiero moderno e dell’Illuminismo), hanno prodotto i due “blocchi” mondiali più rilevanti: da un lato il liberalismo-capitalismo, diffuso specialmente in Occidente (Europa occidentale, ‘in primis’ l’impero inglese poi gli USA, per raggiungere anche Paesi dell’Estremo Oriente, come Giappone e Corea del Sud) e dall’altro il comunismo [a partire dalla rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, per occupare quindi l’intera URSS e i Paesi satelliti del Patto di Varsavia (oggi, dopo il crollo del comunismo nel 1989 e dell’URSS nel 1991, la Russia ha invece riscoperto l’importanza della fede e delle proprie radici cristiane), per poi estendersi addirittura alla Cina (già con la rivoluzione culturale comunista di Mao Zedong nel 1966; anche se attualmente essa unisce paradossalmente un rigoroso sistema “comunista” ad un altrettanto disumano “capitalismo di Stato”, in grado però di renderla sempre più una superpotenza mondiale), seguita da altri Paesi dell’Estremo Oriente [si pensi, oltre alla Corea del Nord (dittatura comunista ereditaria, dov’è tuttora in atto la più feroce persecuzione anticristiana), al Vietnam, il Laos e la Cambogia (Paese dove in soli 4 anni i “Khmer rossi”, per instaurare la loro dittatura comunista, giunsero ad uccidere addirittura un terzo della popolazione! vedi)], per poi raggiungere non pochi Paesi anche dell’America Latina (si pensi ad esempio a Cuba) e affacciarsi pure in alcuni governi africani.

Per questo motivo, già nel 1891 il Papa Leone XIII offrì alla Chiesa e all’umanità un importantissimo e profetico documento del Magistero della Chiesa, mediante la prima grande Enciclica sociale, la Rerum Novarum, che affrontava appunto esplicitamente la cosiddetta “questione operaia”, nata soprattutto dalla Rivoluzione industriale, mettendo profeticamente in guardia dalle ingannevoli derive sia di un esasperato liberalismo e capitalismo che di un altrettanto disumano socialismo-comunismo, offrendo le prime autorevoli indicazioni per la costruzione di una società e di uno Stato dove trovasse pieno equilibrio sia il bene del singolo (senza cadere negli egoismi dell’individualismo liberale) che il bene comune (senza cadere nelle spire di un collettivismo socialista, dove svanisce il rispetto del singolo, delle famiglie e dei cosiddetti corpi sociali intermedi, fino ad abolire la stessa proprietà privata e concentrare tutto nelle mani del Partito Comunista-Stato). La Dottrina sociale della Chiesa, come è ricordato anche nel nostro documento, mantiene invece  gli entrambi capisaldi sociali (bene del singolo e bene comune) in base al “principio di solidarietà” (vedi) e al “principio di sussidiarietà” (vedi).

Dalla Rerum novarum in poi, e talora proprio in occasione di anniversari di quella prima enciclica sociale, i Pontefici hanno offerto nuove encicliche in merito, sia per riaffermare i fondamentali princìpi della Dottrina sociale della Chiesa sia per discernere e orientare i fedeli e l’umanità stessa di fronte alle nuove questioni sociali e problematiche emerse in seguito. Si vedano in proposito specialmente le Encicliche sociali di Paolo VI [Populorum Progressio (1967)], di Giovanni Paolo II [Laborem Exercens (1981), Sollicitudo Rei Socialis (1987), Centesimus Annus (1991)] e di Benedetto XVI [Caritas in Veritate (2009)]

Invece, immediatamente dopo il Concilio Vaticano II e la “contestazione” del ’68 (una vera e propria rivoluzione culturale, soprattutto giovanile, che specie in Italia fu fortemente egemonizzata dalle sinistre e dall’ideologia marxista e perfino filo-maoista), addirittura negli ambienti cattolici, anche quelli che si definivano più impegnati socialmente, tale Dottrina sociale della Chiesa fu totalmente abbandonata e censurata! Così l’impegno sociale dei Cattolici – anche in Italia sempre più minoranza e sempre meno incidenti a livello sociale, culturale e politico, nonostante il permanere di un Partito politico cattolico che godeva della maggioranza dei voti degli italiani, cioè la Democrazia Cristiana! – laddove non si ritirava in ambigue “scelte religiose” cioè spiritualiste [come farà ad esempio l’Azione Cattolica, che invece nella prima metà del secolo fu assai gloriosa e combattiva, persino contro il fascismo, nella totale e fiera obbedienza al Papa, “come esercito all’altar” (così cantavano fiere le schiere dei giovani cattolici, vedi)!], sembrò soprattutto agganciarsi alle ideologie di tipo marxista ed essere succube soprattutto dei Partiti di sinistra ed estrema-sinistra (peraltro prima del 1989 lautamente sostenuti dal KGB sovietico!). Non a caso persino alcuni giovani leader di tali movimenti e persino Partiti di estrema sinistra provenivano dalle fila cattoliche, come nel caso di Toni Negri (ex responsabile dell’Azione Cattolica, poi diventato leader di un partito di estrema sinistra, giunto fino a sostenere la lotta armata, gli attentati terroristici e perfino le Brigate Rosse, per cui fu pure processato e condannato) o di Mario Capanna (dell’Università Cattolica di Milano e leader della contestazione studentesca del ’68, poi capo addirittura del Partito di estrema sinistra Democrazia Proletaria).

Fu in particolare Giovanni Paolo II (che significativamente proveniva dalla Polonia e aveva quindi sperimentato sulla propria stessa pelle la violenza dei regimi atei e totalitari nati dalle ideologie della Modernità, cioè nazismo e comunismo) a riprendere saldamente in mano e divulgare l’importanza e i contenuti della Dottrina sociale della Chiesa, cioè cristiana, specificando appunto che si tratta di un ramo della stessa “morale cristiana” e come tale impegna la coscienza dei cattolici, oltre ad offrire un contributo essenziale per la costruzione della società, comprensibile e condivisibile anche da chi cattolico non è.


Nel sito, appunto significativamente nella sezione Fede e Morale, esiste un ampio e articolato documento, anche se in forma semplice e più facilmente comprensibile e consultabile, dedicato appunto alla Dottrina sociale della Chiesa (con 41 domande e risposte, vedi).

Questa News desidera porre l’accento, come stimolo a studiare pian piano l’intero documento – uno studio particolarmente doveroso per ogni cristiano, in vista degli impegni civili che ognuno ha e di cui risponde non solo di fronte allo Stato ma a Dio stesso, e soprattutto doveroso per chi assume particolari impegni e cariche a livello sociale e politico, ma che coinvolge in fondo ogni singola persona e famiglia, a partire dall’impegno educativo nei confronti dei propri figli! – pone l’accento su alcuni equivoci di fondo, nati già dal pensiero moderno e dall’Illuminismo ed esplosi poi in modo virulento nelle ideologie e conseguenti rivoluzioni degli ultimi 250 anni, soprattutto nella prima metà del XX secolo; equivoci però che permangono più che mai anche oggi, anzi sono ormai dominanti e sono talmente penetrati nella società da essere presenti persino tra gli stessi Cattolici, anche quelli socialmente più impegnati (oggi assai pochi e in genere pensando che l’impegno sociale dei Cattolici debba limitarsi semmai all’adesione a certe realtà o associazioni caritative).

Oltre che studiare con attenzione tali contenuti della Dottrina sociale della Chiesa, almeno nei suoi elementi generali e fondamentali, si dovrebbero anche studiare non poco e in modo alternativo rispetto alla cultura dominante anticattolica (che passa anche nelle scuole oltre che nei diversi mezzi di comunicazione di massa) certe importanti questioni storiche, in cui tra l’altro emerge, contrariamente appunto a ciò che in genere è predicato dalla cultura dominante ed assunto acriticamente persino dai Cattolici, come il cristianesimo abbia ad esempio già permesso per un Millennio (il “luminoso” e fecondissimo Medioevo vedi, tanto ovviamente denigrato dal pensiero sempre più anticristico della Modernità vedi) la creazione di una civiltà che più ha contribuito al progresso dell’umanità e che infatti è diventata quella portante del mondo intero; così come l’impegno sociale di molti Cattolici abbia permesso, sia a livello caritativo diretto che a livello di formazione culturale, professionale e politica, specie delle nuove generazioni come della classi più povere e sfruttate, di far fronte in modo straordinario alle derive disumane di certe ideologie e persino economie della Modernità. Basterebbe pensare, per fare solo un esempio e per parlare solo dell’Italia, a certe terribili situazioni umane creatisi ad esempio a Torino nel XIX secolo (come conseguenza della rivoluzione industriale e delle ideologie liberali al potere) e al sorgere, proprio a partire da quella città, di straordinari “Santi sociali” e delle opere da loro fondate (si pensi ad esempio a San Giovanni Bosco o a S. Giuseppe Cafasso vedi!) (vedi nel dossier sul Risorgimento).

Il pensiero cristiano, specie nel suo sviluppo patristico e poi medievale, ha talmente permeato la civiltà non solo europea e occidentale ma del mondo intero, che persino quando poi, in questi ultimi 5 secoli, essa si è progressivamente allontanata e persino opposta al cristianesimo, e proprio a partire dall’Europa (una vera “apostasia” e suicidio culturale!), essa persino inconsapevolmente ha continuato per così dire a vivere di rendita di tale civiltà cristiana, con idee che sembrano persino ovvie ma che affondano invece le proprie radici nella fede cristiana. Idee che però, proprio perché staccate dalle loro radici, si sono pervertite e sono diventati frutti velenosi e mortiferi, che hanno creato ideologie perniciose e rivoluzioni e sistemi sociali violenti e disumani.

È però significativo che quasi un secolo fa, e nientemeno che alla Sorbona di Parigi (l’università nata nel Medioevo dalla Chiesa vedi ma poi diventata con la Rivoluzione la sede del pensiero laicista e anticristiano), ci furono filosofi e docenti, approdati alla fede cristiana (e talora persino al pensiero teologico e filosofico tomista, cioè in riferimento a S. Tommaso d’Aquino) che sottolinearono fortemente come sia impossibile misconoscere queste radici cristiane (che si sono invece incredibilmente volute censurare persino nell’attuale Costituzione UE!), anche appunto laddove il pensiero si è poi appunto persino opposto alla fede cristiana. Si ricordi ad esempio, tra questi autorevoli maestri, il celebre filosofo cristiano Étienne Gilson e i suoi fondamentali studi sulla filosofia medievale [(trad. it.) “La filosofia del Medioevo” (Rizzoli 2011) e “Lo spirito della filosofia medievale” (Morcelliana 2009)].

Ebbene, già dall’Umanesimo e Rinascimento, per poi passare all’anticristianesimo dell’Illuminismo e della Modernità, fino alle conseguenze estreme dell’ateismo ottocentesco e delle ideologie che ne sono sorte e che hanno provocato i drammi sociali e globali delle rivoluzioni e guerre mondiali del XX secolo, possiamo notare come in Occidente siano state proprio certe idee cristiane, ma impazzite perché sganciate dalla loro radici, a provocare enormi drammi e inaudite violenze [fino a condizionare non poco la stessa vita della Chiesa; si veda in proposito quanto detto nella II Parte del documento “Quale Chiesa?”].

Se pensiamo appunto già agli slogan della Rivoluzione francese (“liberté, égalité, fraternité”), ricordati dall’immagine iniziale (leggermente truccata in chiave USA), possiamo notare come tali parole tanto declamate siano di fatto nate dalla fede cristiana (dobbiamo onestamente ammettere che queste tre parole siano incomprensibili ad esempio dentro una cultura, mentalità e persino religione indiana, tuttora permeata dall’idea delle “caste insormontabili”), ma staccate appunto dalle loro radici e dal loro contesto globale (cioè la fede cristiana e la dignità dell’uomo che ne è emersa, basterebbe pensare al concetto stesso di “persona”, nato dal cristianesimo ed assai più alto rispetto a quello semplicemente di “individuo”, da cui la differenza anche tra “individualismo” liberale e “personalismo” cristiano!), possano tramutarsi e storicamente si siano tramutate persino nel loro opposto e in un’incredibile oppressione dell’uomo stesso e in fondo pure nella disintegrazione dei veri fondamenti della società umana.

Del resto la già tanto declamata “tolleranza” di Voltaire si coniugava con uno sprezzante e violento odio contro il cristianesimo (“Écrasez l’infâme!”) (vedi).

Così, alla Rivoluzione francese seguì la stagione del Terrore (con terrificante violenza nei confronti di tutti coloro che vi si opponevano e volevano rimanere autenticamente Cattolici, vedi ad esempio la terribile persecuzione dei Cattolici della Vandea) e persino gli autori stessi della Rivoluzione finirono sotto la ghigliottina (vedi la stampa sotto)!

Che ne è fatto allora la Modernità e le sue ideologie e rivoluzioni già di quelle 3 parole chiave della Rivoluzione? Come abbiamo già sopra un poco ricordato e come vedremo ancora nella II Parte della News, la parola libertà si è tradotta in un liberalismo che socialmente, economicamente e politicamente ha prodotto un sistema sociale (capitalismo selvaggio del XIX secolo) totalmente opprimente delle classi meno abbienti (che verranno chiamate “proletariato”). In risposta a ciò e in opposizione al capitalismo (ed è significativo che K. Marx abbia vissuto soprattutto a Londra, patria di quel nascente capitalismo poi trasferitosi negli USA, e lì abbia scritto “Il Capitale” ed abbia pensato la rivoluzione socialista, poi attuata in Russia nel 1917; vedi nel documento sull’Inghilterra), il comunismo, per garantire una falsa idea di uguaglianza, ha soppresso la dignità (e persino la proprietà) di ogni singolo uomo, famiglia e corpi intermedi. La parola fraternità, ovviamente tipica del cristianesimo (“fratelli” si è non tanto genericamente in quanto partecipi di un’unica umanità ma in quanto col Battesimo inseriti in Cristo e resi “figli dell’unico Padre”!) si è tradotta, nel linguaggio della Massoneria, per caratterizzare addirittura gli affiliati delle logge (gerarchicamente costituite, in assoluta obbedienza ai capi e in “fraterno” aiuto reciproco, specie economico), quello stesso potere massonico che oggi promuove infatti una generica e anonima “fraternità” mondiale (globalizzazione), indistinta e senza identità, e come tale così più facilmente omologabile al grande potere e al “News World Order” (strano che qualcuno nella Chiesa la faccia oggi coincidere con la fraternità evangelica)!

È infatti drammatico che oggi tali idee false, rimaste solo apparentemente cristiane, si siano infiltrate e siano addirittura propagandate dalla stessa Chiesa Cattolica o sedicente tale (vedi la II Parte del documento “Quale Chiesa?”)!

Rivoluzione francese

Seconda parte: Alcuni “equivoci di fondo” circa l’organizzazione della società

Facciamo anzitutto un po’ di chiarezza sulla questione di fondo, che inficia tutte le altre questioni anche sociali, per poi vedere alcuni conseguenti equivoci fondamentali, oggi talmente diffusi dal potere culturale e mediatico e permeati talmente nella mentalità comune (persino cattolica!) da rendere persino ardua l’individuazione del loro inganno e falsità.

La questione di fondo, che inficia tutto il pensiero moderno, è appunto la progressiva perdita della consapevolezza della verità (dovuta a sua volta alla perdita del fondamento stesso del pensiero che è una corretta “metafisica” e dei suoi principi assoluti) e della possibilità che la ragione umana ha, nonostante i suoi limiti e le possibilità di errore, di coglierla.

Tale perdita della percezione di verità oggettive e universali, riconoscibili razionalmente e come tali capaci di convincere e di essere condivise (al di là delle molteplici opinioni), cioè il “relativismo”, frutto non solo talora di posizioni esistenziali “di comodo” ma conseguente ad un “sospetto” generalizzato sulla ragione (che peraltro obbligherebbe al silenzio!), rende non solo impossibile e vuoto il personale cammino esistenziale (non edifica, non conduce da alcuna parte), ma rende pure vano ogni possibile “dialogo” (nonostante le infinite e logorroiche discussioni di cui ci illude una falsa democrazia e di cui sono follemente stracolmi tutti i sistemi di comunicazione sociale); infine rende impossibile ogni costruzione sociale, perché nessuna società (da quella familiare a quelle locali, fino a quelle nazionali e internazionali) può essere edificata se non su “valori condivisi” (dove però la condivisione non è dettata da interessi di parte o giochi di forza economici o politici, ma appunto fondata su un’almeno minima concezione del “bene” dell’uomo e quindi dello stesso “bene comune”).

Mancando la fondamentale parola verità, progressivamente persa dal pensiero moderno e conseguentemente e significativamente assente in tutti gli slogan dell’illuminismo, della modernità e post-modernità, la libertà diventa essa stessa un assoluto (e questo si nasconde oggi dietro pure la parola diritti). Ma una libertà senza verità è come avere le gambe ma non avere la strada: è un angosciante non-senso, un girare a vuoto, una sorta di impazzimento generale, ed è poi paradossalmente un diventare schiavi di qualcosa (magari delle proprie voglie) o di qualcuno (che ci dice quale sia la nostra felicità, magari per venderci un proprio prodotto, commerciale o ideologico, che pretenda di rispondere a questo nostro bisogno di fondo)!

Basterebbe la decisiva parola di Gesù “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32) per capire questo folle inganno di una libertà senza verità.

Sul fondamentale e inscindibile rapporto tra libertà e verità, anche per la costruzione sociale, si veda l’Enciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor (1993), così come sulla straordinaria possibilità della ragione (specie se unita alla fede cristiana) di cogliere il vero si veda, dello stesso Papa, l’Enciclica Fides et ratio (1998).

Paradossalmente però, mentre si declama tanto la libertà, le nuove ideologie e persino la scienza si incaricano di convincerci che invece essa è solo apparente, che non esiste, che siamo solo frutto di meccanismi e determinismi inconsci (S. Freud) o neuronali (certe neuroscienze), oppure sociali (K. Marx) e magari si ritorna a pensare, come nell’antichità, alla sovranità assoluta del Destino, da cui sarebbe impossibile sottrarsi (già F. Nietzsche, che solo apparentemente sembra esaltare la libertà contro ogni metafisica, morale e religione, ha avuto questo coraggio di affermare la nostra assoluta “dipendenza” dal Destino, inteso come “eterno ritorno dello stesso”, cioè addirittura come storia circolare, dove appunto la libertà sparisce completamente perché tutto è già dato)!

Poiché però l’assenza della verità e le libertà individuali “impazzite” rendono la società impossibile, cioè la riducono ad una “giungla” dove regna sovrana “la legge del più forte” (prima fisicamente, poi militarmente e oggi soprattutto economicamente), rendendo la parola “democrazia” un sinonimo di “anarchia”, allora già dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese le “ideologie” (visioni della realtà costruite a tavolino in base a degli inconfessati e indiscussi “a priori”) diventano la nuova assoluta verità (nuovi indiscutibili dogmi) e soprattutto lo Stato diventa il nuovo “padrone”, persino la nuova “divinità”, che decide per tutti cosa sia bene e male, cioè il senso della nostra vita. Le ideologie, le rivoluzioni e le dittature del XX secolo stanno già lì a dimostrarlo (ma in fondo già la Rivoluzione francese). Oggi poi il potere è molto più forte, ma anche molto più raffinato, così che mediante gli invasivi mezzi di comunicazione sociale riesce a schiavizzarci lasciandoci però convinti di essere pienamente liberi e di decidere tutto noi con le moderne “democrazie”!

Inoltre oggi, persino mediante le possibilità fornite dalle sempre nuove e potenti tecnologie, si possono creare anche super-Stati (associando progressivamente alleanze economiche e politiche, senza però più alcun valore comune!) e persino un super-potere mondiale, un New World Order, che decide tutto di tutti, pur lasciando ai singoli e ai popoli l’illusione di decidere tutto “democraticamente” (nel sito abbiamo molti documenti in proposito vedi).

Un’occasione unica e irripetibile per il vero “Padrone del mondo” (cfr. il profetico romanzo di R. H. Benson; ma in fondo basterebbe leggere l’Apocalisse al cap. 13)! Solo chi sarà saldamente ancorato alla fede in Cristo e alla vera libertà e dignità che Egli ci dona potrà resistere!


Poniamo dunque ora l’accento su 8 equivoci, cioè su altrettante parole chiave, di origine cristiana ma poi assunte come tipiche del pensiero moderno (illuminista, laicista e persino anticristiano), che ne ha però progressivamente cambiata l’accezione, provocando a livello culturale, sociale e politico gravi danni in ordine al vero bene dell’uomo e della società. Essi penetrano purtroppo fortemente anche la diffusa mentalità dominante, così da non renderne quasi neppure più riconoscibile l’errore.

Nel nostro documento sulla Dottrina sociale della Chiesa ne trattiamo al n. 6 (vedi).

1. Sulla libertà (senza verità)

Come abbiamo già sopra ricordato, il peccato originale del pensiero moderno e delle ideologie della  Modernità è la perdita della “verità” (oggettiva, universale, conoscibile), come conseguenza della perdita filosofica della metafisica e della progressiva apostasia dalla fede cristiana. Viene persino a crollare l’idea di unanatura umana”, uguale per tutti e con un suo significato oggettivo, dato dal Creatore. Per cui, senza questo legame con la verità, anche la libertà diventa fondamentalmente un equivoco, talora persino un insieme di capricci, riducendosi semplicemente a un vago libero arbitrio, individualisticamente inteso, come semplice “libertà da” (da tutto e da tutti), senza alcun significato oggettivo, cioè senza una “libertà per”. Come appunto se uno fosse libero di camminare ma non sapesse più la strada, anzi, negando perfino che ci sia una strada!

Questa falsa o riduttiva concezione della libertà solo all’inizio genera quasi un’ebbrezza “prometeica” (che in realtà da sempre configura l’inganno “diabolico”) e potrebbe farci sentire quasi come Dio; in realtà essa ci trasporta pian piano in uno spaventoso vuoto, nell’angoscia del totale nonsenso. In fondo è la storia del peccato, a cominciare dal primo fondamentale peccato “originale” (cfr. Gn 3). Appunto: un inganno satanico!

Dal punto di vista dell’organizzazione sociale, questa falsa o riduttiva idea di libertà ha generato nella Modernità il liberalismo, dove la libertà del singolo va a scapito del bene comune. Nel suo risvolto economico essa ha generato uno spietato “capitalismo”, specie quello dei primi tempi (sec. XIX), dove in fondo non ci sono altri valori che gli interessi economici e di chi possiede appunto “il capitale”: tutto vi è asservito, compresa la dignità del lavoratore e persino il rispetto della Natura (come si dice oggi).

Per contrastare questa logica è venuto a costituirsi il pensiero marxista (socialista). Peraltro è significativo che K. Marx, pur essendo tedesco (e con ascendenze ebraiche), abbia vissuto soprattutto a Londra e proprio in Inghilterra abbia visto le spietatezze del “capitalismo” nascente dalla rivoluzione industriale. Non a caso vi scrisse e intitolò Il Capitale, la sua opera principale. In essa, oltre ad effettuare persino grossolani errori di economia (il valore economico di un prodotto sarebbe determinato solo dalle ore di lavoro richieste, col relativo “plus-valore”, come lui lo chiama, rimasto al capitalista e che non fa altro che aumentare il suo capitale, quando invece esso dipende com’è noto anche dalla logica della domanda e dell’offerta), si pongono pure le basi del socialismo-comunismo (cosiddetto “dialettico” e perfino scientifico, ma soprattutto “materialista” ed ateo), dove invece viene a negarsi la libertà del singolo (e dei corpi intermedi), compresa la proprietà privata e l’educazione delle nuove generazioni, trasferendo tutto in mano allo Stato-Partito! Ci torneremo tra poco.

Da questo equivoco sulla parola “libertà” emerge anche un motto ancor oggi assai diffuso e apparentemente convincente, mentre invece è falso. Esso predica così (tutti l’abbiamo sentito e forse persino acriticamente ripetuto): “la mia libertà deve finire dove comincia quella degli altri”. Sembra una regola tanto saggia, quando invece è falsa e contraddittoria. Intanto diventa arduo stabilire dove sia il confine tra queste libertà (se ad esempio io sono molto più ricco e potente di te dove sarà questo limite tra la mia libertà e la tua?). In questo equivoco s’è infatti già persa la “dimensione sociale” dell’uomo: il bene dell’altro è solo un limite al mio bene e non una dimensione anche del mio bene! Risulta così facile scivolare in quella concezione di scontro e antagonismo tra le diverse libertà, che peraltro permane e si accentua nell’idea marxista (a sfondo persino hegeliano) di “lotta di classe”. In fondo, in questa errata concezione dell’uomo e quindi della società, se l’altro non ci fosse io starei meglio perché sarei più libero. Il filosofo esistenzialista e marxista francese J.P. Sartre, che guiderà perfino il ’68 francese, arriverà per questo a dire “L’inferno sono gli altri”! (perché evidentemente, se sono solo un limite alla mia libertà, starei molto meglio se gli altri non ci fossero).

Esiste poi l’imprescindibile questione di come limitare la libertà di chi vuol fare il “male” e addirittura di chi debba stabilire cosa sia il bene e il male (come diremo tra poco)!

Si capisce dunque che la libertà, anche se è fondamentale, non può essere l’unico valore da garantire nella società.

Un’altra grave conseguenza di questo equivoco sulla libertà (senza verità) è quell’errore che fa dire a tanti (persino a non pochi cattolici!): “io la penso così, per me è bene questo; ma perché dovrei obbligare un altro a pensarla così e ad agire così?”. In realtà anche questa domanda, che potrebbe sembrare inizialmente giusta, si fonda proprio sul “dogma relativista”, secondo cui non ci sarebbe una verità, oggettiva e valida per tutti.

Anche questo errore, questo equivoco sulla libertà, renderebbe di fatto impossibile qualsiasi società, persino qualsiasi legge (il Diritto), perché nessuno potrebbe vietare od obbligare niente a nessuno; ma questo trascinerebbe evidentemente ogni democrazia in una sostanziale anarchia. L’idea stessa di “legge” (civile, penale), infatti, presuppone che ci siano dei beni (propri e altrui) da difendere ad ogni costo, così che anche chi non ne è convinto e d’accordo la debba comunque osservare; e debba persino essere punito se non la osserva. Si potrebbe persino  osservare che la “legge” (e relativa punizione per chi la trasgredisce) è fatta apposta per obbligare chi non ne è convinto, perché chi ne è convinto in fondo si comporterebbe già così anche se non ci fosse tale legge e una punizione per i suoi trasgressori.

Potremmo inoltre osservare che in base a questo principio relativista e a questo equivoco sulla libertà, diventerebbe impossibile persino educare, addirittura anche un figlio, perché qualunque norma morale gli insegnassimo sarebbe, secondo questa falsa ottica, semplicemente una violenza, una pretesa di imporgli un proprio particolare “punto di vista” (si è infatti teorizzato anche questo)!

Lo stesso insegnamento scolastico, dentro questa logica relativista, sarebbe inteso come violento e dovrebbe ridursi (come purtroppo assai spesso avviene) ad una serie di informazioni da trasmettere, presupponendo che esse siano neutrali e asettiche (cosa peraltro impossibile, come vedremo tra poco), mentre in realtà nascondono inevitabilmente una scelta e una precisa visione dell’uomo, della società e della storia, persino indiscutibili ideologie dettate da forti poteri occulti. Non esiste infatti alcunché di neutrale e nessuno è privo di idee ed è esonerato dal compiere scelte e relative rinunce; ma tutto ciò implica necessariamente una visione dell’uomo e della sua felicità, cioè una antropologia (vera o falsa che sia).

Per questo ogni genitore, ma in fondo ogni educatore, volente o nolente, cosciente o meno di ciò, trasmette una visione antropologica (un’idea di uomo) ed etica (un’idea di bene e di male), vera o falsa che sia. Si deve semmai continuamente verificare se tale antropologica ed etica (ma in fondo persino una convinzione religiosa) sia vera o falsa, giusta od erronea. E qui serve ancora la ricerca della verità oggettiva e del bene autentico!  L’autentico compito educativo, come vedremo tra poco, se non vuole cadere nei due abissi di un insopportabile “autoritarismo “o di un ancora più nocivo e deleterio “lasciar fare” tutto, deve essere proprio quello di introdurre, certo anche criticamente, nella verità.

Anche a queste assurdità porta appunto la perdita della “verità” (e la sfiducia nella capacità di conoscerla), l’apostasia dall’autentica fede (pensata oltre che testimoniata) e il conseguente “relativismo” dominante!

2. Sull’uguaglianza (intesa come fare le stesse cose)

La ragione, se rettamente usata, dovrebbe essere già in grado di riconoscere la fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini, in quanto non solo appartenenti tutti alla “razza umana” (come si dice oggi, con un tono già riduttivo, come se si trattasse semplicemente di una specie animale), ma in quanto si può metafisicamente (nel senso proprio dello studio dell’essere, come ricordava già Aristotele) riconoscere che, al di sotto di tutte le possibili differenze (dette da Aristotele “accidenti”), esiste comunque unanatura umana (una “sostanza”, che appunto sta sotto, come ancora direbbe Aristotele), che ne fonda appunto l’uguale dignità e gli stessi fondamentali diritti.

Però è altrettanto evidente, e la realtà sta lì a dimostrarlo, che non siamo tutti uguali, che non abbiamo tutti le stesse capacità e che non possediamo tutti allo stesso modo virtù o vizi, cioè che non siamo tutti buoni o cattivi allo stesso modo.

Di fatto, però, come avvenuto anche per altri valori umani, fu proprio la fede cristiana (non certo ad esempio quella “induista”, tuttora legata all’idea anche sociale dell’insormontabilità delle “caste”) ad evidenziare meglio l’uguale dignità di tutti gli uomini, creati da Dio e chiamati a partecipare in Cristo addirittura alla stessa vita eterna di Dio. 

Anche in questo caso, però, possiamo notare, sia storicamente che nel presente, come la perdita della fede cristiana e persino dell’uso corretto della ragione (l’abbandono della metafisica trascina con sé pure la perdita della logica!) generi dei colossali equivoci e nella società delle mostruosità incredibili e invivibili.

Stiamo persino giungendo al punto, ed è la prima volta nella storia stessa dell’umanità, che non si riconosce neppure più la superiorità della “natura umana” (razionale e quindi dotata di un’anima spirituale) rispetto a tutti gli altri animali (alterità evidente già al primo uomo apparso nel pianeta)!

Come abbiamo già sopra osservato, all’accentuazione unilaterale della libertà (e, socialmente, del liberalismo, capitalismo e tutt’oggi all’affermazione di qualsiasi libertà e diritto) s’è contrapposta già nel XIX secolo e nella rivoluzione bolscevica del 1917 l’accentuazione unilaterale dell’uguaglianza, fino al punto di sopprimere, con il socialismo-comunismo, ogni libertà individuale (persino la “proprietà privata”) e considerare l’educazione stessa delle nuove generazioni compito esclusivo dello Stato (Partito Comunista), escludendone addirittura la famiglia (qualcosa di ciò si può vedere anche in certe pretese dalla scuola odierna).

È peraltro paradossale che oggi proprio i Partiti di sinistra, abbandonate le classi più povere al loro destino, si facciano paladini di ogni genere di libertà e diritti, anche quelli più inventati e irrazionali, persino di ogni pulsione, secondo rivendicazioni tra l’altro in genere tipici di classi e culture benestanti e un tempo dette “borghesi”, come accade specie in Occidente!

Questa accentuazione unilaterale dell’uguaglianza ha continuato ad espandersi, anche in modo totalmente irrazionale, nella seconda metà del XX secolo e dilaga acriticamente ancor oggi, pure in forme sempre nuove. Uguaglianza diventa sinonimo di godere tutti degli stessi “diritti” (persino quelli inventati e peraltro senza neppure i corrispondenti “doveri”) e di poter fare tutti le stesse cose!

Una pura irrazionalità, che contraddice appunto la stessa “natura umana”, la realtà e l’esperienza . Ma l’ideologia diventa talmente irrazionale e folle che, come dice un famoso adagio, “se la realtà contraddice l’ideologia è la realtà che sbaglia”!

Già le contestazioni studentesche del ’68 (sostenute principalmente da ideologie marxiste già allora paradossalmente sposate col liberalismo più esasperato – se n’erano accorti persino P. P. Pasolini e I. Montanelli che dietro molti di quei giovani contestatori che lottavano tanto per il “proletariato” e per il “comunismo” si nascondevano spesso puri “borghesi” e “figli di papà”), confondevano ad esempio il “diritto allo studio” con il poter fare tutti le stesse cose (così che, paradossalmente, anche uno che non capiva niente di matematica doveva godere del diritto di studiare Ingegneria, magari pure garantendogli un bel “30 politico”, come si diceva allora, fino ad “occupare” le Università pur di ottenere tale diritto, negando peraltro a chi voleva frequentare e studiare la possibilità di farlo e squalificando gli studi e persino intere Facoltà)!

Allo stesso modo il femminismo, per affermare la giusta uguaglianza di dignità delle donne rispetto all’uomo (valore che contraddistingue proprio il Cristianesimo, non certo ad esempio l’Islam!), ha preteso di poter far fare alle donne le stesse cose degli uomini (appunto l’equivoco dell’uguaglianza come il fare le stesse cose), nascondendosi che ciò non è talora neppure fisicamente possibile e recando assai spesso danno alle donne stesse – sia pensi in tal senso a certe condizioni di lavoro in cui si sono spesso ritrovate; ma si è potuto spesso pure riscontrare un abbassamento persino del loro livello morale, seguendo ad esempio i maschi nel linguaggio scurrile e perfino nel libertinismo sessuale; oppure, al contrario, s’è pensato per loro al privilegio delle “quote rosa”, cioè il poter comunque entrare in certe graduatorie e fare certe professioni per il semplice fatto di essere donne, indipendentemente dalle capacità dimostrate (il che a ben vedere dovrebbe risultare persino offensivo per le donne stesse!) – per non parlare del danno con ciò arrecato, specie con questa assenza delle donne, alle famiglie e all’educazione dei figli (delegata totalmente ad altri, poi alle scuole e oggi abbandonati pure in balia dell’invasività dei mezzi di comunicazione di massa e dei social).

Se qualcuno poi continuasse a credere ai miti anticattolici sulla discriminazione delle donne da parte della Chiesa, specie nel Medioevo, basterebbe ricordare la Santa di cui si celebra proprio oggi la festa, cioè S. Caterina da Siena vedi, Compatrona d’Italia e d’Europa e Dottore della Chiesa, che nel XIV secolo ebbe un ruolo di primo piano non solo nella vita della Chiesa (riportò persino il Papa da Avignone e Roma) ma della società italiana (facendo fare pace a città e Regioni allora in lotta), oltre ad essere la prima autrice femminile della Letteratura italiana! Strano che oggi persino molta Chiesa Cattolica, all’inseguimento anche di questa ideologia modernista, pensi di valorizzare la donna progettando di farle fare le stesse cose degli uomini (persino il prete)!

La stessa attuale ideologia gender e il sempre più potente mondo Lgbtq+ sono perfettamente consequenziali, fino addirittura a negare la stessa evidenza biologica, a questo equivoco sulla libertà, sull’uguaglianza e relativi diritti (confondendola col certo doveroso rispetto che si deve ovviamente a chiunque).

Cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 412-413, con le relative domande e risposte (Su che cosa si fonda l’uguaglianza tra gli uomini? Come valutare le disuguaglianze tra gli uomini?) [cfr. Catechismo della C. C., nn. 1934-1935. 1945 e 1936-1938; 1946-1947).

3. Sulla democrazia (che può degenerare in anarchia e poi in dittatura)

Tra i drammatici equivoci che nascono dalla perdita “moderna” della verità (oggettiva, universale e razionalmente indagabile) e dall’apostasia dalla fede cristiana (fede che ha meglio individuato, purificato e confermato quei valori umani che già la ragione umana potrebbe cogliere), con la conseguente esaltazione unilaterale della libertà, abbiamo anche una falsa idea di “democrazia”, come abbiamo già ricordato.

Essa, se non rettamente intesa e se viene estesa come possibilità di legiferare su qualsiasi cosa, in base alla maggioranza e senza alcun riferimento a valori oggettivi, può degenerare in “anarchia”; ma l’anarchia (o già una democrazia intesa solo come registrazione delle “situazioni di fatto”) è un’illusione (per chi crede che l’uomo sia naturalmente e sempre buono) e socialmente invivibile.

Rimane infatti la questione di quali siano i “beni” da promuovere (anche se non tutti i beni possono essere giuridicamente obbligatori) e i “mali” da respingere, arginare o invece tollerare (anche se non tutti i mali possono essere giuridicamente vietati). Rimane dunque il problema di cosa sia bene e cosa sia male (cioè la questione “morale”). Questione che anche nel Diritto sui campi più importanti (pensiamo ad esempio al “diritto alla vita” o agli altri “valori non negoziabili”) non può evidentemente essere deciso a maggioranza.

La politica deve dunque avere riferimenti oggettivi che sono ad essa superiori.

Chi o cosa potrà compiere questo discernimento? Il potere di qualcuno, di un Partito, di una potenza ideologica o addirittura economica, della maggioranza di volta in volta raggiunta o dello Stato stesso? Facile cadere in una dittatura (non solo di un singolo ma della stessa maggioranza!) o in una concezione assolutista dello Stato stesso, cioè in una “statolatria”, come può volte abbiamo già visto nella storia, anche moderna e contemporanea.

Che la “democrazia” non rettamente intesa possa degenerare in “anarchia” e questa a sua volta in “tirannide” fu già prospettato persino nella Repubblica di Platone.

Non entriamo ovviamente qui sulla questione della differenza tra repubblica e monarchia. In Italia, reduce dai disastri (soprattutto la II Guerra Mondiale) cui ci hanno condotti la monarchia unita alla dittatura fascista, c’è tuttora una grande enfasi sulla Repubblica (decisa per pochi voti, neppure totalmente verificati, con il Referendum del 2.06.1946, di cui si festeggia tuttora solennemente l’anniversario), forse dimenticando che molti Paesi europei sono tuttora fiorenti monarchie (Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio, Spagna, oltre al Regno Unito). Poi anche le Repubbliche danno diversi poteri al Presidente di turno (in Francia ad esempio il Presidente ha una grande potere; per non parlare degli USA; ma anche in Italia il Presidente della Repubblica ha ampi poteri, certamente superiori a quelli di molti monarchi europei).

Che il popolo possa scegliere i propri governanti (democrazia = potere del popolo) può essere cosa buona e quindi preferibile. L’essenziale è però che i governanti attuino il vero bene dell’uomo.

È necessario quindi che si riconoscano delle verità, e conseguentemente dei “beni” oggettivi, indisponibili (“non negoziabili”), cioè che non dipendano dal consenso di volta in volta emergente ma siano garantiti comunque.

Dobbiamo infatti ricordare che la verità non dipende dal consenso, non è il frutto della maggioranza, ma è oggettiva; e solo in riferimento ad essa si può perseguire l’autentico bene dell’uomo e della società. L’intelligenza e la coscienza ci avvertono che i valori fondamentali non dipendono dal consenso (è evidente ad esempio che rubare sia male e che questo giudizio non dipenda da quanti lo dicono e resterebbe male anche se il 60% o persino l’unanimità dicesse o facesse il contrario!).

Dobbiamo poi cogliere un altro limite della democrazia, ed è l’aspetto esclusivamente quantitativo (il “numero”; possiamo vedere in ciò persino una conseguenza del pensiero cartesiano?): il voto segue infatti inevitabilmente un criterio numerico (quantità) e non di verità (qualità), sia per gli eletti che per gli elettori (per cui il voto di uno che sta tutto il giorno al bar e non si è mai occupato di affrontare le problematiche sociali vale quanto quello di chi ha invece dedicato tutta la vita a questa missione e con più raffinato raziocinio).

Su tante questioni contingenti si deve certo discutere: qui sta il lavoro di un Parlamento (“potere legislativo”), eletto dai cittadini (secondo diversi sistemi, talora peraltro di discutibile efficacia rappresentativa, come quello vigente negli USA, che pur si fanno tanto paladini mondiali delle democrazia, da esportare persino con le guerre!) e anche di un Governo (potere esecutivo), unito poi ad un potere giudiziario atto a far rispettare le leggi e punire i trasgressori (e non a legiferare o a condizionare politicamente i governi, come talora accade, anche in Italia). Ma non si possono mettere ai voti (secondo maggioranze sempre variabili e peraltro spesso veicolate dal potente potere mediatico ed economico!) i valori e diritti fondamentali (a cominciare da quello della vita, specie di un innocente come un nascituro!). La riprova che esistono anche per il Diritto dei valori che non mutano in base alle maggioranze parlamentari o di governo (quindi dal voto democratico) è che in uno Stato essi sono ad esempio garantiti da una Costituzione, che permane al di là e al di sopra di tutti i cambiamenti politici e maggioranze parlamentari possibili (la riprova che anche in Italia, ad esempio, sia il Capo dello Stato come ogni nuovo Ministro di Governo deve all’inizio del proprio mandato giurare sulla Costituzione e vi si sottoponga – anche se è significativo che altrove, persino negli USA, tale giuramento sia fatto invece sulla Bibbia, quasi ad indicare che il bene e il male lo decide Dio e non gli uomini)!

Questa ricerca dell’autentico “bene comune” (e ciò fa capire che non si può prescindere appunto dalla morale e da un’autentica e integrale antropologia, cioè da una il più possibile corretta e integrale comprensione dell’uomo, del senso della vita e quindi del “bene”; tutte realtà che lo Stato non può inventare a piacimento, ma deve solo riconoscere!) e degli strumenti che di volta in volta possano sempre meglio attuarlo e promuoverlo è anche il significato più profondo della politica (occuparsi della res publica), che non è quindi in sé un impegno da cui ci si possa esimere, secondo certo le diverse modalità di partecipazione e responsabilità sociali, ma che è in sé un vero e proprio dovere morale, una forma non eludibile di “carità”, in quanto dobbiamo appunto occuparci anche del bene comune (e delle cause profonde che talora soggiacciono anche a singoli problemi, forme di povertà o altre difficoltà di singole persone o gruppi sociali).  Abbiamo infatti sottolineato come non a caso la Dottrina sociale della Chiesa si occupi anche della politica e persino dell’economia, e ciò sia parte della morale cattolica!

Se invece la politica da “strumento” (per il raggiungimento del bene comune) diventa il “fine” e se a monte è smarrita appunto la consapevolezza dell’oggettività del bene, allora diventa una accozzaglia di interessi, un gioco di numeri e di alleanze (certo la politica in democrazia è fatta anche di questo: perché uno potrebbe promuovere i valori più alti ma se non è votato da nessuno non conta nulla!) e permette persino l’infiltrazione di poteri occulti, che tengono in mano i fili del potere reale, al di là di quello apparentemente voluto dai cittadini ed espresso di volta in volta col voto. La perversione della stessa discussione politica è poi data dal fatto che assai spesso non si cerca più, in una particolare situazione, cosa sia il bene da garantire e promuovere e il male da impedire e punire, ma il bene e il male dipendono in modo manicheo e irrazionale semplicemente dalla parte politica che lo asserisce. Ciò rende evidentemente impossibile qualsiasi politica e persino accordo. Forse anche da questo nasce quella sfiducia nella politica che attanaglia silenziosamente anche le più moderne ed emancipate democrazie occidentali; basti pensare all’enorme percentuale di “astenuti” oggi riscontrate, anche nelle votazioni politiche più importanti (e ciò persino in democrazie tanto osannate come gli USA).

L’ideale sembrerebbe allora quello di essere liberi dal consenso (un governante o un sovrano che attui davvero il bene del popolo e non sia ricattabile dai numeri della politica, dalle pressioni economiche e mediatiche e persino dal mutevole consenso ricevuto coi voti) o di avere un consenso così forte da non essere più ricattabile dall’opposizione; ma si comprende certo come un unico sovrano con ampi poteri, o fosse sostenuto anche da una maggioranza persino assoluta, arrechi ancora con sé seri pericoli (già la storia del XX secolo ci ha dimostrato come terribili dittature siano emerse persino da regolari votazioni politiche: basterebbe ricordare il nazional-socialismo di Hitler, emerso nel 1933 in Germania per voto popolare, a dire il vero senza il consenso della maggior parte delle regioni cattoliche del Paese).

Da ciò si può dunque comprendere come pure la democrazia, e in fondo la politica stessa, debba necessariamente rimandare a qualcosa di superiore: la ricerca razionale del bene autentico e oggettivo; ma ultimamente rimandi a Dio stesso e alla Sua legge! [ne accenna forse Gesù stesso a Pilato (Gv 19,10-11), ma è certo nella dottrina cattolica che il “potere” politico viene fondamentalmente da Dio ed a Lui se ne dovrà rendere conto!].

Per questo la democrazia e la società stessa (oltre ovviamente e soprattutto i singoli) non reggono senza una sana educazione, specie delle nuove generazioni; la società e la stessa democrazia (oltre ovviamente le singole persone) non reggono a lungo senza una grande e sana preoccupazione educativa; che a sua volta non può che di nuovo poggiare sulla questione della “verità”!

Qui si gioca il futuro stesso di una società (e di una democrazia): sulla capacità soprattutto e primariamente delle famiglie di saper educare le nuove generazioni (distruggere le famiglie, come oggi si sta facendo, è ipotecare gravemente il futuro stesso della società e dell’umanità), come pure sul vero e non formale (tanto meno ideologico!) compito educativo delle scuole, ma anche, oggi più che mai, sulla vigilanza affinché i mezzi di comunicazione sociale non siano strumenti di divulgazione del male!

Ecco perché in passato (anche nella Chiesa) si era soprattutto preoccupati delle falsi idee (anche morali) che potevano essere trasmesse al popolo, specie ai giovani, più ancora dei singoli comportamenti immorali; il danno prodotto, anche a lungo termine, da idee sbagliate è infatti incalcolabile!

Dunque, senza una consapevolezza dell’oggettività di alcuni valori, fondati sulla natura umana e riconoscibili già dalla stessa ragione umana (tanto più se corroborata dalla fede e dalla conoscenza delle “legge di Dio”!), la democrazia diventa sinonimo di “relativismo etico” e come tale non può reggersi e rischia appunto di degenerare in nuove e magari subdole forme di dittatura (se non di un dittatore singolo, magari quella della maggioranza, del potere economico e di quello degli strumenti di comunicazione di massa, persino la stessa pericolosissima “dittatura del relativismo”, dove tutto è possibile ma paradossalmente non si ammettono dissensi) [cfr. Giovanni Paolo II, Encicliche Veritatis splendor (n. 101) e Centesimus annus (n. 46)].

Si ricordi (vedi) in proposito la celebre omelia dell’allora Card. Ratzinger nella S. Messa per l’elezione del Papa, 18.04.2005; tra cui le note espressioni: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cfr. Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

4. Sui diritti (reali o presunti)

Oltre a quanto già ricordato sopra circa gli equivoci emergenti da una falsa idea di libertà e di uguaglianza, sottolineiamo ancora come la perdita della fede e della ragione (e fondamentalmente di una verità “oggettiva” e “indipendente da noi” anche se ci riguarda personalmente!) abbia progressivamente portato ad una tale obnubilazione della certezza che esista persino una natura umana, coi suoi diritti ma anche coi suoi doveri, che non sono inventabili né censurabili.

Si potrebbe semplicemente dire che c’è soprattutto una “legge di Dio” (così come del resto nella Natura stessa), che possiamo e dobbiamo onestamente riconoscere e a cui dobbiamo meritoriamente “obbedire” (mentre per gli animali si attua istintivamente, nelle piante per leggi biologiche, nella materia per leggi fisiche e chimiche).

È appunto la verità che ci fa liberi (cfr. Gv 8,32) e permette non solo una degna vita dell’uomo e la nostra stessa salvezza eterna, ma anche la possibilità di costruire di volta in volta una società degna dell’uomo.

Altrimenti appunto si confondono i diritti coi capricci, persino con le voglie e le pulsioni di qualsiasi tipo, senza peraltro neppure assumersene i doveri corrispondenti. Si pretende ad esempio di “convivere” per non assumersi i doveri del matrimonio, si pretende il matrimonio omosessuale senza che neppure la natura lo preveda, si pretende di avere comunque dei figli senza riconoscere i diritti fondamentali del figlio stesso, si pretende di eliminare il nascituro senza riconoscere il suo diritto fondamentale alla vita! Ancora: si parla di diritto alla “privacy” quando mai come oggi tutto e tutti sono sempre elettronicamente controllabili! Si parla di diritto all’informazione, anche quando diventa calunnia, diffamazione o se non altro inutile divulgazione del male (peraltro con grave pericolo di emulazione, specie per le nuove generazioni, e quindi con grave pericolo di “scandalo”).

Si arriva ormai (non per caricaturizzare ma si tratta di fatti veri) a rivendicare il matrimonio (peraltro sempre più inviso ai più) con chiunque e persino con … (v. News del 13.02.2021)! Presto, per non discriminare nessuno, giungeremo ad affermare il “diritto” dei ciechi (perdón!: “non-vedenti” o “diversamente vedenti”) di guidare l’autobus (per poi vedere chi oserà salirvi)!

5. Sul male (sulla sua causa e come limitarlo nella società)

Di nuovo, senza una verità oggettiva e universalmente riconoscibile (anche con la sola ragione) diventa appunto ovviamente impossibile stabilire anche cosa sia bene e male, cioè la Morale e di conseguenza anche il Diritto.

Oggi si predica continuamente che tutto è soggettivo; però tutti si scandalizzano continuamente e sono molto inquietati sul male che ogni giorno riempie la nostra società (e i media). Allora: c’è il male oggettivo? O quello che è male per uno potrebbe non esserlo per un altro, anzi magari per lui è un bene? o essere male oggi e non esserlo più un domani?

Come allora poter fare delle leggi che obblighino chiunque a rispettare certi beni ed evitare certi mali?

È evidente che anche per costruire una società si debba necessariamente far riferimento ad una verità oggettiva ed universale; universale non perché sia riconosciuta effettivamente da tutti ma appunto perché inscritta nella nostra stessa natura umana.

La Modernità ha anche un altro equivoco sul male, dovuto al fatto che misconosce quello che la fede biblica sa, cioè il “peccato originale”: che cioè l’uomo è buono, perché è creatura di Dio e fatto a Sua immagine, ma è non solo capace di bene ma anche di male (in quanto creato libero e responsabile) ed è segnato nella sua stessa natura da una ferita che lo rende particolarmente debole e incline al male. Gran parte del pensiero moderno e persino della pedagogia moderna – si pensi già all’Émile (ou de l’éducation) di Rousseau, con la sua contraddittoria idea dell’uomo che nasce sempre buono ma può essere reso cattivo dagli altri – nega questa evidenza ed è conseguentemente dentro questo equivoco sul male, senza peraltro poter uscire da questo palese “corto circuito” che impedisce di cogliere come possa nascere allora il male. Ora, anche se è vero che tutte le nostre relazioni possono aiutarci nella via del bene ma pure condizionarci e condurci nella via del male (da cui la necessità, specie da giovani, di ricevere una vera ed attenta educazione, ma anche di fare letture edificanti ed avere pure buoni amici), tale equivoco è evidentemente contraddittorio, perché se tutti fossero buoni, anche la società, essendo fatta di uomini buoni, sarebbe buona, senza ombra di male; e invece ovviamente non è così, come tutti vedono. In realtà l’uomo è anche capace di male. Persino anche quando sa cos’è il bene (vedi in S. Paolo Rm 7, 15-25)!

Ecco perché occorre appunto una buona educazione, specie delle nuove generazioni, per allenare la persona a crescere nel bene (virtù) e a vincere il male (vizio); ma essa diventa appunto impossibile se non si sa più cosa sia davvero il bene e il male.

Tutto diventa ancora più arduo se non impossibile quando si è persa la consapevolezza (data dalla fede cristiana) che comunque alla fine della vita non è tutto appiattito in un terrificante nulla ma ciascuno dovrà rendere conto a Dio delle sue azioni e a Lui non ci si può sottrarre o mentire (cfr. 2Cor 5,10).

Ecco perché non solo una censura della dimensione eterna della nostra vita e del Giudizio di Dio, ma anche una falsa e non evangelica predicazione sulla “misericordia” di Dio, che assicurerebbe a tutti e comunque la salvezza eterna (paradiso), oltre a recare danno anche eterno alle singole anime, contribuisce non poco a disintegrare anche le basi stesse della società! (vedi la News “Novissimi … sepolti”).

Dunque non solo la vita dei singoli, ma pure la società, lo Stato e perfino un ordine internazionale (si pensi alla Dichiarazione universale dei diritti umani redatta dall’ONU nel 1948, cioè proprio dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale!), non può che basarsi su una concezione oggettiva del bene e del male, perché si devono comunque garantire dei beni e respingere dei mali, con leggi appropriate e pene corrispondenti per chi le contravviene. Ma è arduo se non impossibile stabilire tale ordine senza far riferimento a Dio e senza riconoscere che anche la ragione umana può conoscere l’oggettività della verità e del bene (infatti anche quella Dichiarazione dell’ONU, poiché non ha voluto laicamente far riferimento a Dio, si è trovata sostanzialmente senza fondamento).

6. Sulla tolleranza (intesa come relativismo)

Come abbiamo osservato, il fondo relativista, scettico, per non dire nichilista, della cultura oggi sempre più dominante, genera degli equivoci anche sulle parole buone di cui oggi ci si riempie la bocca, senza accorgersi che tali equivoci possono arrecare anche gravi danni morali e sociali. Una di queste parole buone oggi di moda ma equivoche, e persino pericolose se non ben comprese, è appunto la parola “tolleranza” (termine peraltro assai più riduttivo che quello di “rispetto” per non dire della parola “amore”).

Anche la parola “tolleranza”, tanto cara all’Illuminismo e al pensiero massonico oggi dominante, si è spesso inevitabilmente capovolta, fin dall’inizio, nel suo contrario. Già Voltaire, che ne sarebbe il paladino fondatore, è stato fortemente intollerante, specie nei confronti della Chiesa (vedi nel documento sulla Modernità)!

Ritorna poi ancora il problema del “male”: fin dove si può tollerare? Vista infatti l’indubitabile presenza del male, è evidente che non sia possibile tollerare tutto e non si possa permettere ad alcuno la libertà di fare qualsiasi cosa, compreso appunto il male. Dovrei tollerare anche il ladro che viene a rubare in casa mia? Non dovrei neppure più chiudere la porta? Né tanto meno denunciarlo? Non sarei in tal caso rispettoso della sua libertà?

La tolleranza del male può invece renderne persino corresponsabili, anche a livello sociale!

Ad esempio un pacifismo ad oltranza, oppure un negare univocamente l’uso delle armi, degli eserciti, delle Forze dell’ordine, si capovolgerebbe inevitabilmente nel suo contrario, cioè in una corresponsabilità nei confronti di chi fa del male e persino quindi delle sua diffusione. 

Però, dentro un’ottica relativista, chi potrebbe assumersi il diritto di non tollerare quel male e di limitare la libertà di quella persona che vuole farlo, se non ci fosse una morale oggettiva, se la verità non esistesse o non fosse davvero conoscibile? Uno (singolo o gruppo sociale) potrebbe sempre rispondere che ciò è male per te non lo è per me, anzi per me è un guadagno!

Come si vede, ritorna sempre il problema di cosa sia davvero bene e male, se sia oggettivo, se si possa conoscere e come. Di nuovo la questione della verità!

7. Sulla neutralità (presunta e impossibile)

Poiché pensiamo e non possiamo non pensare, così come facciamo delle scelte e non possiamo non scegliere (il non voler formarsi delle idee giuste è già un’idea sbagliata e il non scegliere è già una scelta sbagliata, perché significa lasciarsi liberamente trascinare da altri o dalle semplici passioni), formiamo in noi comunque delle idee che riteniamo giuste e ne rifiutiamo altre che riteniamo sbagliate; così come facciamo inevitabilmente delle scelte in base a ciò che riteniamo sia comunque “bene” (quantomeno la nostra felicità) e compiamo pure le relative rinunce, perché al di là magari dell’iniziale apparenza, molte scelte ci fanno “male”. Dunque ci sono scelte non solo che non possiamo fare, ma che non dobbiamo fare, perché comunque ci farebbero male (a noi stessi oltre che agli altri). Anche il più perverso degli uomini ha comunque almeno un vago sentore di questo “devo” e “non devo” (Kant lo chiamerebbe un “imperativo categorico”). E non si tratta solo del rapporto con gli altri, ma anche con se stessi (per non parlare, per chi ha capito ed è credente, della propria anima e del suo conseguente destino eterno, beato o dannato, in base appunto alle proprie scelte)! Ogni uomo ha comunque le proprie idee e compie le proprie scelte, in base a ciò che ritiene essere bene o male, cioè il senso vero o sbagliato della vita, la vera o falsa felicità. Il problema è però se quel bene che voglio perseguire e quel male che voglio evitare lo siano realmente, cioè lo siano oggettivamente. Eccoci ancora all’inevitabile questione della verità, addirittura di se stessi, cioè quale sia il vero “bene” e l’autentico significato della vita!

Per questa impossibilità di non avere idee e di non scegliere, anzi per l’obbligo morale di avere idee giuste e compiere azioni buone, la neutralità è male, oltre che impossibile.

Questo non significa che allora ciascuno sia necessariamente “di parte”. Chi pensa così è già dentro l’equivoco relativista e scettico che pensa non si possa mai conoscere il vero ma solo avere opinioni soggettive.

Dobbiamo certamente “verificare” (che significa “vedere se è vero”) continuamente se le nostre idee e le nostre scelte siano effettivamente giuste; e disposte a cambiarle se effettivamente le nostre idee risultassero false e le nostre scelte sbagliate (in fondo è ciò indica la parola stessa “conversione”).

Però è falso e sciocco affermare, come oggi invece si sente spesso dire, che sarebbe comunque sempre bene “cambiare” le proprie idee e le proprie scelte, magari adeguandosi alle mode culturali o al “così fan tutti”; oggi molti ritengono persino “stupido”, “dogmatico” e “retrogrado” chi non lo fa.

Al di là delle mode, anche culturali, e persino alle sciocche posizioni di comodo, che ci fanno ruotare continuamente come una bandiera al vento (cfr. Ef 4,14), molti non sanno che questo errore ed equivoco risente in realtà della filosofia di Hegel, oggi imperante, secondo cui l’Assoluto non trascende la storia ma si manifesterebbe progressivamente nello stesso “divenire” storico, per cui “nuovo” diventa per se stesso sinonimo di “meglio” (cosa peraltro smentita assai spesso dall’esperienza personale ma anche sociale e storica)!

Non a caso Dio, che è Perfezione suprema, Sommo Bene e Verità assoluta, per definizione stessa non cambia mai, altrimenti non sarebbe Dio, perché se cambiasse non sarebbe stato Dio prima (non sarebbe stato “perfetto”) o non lo sarebbe poi!

Anche in questo caso è assai triste osservare come certi equivoci siano invece oggi penetrati persino nella Chiesa Cattolica!

Emerge dunque di nuovo la questione di fondo: quale sia la verità e quindi cosa sia il vero bene, oggettivo, che non coincide certo col semplice proprio piacere o coi propri interessi, che ci riguarda personalmente come la questione più urgente e necessaria, ma che paradossalmente appunto non dipende da noi ma ci è “dato” (fondamentalmente dal nostro Creatore)!

Ora, poiché non esiste una vita “neutrale” (idee e scelte fondamentali che siano senza conseguenze positive o negative per la vita e addirittura per il nostro destino eterno!), non può e non deve esserci neppure un’educazione neutrale. Anzitutto dei propri figli; ma, nella società, ciò riguarda soprattutto la “formazione” delle nuove generazioni!

Quel genitore che dicesse che non insegna niente (cosa peraltro impossibile) perché così il figlio potrà poi scegliere lui liberamente (un’assurdità che si sente spesso ripetere anche per la formazione religiosa e persino per il Battesimo!) non si accorge che, oltre a privare il figlio della luce necessaria per poter imparare a fare le proprie scelte (capire e crescere nella virtù e combattere le brutte inclinazioni e i vizi), lo abbandona in un vuoto, in un nulla terrificante, dove il non-senso prevarrà, con danni talora irreparabili, e in un deserto interiore dove la legge del più forte e il pensiero dominante (per non dire il “demonio”!) potrà entrare senza trovare difese e portarlo anche alla rovina totale (e persino alla dannazione eterna)!

Come abbiamo già ricordato, questo non significa dover “imporre” al figlio le proprie idee (sarebbe un triste autoritarismo, da cui poi crescendo il figlio vorrà liberarsi al più presto), ma neppure abbandonarlo nel vuoto del relativismo e nichilismo dominante (che poi sa invece ben imporre le proprie idee, usando tutti i mezzi per farle credere proprie idee e libere scelte). La vera alternativa, specie dall’adolescenza in poi, è quella di una presenza “autorevole”, non solo per l’esempio dato (è errato anche ritirarsi in un semplice “dare l’esempio”) ma soprattutto per le ragioni offerte, cioè per le convincenti spiegazioni date (se ovviamente il genitore le conosce)! Solo in certi casi, specie in giovanissime età o con caratteri particolarmente ostili, si potranno anche imporre (per il loro stesso bene) delle scelte che il figlio ancora non comprende.

Come si nota, siamo di nuovo alla questione della conoscibilità e quindi trasmissibilità anche razionale della verità!

Questo problema riguarda anche lo Stato (è impossibile uno Stato neutrale come è impossibile una società, come abbiamo ricordato, senza essere fondata su alcuni valori condivisi) e gli strumenti che la società offre per la propria formazione.

Ciò riguarda soprattutto le questioni di fondamentale importanza, che addirittura rivestono la dignità di “valori non negoziabili” e che sono i cardini stessi della Dottrina sociale della Chiesa (valori che, essendo riconoscibili anche razionalmente, possono e devono essere condivisi anche da chi cristiano non è). Tra questi valori che vanno comunque garantiti nella società e nello Stato, dentro la fondamentale questione dell’educazione delle nuove generazioni, c’è appunto quello della “libertà d’educazione“, che lo Stato deve garantire alle famiglie, che hanno appunto (da Dio stesso) la priorità educativa (a meno che le famiglie siano talmente disastrate da non essere più in grado di mantenere ed educare veramente i figli).

Una decisiva missione in tal senso è stata storicamente (ed è) più volte esercitata dalle “realtà educative della Chiesa” (scuole di ogni ordine e grado, collegi, ecc.), da sempre promosse con particolare impegno dalla fede e carità cristiane (sono esistiti perfino Santi che hanno dedicato tutta la vita e la propria missione ricevuta da Dio per questo, fondando anche Ordini religiosi con questo scopo, realtà educative talora di grande valore, che persistono da secoli e sono tuttora esistenti e operanti, anche se purtroppo talora perdendo molto del carisma originario), che hanno permesso un bene enorme per intere generazioni di ragazzi e di giovani e di conseguenza pure per l’intera società (talora esercitando pure un’enorme compito di supplenza in grado di far fronte alla carenze dello Stato e delle stesse famiglie).

Trattandosi della fondamentale questione dell’educazione, senza cui una persona non matura, una democrazia crolla su se stessa, una società si sfalda e uno Stato rimane privo di fondamenti, si capisce come quello della “libertà di educazione” sia appunto un valore irrinunciabile per la vita dei singoli, delle famiglie, della società e dello Stato.

Si tenga però presente che molte ideologie della Modernità, con quell’idea di Stato che spesso è diventata persino asfissiante “statolatria”, non hanno affatto riconosciuto questo diritto/dovere delle famiglie, ma abbiano anzi voluto sottrarre quanto prima alle famiglie l’educazione dei figli, soprattutto al fine di “indottrinarli” appunto in tali ideologie (in genere anticristiane e soprattutto anticattoliche). Purtroppo anche l’Italia, col Risorgimento (vedi e vedi), ha conosciuto questa usurpazione e tuttora fa fatica a riconoscere effettivamente (cioè anche economicamente) tale “libertà d’educazione” (leggi ad esempio alcune News)

Lo Stato deve cioè garantire, insieme ad una libertà di educazione all’interno delle stesse Scuole statali, anche l’esistenza di Scuole pubbliche non statali (errato chiamarle “private”, perché ricoprono un fondamentale ruolo “pubblico”, tant’è vero che lo Stato ne riconosce quasi sempre anche il Titolo di studio; inoltre, se ad esempio in Italia tali scuole chiudessero, e talora sono costrette a farlo per motivi economici, lo Stato non sarebbe tuttora in grado di garantire le scuole per tutti i bambini italiani!), garantendone non solo l’esistenza ma anche che i genitori non siano costretti a sostenerne le spese (avendo contribuito già con le proprie tasse, come tutti i cittadini, anche alle spese per la “pubblica istruzione”). Oggi si prevede pure che possano esserci anche Scuole parentali, gestite cioè da singole famiglie o gruppi di famiglie o cooperative: lo Stato si riserva certo di verificare la preparazione conseguita dai bambini, ma deve guardarsi bene dall’imporre propri progetti educativi, tanto meno le proprie ideologie! Tutto ciò, in applicazione del fondamentale “principio di sussidiarietà” (vedi).

In proposito all’educazione/formazione specie dei più giovani, lo Stato, oltre ovviamente e prioritariamente alle famiglie, deve anche vigilare e talora persino impedire la diffusione, anche da parte dei mezzi di comunicazione sociale, di concezioni della vita e comportamenti moralmente gravi (si pensi ad un sempre più diffuso culto del denaro, della forza e persino violenza, e soprattutto del più deleterio libertinismo sessuale), che potrebbero essere gravemente nocivi e persino distruttivi della persona umana, specie appunto in fase di crescita!

8. Sulla laicità (diventata “laicismo” e intesa come nichilismo e perfino ateismo)

All’interno del relativismo, cioè della perdita dell’idea stessa di verità e della sua conoscibilità, dove il fondo nichilista del pensiero dominante vuole imporsi come “pensiero unico”, a fondamento di un preteso New World Order, dobbiamo infine evidenziare il pernicioso equivoco che soggiace spesso all’idea della cosiddetta “laicità dello Stato” (ne abbiamo già fatto cenno sopra).

Se per “laicità” – termine peraltro cristiano, come abbiamo ricordato, perché in sé la parola “laico” significa fedele cristiano non appartenente al clero o ad ordini religiosi – si intende che nessuna fede religiosa debba essere imposta per legge (sarebbe “fondamentalismo” religioso) essa è giusta e tra l’altro è una conseguenza proprio del cristianesimo.

Se invece per “laicità” si intende che lo Stato nega qualsiasi fede religiosa o anche solo ne impedisce la propria manifestazione pubblica e la propria incidenza anche sulle scelte sociali (la “libertà religiosa” è infatti molto più ampia della semplice “libertà di culto”!), allora non sarebbe più una vera laicità, né sarebbe una sorta di presunta neutralità, ma si trasformerebbe di fatto in una scelta non solo “laicista” ma “agnostica” se non addirittura “atea” (tutt’altro che una non-scelta, ma una scelta ben precisa, e la peggiore di tutte!), pretendendo persino di sostituirsi a Dio o di obbligare al “relativismo etico” (appunto la dittatura del relativismo!) e persino al “nichilismo”.

Ampi equivoci sulla “laicità” dello Stato persistono anche nel nostro Paese (la cui unità risorgimentale, come ricordato, è nata non a caso da un violento e massonico laicismo piemontese), persino a livello di massime Autorità (peraltro spesso cattoliche). Ma in Occidente esistono forme acute di “laicismo” esasperato e anticristiano anche in importanti Paesi “democratici”, come ad esempio nel caso della Francia (oltre alla storica laïcité, sempre osannata da Macron, ora si è passati persino al “diritto all’aborto” in Costituzione! vedi) o del Canada di Trudeau (vedi).

La vera “laicità” non è né ateismo, né relativismo etico, né tanto meno nichilismo; ma rispetto e promozione di ogni identità culturale e religiosa presente nella società, con particolare attenzione a ciò che costituisce il patrimonio storico, culturale e religioso della propria civiltà e del proprio Paese.

Fin dall’inizio, persino nelle persecuzioni, i cristiani sono sempre stati ottimi “cittadini” e nessuno poteva accusarli di disonestà nei confronti dell’Impero o dello Stato (anzi, la loro condotta era di esempio a tutti) ed hanno pure sempre pregato anche per chi è al potere, persino per i propri persecutori. Ma quando il potere politico (imperatore o governante) pretende di essere Dio e giunge persino non a tollerare il male morale ma perfino a promuoverlo se non addirittura ad imporre scelte morali erronee e peccaminose, quando cioè il potere pretende di sostituirsi a Dio (stabilendo il bene e il male), si oppone alla legge di Dio o addirittura vuole essere adorato come Dio, allora i cristiani hanno da sempre preferito piuttosto il martirio (anche nell’Impero Romano fino al 313), cioè essere uccisi, piuttosto che sottomettersi (secondo il noto principio, espresso significativamente da S. Pietro fin dai primi giorni della Chiesa, che “dobbiamo obbedire a Dio e non agli uomini”, cfr. At 4,19 e 5,29). Certo, questo “relativizzare” l’imperatore di turno è ciò che indispettisce di più il potere, specie quando vuole sentirsi autorizzato a decidere autonomamente cosa sia bene e cosa sia male, appunto sostituendosi così a Dio.

Spesso si porta a pretesto per questa visione distorta della “laicità” il fatto che viviamo ormai in una società multietnica e multi religiosa e quindi più che mai lo Stato dovrebbe essere indipendente da qualsiasi religione.

Si potrebbe intanto osservare come, secondo una logica perversa dal tono perfino “anticristico”, purtroppo diffusa specie in un Occidente apostata e negatore delle proprie stesse radici culturali cristiane, quando i cristiani sono “minoranza” non potrebbero parlare e contribuire (anche politicamente) alla costruzione della società proprio perché minoranza; e quando invece sono “maggioranza” non dovrebbero ugualmente farlo, per rispetto delle minoranze.

Quante leggi inique e chiaramente anticristiane (v. divorzio, aborto, ecc.) sono passate (anche in Italia, persino quando era a maggioranza chiaramente cristiana e politicamente “democristiana”) in conseguenza di questo diabolico equivoco!

È il caso di chi oggi sostiene addirittura, perfino nelle scuole, che non dovremmo ad esempio più parlare del Natale o della Pasqua di Gesù o avere un Crocifisso nei propri ambienti comuni per rispetto delle altre religioni e culture, per poi magari essere costretti a fare la festa di Halloween e persino a fare vacanza per la fine del Ramadan (leggi, leggi; mentre peraltro in molti paesi islamici è proibito perfino pregare e meditare la Bibbia pure in albergo e persino in casa propria)!

Si potrebbe in proposito citare già il caso della costruzione dell’enorme moschea di Roma (centro mondiale della Cattolicità), quando allora (1966) i musulmani in città erano quasi inesistenti (vedi la News del 3.05.2016).

Anche in questo caso, oltre a confondere la laicità con l’ateismo o la nullità (ma l’assenza di ogni riferimento religioso non è una non-scelta ma una terribile scelta di parte!), non si tiene conto che comunque la civiltà occidentale, europea e italiana in particolare, è talmente intrisa di cristianesimo, che sarebbe ridicolo e persino impossibile pensare di sopprimere di conseguenza tutti i riferimenti cristiani comunque in essa presenti.

Se, per coerenza con questa idea assurda di laicità, volessimo eliminare tutti i riferimenti cristiani presenti nella nostra cultura, non dovremmo ad esempio neppure far studiare gran parte della storia dell’arte, della musica, della letteratura, per non parlare dei riferimenti a Dio, alla Madonna ed ai Santi non solo nel calendario e nelle tradizioni popolari tuttora esistenti, ma anche dalla toponomastica [nonostante il grande sforzo risorgimentale di mutare anche la toponomastica cristiana italiana (vedi, spec. n. 21 e 30), i riferimenti sono rimasti innumerevoli (basta prendere un elenco dei nomi dei paesi d’Italia dedicati alla Madonna e ai Santi), ai nomi stessi di persona, fino ai Crocifissi che sorgono ovunque, persino sulla cime delle montagne più importanti].

Una vera laicità, se non obbliga evidentemente i cittadini ad alcuna religione, tanto meno deve appunto obbligare alcuna religione, specie quella della maggioranza della popolazione, a rinchiudersi nell’ambito della sola coscienza e del privato, perché appunto la religione non si riduce a questo. Ancor meno può permettersi di censurare la religione (che in Occidente è appunto il cristianesimo) che ha plasmato le fondamenta della propria civiltà, ne ha orientato la storia e ne può orientare anche il futuro. Se ciò non diminuisce affatto il dovere di rispettare ogni identità culturale e religiosa eventualmente presente in un Paese, né permette di discriminare alcuna di esse, ma anzi promuovendo un vero dialogo (con chi ovviamente accetta di compierlo), tanto più ci si guarderà dal farlo, anche da parte delle Istituzioni, proprio nei confronti di quella religione cui appartiene la maggior parte dei suoi cittadini!

Evidentemente si apre qui anche la grande questione dell’immigrazione, specie quella di massa, selvaggia e addirittura clandestina, che affligge ad esempio particolarmente l’Italia (su questo problema siamo intervenuti molte volte: vedi appunto alcune News in proposito, ad esempio quella del 29.12.2020 vedi). Essa provoca gravi danni agli stessi immigrati, che spesso muoiono proprio nel tentativo (su cui lucrano in molti!) di raggiungere il nostro Paese o l’Europa (nonostante quanto paghino per farlo!), per essere poi assai spesso ridotti a schiavi (o lavoratori a basso costo, se non perfino, per le donne, mercato di prostituzione), oltre che ai loro Paesi di origine, che vedono sparire le loro forze più giovani. Purtroppo è complice di ciò pure un ingenuo equivoco cristiano sulla parola “carità”, se proprio non si vuole pensare che esso sia subdolamente succube del tentativo (peraltro anticristico!) di costruire un “New World Order”, dove viene cancellata ogni identità culturale e religiosa, al fine appunto di permettere più facilmente un potere unico mondiale da parte di un’unica potente oligarchia economica!

Certo, in casi estremi o in particolari circostanze, cioè in provvisorie e gravi “emergenze umanitarie” (ed è il caso di “profughi” per motivi bellici, economici o per disastri naturali, e ancor più se si tratta ad esempio di cristiani costretti a fuggire dalle loro terre, come accaduto e accade in questi ultimi decenni in Medio Oriente), si può pensare ad un’accoglienza immediata e totale, garantita comunque per vie e con mezzi regolari (addirittura gratuiti, non con “barconi” pericolosi e costosi, su cui appunto lucrano in molti). Quando invece si tratta di invasioni di massa, si devono porre comunque dei limiti e delle regole e impedire che qualcuno (non solo scafisti, ma anche sedicenti enti di soccorso e persino lo Stato stesso) lucri su queste nuove forme di “tratta degli schiavi”! Occorre poi un attento discernimento, non solo per impedire l’ingresso a persone pericolose (si veda ad esempio il caso eclatante dell’immigrato clandestino sbarcato a Lampedusa il 20.10.2020 e che soli 9 giorni dopo ha compiuto in Francia un attentato terroristico nella cattedrale di Nizza, leggi nella News del 9.04.2021), ma anche per porre attenzione a chi non ha alcuna intenzione di inserirsi socialmente né tanto meno di rispettare l’identità culturale e religiosa del Paese che li accoglie ma anzi vi si oppone in tutti i modi (vi sono numerosissimi esempi, ad esempio in Francia, di dura opposizione sociale da parte dei musulmani e persino di interi quartieri da loro abitati e interdetti a chi musulmano non è, talora perfino ai servizi pubblici e addirittura alle forze dell’ordine – ci sono numerose News in merito vedi vedi)!

In proposito, l’allora Cardinale di Bologna Giacomo Biffi ebbe saggiamente a dire (leggi), con l’usuale sua arguzia e persino senza timore di essere mediaticamente linciato (dagli stessi Cattolici), che se come vescovo dovrebbe forse dire di accogliere caritativamente tutti, come politico o responsabile della cosa pubblica dovrebbe invece fare intanto una differenza tra chi proviene da una tradizione cristiana (ad esempio dai Paesi dell’America latina o dall’est-Europa, per non parlare appunto dei cristiani del Medio Oriente costretti spesso a fuggire dai loro Paesi!) e può quindi inserirsi più facilmente in Italia e in Europa e nella sua cultura, e chi invece proviene ad esempio da Paesi islamici, con la loro visione in genere teocratica se non fondamentalista della società e dello Stato che tale religione possiede e con concezioni fondamentali nettamente diverse dalla cultura occidentale (come nel caso ad esempio della poligamia, peraltro esclusivamente maschile, invece garantita giuridicamente nei loro Paesi).

Compito dello Stato è semmai quello di garantire comunque il rispetto delle proprie leggi e di una serena e pacifica convivenza sociale. In tal senso, pur riconoscendo la libertà religiosa di tutti, uno Stato deve essere anche molto cauto nell’accogliere convinzioni religiose (a dire il vero anche atee o laiciste!) da cui conseguano stravolgimenti morali che minino anche la coesione sociale e pervertano persino certi stessi fondamenti del Diritto. Si pensi ad esempio al diritto matrimoniale: per i musulmani in molti loro Paesi d’origine è garantita la poligamia maschile (nel Regno Unito s’è già ipotizzato in tal senso un diverso Diritto per i musulmani; cioè una società civile con due diverse leggi civili-penali?!), mentre si prevede talora la pena di morte per le donne adultere, come del resto per i rapporti omosessuali (tanto reclamizzati e promossi in Occidente!); a dire il vero in Occidente il diritto matrimoniale è già stato fortemente minato dal pensiero ateo o laicista, ad esempio col divorzio e con l’attuale promozione di convivenze provvisorie e di ogni tipo. Si potrebbe anche considerare la questione delle festività, specie di origine religiosa: come pensare una società in cui i musulmani facciano festa il venerdì, gli ebrei il sabato e i cristiani la domenica (com’è nelle rispettive religioni), per non parlare di Pasqua e Natale o del Ramadan e altre ricorrenze religiose? O si pensa già di abolire certe feste cristiane (magari per esigenze di mercato; in Italia lo ha già fatto nel 1977 il governo democristiano, complice la CEI) o di promuovere le feste musulmane (in Europa e persino in Italia s’è già visto anche questo, come abbiamo già ricordato leggileggi), magari sostituendo pian piano il calendario cristiano con quello laico ONU? (vedi l’apposito documento).

In Italia permangono poi altri particolari equivoci “laicisti”, che sono peraltro un residuo del Risorgimento e delle ideologie fondamentalmente “massoniche” che l’hanno caratterizzato (vedi dossier e vedi relativo documento), tuttora presentati come dogmi laici indiscutibili, condizionando non poco la cultura, la politica e persino le Istituzioni e chi le rappresenta.

Da un lato permane ad esempio una visione molto clericale della Chiesa, così che quando si parla di Chiesa ci si riferisce in genere non ai “cittadini italiani cattolici” ma solo alla gerarchia ecclesiastica.

Dall’altro ci si ostina appunto a permanere in una visione risorgimentale, secondo cui Chiesa e Stato sarebbero come due Enti totalmente separati se non addirittura contrapposti, persino due Stati [magari confondendo Chiesa e Vaticano (questo sì è uno Stato indipendente); spesso si sente infatti dire “di qua e di là dal Tevere”, per indicare questa separazione]. In realtà la Chiesa è l’insieme dei credenti in Cristo, cioè i cristiani cattolici, i quali sono ovviamente a pieno titolo anche cittadini dello Stato ed hanno come tutti il diritto di pensiero e di parola, come di fare le proprie scelte liberamente e di essere rispettati almeno come tutti i cittadini! Tra l’altro tuttora, almeno anagraficamente, i cattolici (battezzati) sono la maggioranza assoluta della popolazione italiana, per cui quando si pensa a Chiesa e Stato in Italia si dovrebbe ricordare che la maggior parte dei cittadini italiani (e quindi della società italiana) “è Chiesa”.

Dunque se lo Stato riconosce dei diritti alla Chiesa (peraltro si dimentica che col Risorgimento il nuovo Stato Italiano ha abolito e incamerato la maggior parte dei beni della Chiesa, dal Quirinale in giù! quindi se la Chiesa rivendicasse dei risarcimenti …!) non concede ad essa dei privilegi, ma riconosce appunto dei diritti dei cittadini cattolici italiani (che sono appunto tuttora la maggioranza assoluta degli Italiani). E in uno Stato democratico i diritti non sono benevole concessioni dello Stato ma suoi precisi doveri, perché lo Stato non è al di sopra dei cittadini ma al loro servizio!

Ci chiediamo dunque allora: che rapporto c’è tra Regno di Dio e società umana? Tra fede e politica? Tra Chiesa e Stato? [ovviamente nel documento sulla Dottrina sociale della Chiesa, cui questa News fa riferimento e a cui rimanda, se ne parla più diffusamente (vedi)]

La “morale” dipende da Dio; e conseguentemente anche i criteri fondamentali per vivere, non solo una buona ed autentica esistenza personale (e soprattutto per salvarsi eternamente!), ma anche per edificare una società veramente degna dell’uomo.

La legge morale viene da Dio ed è inscritta nella nostra stessa natura umana (e già la ragione può comprenderla, vedi in Fede e morale); ma, come s’è già detto, il Diritto (e conseguentemente anche la Politica), pur non coincidendo totalmente con la Morale, non può assolutamente prescinderne! Solo in alcune questioni contingenti si apre appunto alla politica (nel senso del compito di Parlamenti e Governi) lo spazio per compiere delle scelte contingenti autonomamente e in modo peraltro sempre riformabile; non certo nei confronti di valori e autentici diritti fondamentali (quelli veri, non quelli inventati)!  

Come abbiamo già sopra ricordato, è questo il significato autentico della lapidaria espressione di Gesù “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”(Mc 12,17), da intendersi appunto correttamente (vedi il n. 10 del documento sulla Dottrina sociale della Chiesa), così come la Sua precisazione circa il Suo Regno (della Verità) di fronte a Ponzio Pilato (cfr. Gv 18,33-38).

Le “cose di Dio” non sono solo quelle che riguardano l’interiorità o il culto (per questo la “libertà religiosa” non riguarda solo questo e non è riducibile alla “libertà di culto”), ma appunto la “legge morale” (cioè la verità dell’uomo e il senso vero della sua esistenza), che dipende appunto da Dio Creatore ed è inscritta nella nostra stessa natura umana; oltre ovviamente a ricordare al potere che esso non è assoluto, perché non è Dio (unico vero Assoluto)!

Dunque, lo ripetiamo, lo stesso Diritto (e quindi la Politica) deve dipendere dalla Morale, anche se non vi coincide totalmente, nel senso che non tutti gli obblighi morali sono anche doveri civili imponibili a tutti (questo sì sarebbe “fondamentalismo”!) e non tutti i peccati possono essere vietati dalla legge o addirittura considerati reato (anche se, procurando la rovina della anime e degli uomini, sono anche elemento distruttivo della stessa società).

Per questo il Diritto (e la Politica) non può fondarsi su scelte arbitrarie o semplicemente prendere atto di “situazioni di fatto”, ma dipende da valori (beni) inscritti nella stessa natura umana (Diritto naturale), che la retta ragione può già scoprire e la Rivelazione divina (e quindi la fede cristiana) può ulteriormente illuminare e rafforzare (vedi nel documento sulla Dottrina sociale della Chiesa).


Per concludere, come abbiamo potuto anche qui rilevare, la grande questione che sta “al fondo” del relativismo e nichilismo ormai dominante (specie in Occidente), e di conseguenza anche degli equivoci che abbiamo sopra un poco evidenziato e che possono distruggere non solo i singoli individui (procurando loro persino la dannazione eterna!) ma la stessa società, è proprio la questione della negazione della verità (oggettiva e universale) e della nostra possibilità di conoscerla (attraverso la fede e la ragione). Come abbiamo visto e ricordato, senza la verità la tanto declamata libertà rimane infatti vuota e diventa persino distruttiva (a cominciare da se stessi), così come diventa impossibile la costruzione stessa di un’autentica società a dimensione davvero umana.

Anche nel presente sito, tale questione della verità sta infatti alla base di tutte le altre (vedi  ascolta).

Non a caso, proprio il solenne e fondamentale magistero di Giovanni Paolo II (coadiuvato certo dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Card. J. Ratzinger) negli anni ’90 ci ha offerto due fondamentali strumenti per comprendere e risolvere questa questione di fondo. Si tratta delle Encicliche Veritatis splendor (del 1993, sulla questione morale, cioè sul rapporto libertà-verità)  e l’Enciclica Fides et ratio (del 1998, sulla questione appunto della verità, della sua conoscibilità, attraverso il fecondo rapporto tra fede e ragione).

Si ricordi ancora che, contrariamente ai pregiudizi illuministi che continuano ad essere diffusi e inoculati fin dalla Scuole Primarie, per almeno “mille anni” tale fecondo rapporto tra fede e ragione ha permesso di gettare le basi stesse della civiltà occidentale e mondiale (vedi il dossier sul Medioevo)].

La negazione della verità e della nostra possibilità di conoscerla (tipica della Modernità – vedi) rende invece impossibile costruire non solo la propria vita personale ma anche quella sociale, che non può edificarsi se non su valori condivisi e universali, in quanto iscritti nella nostra stessa “natura” e dunque autentici e veri.

La perdita della fiducia nella ragione, insieme all’apostasia dalla fede cristiana, rappresentano quindi il pericolo più grande anche per la società, per la nostra civiltà occidentale e per la stessa umanità!


Con questa lunga News abbiamo voluto fornire uno stimolo per affrontare con attenzione la questione, nel sito stesso più diffusamente dispiegata nel documento sulla Dottrina sociale della Chiesa (vedi), che fa significativamente parte della sezione “Fede e morale” e quindi ci impegna anche in coscienza.

Come abbiamo potuto forse comprendere, nessuno di noi, secondo certo le diverse responsabilità, può esimersi da questo compito (per la nostra stessa vita, per la propria famiglia, per l’intera società e per il proprio stesso Paese) e può pretendere di essere assente o neutrale.

Forse ci siamo persino accorti che certi slogan (come gli 8 equivoci segnalati), certi frase fatte, certi luoghi comuni, non sono affatto veritieri ma pericolosissimi per la nostra vita (talora incidendo persino sulla nostra mente e anima, con riverberi addirittura eterni!), per coloro della cui educazione siamo responsabili, per l’intera società e per lo stesso Stato.

È poi più che mai urgente, dentro una situazione mondiale che contempla un potere di informazione sempre più invasivo e in mano ad una occulta ma potente oligarchia (che si svela sempre più anticristica!), svelare certi inganni e volgersi in altre direzioni, per il nostro stesso futuro e per il bene stesso dell’umanità.