Un aiuto per capire la fede: l’Aldilà

Questione 7.14


Domanda:

Perché quella dell’Aldilà è la più grande questione, sfida e scommessa della vita?

Risposta:

Comprendiamo bene come quella della vita eterna sia allora la questione più decisiva dell’esistenza, quella per la quale è terribilmente grave non solo un rifiuto, ma anche già solo l’indifferenza, il rimandare, la pigrizia (accidia).

Non si tratta infatti semplicemente della curiosità sul “cosa c’è poi”, ma di orientare tutta la vita ed ogni suo particolare, cioè ogni scelta, in questa prospettiva. Infatti, che siamo chiamati al Paradiso è dono gratuito di Dio (per tutti) – e questo è il significato della nostra vita, che non dipende da noi – ma che effettivamente ci andremo dipende anche da noi. S. Agostino diceva: “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”. 
Il significato vero ed esauriente della vita è proprio quello che non solo dura nel tempo, ma supera anche il tempo, la morte, non finisce mai, è eterno. Questo deve essere il nostro tesoro, il vero assoluto. Tutto il resto è relativo (Mt 6,19-21.24-34; 8,21-22; Lc 9,59-62; 12,33-48). Tutti i falsi assoluti (idoli) finiscono presto e deludono, comunque finiscono con la morte.
Questa è la bellezza e la drammaticità della condizione umana: che esistiamo è un dono e non una nostra decisione (siamo creati); anche il perché (significato) del nostro essere stati creati non dipende da noi ma è oggettivo, perché è inscritto nel nostro essere (ed è proprio questo che ha provocato la ribellione di Satana ed è anche la radice di ogni nostro peccato personale); che invece si realizzi soggettivamente, cioè per ciascuno di noi, questo significato oggettivo, dipende da noi.

Questa è la decisione più grave, più importante, ed anche più personale della nostra vita. Possiamo infatti essere aiutati o danneggiati dagli altri, ma la decisione deve essere mia, come sarò solo nel momento della morte e di fronte al giudizio di Dio (quello che pensano gli altri di me non conterà nulla!) (cfr. Mt 24,40-41; Lc 17,34-35).

Non siamo padroni della nostra vita, siamo amministratori. Per questo non solo non saremo giudicati dagli altri, ma neppure da noi stessi: cioè se andremo in paradiso o all’inferno non solo non dipende da ciò che pensano gli altri di noi ma neppure da quel pensiamo noi (il “secondo me”, la mia idea, opinione, verità – oggi atteggiamento trionfante!), ma solo da quello che siamo di fronte a Dio, dal Suo giudizio.

E che grande libertà dona questa certezza! Sembrerebbe una rinuncia alla propria libertà ed invece è la sorgente della vera libertà. Non la ridotta libertà illuminista di essere indipendente da tutto e da tutti (per poi in realtà diventare dipendente dagli impulsi, dal denaro, dal potere, dalle mode, dall’ideologia dominante), ma la libertà vera di essere dipendente solo da Cristo (cfr. Gv 8,312.36). Conta solo il giudizio di Dio, di Dio che mi conosce e mi ama più di qualsiasi altro. Questo è ciò che ogni potere mondano non accetta, che cioè ci siano uomini così liberi perché dipendono solo dal giudizio di Dio (cfr. At 4,18-20; 5,26-29).
Questa giusta e autentica prospettiva con cui vivere ogni giorno della vita non la intristisce, come potrebbe superficialmente sembrare, ma le dona anzi l’autentico senso e bellezza, un centuplo fin d’ora (Mt 19,29), una sovrabbondanza (Gv 10,10; 15,11), senza più paura.

Invece chi si nasconde il problema (in realtà fa finta di nasconderlo o si sforza di nasconderlo), chi vive un “carpe diem” inseguendo un attimo fuggente (ed è appunto inquietante che fugga!) per spremervi il maggior piacere possibile, certo che non sazierà, che avrà fine; questo continuo camminare verso un baratro, un nulla, quello che sarebbe il nulla totale della morte, nascondendo la testa sotto la sabbia come uno struzzo, cercando in ogni modo di non pensarci, avendo paura perfino di star solo o di un po’ di silenzio; questo continuo essere schiacciati dal “tutto passa”, dal tempo che scorre … questo sì che è alienante (non la religione), questo sì che è un dormire, un vivacchiare, un sopravvivere, che in fondo logora la vita. 
Questa è la più grande sfida della vita, la vera scommessa, la vera prova, la vera battaglia per cui val la pena combattere. Ed è unica, non ci sarà un’altra vita; qui e su questo ci giochiamo tutto. È l’esame più decisivo ed è unico, non avrà altri appelli. È davvero irragionevole e stupido anche solo il non pensarci. Visto che comunque è davanti a noi.

Perfino se non fossimo ancora proprio credenti, se non avessimo ancora capito, ma concedessimo una sola possibilità su mille o un milione che sia così, il non tener conto di questa Verità sarebbe un rischio troppo grande, eterno, senza possibilità di ritorno. Sarebbe ugualmente stupido non prepararsi, non ricorrere all’amore misericordioso del Padre, alla Confessione dei nostri peccati.

In fondo anche quando firmiamo un contratto d’assicurazione e paghiamo una forte somma per la  polizza, mettiamo le mani avanti: per un’eventualità (un incidente) che speriamo non capiti mai, ma che potrebbe però accadere, siamo disposti a pagare molto.

Che moriamo invece è sicuro, come è sicuro che non torniamo indietro. Perché non assicurarci il Paradiso, che tra l’altro ci è offerto con una polizza già pagata da Dio? Qui il rischio è infinito: la disperazione eterna!

Perfino se ci fosse una possibilità remota che sia così – che ci sia cioè una vita dopo questa vita, che ci sia l’inferno o il paradiso, che dipenda dalla mia accoglienza o no di Cristo (in realtà siamo sicuri perché Gesù ce l’ha detto e Lui  non si sbaglia perché è Dio!) – varrebbe già la pena impegnarci con tutto noi stessi per non perdere questa occasione infinita di felicità.

Come diceva B. Pascal, questa è la vera scommessa. Mettiamo che tu scommetta che dopo questa vita non ci sia nulla e invece io scommetta che sia tutto vero, che cioè sia vero quello che Gesù ha detto e la Chiesa ci insegna. Se avrai ragione tu, non lo saprà mai, perché se c’è il nulla ci sarà anche il nulla di te! Ma se invece avrò ragione io (cioè aveva ragione Dio … e come non potrebbe!), che gioia infinita per me e che disperazione infinita per te! Non è troppo rischioso fare questa scommessa? E non è ancora più rischioso restare indifferenti?

Non ci sarà un’altra opportunità!

Una volta Gesù ci ha aperto una finestra sull’aldilà (cfr.Lc 16,19-31), raccontandoci di uno che dall’inferno, soffrendo terribilmente senza poter avere alcun sollievo, senza poterne più uscire, dice di avvisare i suoi parenti che sono ancora sulla terra perché non vadano anche loro lì. Gli viene risposto che hanno la Parola di Dio per saperlo. Quel poveretto insiste e dice che se andrà però uno dall’aldilà a dirlo loro potrebbero svegliarsi e cambiar vita. Gesù conclude: “Non sarebbero persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”!

Possibile che dopo duemila anni dalla venuta di Cristo, cioè di Dio stesso sulla terra, duemila anni dopo la Sua risurrezione, ancora dormiamo, stiamo a discutere, a non pensarci, a perdere tempo, a non convertirci, a non camminare speditamente con Lui e verso di Lui?