San Francesco d’Assisi in preghiera, fondatore dell’Ordine francescano, noto per la sua povertà evangelica e il Cantico delle creature, con le stigmate visibili sulle mani.

S. Francesco d’Assisi

[Assisi, 1182 – Assisi, 1226]


Forse tutti sanno qualcosa di questo umilissimo gigante della santità cristiana … o credono di saperlo.
Purtroppo infatti molti fraintendono cosa significhi la sua eccezionale santità. Non è anzitutto la scelta della povertà, né il servizio ai poveri o la prossimità coi lebbrosi; non è il dialogo interreligioso (partecipò persino ad una Crociata e cercò di convertire addirittura il Sultano – v. Dossier, punto 4.3) e neppure qualcosa che possa essere catalogato nell’orizzonte ecologista o animalista (nel Cantico delle creature non nomina neppure un animale; e alla fine mette in guardia quelli che “sorella morte” trova nei “peccati mortali”, che così vanno incontro all’inferno). La santità di Francesco è l’essere stato conquistato totalmente da Cristo, e Cristo Crocifisso (da quando gli ha parlato nel Crocifisso di San Damiano all’avere impresso nel suo stesso corpo le piaghe dell’amato Crocifisso, cioè le stigmate). Tutto il resto è diventato per lui relativo, così secondario da farne liberamente a meno. Per parlare con Lui si è ritirato spesso nei luoghi più solitari. Per parlare di Lui, per conquistare a Lui le anime, ha percorso intere regioni d’Italia (di cui è Patrono) e si è recato appunto perfino nel Medio Oriente invaso dai musulmani. Per questo Francesco ha amato la Chiesa e il Papa, sottomettendosi sempre al suo giudizio (anche per la sua Regola). Per questo ha amato ogni sacerdote, non sentendosi degno di diventarlo, e la liturgia della Chiesa (per la quale non doveva esserci povertà!), attraverso cui si rende presente Cristo e la Sua opera di salvezza.

La sua festa, com’è noto, cade il 4 ottobre.  

Oltre alla catechesi del Papa Benedetto XVI su S. Francesco d’Assisi (27.10.2010), riportiamo anche la sua catechesi (13.01.2010) sugli ordini mendicanti (francescani e domenicani), che vale quindi anche per S. Domenico.
 

Riportiamo poi alcune parole dello stesso S. Francesco, che evidenziano non solo il suo immenso amore per Gesù, ma anche per la Sua presenza nell’Eucaristia (e per la Sua Parola scritta), per le quali la radicale povertà evangelica cede il passo alla doverosa preziosità dei luoghi e degli arredi sacri, così come il grande rispetto per i suoi ministri, i sacerdoti.


Benedetto XVI

[all’Udienza generale del 27.10.2010]


Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico “gigante” della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.

“Nacque al mondo un sole”. Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano. Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: “Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina”. Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. è interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.

Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.

In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. è anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai “mio”, ma è sempre “nostro”, che il Cristo non posso averlo “io” e ricostruire “io” contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio. è anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l’Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l’Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.

Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.

Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. è un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa.

Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.

Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.

La morte di Francesco – il suo transitus – avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.

è stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche “il fratello di Gesù”. In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali.

La prima beatitudine del Discorso della Montagna – Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) – ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali.

In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: “Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane” (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).

Mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: “Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo” (Francesco di Assisi, Scritti, 399). Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.

Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. è un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.

Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!

Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: “Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi… presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro” (Francesco di Assisi, Scritti, 163).


Benedetto XVI

[all’Udienza generale del 13.01.2010]

Gli Ordini Mendicanti

Guardiamo alla storia del Cristianesimo, per vedere come si sviluppa una storia e come può essere rinnovata. In essa possiamo vedere che sono i santi, guidati dalla luce di Dio, gli autentici riformatori della vita della Chiesa e della società. Maestri con la parola e testimoni con l’esempio, essi sanno promuovere un rinnovamento ecclesiale stabile e profondo, perché essi stessi sono profondamente rinnovati, sono in contatto con la vera novità: la presenza di Dio nel mondo. Tale consolante realtà, che in ogni generazione cioè nascono santi e portano la creatività del rinnovamento, accompagna costantemente la storia della Chiesa in mezzo alle tristezze e agli aspetti negativi del suo cammino. Vediamo, infatti, secolo per secolo, nascere anche le forze della riforma e del rinnovamento, perché la novità di Dio è inesorabile e dà sempre nuova forza per andare avanti. Così accadde anche nel secolo tredicesimo, con la nascita e lo straordinario sviluppo degli Ordini Mendicanti: un modello di grande rinnovamento in una nuova epoca storica. Essi furono chiamati così per la loro caratteristica di “mendicare”, di ricorrere, cioè, umilmente al sostegno economico della gente per vivere il voto di povertà e svolgere la propria missione evangelizzatrice. Degli Ordini Mendicanti che sorsero in quel periodo, i più noti e i più importanti sono i Frati Minori e i Frati Predicatori, conosciuti come Francescani e Domenicani. Essi sono così chiamati dal nome dei loro Fondatori, rispettivamente Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman. Questi due grandi santi ebbero la capacità di leggere con intelligenza “i segni dei tempi”, intuendo le sfide che doveva affrontare la Chiesa del loro tempo.

Una prima sfida era rappresentata dall’espansione di vari gruppi e movimenti di fedeli che, sebbene ispirati da un legittimo desiderio di autentica vita cristiana, si ponevano spesso al di fuori della comunione ecclesiale. Erano in profonda opposizione alla Chiesa ricca e bella che si era sviluppata proprio con la fioritura del monachesimo. In recenti Catechesi mi sono soffermato sulla comunità monastica di Cluny, che aveva sempre più attirato giovani e quindi forze vitali, come pure beni e ricchezze. Si era così sviluppata, logicamente, in un primo momento, una Chiesa ricca di proprietà e anche immobile. Contro questa Chiesa si contrappose l’idea che Cristo venne in terra povero e che la vera Chiesa avrebbe dovuto essere proprio la Chiesa dei poveri; il desiderio di una vera autenticità cristiana si oppose così alla realtà della Chiesa empirica. Si tratta dei cosiddetti movimenti pauperistici del Medioevo. Essi contestavano aspramente il modo di vivere dei sacerdoti e dei monaci del tempo, accusati di aver tradito il Vangelo e di non praticare la povertà come i primi cristiani, e questi movimenti contrapposero al ministero dei Vescovi una propria “gerarchia parallela”. Inoltre, per giustificare le proprie scelte, diffusero dottrine incompatibili con la fede cattolica. Ad esempio, il movimento dei Catari o Albigesi ripropose antiche eresie, come la svalutazione e il disprezzo del mondo materiale – l’opposizione contro la ricchezza diventa velocemente opposizione contro la realtà materiale in quanto tale – la negazione della libera volontà, e poi il dualismo, l’esistenza di un secondo principio del male equiparato a Dio. Questi movimenti ebbero successo, specie in Francia e in Italia, non solo per la solida organizzazione, ma anche perché denunciavano un disordine reale nella Chiesa, causato dal comportamento poco esemplare di vari esponenti del clero.

I Francescani e i Domenicani, sulla scia dei loro Fondatori, mostrarono, invece, che era possibile vivere la povertà evangelica, la verità del Vangelo come tale, senza separarsi dalla Chiesa; mostrarono che la Chiesa rimane il vero, autentico luogo del Vangelo e della Scrittura. Anzi, Domenico e Francesco trassero proprio dall’intima comunione con la Chiesa e con il Papato la forza della loro testimonianza. Con una scelta del tutto originale nella storia della vita consacrata, i Membri di questi Ordini non solo rinunciavano al possesso di beni personali, come facevano i monaci sin dall’antichità, ma neppure volevano che fossero intestati alla comunità terreni e beni immobili. Intendevano così testimoniare una vita estremamente sobria, per essere solidali con i poveri e confidare solo nella Provvidenza, vivere ogni giorno della Provvidenza, della fiducia di mettersi nelle mani di Dio. Questo stile personale e comunitario degli Ordini Mendicanti, unito alla totale adesione all’insegnamento della Chiesa e alla sua autorità, fu molto apprezzato dai Pontefici dell’epoca, come Innocenzo III e Onorio III, i quali offrirono il loro pieno sostegno a queste nuove esperienze ecclesiali, riconoscendo in esse la voce dello Spirito. E i frutti non mancarono: i gruppi pauperistici che si erano separati dalla Chiesa rientrarono nella comunione ecclesiale o, lentamente, si ridimensionarono fino a scomparire. Anche oggi, pur vivendo in una società in cui spesso prevale l’“avere” sull’“essere”, si è molto sensibili agli esempi di povertà e di solidarietà, che i credenti offrono con scelte coraggiose. Anche oggi non mancano simili iniziative: i movimenti, che partono realmente dalla novità del Vangelo e lo vivono con radicalità nell’oggi, mettendosi nelle mani di Dio, per servire il prossimo. Il mondo, come ricordava Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi, ascolta volentieri i maestri, quando sono anche testimoni. è questa una lezione da non dimenticare mai nell’opera di diffusione del Vangelo: vivere per primi ciò che si annuncia, essere specchio della carità divina.

Francescani e Domenicani furono testimoni, ma anche maestri. Infatti, un’altra esigenza diffusa nella loro epoca era quella dell’istruzione religiosa. Non pochi fedeli laici, che abitavano nelle città in via di grande espansione, desideravano praticare una vita cristiana spiritualmente intensa. Cercavano dunque di approfondire la conoscenza della fede e di essere guidati nell’arduo, ma entusiasmante cammino della santità. Gli Ordini Mendicanti seppero felicemente venire incontro anche a questa necessità: l’annuncio del Vangelo nella semplicità e nella sua profondità e grandezza era uno scopo, forse lo scopo principale di questo movimento. Con grande zelo, infatti, si dedicarono alla predicazione. Erano molto numerosi i fedeli, spesso vere e proprie folle, che si radunavano per ascoltare i predicatori nelle chiese e nei luoghi all’aperto, pensiamo a sant’Antonio, per esempio. Venivano trattati argomenti vicini alla vita della gente, soprattutto la pratica delle virtù teologali e morali, con esempi concreti, facilmente comprensibili. Inoltre, si insegnavano forme per nutrire la vita di preghiera e la pietà. Ad esempio, i Francescani diffusero molto la devozione verso l’umanità di Cristo, con l’impegno di imitare il Signore. Non sorprende allora che fossero numerosi i fedeli, donne ed uomini, che sceglievano di farsi accompagnare nel cammino cristiano da frati Francescani e Domenicani, direttori spirituali e confessori ricercati e apprezzati. Nacquero, così, associazioni di fedeli laici che si ispiravano alla spiritualità di san Francesco e di san Domenico, adattata al loro stato di vita. Si tratta del Terzo Ordine, sia francescano che domenicano. In altri termini, la proposta di una “santità laicale” conquistò molte persone. Come ha ricordato il Concilio Ecumenico Vaticano II, la chiamata alla santità non è riservata ad alcuni, ma è universale (cfr Lumen gentium, 40). In tutti gli stati di vita, secondo le esigenze di ciascuno di essi, si trova la possibilità di vivere il Vangelo. Anche oggi ogni cristiano deve tendere alla “misura alta della vita cristiana”, a qualunque stato di vita appartenga!

L’importanza degli Ordini Mendicanti crebbe così tanto nel Medioevo che Istituzioni laicali, come le organizzazioni del lavoro, le antiche corporazioni e le stesse autorità civili, ricorrevano spesso alla consulenza spirituale dei Membri di tali Ordini per la stesura dei loro regolamenti e, a volte, per la soluzione di contrasti interni ed esterni. I Francescani e i Domenicani diventarono gli animatori spirituali della città medievale. Con grande intuito, essi misero in atto una strategia pastorale adatta alle trasformazioni della società. Poiché molte persone si spostavano dalle campagne nelle città, essi collocarono i loro conventi non più in zone rurali, ma urbane. Inoltre, per svolgere la loro attività a beneficio delle anime, era necessario spostarsi secondo le esigenze pastorali. Con un’altra scelta del tutto innovativa, gli Ordini mendicanti abbandonarono il principio di stabilità, classico del monachesimo antico, per scegliere un altro modo. Minori e Predicatori viaggiavano da un luogo all’altro, con fervore missionario. Di conseguenza, si diedero un’organizzazione diversa rispetto a quella della maggior parte degli Ordini monastici. Al posto della tradizionale autonomia di cui godeva ogni monastero, essi riservarono maggiore importanza all’Ordine in quanto tale e al Superiore Generale, come pure alla struttura delle provincie. Così i Mendicanti erano maggiormente disponibili per le esigenze della Chiesa Universale. Questa flessibilità rese possibile l’invio dei frati più adatti per lo svolgimento di specifiche missioni e gli Ordini Mendicanti raggiunsero l’Africa settentrionale, il Medio Oriente, il Nord Europa. Con questa flessibilità il dinamismo missionario venne rinnovato.

Un’altra grande sfida era rappresentata dalle trasformazioni culturali in atto in quel periodo. Nuove questioni rendevano vivace la discussione nelle università, che sono nate alla fine del XII secolo. Minori e Predicatori non esitarono ad assumere anche questo impegno e, come studenti e professori, entrarono nelle università più famose del tempo, eressero centri di studi, produssero testi di grande valore, diedero vita a vere e proprie scuole di pensiero, furono protagonisti della teologia scolastica nel suo periodo migliore, incisero significativamente nello sviluppo del pensiero. I più grandi pensatori, san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura, erano mendicanti, operando proprio con questo dinamismo della nuova evangelizzazione, che ha rinnovato anche il coraggio del pensiero, del dialogo tra ragione e fede. Anche oggi c’è una “carità della e nella verità”, una “carità intellettuale” da esercitare, per illuminare le intelligenze e coniugare la fede con la cultura. L’impegno profuso dai Francescani e dai Domenicani nelle università medievali è un invito, cari fedeli, a rendersi presenti nei luoghi di elaborazione del sapere, per proporre, con rispetto e convinzione, la luce del Vangelo sulle questioni fondamentali che interessano l’uomo, la sua dignità, il suo destino eterno. Pensando al ruolo dei Francescani e Domenicani nel Medioevo, al rinnovamento spirituale che suscitarono, al soffio di vita nuova che comunicarono nel mondo, un monaco disse: “In quel tempo il mondo invecchiava. Due Ordini sorsero nella Chiesa, di cui rinnovarono la giovinezza come quella di un’aquila” (Burchard d’Ursperg, Chronicon).

Cari fratelli e sorelle, invochiamo lo Spirito Santo, eterna giovinezza della Chiesa: egli faccia sentire ad ognuno l’urgenza di offrire una testimonianza coerente e coraggiosa del Vangelo, affinché non manchino mai santi, che facciano risplendere la Chiesa come sposa sempre pura e bella, senza macchia e senza ruga, capace di attrarre irresistibilmente il mondo verso Cristo, verso la sua salvezza.


Dagli scritti di San Francesco d’Assisi
 

Lettera agli abitanti della terra [Lettera ai fedeli (II)]

Nel nome del Signore, Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen.
A tutti i cristiani religiosi, chierici e laici, uomini e donne, a tutti gli abitanti del mondo intero, frate Francesco, loro servo e suddito, ossequio rispettoso, pace dal cielo e sincera carità nel Signore.
Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare le fragranti parole del mio Signore. E perciò, considerando che non posso visitare personalmente i singoli, a causa della malattia e debolezza del mio corpo, mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita (Gv 6,63).

I. Il Verbo del Padre
L’altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele (cfr. Lc 1,31), annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco (2Cor 8,9) sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà. E prossimo alla passione (cfr. Mt 26, 17-20; Mc 14, 12-16; Lc 22,7-13), celebrò la Pasqua con i suoi discepoli, e prendendo il pane, rese grazie, lo benedisse e lo spezzò dicendo: “Prendete e mangiate questo è il mio corpo” (Mt 26,26). E prendendo il calice disse: “Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati” (Mt 26,27). Poi pregò il Padre dicendo: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice”. E il suo sudore divenne simile a gocce di sangue che scorre per terra (Lc 22,44). Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: “Padre, sia fatta la tua volontà: non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 26,42; 26,39). E la volontà di suo Padre fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose (cfr. Gv 1,3), ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme (1Pt 2,21). E vuole che tutti siamo salvi per mezzo di lui e che lo riceviamo con cuore puro e col nostro corpo casto. Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere ed essere salvati per mezzo di lui, sebbene il suo giogo sia soave e il suo peso leggero (cfr. Mt 11,30).

II. Di quelli che non vogliono osservare i Comandamenti di Dio
Coloro che non vogliono gustare quanto sia soave il Signore (cfr. Sal 33,9) e preferiscono le tenebre alla luce (Gv 3,19), rifiutando di osservare i comandamenti di Dio, sono maledetti, di essi dice il profeta: “Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti” (Sal 118,21). Invece, quanto sono beati e benedetti quelli che amano il Signore e fanno così come dice il Signore stesso nel Vangelo: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore e tutta l’anima, e il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22, 37.39).

III. Dell’amore di Dio e del Suo culto
Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e mente pura, poiché egli stesso, ricercando questo sopra tutte le altre cose, disse: I veri adoratori adoreranno il Padre nello Spirito e nella verità (Gv 4,23). Tutti infatti quelli che lo adorano, bisogna che lo adorino nello spirito (cfr. Gv 4,24) della verità. Ed eleviamo a lui lodi e preghiere giorno e notte (Sal 31,4), dicendo: “Padre nostro, che sei nei cieli” (Mt 6,9), poiché bisogna che noi preghiamo sempre senza stancarci (Lc 18,1).

IV. Della vita sacramentale
Dobbiamo anche confessare al sacerdote tutti i nostri peccati e ricevere da lui il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo. Chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non può entrare nel regno di Dio (cfr. Gv 6,55.57; Gv 3,5). Lo deve però mangiare e bere degnamente, poiché chi lo riceve indegnamente, mangia e beve la sua condanna, non discernendo il corpo del Signore (1Cor 11,29), cioè non distinguendolo dagli altri cibi. Facciamo, inoltre, frutti degni di penitenza (Lc 3,8). E amiamo i prossimi come noi stessi (cfr. Mt 22,39). E se uno non vuole amarli come se stesso, almeno non arrechi loro del male, ma faccia del bene. 

V. Del giudicare con misericordia
Coloro poi che hanno ricevuto l’autorità di giudicare gli altri, esercitino il giudizio con misericordia, cosi come essi stessi vogliono ottenere misericordia dal Signore; infatti il giudizio sarà senza misericordia per coloro che non hanno usato misericordia (Gv 2,13). Abbiamo perciò carità e umiltà e facciamo elemosine, perché l’elemosina lava l’anima dalle brutture dei peccati (cfr. Tb 4,11; 12,9). Gli uomini infatti perdono tutte le cose che lasciano in questo mondo, ma portano con sé la ricompensa della carità e le elemosine che hanno fatto, di cui avranno dal Signore il premio e la degna ricompensa. 

VI. Del digiuno corporale e spirituale
Dobbiamo anche digiunare e astenerci dai vizi e dai peccati (cfr. Sir 3,32) e da ogni eccesso nel mangiare e nel bere; ed essere cattolici. Dobbiamo anche visitare frequentemente le chiese e venerare e usare reverenza verso i chierici, non tanto per loro stessi, se sono peccatori, ma per l’ufficio e l’amministrazione del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, che sacrificano sull’altare e ricevono e amministrano agli altri. E siamo tutti fermamente convinti che nessuno può essere salvato se non per mezzo delle sante parole e del sangue del Signore nostro Gesù Cristo, che i chierici pronunciano, annunciano e amministrano. Ed essi soli debbono amministrarli e non altri.
Specialmente poi i religiosi, i quali hanno rinunciato al mondo, sono tenuti a fare molte altre cose e più grandi, senza però tralasciare queste (cfr. Lc 11,42).

VII. Dell’amore verso i nemici
Dobbiamo avere in odio i nostri corpi con i vizi e i peccati, poiché il Signore dice nel Vangelo: Tutte le cose cattive, i vizi e i peccati escono dal cuore (cfr. Mt 15,18-19; Mc 7,23). Dobbiamo amare i nostri nemici e fare del bene a coloro che ci odiano (cfr. Mt 5,44; Lc 6,27). Dobbiamo osservare i precetti e i consigli del Signore nostro Gesù Cristo. Dobbiamo anche rinnegare noi stessi (cfr. Mt 16,24) e porre i nostri corpi sotto il giogo del servizio e della santa obbedienza, così come ciascuno ha promesso al Signore. 

VIII. Dell’umiltà nel comandare
E nessun uomo si ritenga obbligato dall’obbedienza a obbedire a qualcuno là dove si commette delitto o peccato. E colui al quale è affidata l’obbedienza e che è ritenuto maggiore, sia come il minore (Lc 22,26) e servo degli altri fratelli, e usi ed abbia nei confronti di ciascuno dei suoi fratelli quella misericordia che vorrebbe fosse usata verso di sé qualora si trovasse in un caso simile. E per il peccato commesso dal fratello non si adiri contro di lui, ma lo ammonisca e lo conforti con ogni pazienza e umiltà. 

IX. Del fuggire la sapienza carnale
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne (cfr. 1Cor 1,26), ma piuttosto dobbiamo essere semplici, umili e puri. Teniamo i nostri corpi in umiliazione e dispregio, perché noi, per colpa nostra, siamo miseri, fetidi e vermi, come dice il Signore per bocca del profeta: “Io sono un verme e non un uomo, l’obbrobrio degli uomini e scherno del popolo” (Sal 21,7). Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, innanzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio (1Pt 2,13).

X. Del servo fedele che diviene dimora di Dio
E tutti quelli e quelle che si diporteranno in questo modo, fino a quando faranno tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore (Is 11,2), ed egli ne farà sua abitazione e dimora (cfr. Gv 14,23). E saranno figli del Padre celeste (cfr. Mt 5,45), di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. Mt 12,50). Siamo sposi, quando l’anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l’azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo (cfr. Mt 12,50), che è in cielo. Siamo madri (1Cor 6,20), quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri (cfr. Mt 5,16).
Oh, come è glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre!
Oh, come è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale Sposo!
Oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figlio, il quale offrì la sua vita per le sue pecore (cfr. Gv 10,15) e pregò il Padre per noi, dicendo: “Padre santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato (Gv 17,11). Padre, tutti coloro che mi hai dato nel mondo erano tuoi e tu li hai dati a me (Gv 17,6). E le parole che desti a me, le ho date a loro; ed essi le hanno accolte e veramente hanno riconosciuto che io sono uscito da te ed hanno creduto che tu mi hai mandato (Gv 17,8). Io prego per loro e non per il mondo (Gv 17,9). Benedicili e santificali (Gv 17,17). E per loro io santifico me stesso, affinché siano santificati nell’unità, come lo siamo noi (Gv 17,19.21). E voglio, o Padre, che dove io sono ci siano anch’essi con me, affinché vedano la mia gloria nel tuo regno” (Gv 17,24; Mt 20,21). A colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro, a Dio, ogni creatura che vive nei cieli, sulla terra, nel mare e negli abissi, renda lode, gloria, onore e benedizione (cfr. Ap 5,13), poiché egli è la nostra virtù e la nostra fortezza. Egli che solo è buono (cfr. Lc 18,19), solo altissimo, solo onnipotente, ammirabile, glorioso e solo è santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen. 

XI. Di coloro che non fanno penitenza
Invece, tutti coloro che non vivono nella penitenza, e non ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e compiono vizi e peccati, e che camminano dietro la cattiva concupiscenza e i cattivi desideri, e non osservano quelle cose che hanno promesso, e servono con il proprio corpo il mondo, gli istinti della carne, le cure e preoccupazioni del mondo e le cure di questa vita, ingannati dal diavolo, di cui sono figli e ne compiono le opere (cfr. Gv 8,49), costoro sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo.
Questi non posseggono la sapienza spirituale, poiché non hanno in sé il Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre. Di essi dice la Scrittura: “La loro sapienza è stata divorata” (Sal 106,27). Essi vedono, conoscono, sanno e fanno il male e consapevolmente perdono le loro anime. Vedete, o ciechi, ingannati dai nostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è dolce fare il peccato ed è cosa amara servire Dio, poiché tutte le cose cattive, vizi e peccati, escono e procedono dal cuore degli uomini (cfr. Mt 7,21.23; 15,18.19), come dice il Signore nel Vangelo. E così non possedete nulla né in questo mondo né nell’altro. Credete di possedere a lungo le vanità di questo secolo, ma vi ingannate, perché verrà il giorno e l’ora che non pensate, non conoscete e ignorate (cfr. Mt 24,44; 25,13). 

XII. Il moribondo impenitente
Il corpo è infermo, si avvicina la morte, accorrono i parenti e gli amici e dicono: “Disponi delle tue cose”. Ecco, la moglie di lui, i figli, i parenti e gli amici fingono di piangere. Ed egli, sollevando gli occhi, li vede piangere e, mosso da un cattivo sentimento, pensando tra sé dice: “Ecco, la mia anima e il mio corpo e tutte le mie cose pongo nelle vostre mani”. In verità questo uomo è maledetto, poiché colloca la sua fiducia e affida la sua anima, il suo corpo e tutti i suoi averi in tali mani. Perciò dice il Signore per bocca del profeta: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo!” (Ger 17,5).
E subito fanno venire il sacerdote. Gli domanda il sacerdote: “Vuoi ricevere la penitenza per tutti i tuoi peccati?”. Rispose: “Si”. “Vuoi dare soddisfazione, con i tuoi mezzi, così come puoi, per tutte le colpe e per quelle cose che hai defraudato e nelle quali hai ingannato gli uomini?”. Risponde: “No”. E il sacerdote: “Perché no?”. “Perché ho consegnato ogni mio avere nelle mani dei parenti e degli amici”. E incomincia a perdere la parola, e così quel misero muore. Ma sappiamo tutti che ovunque e in qualsiasi modo un uomo muoia in peccato mortale senza compiere la soddisfazione sacramentale, e può farlo e non lo fa, il diavolo rapisce la sua anima dal suo corpo con una angoscia e sofferenza così grandi, che nessuno può sapere se non chi ne fa la prova. E tutti i talenti e l’autorità e la scienza, che credeva di possedere (cfr. Lc 8,18), gli sono portati via (Mc 4,25). Egli li lascia ai parenti e agli amici; ed essi prendono il patrimonio e se lo dividono e poi dicono: “Maledetta sia la sua anima, poiché poteva darci e acquistare più di quanto non acquistò!”. I vermi divorano il corpo; e così quell’uomo perde l’anima e il corpo in questa breve vita e va all’inferno,  ove sarà tormentato eternamente. 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Io frate Francesco, il più piccolo servo vostro, vi prego e vi scongiuro, nella carità che è Dio (cfr. 1Gv 4,16), e col desiderio di baciarvi i piedi, che queste parole e le altre del Signore nostro Gesù Cristo con umiltà e amore le dobbiate accogliere e attuare e osservare. E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso, e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla fine, perché sono spirito e vita (Gv 6,63). E coloro che non faranno ciò, ne renderanno ragione nel giorno del giudizio davanti al tribunale di Cristo. E tutti quelli e quelle che con benevolenza le accoglieranno e le comprenderanno e ne invieranno copie ad altri, se in esse persevereranno fino alla fine (Mt 24,13), li benedica il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Amen

Lettera a tutti i chierici (II)

«Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all’ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte, che santificano il corpo. Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato dalla parola. Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali siamo stati creati e redenti “da morte a vita” (1Gv 3,14). Tutti coloro, poi, che amministrano così santi ministeri, considerino tra sé, soprattutto quelli che li amministrano senza discrezione, quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del corpo e del sangue del Signore nostro. E da molti viene lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione. Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate, perché “l’uomo carnale non comprende le cose di Dio” (1Cor 2,14). Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l’abbiamo a nostra disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno? Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani? Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci; e ovunque troveremo il santissimo Corpo del Signore nostro Gesù Cristo collocato e lasciato in modo illecito, sia rimosso di là e posto e custodito in un luogo prezioso. Ugualmente, ovunque siano trovati i nomi e le parole scritte del Signore in luoghi sconvenienti, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo decoroso. E sappiamo che è nostro dovere osservare tutte queste norme, sopra ogni altra cosa, in forza dei precetti del Signore e delle costituzioni della Santa Madre Chiesa. E colui che non si comporterà in questo modo, sappia che dovrà rendere “ragione” al Signore nostro Gesù Cristo “nel giorno del giudizio” (cfr. Mt 12,36). 
E coloro che faranno ricopiare questo scritto perché esso sia meglio osservato, sappiano che saranno benedetti dal Signore Iddio».


Testamento (1226)

Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza: poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo. E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo Corpo e il santissimo Sangue che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso.
E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, così come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita. E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.

E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevano avere di più.

Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater Noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti. Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta.
Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace!”. Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.

Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna (di privilegio) nella curia romana, né personalmente né per interposta persona, né per una chiesa né per altro luogo, né per motivo della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.

E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbedienza e la sua volontà, perché egli è mio signore. E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l’Ufficio, così come è prescritto nella Regola.

E non dicano i frati: Questa è un’altra Regola, perché questa è un ricordo, un’ammonizione, una esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore. E il ministro generale e tutti gli altri ministri custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole. E sempre tengano con se questo scritto assieme alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole. E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole dicendo: “Così si devono intendere” ma, come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino alla fine. E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ricolmato della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i Santi. 

Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. 

Amen.