S. Teresa di Lisieux, giovane donna francese, entrata in clausura a 15 anni e morta a soli 24 anni, è una delle sante più amate

S. Teresa di Gesù Bambino

e del Volto Santo (di Lisieux)

[Alençon, 1873 – Lisieux, 1897]


Ha dell’incredibile come questa giovane donna francese della fine del XIX secolo, entrata eccezionalmente in clausura a 15 anni e morta a soli 24 anni, sia una delle sante più amate non solo di Francia ma nel mondo intero, maestra spirituale (e Dottore della Chiesa) che insegna a tutti noi la “piccola via”, cioè un modo in fondo semplice, come un’infanzia spirituale, per vivere la vita cristiana e diventare santi. Ancor più eloquente, e segno della straordinaria saggezza della Chiesa, è che sia stata proclamata patrona delle “missioni”, insieme al grande missionario gesuita S. Francesco Saverio, pur essendo praticamente sempre stata nel Carmelo di Lisieux, allora sconosciuta al mondo intero. In realtà il Suo amore per Gesù fu così forte e la sua santità così semplice, da essere, come comprese al momento della scoperta della sua vocazione, “nel cuore” della Chiesa – cioè nell’amore – e quindi al centro della sua vita e missione di salvezza. 
E’ infine significativo che anche i suoi genitori (i coniugi Martin) siano già stati proclamati “Santi” (nel 2015); e questo non come conseguenza della santità di Teresa, ma semmai come una delle sue cause fondamentali.
La sua memoria liturgica si celebra ogni anno il 1° ottobre.


Benedetto XVI

[all’Udienza generale del 6.04.2011]

Oggi vorrei parlarvi di santa Teresa di Lisieux, Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, che visse in questo mondo solo 24 anni, alla fine del XIX secolo, conducendo una vita molto semplice e nascosta, ma che, dopo la morte e la pubblicazione dei suoi scritti, è diventata una delle sante più conosciute e amate. La “piccola Teresa” non ha mai smesso di aiutare le anime più semplici, i piccoli, i poveri e i sofferenti che la pregano, ma ha anche illuminato tutta la Chiesa con la sua profonda dottrina spirituale, a tal punto che il Papa Giovanni Paolo II, nel 1997, ha voluto darle il titolo di Dottore della Chiesa, in aggiunta a quello di Patrona delle Missioni, già attribuitole da Pio XI nel 1927. Il mio amato Predecessore la definì “esperta della scientia amoris” (Novo Millennio ineunte, 27). Questa scienza, che vede risplendere nell’amore tutta la verità della fede, Teresa la esprime principalmente nel racconto della sua vita, pubblicato un anno dopo la sua morte sotto il titolo di Storia di un’anima. E’ un libro che ebbe subito un enorme successo, fu tradotto in molte lingue e diffuso in tutto il mondo. Vorrei invitarvi a riscoprire questo piccolo-grande tesoro, questo luminoso commento del Vangelo pienamente vissuto! La Storia di un’anima,infatti, è una meravigliosa storia d’Amore, raccontata con una tale autenticità, semplicità e freschezza che il lettore non può non rimanerne affascinato! Ma qual è questo Amore che ha riempito tutta la vita di Teresa, dall’infanzia fino alla morte? Cari amici, questo Amore ha un Volto, ha un Nome, è Gesù! La Santa parla continuamente di Gesù. Vogliamo ripercorrere, allora, le grandi tappe della sua vita, per entrare nel cuore della sua dottrina.

Teresa nasce il 2 gennaio 1873 ad Alençon, una città della Normandia, in Francia. è l’ultima figlia di Luigi e Zelia Martin, sposi e genitori esemplari, beatificati insieme il 19 ottobre 2008. Ebbero nove figli; di essi quattro morirono in tenera età. Rimasero le cinque figlie, che diventarono tutte religiose. Teresa, a 4 anni, rimase profondamente ferita dalla morte della madre (Ms A, 13r). Il padre con le figlie si trasferì allora nella città di Lisieux, dove si svolgerà tutta la vita della Santa. Più tardi Teresa, colpita da una grave malattia nervosa, guarì per una grazia divina, che lei stessa definisce il “sorriso della Madonna” (ibid., 29v-30v). Ricevette poi la Prima Comunione, intensamente vissuta (ibid., 35r), e mise Gesù Eucaristia al centro della sua esistenza. La “Grazia di Natale” del 1886 segna la grande svolta, da lei chiamata la sua “completa conversione” (ibid., 44v-45r). Guarisce, infatti, totalmente dalla sua ipersensibilità infantile e inizia una “corsa da gigante”. All’età di 14 anni, Teresa si avvicina sempre più, con grande fede, a Gesù Crocifisso, e si prende a cuore il caso, apparentemente disperato, di un criminale condannato a morte e impenitente (ibid., 45v-46v). “Volli ad ogni costo impedirgli di cadere nell’inferno”, scrive la Santa, con la certezza che la sua preghiera lo avrebbe messo a contatto con il Sangue redentore di Gesù. è la sua prima e fondamentale esperienza di maternità spirituale: “Tanta fiducia avevo nella Misericordia Infinita di Gesù”, scrive. Con Maria Santissima, la giovane Teresa ama, crede e spera con “un cuore di madre” (cfr PR 6/10r). Nel novembre del 1887, Teresa si reca in pellegrinaggio a Roma insieme al padre e alla sorella Celina (ibid., 55v-67r). Per lei, il momento culminante è l’Udienza del Papa Leone XIII, al quale domanda il permesso di entrare, appena quindicenne, nel Carmelo di Lisieux. Un anno dopo, il suo desiderio si realizza: si fa Carmelitana, “per salvare le anime e pregare per i sacerdoti” (ibid., 69v). Contemporaneamente, inizia anche la dolorosa ed umiliante malattia mentale di suo padre. è una grande sofferenza che conduce Teresa alla contemplazione del Volto di Gesù nella sua Passione (ibid., 71rv). Così, il suo nome da Religiosa – suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo – esprime il programma di tutta la sua vita, nella comunione ai Misteri centrali dell’Incarnazione e della Redenzione. La sua professione religiosa, nella festa della Natività di Maria, l’8 settembre 1890, è per lei un vero matrimonio spirituale nella “piccolezza” evangelica, caratterizzata dal simbolo del fiore: “Che bella festa la Natività di Maria per diventare la sposa di Gesù! – scrive – Era la piccola Vergine Santa di un giorno che presentava il suo piccolo fiore al piccolo Gesù” (ibid., 77r). Per Teresa essere religiosa significa essere sposa di Gesù e madre delle anime (cfr Ms B, 2v). Lo stesso giorno, la Santa scrive una preghiera che indica tutto l’orientamento della sua vita: chiede a Gesù il dono del suo Amore infinito, di essere la più piccola, e sopratutto chiede la salvezza di tutti gli uomini: “Che nessuna anima sia dannata oggi” (Pr 2). Di grande importanza è la sua Offerta all’Amore Misericordioso, fatta nella festa della Santissima Trinità del 1895 (Ms A, 83v-84r; Pr 6): un’offerta che Teresa condivide subito con le sue consorelle, essendo già vice maestra delle novizie.

Dieci anni dopo la “Grazia di Natale”, nel 1896, viene la “Grazia di Pasqua”, che apre l’ultimo periodo della vita di Teresa, con l’inizio della sua passione in unione profonda alla Passione di Gesù; si tratta della passione del corpo, con la malattia che la condurrà alla morte attraverso grandi sofferenze, ma soprattutto si tratta della passione dell’anima, con una dolorosissima prova della fede (Ms C, 4v-7v). Con Maria accanto alla Croce di Gesù, Teresa vive allora la fede più eroica, come luce nelle tenebre che le invadono l’anima. La Carmelitana ha coscienza di vivere questa grande prova per la salvezza di tutti gli atei del mondo moderno, chiamati da lei “fratelli”. Vive allora ancora più intensamente l’amore fraterno (8r-33v): verso le sorelle della sua comunità, verso i suoi due fratelli spirituali missionari, verso i sacerdoti e tutti gli uomini, specialmente i più lontani. Diventa veramente una “sorella universale”! La sua carità amabile e sorridente è l’espressione della gioia profonda di cui ci rivela il segreto: “Gesù, la mia gioia è amare Te” (P 45/7). In questo contesto di sofferenza, vivendo il più grande amore nelle più piccole cose della vita quotidiana, la Santa porta a compimento la sua vocazione di essere l’Amore nel cuore della Chiesa (cfr Ms B, 3v).

Teresa muore la sera del 30 settembre 1897, pronunciando le semplici parole “Mio Dio, vi amo!”, guardando il Crocifisso che stringeva nelle sue mani. Queste ultime parole della Santa sono la chiave di tutta la sua dottrina, della sua interpretazione del Vangelo. L’atto d’amore, espresso nel suo ultimo soffio, era come il continuo respiro della sua anima, come il battito del suo cuore. Le semplici parole “Gesù Ti amo” sono al centro di tutti i suoi scritti. L’atto d’amore a Gesù la immerge nella Santissima Trinità. Ella scrive: “Ah tu lo sai, Divin Gesù Ti amo, / Lo Spirito d’Amore m’infiamma col suo fuoco, / è amando Te che io attiro il Padre” (P 17/2).

Cari amici, anche noi con santa Teresa di Gesù Bambino dovremmo poter ripetere ogni giorno al Signore che vogliamo vivere di amore a Lui e agli altri, imparare alla scuola dei santi ad amare in modo autentico e totale. Teresa è uno dei “piccoli” del Vangelo che si lasciano condurre da Dio nelle profondità del suo Mistero. Una guida per tutti, soprattutto per coloro che, nel Popolo di Dio, svolgono il ministero di teologi. Con l’umiltà e la carità, la fede e la speranza, Teresa entra continuamente nel cuore della Sacra Scrittura che racchiude il Mistero di Cristo. E tale lettura della Bibbia, nutrita dalla scienza dell’amore, non si oppone alla scienza accademica. La scienza dei santi, infatti, di cui lei stessa parla nell’ultima pagina della Storia di un’anima, è la scienza più alta“Tutti i santi l’hanno capito e in modo più particolare forse quelli che riempirono l’universo con l’irradiazione della dottrina evangelica. Non è forse dall’orazione che i Santi Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d’Aquino, Francesco, Domenico e tanti altri illustri Amici di Dio hanno attinto questa scienza divina che affascina i geni più grandi?” (Ms C, 36r). Inseparabile dal Vangelo, l’Eucaristia è per Teresa il Sacramento dell’Amore Divino che si abbassa all’estremo per innalzarci fino a Lui. Nella sua ultima Lettera, su un’immagine che rappresenta Gesù Bambino nell’Ostia consacrata, la Santa scrive queste semplici parole: “Non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo! (…) Io Lo amo! Infatti, Egli non è che Amore e Misericordia!” (LT 266).

Nel Vangelo, Teresa scopre soprattutto la Misericordia di Gesù, al punto da affermare: “A me Egli ha dato la sua Misericordia infinita, attraverso essa contemplo e adoro le altre perfezioni divine! (…) Allora tutte mi paiono raggianti d’amore, la Giustizia stessa (e forse ancor più di qualsiasi altra) mi sembra rivestita d’amore” (Ms A, 84r). Così si esprime anche nelle ultime righe della Storia di un’anima: “Appena do un’occhiata al Santo Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre… Non è al primo posto, ma all’ultimo che mi slancio … Sì lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, con il cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, perché so quanto ami il figliol prodigo che ritorna a Lui” (Ms C, 36v-37r). “Fiducia e Amore” sono dunque il punto finale del racconto della sua vita, due parole che come fari hanno illuminato tutto il suo cammino di santità, per poter guidare gli altri sulla stessa sua “piccola via di fiducia e di amore”, dell’infanzia spirituale (cf Ms C, 2v-3r; LT 226). Fiducia come quella del bambino che si abbandona nelle mani di Dio, inseparabile dall’impegno forte, radicale del vero amore, che è dono totale di sé, per sempre, come dice la Santa contemplando Maria: “Amare è dare tutto, e dare se stesso” (Perché ti amo, o Maria, P 54/22). Così Teresa indica a tutti noi che la vita cristiana consiste nel vivere pienamente la grazia del Battesimo nel dono totale di sé all’Amore del Padre, per vivere come Cristo, nel fuoco dello Spirito Santo, il Suo stesso amore per tutti gli altri.


La “piccola via”

In fondo è semplice, come un evangelico “ritornare bambini” per poter entrare nel Regno dei cieli (cfr. Mt 18,3; Mc 10,14). è un imparare di nuovo a “lasciarsi fare”, appunto come un bambino. Gesù stesso è un Dio che si è fatto perfino bambino; e chi può aver paura di un Dio-bambino? Ma perché può diventare anche tanto difficile? Perché appunto da bambini è quasi naturale: cosa può fare un bambino da solo? Non è forse più evidente la dipendenza? Ma quando è cresciuta la presunzione di poter fare da soli, allora ritornare a questa fiducia, a questa “fanciullezza interiore”, pur essendo adulti, è una fatica: la fatica di abbandonare ogni pretesa, di obbedire, di lasciarsi condurre. Potrebbe sembrare uno spersonalizzarsi, ma se è fatto nelle mani di Dio è un trovarsi, come ci ha assicurato Gesù stesso (“chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi la perderà per me la troverà”, Mc 8,35). Per questo vediamo anche nel Vangelo che cammina spiritualmente più speditamente un peccatore umile (il pubblicano) che un giusto superbo (il fariseo) (cfr. Lc 18,10-17). In fondo questa è la novità cristiana e la radice della santità: morire al proprio io, perché viva in me Cristo (cfr. Gal 2,20). è semplice, per chi si fa piccolo; è terribilmente difficile, per chi è orgoglioso. è davvero un morire per risorgere, come un nuovo parto di noi stessi (“se uno non rinasce dall’alto…”, Gv 3,3).
Non è un diventare capaci, ma un lasciarsi fare da Lui. Teresa usa la nuova immagine dell’“ascensore”, che sono le braccia stesse di Gesù. è Lui e solo Lui che può portarci in alto, prendendoci in braccio come un bambino. Invece il nostro voler alzarci semplicemente saltando in alto ci riporterebbe prima o poi ancora in basso, perfino delusi di noi stessi e della fede.
Questo “abbandono a Cristo” non significa essere puramente passivi, ma divenire partecipi di Cristo, della Sua volontà (che è totalmente coincidente con la volontà del Padre), perfino dei Suoi stessi sentimenti. Per questo diventa desiderio vivissimo di salvare il maggior numero possibile di anime, anche con propri piccoli o grandi sacrifici. è un diventare partecipi della stesa missione di Gesù (“come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi”, Gv 20,21).
Teresa capisce che l’amore a Gesù può e deve tradursi anche in piccole cose [si può costruire il Regno di Dio anche “sbucciando bene le patate”, “chiudendo delicatamente le porte” (così testimonierà una consorella al processo di canonizzazione)] e attraverso piccoli sacrifici, rinunce e offerte (si sforza di mangiare con gusto anche i cibi che non le piacciono), come quelli che possono venire dalle consorelle, anche in una bella comunità come il Carmelo [Teresa mostra una particolare predilezione per la consorella più antipatica (al processo dichiarerà di essere stata la prediletta), sopporta con amore che una consorella poco delicata non si accorga di spruzzarla continuamente con l’acqua sporca dei panni, come il tic che provoca un fastidioso rumore coi denti fatta da una consorella durante la preghiera). Anche per queste piccole cose dice: “sono sempre contenta di ciò che il buon Dio fa, non desidero che la sua volontà”.

Perché Dottore della Chiesa

Papa Giovanni Paolo II, durante la preghiera dell’Angelus recitata a Parigi domenica 24.08.1997 con centinaia di migliaia di giovani (XII GMG), annuncia che avrebbe proclamato S. Teresa di Lisieux “Dottore della Chiesa”. Lo farà il 19 ottobre successivo, Giornata Missionaria Mondiale, con la Lettera Apostolica Divini amoris scientia. Quindi S. Teresa di Lisieux è il 33° “Dottore della Chiesa” (la più giovane), la terza donna dopo S. Caterina da Siena e S. Teresa d’Avila. 

Dall’’omelia nella S. Messa in cui Giovanni Paolo II proclama “Dottore della Chiesa” santa Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto (Roma, piazza S. Pietro, 19.10.1997):

“Teresa Martin, Carmelitana scalza di Lisieux, desiderava arden­temente di essere missionaria. E lo è stata, al punto da poter essere proclamata Patrona delle Missioni. Gesù stesso le mostrò in quale modo avrebbe potuto vivere tale vocazione: praticando in pienezza il comandamento dell’amore, si sarebbe immersa nel cuore stesso della missione della Chiesa, sostenendo con la forza misteriosa della preghiera e della comunione gli annunciatori del Vangelo. Ella realizzava così quanto è sottolineato dal Concilio Vaticano II, allorché insegna che la Chiesa è, per sua natura, missionaria (cfr. Ad gentes, 2). Non solo coloro che scelgono la vita missionaria, ma tutti i battezzati, sono in qualche modo inviati ‘ad gentes’. Per questo ho voluto sceglier l’odierna domenica missionaria per proclamare Dottore della Chiesa universale Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo: un donna, una giovane, una contem­plativa.
A nessuno sfugge, pertanto, che oggi si sta realizzando qualcosa di sorprendente. Santa Teresa di Lisieux non ha potuto frequentare una Università e neppure studi sistematici. Morì in giovane età: tuttavia da oggi in poi sarà onorata come Dottore della Chiesa, qualificato riconoscimento che la innalza nella considerazione dell’intera comunità cristiana ben al di là di quanto possa farlo un «titolo accademico».
Quando, infatti, il Magistero proclama qualcuno Dottore della Chiesa, intende segnalare a tutti i fedeli ed in modo speciale a quanti rendono nella Chiesa il fondamentale servizio della predicazione o svolgono il delicato compito della ricerca e dell’insegnamento teologico, che la dottrina professata e proclamata da una certa persona può essere un punto di riferimento non solo perché conforme alla verità rivelata, ma anche perché porta nuova luce sui misteri della fede, una più profonda comprensione del mistero di Cristo. Il Concilio ci ha ricorda­to che, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, cresce continuamente nella Chiesa la comprensione del «depositum fidei», e a tale processo di crescita contribuisce non solo lo studio ricco di contemplazione cui sono chiamati i teologi, né solo il Magistero dei Pastori, dotati del «carisma certo di verità», ma anche quella «profonda intelligenza delle cose spirituali» che è data per via di esperienza, con ricchezza e diversità di doni a quanti si lasciano guidare docilmente dallo Spirito di Dio (cfr Dei Verbum, 8). La Lumen gentium, da parte sua, insegna che nei Santi «Dio stesso ci parla» (n. 50) E per questo che, al fine del­l’approfondimento dei divini misteri, che rimangono sempre più grandi dei nostri pensieri, va attribuito speciale valore all’esperienza spirituale dei Santi, e non a caso la Chiesa sceglie unicamente tra essi quanti intende insignire del titolo di «Dottore».
Tra i «Dottori della Chiesa» Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo è la più giovane, ma il suo cammino spirituale è così maturo ed ardito, le intuizioni di fede presenti nei suoi scritti sono così vaste e profonde, da meritarle un posto tra i grandi maestri dello spirito.
Nella Lettera Apostolica che ho approntato per l’occasione ho addi­tato alcuni aspetti salienti della sua dottrina. Ma come non ricordare, in questo momento, quello che se ne può considerare il vertice, alla luce del racconto dell’emozionante sco­perta che ella fece della propria par­ticolare vocazione nella Chiesa? «La Carità – ella scrive – mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa ave­va un cuore e che questo cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annunce­rebbero più il Vangelo, i Martiri ri­fiuterebbero di versare il loro san­gue. Capii che l’Amore racchiude­va tutte le vocazioni […] Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore… la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore» (Ms B, 3v, in Opere complete, p. 223). E una pagina stupenda, che basta da sola ad illustrare quanto si possa applicare a Santa Teresa la pagina evangelica che abbiamo ascoltato nella Liturgia della Parola: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenu­to nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25).
Teresa di Lisieux non solo in­tuì e descrisse la profonda verità dell’Amore quale centro e cuore della Chiesa, ma la visse intensa­mente nella sua pur breve esistenza. Proprio questa convergenza tra dot­trina ed esperienza concreta, tra verità e vita, tra insegnamento e pras­si, risplende con particolare eviden­za in questa Santa, rendendola un modello avvincente specialmente per i giovani e per quanti sono alla ricerca del senso autentico da dare all’esistenza.
Di fronte al vuoto di tante parole, Teresa indica come alternativa l’uni­ca Parola di salvezza che, compresa e vissuta nel silenzio, diventa sor­gente di vita rinnovata. Ad una cul­tura razionalistica e troppo spesso permeata di materialismo pratico, ella contrappone con semplicità di­sarmante la «piccola via» che, rifa­cendosi all’essenziale delle cose, conduce al segreto di ogni esisten­za: la divina Carità che avvolge e permea ogni umana vicenda. In un’epoca, come la nostra, segnata in tanti suoi aspetti dalla cultura dell’effimero e dell’edonismo, que­sto nuovo Dottore della Chiesa ap­pare dotato di singolare efficacia nell’illuminare la mente ed il cuore di chi è assetato di verità e di amore.
Santa Teresa è presentata co­me Dottore della Chiesa nel giorno in cui celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale. Ella nutrì un de­siderio ardente di dedicarsi all’an­nuncio del Vangelo e avrebbe volu­to coronare la propria testimonian­za col supremo sacrificio del marti­rio (cfr Ms B, 3r, in Opere comple­te, p. 222). è nota, inoltre, l’intensa partecipazione personale con cui sostenne il lavoro apostolico dei Padri Maurice Bellière ed Adolphe Roul­land, missionari rispettivamente in Africa cd in Cina. In questo slancio di amore per l’evangelizzazione Te­resa aveva un solo ideale, come lei stessa afferma: «Quel che gli chie­diamo è di lavorare per la sua glo­ria, è di amarlo e di farlo amare» (Lettera 220, in Opere complete, 559). La strada da lei percorsa per rag­giungere questo ideale di vita non è quella delle grandi imprese riservate a pochi, ma è invece una via alla portata di tutti, la «piccola via», strada della confidenza e del totale affidamento alla grazia del Signore. Non è via da banalizzare, come se fosse meno impegnativa. Essa è in realtà esigente, come lo è sempre il Vangelo. Ma è via permeata di quel senso di fiducioso abbandono alla divina misericordia, che rende leg­gero anche il più arduo impegno dello spirito. Per questa sua via, in cui tutto è sentito come «grazia», per la centra­lità che assume in lei il rapporto con Cristo e la scelta dell’amore, per lo spazio che ella dà  anche agli affetti e ai sentimenti nel cammino spirituale, Teresa di Lisieux è una santa che resta giovane, nonostante il passare degli anni, e si propone come singolare modello e guida nel cammino cristiano per questo nostro tempo che si affaccia sul terzo millennio.
Grande è perciò la gioia del­la Chiesa, in questa giornata che corona le attese e le preghiere di tanti che hanno intuito, con la ri­chiesta del Dottorato, questo spe­ciale dono di Dio e ne hanno favo­rito il riconoscimento e l’accoglien­za … Sì, o Padre, ti benediciamo, in­sieme con Gesù (cfr Mt 11,25), per­ché hai nascosto i tuoi segreti «ai sapienti e agli intelligenti», e li hai rivelati a questa «piccola», che oggi nuovamente proponi alla nostra at­tenzione e alla nostra imitazione. Grazie per la sapienza che le hai donato, facendone per tutta la Chiesa una singolare testimone e maestra di vita! Grazie per l’amore che hai river­sato in lei, e che continua ad illu­minare e riscaldare i cuori, spingendoli alla santità! Il desiderio che Teresa espresse di «passare il suo Cielo a far del bene sulla terra» (Opere Complete, p.1050), continua a compiersi in modo meraviglioso. Grazie, o Padre, perché oggi a nuovo titolo ce la rendi vicina, a lode e gloria del tuo nome nei seco­li. Amen!


Dagli Scritti di S. Teresa di Lisieux

Farmi santa con l’ascensore delle braccia di Gesù [dal manoscritto C, n.271]

“Ho sempre desiderato farmi santa, ma ho sempre constatato, ahimè!, nel paragonarmi ai santi, che tra loro e me vi è la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui cima si perde tra le nuvole, e il granello di sabbia scura calpestato dai passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: – il Signore non potrebbe ispirare desideri irrealizzabili; malgrado la mia piccolezza, io posso dunque aspirare alla santità. Farmi grande è impossibile; devo sopportarmi così come sono, con tutte le mie imperfezioni; ma voglio cercare il mezzo di andarmene in Paradiso per una stradina dritta dritta, corta corta, una stradina proprio nuova. Siamo nel secolo delle invenzioni; adesso non val più la pena di salire i gradini di una scala: presso i ricchi un ascensore la sostituisce comodamente; ed io vorrei trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire l’aspra scala della perfezione….. ho continuato le mie ricerche ed ecco ho trovato: <come una madre accarezza il suo bambino, così io vi consolerà e vi porterò in braccio e vi cullerò sulle ginocchia> (Is.66,13). Ah! mai parole più tenere, più melodiose , vennero a rallegrare l’anima mia: l’ascensore che deve issarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, o Gesù! Perciò non ho bisogno di crescere, occorre, al contrario, che io resti piccola, che lo divenga sempre di più”. 

L’abbandono fiducioso, farsi piccola [Scritto autobiografico B, n.242-243]: 

(242) “A Gesù piace mostrarmi il solo cammino che conduca alla fornace divina, cioè l’abbandono del bambino il quale si addormenta senza paura tra le braccia di suo Padre. <Se qualcuno è piccolo venga a me>, ha detto lo Spirito Santo per bocca di Salomone, e questo medesimo Spirito d’amore ha detto ancora che <la misericordia è concessa ai piccoli>. In nome suo il profeta Isaia ci rivela che nell’ultimo giorno <il Signore condurrà il suo gregge nelle pasture, raccoglierà gli agnellini e se li stringerà al cuore>, e, come se tutte queste promesse non bastassero, lo stesso profeta, il cui sguardo s’immergeva già nelle profondità eterne, dice in  nome del Signore: <Come una madre accarezza una figlio, così io vi consolerò, vi porterò in braccio e vi accarezzerò sulle mie ginocchia>. Oh madrina cara! Dopo un linguaggio simile non c’è che da tacere, piangere di riconoscenza e d’amore”.

(243) “Ah se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che sente la più piccola fra loro, l’anima della sua Teresa, non una dispererebbe d’arrivare alla vetta della montagna d’amore, poiché Gesù non chiede grandi azioni, bensì soltanto l’abbandono e la riconoscenza…. (salmo 49,9-13). Ecco ciò che Gesù esige da noi, non ha bisogno affatto delle nostre opere, ma soltanto del nostro amore, perché questo Dio stesso che dichiara di aver bisogno, di dirci se ha fame, non ha esitato a mendicare un po’ d’acqua dalla Samaritana. Aveva sete… Ma dicendo <dammi da bere>, era l’amore della sua povera creatura che il Signore reclamava. Aveva sete d’amore… Ah! lo sento più che mai, Gesù è assetato, non incontra se non ingrati e indifferenti tra i discepoli del mondo, e tra i suoi stessi discepoli trova pochi cuori i quali si abbandonino a lui senza riserve, e capiscano la tenerezza del suo amore infinito”.

L’ultima prova (aridità, dubbio) prima di entrare al Carmelo [Scritto autobiografico A, n.215-216-217]:

(215) “Prima di parlarle di questa prova, avrei dovuto, madre mia cara, parlarle del ritiro che precedette la mia professione; lungi dal portarmi consolazioni, mi recò l’aridità più assoluta e quasi l’abbandono. Gesù dormiva come sempre nella mia navicella; ah vedo bene che di rado le anime lo lasciano dormire tranquillamente in loro stesse. Gesù è così stanco di sollecitare sempre con favori e di prendere le iniziative, che si affretta a profittare del riposo che gli offro. Non si sveglierà certamente prima del mio grande ritiro dell’eternità, ma, invece di addolorarmi, ciò mi fa un piacere immenso”.
(sempre 215, di seguito) “In verità, sono ben lungi dall’essere una santa, già questo di per sé ne è prova; invece di rallegrarmi per la mia aridità, dovrei attribuirla al mio poco fervore e <alla mia scarsa fedeltà, dovrei sentirmi desolata perché dormo (da sette anni) durante le mie orazioni e i miei ringraziamenti; ebbene, non mi affanno per questo; penso che i bimbi piccoli piacciono ai loro genitori quando dormono come quando sono svegli, penso che per fare delle operazioni i medici addormentano i malati. Infine, penso che <il Signore vede la nostra fragilità, e si ricorda che noi siamo polvere>”.

(216) “Il mio ritiro di professione fu, dunque, aridissimo, come tutti quelli successivi, aridissimo; tuttavia il buon Dio mi mostrava chiaramente, senza che io me ne accorgessi, il mezzo per piacergli, e praticare le virtù più sublimi. Ho notato varie volte che Gesù non vuole darmi provviste, mi sostiene minuto per minuto, con un nutrimento affatto nuovo, lo trovo in me senza sapere come ci sia. Credo semplicemente che sia Gesù stesso nascosto in fondo al mio povero cuore che mi fa grazia di agire in me e mi fa pensare tutto quello che vuole ch’io faccia bel momento presente…

(217) “Finalmente il giorno bello delle mie nozze arrivò, fu senza nubi, ma il giorno avanti si alzò nell’anima mia una tempesta come non ne avevo mai viste. Non mi era ancora mai venuto un solo dubbio sulla mia vocazione, bisognava che conoscessi questa prova. La sera, facendo la Via Crucis dopo mattutino, la mia vocazione mi apparve come un sogno, una chimera…trovavo bellissima la vita del Carmelo, ma il demonio m’ispirava la sicurezza che non era fatta per me, che avevo ingannato le superiore procedendo in una strada alla quale non ero chiamata. Le mie tenebre erano così grandi che vedevo e capivo una cosa sola: non avevo la vocazione!… Ah come descrivere l’angoscia dell’anima mia? Mi pareva (cosa assurda, che dimostra come quella tentazione fosse dal demonio) che se <avessi detto le mie paure alla Maestra, questa mi avrebbe impedito di pronunziare i santi voti; tuttavia volevo fare la volontà di Dio e ritornare nel mondo piuttosto che restare nel Carmelo facendo la mia; rifeci dunque uscire la mia Maestra e piena di confusione le dissi lo stato della mia anima… Fortunatamente vide più chiaro di me e mi rassicurò completamente; d’altra parte l’atto di umiltà che avverato, aveva messo in fuga il demonio, il quale pensava forse ch’io non avrei osato confessare la tentazione. Appena ebbi finito di parlare i dubbi scomparvero; per rendere più completo il mio atto di umiltà, volli ancora confessare la mia strana tentazione a Nostra madre, la quale si contentò di ridere di me”.

Il dolore anche nei ritiri [Scritto autobiografico A, n. 227-228]: 

“L’anno che seguì la mia professione, cioè due mesi prima che morisse madre Genoveffa, ricevetti grandi grazie durante il ritiro. Generalmente i ritiri predicati mi sono ancora più dolorosi di quelli che faccio da sola, ma quell’anno accade diversamente. Avevo fatto una novena preparatoria con grande fervore, nonostante quello che provavo intimamente, perché  mi sembrava che il predicatore non potesse capirmi, in quanto pareva dato soprattutto a far del bene ai grandi peccatori, ma non alle anime consacrate. Il Signore, volendo mostrarmi che è lui solo il direttore dell’anima mia, si servì proprio di quel Padre, il quale fu apprezzato soltanto da me. Avevo allora grandi prove intime di ogni sorta (fino a chiedermi talvolta se ci fosse un Cielo). Mi sentivo inclinata a non parlare delle mie disposizioni intime, non sapendo come esprimerle, ma appena entrata in confessionale sentii l’anima mia dilatarsi. Dopo che avevo detto poche parole, fui capita in un modo meraviglioso e perfino indovinata. L’anima mia era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio che io stessa. Mi lanciò a vele spiegate sulle onde della confidenza e dell’amore che mi attiravano così fortemente, e sulle quali non osavo andare avanti. Mi disse che le mie colpe non addoloravano il Signore, e aggiunse come suo rappresentante e a  nome suo chi il Signore era molto contento di me”.

[228] “Oh come fui felice d’ascoltare quelle parole consolanti! mai avevo inteso dire che le colpe potevano non addolorare il buon Dio, quest’assicurazione mi colmò di gioia, mi fece sopportare pazientemente l’esilio della vita. Sentivo bene in fondo al cuore che era vero, perché il Signore è più tenero di una madre; ora lei, Madre cara, non è sempre pronta a perdonarmi le piccole mancanze di delicatezza che le faccio involontariamente? Quante volte ne ho fatta la dolce esperienza! Nessun rimprovero mi avrebbe toccata tanto, quanto una sola delle sue carezze. Sono di una natura tale che la paura mi fa indietreggiare, con l’amore non soltanto vado avanti, ma volo”.


“Tutti mi ameranno”, aveva detto prima di morire … Così è.