Un aiuto per capire la fede: Dio

Questione 2.14


Domanda:

Infine, una domanda davvero difficile e diffusa. Se tutto dipende da Dio, perché allora c’è il male? Dio ha creato anche il male? Vuole anche il male?

Risposta:

Questa è una domanda difficile, cui la sola ragione fa fatica a dare una risposta completa. Occorrerà infatti la Rivelazione biblica e soprattutto la parola e la Croce di Gesù per capire meglio questo mistero della sofferenza, del male e della stessa morte.
Non ci nascondiamo che assai spesso è proprio questa domanda – specie quando il male ci tocca personalmente o ha proporzioni catastrofiche – a tentare l’uomo alla “ribellione” a Dio, fino alla bestemmia, o addirittura all’ateismo, cioè alla negazione stessa di Dio.
Emotivamente il dolore può talvolta accecare la ragione, fino a non voler sentire ragioni. Forse occorre un po’ di tempo, per ritrovare un po’ di calma interiore. Ma può anche scuoterci e condurci a chiedere su quale fondamento abbiamo costruito la nostra vita, se il significato che le abbiamo dato sia davvero autentico, e condurci perfino ad una più profonda scoperta di Dio, di Gesù, della fede, unico fondamento che non crolla, senso pieno e autentico della nostra vita. E allora diventa una “grazia”, una speciale occasione e opportunità per diventare più veri, per scoprire la vera via della vita.
Con la sola ragione potremmo intanto capire che quanto abbiamo fin qua scoperto, cioè che nulla esisterebbe se Dio non ci fosse, non viene assolutamente annullato dalla presenza del male. Anzi, non avremmo neppure l’idea del male, se non ci fosse il bene. E questo bene, questo essere, richiede che ci sia Dio. La complessità, l’ordine e la bellezza dell’universo intero rimanda a Lui.

Quello di male (come quello di nulla, falso, buco) è infatti un <concetto privativo>. Senza il bene non esisterebbe un male (e non viceversa). Ad esempio posso avere anche semplicemente un “mal di denti”, perché ho i denti; se non avessi i denti, perché neonato o anziano con la dentiera, non avrei il mal di denti (ma non ho l’idea di denti in riferimento al mal di denti). Una donna potrebbe un giorno essere vedova, ma se non si fosse mai sposata (non ci fosse stato questo “bene”), non potrebbe diventare vedova. Un buco in un foglio può esserci se c’è il foglio (può esserci un foglio senza un buco, ma un buco senza niente intorno non è più neppure un buco). E proprio questo bene richiede una causa ed una Causa prima.Per questo S. Tommaso d’Aquino arrivò a dire “c’è il male, dunque Dio esiste”, perché allora vuol dire che c’è un bene, cioè che le cose hanno un senso perché Qualcuno le ha fatte con sapienza e amore. Per Dante Alighieri perfino il “grande male” che è l’inferno stesso è segno che Dio c’è, anzi perfino del Suo amore (che rispetta la nostra libertà fino alle estreme conseguenze). Perfino F. Nietzsche, pur essendo il più radicale degli atei, riconosce intelligentemente che, poiché Dio non c’è, non ha neppure più alcun senso parlare di male e di bene, perché non c’è più un senso (perché non dovrebbe accadere quello che accade, se tutto è casuale?) ed un Responsabile.

Semmai potremmo chiederci perché gli esseri, fosse anche l’universo intero, non è l’Essere perfetto; ma non ci vorrebbe molto a capire che non lo è proprio perché non è Dio, ma è finito e limitato, perfino deteriorato dal tempo. 

Si capisce che o Dio non crea nulla, o se crea, non può creare un altro Essere perfetto (sarebbe un altro Dio, ma un Dio-creato sarebbe una contraddizione in termini). Sarà però la Bibbia a dirci che tutto all’inizio della creazione era molto più bello e l’uomo era stato esentato da Dio dal dolore, dalla fatica e perfino dalla morte, ma che tutto questo è entrato nel mondo a motivo del nostro peccato (già quello originale, aggravato da quelli nostri personali).

Quando parliamo di “male” in riferimento ad una catastrofe naturale (terremoti, alluvioni, cicloni, frane), razionalmente dovremmo capire che tutto ciò in sé non è male, ma semplicemente un fenomeno naturale che accade in base a leggi e forze naturali. Semmai sta alla nostra intelligenza (che Dio ci ha dato) cercare di comprendere tali fenomeni, magari di prevederli o comunque di difenderci (ad esempio far fronte ad un terremoto costruendo case con materiali e sistemi capaci di reggere a tali urti sismici). Così pure rimane il dovere di non deteriorare ma perfino abbellire il creato (ambiente, natura) con le nostre stesse mani (tecnologia).
Questi eventi, per sé naturali, ci fanno però capire come – nonostante il nostro doveroso ingegno ed impegno – siamo comunque fragili e limitati, e la morte è sempre in agguato come il grande nemico.
In questo modo può talora risultare ridicola la nostra superbia, il nostro crederci onnipotenti ed eterni (cfr. Lc 12,15-21); e ciò può essere un’opportunità buona per la nostra vita, per domandarci e scoprire il senso vero e globale dell’esistenza, che se è autentico è più forte e duraturo della morte (cfr. Rm 8,35).
Inoltre vediamo come la prova e la sofferenza di altri esseri umani provoca quasi sempre un immediato riaffiorare di ciò che di meglio c’è nell’uomo, come la solidarietà e perfino la carità, che subito scaturiscono in molti e mettono in atto sacrifici ed azioni concrete di aiuto per quanti sono stati colpiti da dette calamità. Ed anche questo è un misterioso bene, che può scaturire dal male.

In fondo quanto abbiamo appena detto vale anche per quel fenomeno naturale che è una possibile malattia o ferita (incidente) del nostro corpo. Sappiamo come proprio nel corpo umano si manifesti un ordine, una complessità, un’armonia tali da faci parlare di quasi perfezione (e più lo studiamo più lo vediamo). Che siamo sani e stiamo bene è il frutto di questo incredibile concorso di miliardi di fattori, che potremmo quasi definire “miracolo” costante. Certo, come abbiamo detto sopra, anche il nostro corpo non è perfezione assoluta, è materia, è limitato, può rompersi, è deteriorato dal tempo ed è condannato a morire. Vale anche qui quanto detto sopra, circa il nostro dovere di studiare e di far fronte ai problemi, col nostro ingegno, impegno e perfino carità.

Basti pensare cosa ha fatto in duemila il cristianesimo, e grandi santi, per gli ammalati; tenendo presente che nella cultura pagana antica “malato” voleva dire emarginato, e perfino maledetto da Dio.

Anche in questo caso, e più che mai, esiste poi il dovere morale di non rovinare il nostro corpo (con alimentazioni sbagliate, alcol, droghe, spericolatezze) ma anzi di mantenerlo sano e di curarlo.

A proposito di spericolatezze e incidenti – pensiamo ad esempio a quelli stradali – se talora possono essere semplicemente causati da problemi tecnici (un motore che non funziona più, una strada che improvvisamente frana), e anche in questo caso si può presentare il problema di responsabilità umane, talora o spesso sono causati invece da comportamenti sbagliati, e questo è allora un male “morale”, come vediamo appena sotto.

Potremmo chiederci perché di queste irresponsabilità, in fondo di questo male morale, talora anzi spesso ne pagano le conseguenze (perfino con la morte) anche altri, innocenti. 
Nell’uso della nostra libertà, cioè nelle nostre scelte responsabili, dovremmo sempre capire che non solo ci giochiamo il bene o il male della nostra vita, ma così come possiamo aiutarci nella via del bene, possiamo anche rovinarci e perfino distruggerci sulla via del male.

Anche se abbiamo capito che ogni effetto ha una causa, che tutto è regolato da leggi naturali, e che questo rimanda a Dio come causa prima, possono comunque accadere fatti casuali (non significa che non hanno una causa, ma che si incrociano casualmente eventi: se io cammino per strada e mi cade una tegola in testa, c’è il mio passare di lì con un perché, c’è la tegola sistemata male sul tetto, c’è il vento che la muove e la forza i gravità che la fa cadere, ma che colpisca proprio me in quel momento è casuale, un caso fortuito). Come è sbagliato negare che ci sia Dio come causa prima di tutto, così è errato affermare che Dio sarebbe la causa diretta di quel mio incidente. Questo vale per un incidente ma anche per la malattia. Non c’è dunque da cercare sempre un colpevole. Non lo è Dio e talora non lo sono neanche gli uomini. Lo hanno chiesto a Gesù stesso e così ha risposto (Lc 13,1-5), facendo capire che intanto la vera “disgrazia” (dis-grazia) è non avere la grazia di Dio, il peccato, e camminare così verso la dannazione eterna (questo è il grande male!)

Certo, possiamo chiedere a Dio ogni cosa (anche il “pane quotidiano”) e quindi che ci preservi da ogni male; e Dio può farlo, specie se gli abbiamo dato spazio nella nostra vita e gli permettiamo davvero di agire in noi, in tutta la nostra vita (“venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”), altrimenti sarebbe una preghiera quasi superstiziosa.

Possiamo chiedere anche un “miracolo”: esso è un intervento diretto di Dio, quasi sorpassando o cambiando le leggi naturali (volute da Lui), che può fare, anche se rimane un’eccezione (che guarisca miracolosamente da una malattia è un’eccezione, normalmente – poiché non siamo burattini nelle sue mani – vuole che studiamo noi medicina e impariamo a curare tale malattia).

Rimane però sempre vero che Egli può volgere ad un bene anche un male (che non vuole direttamente ma permette) e soprattutto che, se non è garantita una guarigione o una risposta fisica, è sempre garantita – per chi la desidera – una guarigione interiore, spirituale, che è la cosa più importante della vita, l’unica che davvero conta (il tesoro, cfr. Mt 13,44) ed è eterna.

Siamo così giunti al vero problema, perché il male in senso stretto è il male morale. In fondo è il male peggiore, perché più che mai sentiamo che non dovrebbe esserci – siamo infatti creati per il bene – e invece siamo noi a pensarlo, a volerlo e a farlo. Questo è il problema più difficile. L’uomo sente che non dovrebbe esserci; ma è proprio l’uomo a farlo (gli animali no); e lo sente in fondo così contraddittorio con la propria natura, col proprio essere, che lo denuncia con facilità negli altri (giornali e televisione sembra che non parlino d’altro) ma con fatica se ne assume la responsabilità personale (cfr. Mt 7,3) (dando sempre la colpa agli altri, ma anche gli altri fanno la stessa cosa! e allora da dove viene?).
Qua c’è in gioco la questione della nostra libertà. Questa è la questione.
Dio ha creato l’uomo (e gli angeli) liberi, perché ci fosse non un automatismo nel fare il bene (come si potrebbe “amare” davvero per un automatismo?) ma un po’ di nostro merito, di nostro impegno, di nostro volerlo e farlo. Ma proprio perché siamo liberi, siamo moralmente obbligati (cioè nella coscienza) a fare il bene ed evitare il male, ma non fisicamente obbligati. Per cui la nostra libertà – normalmente per orgoglio – può ribellarsi, pervertirsi e volgersi al male invece che al bene (per cui ci è stata data). Così che la possibilità del merito la capovolgiamo stoltamente in colpa.
Oggi tutto questo è più che mai aggravato dal fatto che non solo c’è un grande dilagare del male, ma c’è a monte un inquinamento morale delle coscienze, della mente, per cui si esalta la libertà individuale come se fosse un assoluto e si relativizza il bene e il male come se fosse tutto soggettivo e temporaneo.
Potrebbe Dio impedire questo male? Certo, ma solo abolendo quel grande bene che è la nostra libertà. Non lo fa, perché per amore rispetta la nostra libertà, anche quando la usiamo male.

Questo è assai più chiaro nella Bibbia e risolto pienamente in Cristo, come vedremo. Qui il male si chiama con il suo vero nome: peccato. Si comprende che gli angeli decaduti (demoni) ci istigano a farlo per distruggerci e distruggere il mondo e ancor più per farci cadere nella loro stessa condanna (inferno). Se più che mai in Cristo si rivela cos’è il nostro vero bene (la luce, il senso vero della vita), ci svela anche il male, il peccato ed anche il demonio; ma ci dona anche data la forza interiore (la “grazia”) per questo combattimento col male e per vincere nel bene; inoltre, se cadiamo nel male, Egli ogni volta può rigenerarci col Suo perdono.

Infatti, se nella nostra vita e ancora più nel divenire della storia si può già vedere come a lungo andare non possa vincere la menzogna e il male, ma prima o poi trionfi la verità e il bene, ancor più e in modo infinitamente più grande e per sempre, ciò accadrà nell’aldilà, dove alla fine tutto sarà sottoposto al giudizio di Cristo (“giudizio universale”), con la pena eterna per chi ha compiuto il male (se non c’è conversione al bene e a Dio) ed il premio eterno per chi ha compiuto il bene ed ha vissuto con Dio.

Solo con Gesù e nella Sua Croce si rivela il senso pieno del dolore ed esso può diventare perfino “salvifico” (cfr. la Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II Salvifici doloris, 11.02.1984), cioè occasione per il nostro vero bene. Per questo Dio, anche se non lo vuole, lo permette.