Un aiuto per capire la fede: le religioni

Questione 3.9


Domanda:

Che prove abbiamo per credere che Dio si sia davvero rivelato agli Ebrei?

Risposta:

Anche del rivelarsi di Dio al popolo ebraico, in preparazione a Cristo, noi abbiamo delle “prove”, abbiamo cioè seri indizi per riconoscere come ciò sia vero, che cioè Dio si sia davvero rivelato a questo popolo.

Aver fede non è solo un “sapere” ma è “obbedienza” a Dio che si rivela e ci chiama alla comunione con Lui per salvarci; é un dono di Dio, una “grazia”, soprannaturale (che Dio dona a tutti, se lo vogliono); ma è anche un atto pienamente “umano” e come tale è ragionevole, cioè supportato da motivi anche razionali perché l’intelligenza possa offrire il proprio assenso. Tali motivi sono sufficienti, ma non costringenti: cioè ci sono più motivi per dare l’assenso della propria intelligenza che per negarlo  (non è quindi un’adesione cieca); nello stesso tempo, pur essendo più intelligente credere che non credere, ci vuole anche un’adesione della volontà, così che ci sia anche un “merito” nel credere. Inoltre la volontà deve impegnare tutto il nostro essere nell’obbedienza alla verità conosciuta, ed in questo modo tale verità diviene anche sempre più chiara.

Abbiamo detto che Dio si è rivelato agli Ebrei attraverso fatti e parole. Guardiamo se abbiamo motivi per credere che sia così e non una semplice illusione o ambizione degli Ebrei.
Uno dei fatti più importanti dell’Antico Testamento è ad esempio quello dell’Esodo, quando il popolo ebraico schiavo in Egitto viene liberato e condotto prima al monte Sinai – dove stipulerà la Alleanza con Dio, impegnandosi ad obbedire alla Legge (“Torah”), tra cui il “Decalogo” (i 10 Comandamenti) che Dio dona loro – e poi alla “terra promessa”, la Palestina. L’artefice principale di questo avvenimento (siamo nel 1250 circa a.C.), al di là del conduttore umano che è Mosé, è davvero di Dio (chiamato Jahvé)? 
Noi vediamo in effetti una serie di fatti, che inizialmente potrebbero anche essere intesi come naturali o casuali – il passaggio del Mar Rosso, la manna, le quaglie, l’acqua, ecc. –  ma che proprio nel loro concatenarsi evidenziano pian piano una specie di disegno o volontà superiore, il “segno” dell’intervento di Qualcuno, trascendente ed invisibile, che sta effettivamente guidando quel popolo. Per cui alla fine è più intelligente credere che sia effettivamente Dio a far accadere quelle cose, che non che sia tutto il frutto di una pura casualità.
Lo stesso a riguardo dei profeti. Un profeta parla e dice con sicurezza che quelle parole sono il giudizio di Dio. Noi potremmo sospettare che egli sia un ingannatore, o un invasato, un mitomane (potrebbe essere così, come nei falsi profeti che talora sorgono); ma in realtà anche in questo caso abbiamo seri indizi che ci spingono a riconoscere (credere) che sia effettivamente Dio a parlare attraverso di loro, che sia effettivamente Dio a suggerire loro quelle parole, pur lasciando a loro il modo di esprimerle (non si tratta di una dettatura, come invece credono i musulmani riguardo al Corano): le loro origini e le loro capacità umane, spesso sproporzionate e talora poco propense ad un tal genere di missione, la loro sensazione di dover necessariamente dire quelle parole (proprio come se non fosse una loro iniziativa), il rimetterci – talora la vita stessa – pur di non tacerle ed infine l’avverarsi storico delle loro parole. Tutto ciò ci induce a credere che effettivamente attraverso quegli uomini sia proprio Dio a parlare.
Inoltre ogni studioso di civiltà antiche deve constatare come il popolo ebraico, sebbene piccolo e per certi versi arretrato nel panorama delle civiltà di quelle epoche, riesce a scoprire riguardo a Dio e all’uomo – talora con secoli in anticipo e spesso in modo esclusivo – verità elevatissime ed insuperabili, che superano in effetti la prova del tempo e della storia e che non perdono di attualità e di importanza.

Pensiamo ad esempio all’idea di creazione (universo non divinizzato ma emergente dal nulla ad opera di Dio), all’antropologia (uomo come unità di spirito e di corpo), alla concezione rettilinea della storia (incontro della libertà di Dio che chiama e della risposta libera dell’uomo), alla morale (ad es. i “comandamenti”) e soprattutto alla concezione di Dio (uno, puro spirito, creatore, misericordioso, giudice, ecc.). Anche l’eccezionale importanza e diffusione della Bibbia e la sua incidenza nella civiltà mondiale, pur quasi anonima nell’autore, è un caso letterario unico al mondo. Tra l’altro, per questo motivo, non conoscere la Bibbia – anche solo dal punto di vista culturale – costituisce una inammissibile e grave ignoranza, poiché siamo comunque di fronte – anche se se ne negasse l’origine divina – all’opera più straordinaria e di più grande incidenza nella civiltà umana.

Già questo ci offre ragioni sufficienti per credere che non si sia di fronte ad un caso di semplice genialità umana o di casualità – tanto più che per il resto gli ebrei erano appunto assai arretrati rispetto agli altri popoli (egiziani, persiani, greci, romani) – ma appunto al “rivelarsi” di Dio stesso.