La pianura mesopotamica, tra i grandi fiumi Tigri ed Eufrate, è stata nella storia antica la culla o la sede di grandi civiltà (Sumeri, Accadi, Gutei, Amorrei, Babilonesi, Cassiti, Assiri e Persiani).
Da quella zona, oggi Iraq, e precisamente dalla città di Ur, oltre 1800 anni prima di Cristo, partì Abramo, chiamato da Dio stesso, per raggiungere la terra che Egli avrebbe indicata e che la sua numerosissima e miracolosa discendenza (vista l’anzianità e la sterilità della moglie Sara) avrebbe abitato per sempre, cioè la Terra Santa (l’attuale Israele/Palestina).
Il patriarca Abramo è il capostipite del popolo ebraico e con lui inizia la “storia della salvezza”, la Rivelazione di Dio all’umanità, attraverso gli Ebrei, cioè l’Antico Testamento della Bibbia*, che dopo 19 secoli avrebbe trovato il suo culmine insuperabile nell’Incarnazione stessa di Dio, Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza eterna di tutti gli uomini di tutti i tempi.
     * Abramo si trova infatti dal cap. 11 di Genesi, cioè il primo libro della Bibbia. I precedenti capitoli di Genesi costituiscono per così dire la “preistoria” biblica, cioè la creazione dell’universo, la creazione dell’uomo, il peccato originale, Caino e Abele, Noè e il diluvio universale, la torre di Babele con la dispersione delle lingue.
È assai significativo che Abramo venga tuttora considerato “padre nella fede” non solo ovviamente dalla religione ebraica, ma anche da quella cristiana (l’Antico Testamento, pur trovando compimento pieno e definitivo e pure superamento in Cristo, cioè nel Vangelo e in tutto il Nuovo Testamento, è infatti considerato Parola di Dio anche dai Cristiani) e persino da quella musulmana, che pur nascendo 6 secoli dopo Cristo da un proprio sedicente definitivo profeta (Maometto) e possiede un proprio testo considerato sacro (il Corano), vedono comunque nell’A.T. già una rivelazione dell’unico vero Dio.
Ed è impressionante che tuttora, quasi 4000 anni dopo Abramo, queste tre religioni, che vedono comunque in lui un “patriarca”, un “padre nella fede”, costituiscano non solo le tre grandi religioni monoteiste (con un Dio uno, creatore e trascendente), ma corrispondano tuttora alla maggioranza assoluta della popolazione mondiale (con 2,5 miliardi di Cristiani, 1,5 miliardi di Musulmani e circa 20 milioni di Ebrei)! E già questo dovrebbe comunque far seriamente riflettere tutti coloro che con troppa leggerezza considerassero la Bibbia, già nell’Antico Testamento, semplicemente una serie di miti dell’antichità. La “promessa” divina fatta ad Abramo, quella di una numerosissima discendenza (“come le stelle del cielo e la sabbia del mare”) si è realizzata ed è tuttora constatabile! 
Se possiamo indicare questa remota origine comune, sarebbe comunque gravemente errato parlare di ebraismo, cristianesimo e islam come le tre “Religioni del Libro” e come se fossero analoghe o addirittura equivalenti! Sarebbe l’apostasia radicale dal cristinesimo, negando la divinità, unicità e necessità salvifica di Cristo; sarebbe blasfemo, perché si tratterebbe infatti di considerare vana l’intera opera della Redenzione, voluta dal Padre, realizzata dal Figlio fatto uomo e attuata dallo Spirito Santo, cioè i due contenuti principali della fede cristiana: Unità e Trinità di Dio e Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione di N. S. Gesù Cristo!

In occasione del grande Giubileo del 2000, cioè a 20 secoli dalla nascita di Gesù Cristo, mentre il Magistero pontificio ha solennemente richiamato l’unicità della divinità di Cristo e la Sua necessità per la salvezza di tutti gli uomini (cfr. la Dichiarazione Dominus Jesusvedi documento nel sito, con considerazioni postume di Benedetto XVI), Giovanni Paolo II ha voluto pure compiere non solo un significativo viaggio apostolico in Terra Santa (Giordania, Israele, Palestina: 20-26 marzo), dove Gesù stesso è nato, vissuto, è morto e risorto, ma si recò pellegrino anche sul Monte Sinai (Egitto: 24-26 febbraio), dove Dio si rivelò a Mosè e agli Ebrei dopo la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e diede loro la Legge. Desiderio del Papa era anche quello di recarsi ad Ur dei Caldei (Iraq), appunto patria originaria del patriarca Abramo; ma l’ancora grave situazione geopolitica del Paese lo impedì.
Com’è noto, tale progetto si è realizzato in questi giorni (5-8 marzo) con Francesco, in un rischioso viaggio all’insegna del dialogo tra cristiani, musulmani ed ebrei, oltre che per sostenere le perseguitate e oggi assai ridotte comunità cristiane di quella terra.

I cristiani sono presenti in quella terra (oggi Iraq) fin dal tempo degli Apostoli; lo stesso apostolo Tommaso, diretto ad evangelizzare addirittura l’India, avrebbe infatti fondato le prime comunità cristiane della pianura mesopotamica. In alcune di quelle zone si parla addirittura ancor oggi l’aramaico, cioè la lingua di Gesù! Dunque la viva e feconda presenza cristiana nel Paese è anteriore all’invasione musulmana del VII secolo, quando il ramo sciita dell’Islam, pochi anni dopo Maometto, occupò quelle terre e vi pose addirittura la propria capitale (Najaf), dove tuttora vive uno dei più importanti capi sciiti, l’ayatollah Al-Sistani (che lì ha incontrato papa Francesco il 6 marzo scorso*).

* Il Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani è il più grande leader sciita a livello mondiale, e la città di Najaf, dove vive, è da secoli la sede dei leader mondiali sciiti. Ciò non piace all’Iran, l’altro grande Paese sciita, che, dopo la Rivoluzione islamica del 1979, ha voluto come centro dello sciismo mondiale la città iraniana di Qom. Inoltre Al-Sistani non condivide neppure la linea dura dell’islam sciita iraniano. Solo 3 mesi fa Al-Sistani non ha neppure voluto ricevere Ibrahim Ra’isi, capo del sistema giuridico in Iran nominato da Khamenei, in visita in Iraq (causandogli così una perdita di consenso, in vista pure delle prossime elezioni presidenziali che si terranno in Iran nel prossimo giugno). Ecco perché il quotidiano Kayhan, la voce più importante della fazione fondamentalista e dell’estremismo religioso in Iran, in legame molto stretto con Khamenei, ha fortemente criticato l’incontro del Papa con l’ayatollah Al-Sistani e persino l’intero viaggio di Francesco in Iraq.
[fonte: AsiaNews (Khosrow Ebrahimi), Teheran 10.03.2021]

Ricordiamo che la corrente sciita dell’Islam è presente, oltre che in Iraq, soprattutto in Iran. Essa è particolarmente ostile ad Israele* (e viceversa). La corrente sunnita è invece presente soprattutto in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi, ma anche in gran parte della Siria e pure in buona parte dello stesso Iraq, oltre che in numerosi altri paesi islamici del mondo.

* Non si può nascondere che un’accentuata ostilità nei confronti degli Ebrei è presente nel Corano stesso [che definisce gli ebrei i peggiori nemici dei musulmani (5:82), sotto la maledizione di Allah (9:30), e invita i musulmani a fare guerra e a soggiogarli (9:29)].

Un ulteriore motivo per cui, nell’incontro stesso delle tre grandi religioni monoteiste (Islam, Cristianesimo, Ebraismo), previsto proprio ad Ur con papa Francesco (che nell’occasione non ha nominato neppure una volta Gesù…), gli Ebrei sono di fatto rimasti assenti.

Nonostante che la quasi totalità degli iracheni sia musulmana, fino al 2003 i cristiani (specie la Chiesa Cattolica Caldea) erano 1,5 milioni e godevano di una relativa libertà.

Sotto il regime di Saddam Hussein (dal 1979 al 2003, quando fu destituito durante la seconda guerra del Golfo in seguito all’invasione anglo-americana) i cristiani godevano di una relativa libertà (era cattolico persino il Ministro degli Esteri e vice-Primo Ministro iracheno Tareq Aziz).

Oggi, su una popolazione di quasi 40 milioni di abitanti, i Cattolici si sono ridotti a circa 500.000.
Dunque, in neppure 20 anni 1 milione di cristiani è stato ucciso o costretto all’esilio!
Paradossalmente l’esodo dei cristiani è iniziato già dopo l’invasione anglo-americana. 
Infatti, dopo le cosiddette “Guerre del Golfo”, cioè le operazioni militari a guida USA [Desert Storm (1990-91) e soprattutto Iraqi Freedom (2003)] che posero fine al regime di Saddam Hussein, è seguito un periodo di grande caos, di lotte intestine (anche tra sciiti e sunniti) e di attentati terroristici. Un milione di iracheni fuggirono e si rifugiarono nella Siria di Bashar al Assad; tra questi anche 50.000 cristiani.

Ad esempio, il 31.10.2010, a Bagdad, la cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza (dove il 5 marzo scorso Francesco ha incontrato Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e le Religiose, Seminaristi e i Catechisti dell’Iraq), fu bombardata proprio durante la S. Messa domenicale, causando la morte di 48 persone, tra cui 2 giovani sacerdoti, e il ferimento di moltissimi altri fedeli.

Come tristemente ricordiamo, tra i numerosi attentati terroristici, in cui persero la vita anche molti italiani, particolarmente grave fu la strage di Nassiriya, provocata da due kamikaze di Al Qaeda il 12.11.2003, in cui persero la vita 28 persone, di cui 19 italiani (specie Carabinieri) e 9 iracheni.

Poi, negli anni 2014-2017, in un’area compresa tra la Siria nord-orientale e l’Iraq occidentale, si è costituito il califfato, di matrice sunnita, che si è violentemente organizzato come Stato Islamico (ISIS o Daesh).
In quegli anni i terroristi jihadisti fecero strage di cristiani, nella piana di Ninive e in tutto il Paese, addirittura a Bagdad.
Le case dei cristiani venivano contrassegnate con la “N” di Nazareno, avvertimento e al contempo invito a convertirsi all’Islam o a fuggire.
Quando i jihadisti dell’ISIS, nella notte 6/7 agosto 2014, conquistarono Mossul, senza trovare resistenze,  e vi posero la capitale del Califfato/Stato islamico, i cristiani che non erano già riusciti a fuggire furono espulsi o uccisi; vi uccisero anche il vescovo e molti sacerdoti.
Così, in quell’agosto 2014, i jihadisti costrettinsero tutti i 120.000 cristiani a fuggire dalla piana di Ninive e da Mossul, area di insediamento storico delle comunità cristiane in Mesopotamia. Molti furono uccisi. Se non ci fu una strage fu proprio perché la maggior parte riuscì a fuggire, costretti ad abbandonare le loro case e tutto ciò che avevano. Non furono risparmiati dalla furia jihadista neppure gli storici monasteri e persino i cimiteri cristiani.

Solo sotto la Presidenza USA di Donald Trump, nel dicembre 2018, con la legge «Iraq and Syria Genocide Relief and Accountability Act», per la prima volta si parlò ufficialmente di “Genocidio” a proposito della serie di crimini perpetrati in quegli anni dai gruppi jihadisti su cristiani e yazidi in Iraq e Siria, e impegnò il governo USA a fornire assistenza umanitaria ai gruppi vittime delle violenze e a perseguire i responsabili e gli esecutori di quelle efferatezze. Tale legge voluta dal Presidente Trump venne definita strumento «vitale» per garantire la sopravvivenza dei cristiani in Iraq e salvare le loro comunità dall’estinzione.

Alla caduta dell’ISIS, nel 2017, solo il 50% degli abitanti e dei cristiani ha potuto tornare nelle proprie zone e abitazioni, peraltro in gran parte distrutte. Migliaia di nuclei familiari sono rimaste nel Kurdistan, nella zona settentrionale del Paese. Numerosissimi sono tuttora coloro che sono “rifugiati” in Occidente.

Per portare un esempio, a Qaraqosh (dove Francesco si è recato il 7 marzo scorso) fino al 2014, quando la città fu conquistata dalle milizie nere del califfo Abu Bakr al Baghdadi, i cristiani erano il 90% della popolazione; oggi, dopo la liberazione avvenuta già nel 2016, solo il 46% di quanti avevano dovuto fuggire è rientrato.

Quale straordinaria testimonianza di fedeltà a Cristo Signore hanno dato però questi nostri fratelli cristiani, che, fin quando han potuto, nella piana di Ninive (come anche ad Aleppo in Siria), hanno continuato ad andare alla S. Messa, nonostante gli attentati, le bombe, i missili e il pericolo sempre incombente di venire uccisi!
E che differenza rispetto a molti nostri cristiani che in Occidente hanno abbandonato la S. Messa perché impauriti anche solo dalla remota possibilità di contrarre un’infezione virale, peraltro scarsamente letale!