Un aiuto per capire la fede: Gesù Cristo

Questione 4.8


Domanda:

Alla luce della risurrezione acquista senso pieno anche la morte di Gesù in croce. Anzi, sarà proprio la Croce a diventare il simbolo del cristianesimo. Perché?

Risposta:

Potremmo dire che il Vangelo, centro e pienezza di tutta la Rivelazione di Dio agli uomini, va letto e capito alla luce del fatto finale: appunto la risurrezione di Cristo. 
I Vangeli danno però moltissimo spazio, sproporzionato rispetto all’intera vicenda pubblica di Gesù, alla passione e morte di Gesù. Perché?

Abbiamo già notato che anche questa è una prova di autenticità e motivo di credibilità dei Vangeli. Se fossero infatti falsi e raccontassero cose inventate, dato che il loro scopo primo è quello di convincerci che Gesù è Dio e così siamo “salvati” (Gv 20,31; v. anche Lc 1,1-4), non avrebbero mai narrato e tanto meno così a lungo la passione e morte in croce di Gesù, in cui apparentemente si manifesta non la potenza della divinità di Gesù ma la Sua debolezza (cfr. 1Cor 1,17-25). Infatti, proprio al culmine della Sua missione, Gesù si manifesta apparentemente in una “debolezza” estrema, fino a farsi condannare da un processo-farsa, a farsi torturare e deridere e a farsi uccidere con la atrocissima morte riservata ai malfattori, cioè appunto la croce (cfr. Mt 26,47-27,55; Mc 14,43-15,41; Lc 22,47-23,46; Gv 18,1-19,30).

In realtà, ciò è dovuto all’estrema importanza di questo evento. Se è vero che non si capisce nulla del cristianesimo senza la risurrezione di Cristo, è anche vero che non si capisce la Sua missione senza la Sua morte in croce. Morte e risurrezione di Gesù costituiscono quello che chiamiamo “mistero pasquale”, centro della missione di Gesù e quindi della fede cristiana.
Gesù, durante il processo, le torture (flagellazione, incoronazione di spine, derisioni, salita al Calvario con la croce) e sulla croce, sembra totalmente passivo, quasi fosse abbandonato agli eventi; in realtà per amore nostro si abbandona coscientemente, liberamente e attivamente alla volontà del Padre, come esplicitamente afferma fin dall’inizio della sua missione (cfr. ad es. Mt 26,39; Lc 22,42; Gv 4,34; Gv 5,30; Gv 6,38-40; Gv 8,11; anche Fil 2,5-11). Gesù sa fin dall’inizio, anche quando è ancora circondato dall’entusiasmo della folla, che questa è la Sua “ora”, che a Gerusalemme si compirà questo mistero, per il quale è venuto (cfr. Mt 16,21-23).

Non dobbiamo pensare ad un destino o ad una fatalità che privi Gesù e gli attori stessi del suo supplizio della loro libertà, ma alla libera offerta di Gesù al Padre per il bene degli uomini (in Lui si manifesta così come la pienezza della libertà sia nell’obbedienza al Padre).

Nella croce di Gesù si manifesta pienamente la grandezza dell’amore di Dio per l’uomo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16); “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Amore misericordioso, che trasforma addirittura il più grande crimine della storia (deicidio) nella sorgente inesauribile della Sua misericordia, che perdona il peccato dell’uomo di ogni tempo e lo riconcilia con Sé.
Possiamo cogliere un poco almeno il significato della Croce alla luce della parola “sacrificio” (diciamo infatti “il sacrificio della Croce”, che si perpetua nell’Eucaristia). Un’espressione di Giovanni il Battista nel presentare Gesù all’inizio della Sua missione – e che ritorna non a caso nella S. Messa presentando e adorando Gesù-Eucaristia poco prima di riceverlo – è Agnello di Dio (che toglie, prende su di Sé il peccato del mondo).

Nella tradizione religiosa dell’antico popolo ebraico, ma in fondo in molte espressioni religiose dei popoli che vivevano di pastorizia, l’agnello, cioè la primizia e la speranza del gregge, veniva spesso offerto in “sacrificio” (sacrum-facere: fare qualcosa di sacro), sia in ringraziamento, sia come richiesta di perdono per i propri peccati. In questo modo si pensava di ristabilire o rinsaldare l’<alleanza> tra Dio e gli uomini. Per questo il “sangue” (simbolo della vita) del sacrificio diventa particolarmente eloquente per indicare l’Alleanza.

Ringraziare deriva dalla consapevolezza che tutto è di Dio e tutto deve essere offerto a Lui. L’offerta delle primizie (e del meglio) del bestiame o del raccolto (in molte religioni antiche si facevano pure i sacrifici umani, esclusi invece dalla Bibbia). [Si noti come il termine Eucaristia significhi infatti “ringraziamento”].

Chiedere perdono indica invece come l’uomo, se è sincero con se stesso, sia consapevole della continuamente ritornante sproporzione tra ciò che è e ciò che deve essere, sia nei confronti degli altri che di se stessi e soprattutto nei confronti di Dio. Il peccato distrugge l’uomo, merita e causa la morte. L’offerta dell’agnello, come pure l’inviare a morire nel deserto un capro sul quale venivano idealmente riversati i propri peccati (il ““capro espiatorio”, come si dice ancor oggi, cioè uno che paga per tutti), era dunque sostitutivo della propria morte e quindi materia di richiesta di perdono.

Tutto ciò fa da sfondo e prefigurazione al sacrificio del vero Agnello che è Cristo: è Lui il vero, unico e definitivo ringraziamento al Padre; il vero, unico e definitivo riconciliatore degli uomini col Padre; nel Suo sangue si instaura la “nuova ed eterna Alleanza” tra Dio e gli uomini [cfr. le parole di Gesù nell’Ultima Cena, che sono le parole che in ogni Messa trasformano il pane e il vino nel suo Corpo e nel Suo Sangue (Mt 26,26-28). Per il confronto tra gli antichi sacrifici e quello di Cristo, si veda ad esempio la Lettera agli Ebrei]. Questo atto supremo di Cristo compie la nostra “redenzione”, cioè il perdono del peccato (originale e personale), e permette all’uomo di essere riconciliato con Dio, di entrare nella comunione piena con Lui, di partecipare della Sua stessa vita, fin d’ora e per sempre. Questo è il motivo centrale della missione di Cristo, il ciò per cui è venuto.

La liberazione dal peccato e dalla morte (eterna) e la piena riconciliazione dell’uomo con Dio, mediante Cristo, è ovviamente anche il fine supremo anche della missione della Chiesa.

Alla luce di questo altissimo significato della Croce di Cristo, unitamente alla Sua risurrezione, acquista il suo vero significato anche tutto il dolore umano, di ogni tipo, che è problema centrale della vita dell’uomo: unito a quello di Cristo, diventa partecipazione alle Sue sofferenze (cfr. Col 1,24), e questo contribuisce allora misteriosamente alla salvezza nostra e del mondo. Il dolore perde quindi la sua apparente inutilità e, offerto a Dio, diventa una delle azioni più preziose ai Suoi occhi.

La Bibbia ci dice all’inizio (Gen 13) che il dolore (e la morte) non facevano parte del disegno di Dio e fossero assenti nell’originaria creazione (paradiso terrestre), ma entrarono nel mondo proprio a motivo del peccato dell’uomo (peccato originale). Cristo, che pur ha alleviato il dolore anche fisico di molti uomini – come continua a fare nella storia anche la Chiesa – fa uscire il dolore dalla maledizione del nonsenso e lo rende addirittura occasione di una “grazia” speciale, per sé e per gli altri. In italiano è infatti significativo l’uso dell’espressione croce (“ho una croce”, “sono in croce”), per indicare una sofferenza.

Il dolore ed il male (fisico o morale) va certamente combattuto ed alleviato, senza però censurarlo (come fa molta cultura dominante) poiché prima o poi, in un modo o nell’altro, fa parte della vita dell’uomo. Si noti in proposito come tutte le volte che l’uomo – ad esempio con le ideologie o le rivoluzioni – cerca o di censurarlo (come se non esistesse) o pretenda di farlo sparire totalmente con le sole proprie forze, provochi quasi sempre un male peggiore di quello a cui voleva porre rimedio (come la storia, anche recente, dimostra).