Il famoso 8×1000. Cos’è? Perché?


Sostenere economicamente la comunità cristiana, i sacerdoti e l’intera Chiesa Cattolica è un dovere morale di ogni cattolico.

Lo prescrive anche il 5° Precetto della Chiesa (I Precetti generali della Chiesa, che obbligano in coscienza sono: 1. Partecipare alla S. Messa la domenica e le altre feste comandate e rimanere liberi da lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni; 2. Confessare i propri peccati almeno una volta all’anno; 3. Ricevere il sacramento dell’Eucaristia almeno a Pasqua; 4. Astenersi dal mangiare carne (il venerdì, obbligatorio in Quaresima, eventualmente sostituibile con altra penitenza gli altri venerdì dell’anno) e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa (Mercoledì delle Ceneri e Venerdì Santo); 5. Sovvenire alle necessità materiali della Chiesa stessa, secondo le proprie possibilità) – cfr. anche l’aiuto per fare bene l’esame di coscienza nel presente sito (vedi).

Come ogni persona, ogni famiglia ed ogni società, anche la Chiesa Cattolica, pur confidando nella Provvidenza divina (che comunque si serve pure degli uomini), ha delle necessità materiali ed economiche – per il culto a Dio (in ogni cultura del mondo, dall’età della pietra al giorno d’oggi, a Dio il popolo ha sempre offerto il massimo, basti pensare alla bellezza dei luoghi di culto in ogni civiltà e religione), per sostenere i sacerdoti (che a tempo pieno sono al suo servizio per il bene delle anime) e per le stesse opere di carità, che senza denaro non sarebbero ultimamente possibili. Non è quindi contrario al Vangelo, come qualcuno erroneamente pensa, che la Chiesa si occupi anche di denaro, cioè di come sostenere, pure economicamente, se stessa, la sua missione, le sue opere, i suoi sacerdoti, la sua carità. Molti di coloro che si scandalizzano basti che nella chiesa si parli di denaro in realtà non la amano (quando poi non si scandalizzano per enormi somme spese ad esempio per il calcio, v. sotto News del 14.07.2018) e forse persino vorrebbero la sua chiusura, cioè vorrebbero la Chiesa così povera che se non esistesse sarebbero ancora più contenti!Certo il denaro (lucro) non deve mai essere lo scopo (sarebbe il peccato di “simonia”) ma solo un mezzo per la propria missione.Persino la piccola comunità di Gesù e dei 12 Apostoli godeva dell’assistenza anche materiale di persone, anche donne facoltose (persino la moglie dell’amministratore di Erode – cfr. Lc 8,2-3)

Nella Chiesa Cattolica tale gestione economica può avere livelli centralizzati (in Vaticano stesso, v. la questione dell’Istituto per le Opere di Religione/IOR), anche per sostenere le missioni, oppure a livello nazionale (gestito dalle Conferenze Episcopali nazionali), diocesano (Chiesa locale) fino ad arrivare alla singola parrocchia.
A livello nazionale possono pure esistere in questo senso degli accordi tra lo Stato (che non è al di sopra dei cittadini e dei corpi intermedi ma il loro insieme e al loro servizio) e la Chiesa che vive in quello Stato (che non è quindi altro dallo Stato, in quanto la comunità civile comprende tutti i cittadini, dunque anche i Cattolici e quindi la Chiesa stessa; in certi casi quasi coincidendo anagraficamente con essa, come ad esempio in Italia, dove oltre il 90% della popolazione è battezzato nella Chiesa Cattolica e quindi è anagraficamente Chiesa Cattolica.
La situazione italiana è poi storicamente particolare, in quanto appunto centro della Cattolicità (la Sede di Pietro); è esistito fino a gran parte del XIX secolo addirittura uno Stato Pontificio, in cui cioè la massima autorità religiosa (il Papa) era anche la massima autorità politica. Tale Stato nacque quasi esclusivamente per donazioni, come del resto ovunque gran parte dei beni della Chiesa. Già con l’invasione di Napoleone (che osò persino sequestrare e portare in esilio il Papa) gran parte dei beni della Chiesa furono incamerati. Lo stesso avvenne durante il Risorgimento, con il progressivo avanzamento del Regno piemontese (che aboliva tutti gli ordini religiosi e incamerava tutti i beni della Chiesa), fino alla totale sottomissione dell’Italia, Roma compresa (v. in proposito nel sito il relativo Dossier e il documento). Quindi, dopo la ripresa dei rapporti (“Conciliazione”) tra Chiesa e Stato (1929) si trattava pure, da parte dello Stato usurpatore, di offrire un almeno simbolico risarcimento alla Chiesa per quanto le era stato rubato (dal palazzo del Quirinale, abitazione del Papa, fino all’ultima parrocchia o convento).
Inoltre, sia in tutta la storia della Chiesa che nel presente, le comunità cristiane hanno sempre posto in atto un tale impegno di carità e di aiuto alla popolazione (scuole, ospedali, comunità di recupero di tossicodipendenti, di aiuto per ammalati, poveri, rifugiati, emarginati), verso tutti i cittadini, peraltro senza distinzione di fede religiosa, a cominciare dai più bisognosi, ingente realtà di bene che se venisse meno lo Stato stesso non sarebbe in grado di far fronte ai bisogni (a cominciare dalle scuole) e ai problemi dei suoi stessi cittadini, nonostante le ingenti somme di cui dispone, tratte dal gettito fiscale di tutti i cittadini, cattolici compresi.
Comunque con la revisione del Concordato (1984), si è stipulata anche una nuova forma (in vigore dal 1985), volontaria per i cittadini, di sostentamento economico alla Chiesa Cattolica (e al clero), come pure nei confronti di altre comunità religiose e persino di volontariato. Nel concreto si tratta, per la gestione nazionale degli aiuti alla Chiesa (Istituto Centrale Sostentamento Clero), di una deducibilità dalle imposte per offerte fino a € 2000 e della possibilità (scelta di ogni contribuente al momento della Dichiarazione dei redditi) di destinare l’8×1000 del gettito fiscale globale per la Chiesa Cattolica (o anche per altre comunità religiose o associazioni o ancora allo Stato stesso), un importo che non costa nulla al singolo cittadino (perché comunque questa percentuale da parte dello Stato, e quindi di tutti i cittadini, è comunque devoluta in questo senso), ma che il singolo cittadino, con la sua firma, può liberamente decidere a chi destinarlo.

In altri paesi il sistema può essere diverso. Ad esempio in Germania, il singolo cittadino ha invece una tassa in più (“Kirchensteuer”), se vuole ad esempio destinarla alla Chiesa Cattolica, dichiarandosi appunto cattolico (mentre in Italia il cittadino che destina l’8×1000 alla Chiesa Cattolica non è che si dichiari cattolico). Com’è noto la situazione economica della Germania permette lauti ingressi economici alla Chiesa Cattolica tedesca (che pur essendo la metà di quella italiana riceve invece 5 volte tanto dallo Stato) (forse anche troppi, vista la scarsa presenza di cattolici praticanti, per cui in genere gli Uffici delle Curie Vescovili sono di fatto sovrabbondanti di addetti regolarmente ben stipendiati, anche se poi non vi corrisponde sempre una reale vita di fede); ma di fatto per il cittadino può risultare “sconveniente” dichiararsi cattolico. Ecco il motivo per cui molti decidono oggi di non dichiararsi più tali (e in questo caso allora i Vescovi si permettono di tuonare contro questi presunti apostati, minacciandoli persino di scomunica, quando invece sono in genere molto permissivi e relativisti su questioni di fede e di morale, che sono invece l’essenziale)!

Ebbene, qual è la situazione attuale in Italia?
In base alle libere scelte degli Italiani, che in stragrande maggioranza (il picco si è riscontrato nel 2005, con l’89,82% dei cittadini) dichiarano di voler destinare l’8×1000 (ricordiamo: si tratta non delle tasse del singolo cittadino, ma dell’intero gettito fiscale italiano) alla Chiesa Cattolica. Per questo lo Stato Italiano deve quindi alla Chiesa Cattolica circa 1 miliardo di euro all’anno (che la Chiesa destina, in base a bilanci resi pubblici, per il culto, per il sostentamento del clero e per le opere di carità nazionali e internazionali).
Dopo il picco del 2005 (l’89,82% dei cittadini italiani destinarono l’8×1000 alla Chiesa Cattolica), anno della morte di Giovanni Paolo II, nel 2013 (anno della rinuncia al pontificato di Benedetto XVI) la percentuale era già scesa all’80,91%. Nel 2014 (primo anno di pontificato di Francesco) segnò una timida risalita (81,23%), per poi calare vistosamente nel 2015 (81,09%), nel 2016 (79,94%), fino all’assoluto record negativo del 2017 (79,36%).
Questo per le cifre di denaro destinate. Per il numero di firme, invece, il massimo delle firme (cioè delle persone che destinarono l’8×1000 alla Chiesa Cattolica) fu raggiunto nel 2011, cioè durante il pontificato di Benedetto XVI (15.604.034 firme; solo durante gli 8 anni di pontificato di Benedetto XVI le firme furono sempre superiori ai 15 milioni, come non furono neppure sotto il pontificato di Giovanni Paolo II). Negli ultimi anni, invece, gli Italiani che hanno firmato per la Chiesa Cattolica sono strati: 14.437.694 nel 2015, 13.944.967 nel 2016 e 13.762.498 nel 2017 (quindi sempre in calo).

[Si noti invece che le firme per le Chiese valdesi e metodiste (che all’inizio di tale sistema fecero i puritani, rifiutandolo e accusando la Chiesa Cattolica di essere attaccata al denaro) sono oggi al 2° posto tra le varie denominazioni religiose nella ripartizione dell’8×1000, con un numero di firme 12 volte superiore alla loro reale presenza nel paese: 469.071 nel 2015, 523.504 nel 2016, 515.829 nel 2017. In continua crescita, in questi ultimi anni, è anche il numero delle firme a favore dell’Unione buddista italiana: 125.786 nel 2015, 173.023 nel 2016, 164.934 nel 2017, alle quali vanno aggiunte le 52.777 firme per i buddisti Soka Gakkai, entrati da quest’anno nella ripartizione. Chi invece assegna ancora allo Stato la ripartizione di questo 8×1000 sono: 2.493.431 nel 2015 (14,03% delle firme), 2.535.404 nel 2016 (14,54%), 2.576.882 nel 2017 (14,86%); quindi anch’esse in aumento].