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La catastrofe italiana (ed europea) della denatalità


Per l’Italia, anche quest’anno i dati forniti dall’Istat (Rapporto annuale 2019) confermano il dato allarmante della “recessione demografica”, cioè la diminuzione dei nati rispetto ai decessi e quindi la diminuzione cronica della popolazione, con il suo conseguente invecchiamento. È dal 1993 che in Italia il numero delle nascite non riesce più a compensare il numero dei decessi; ma la situazione precipita in particolare dal 2015 e non da cenni di ripresa. Tale dato anagrafico è paragonabile nella storia d’Italia solo al periodo 1917-1918, dove ovviamente ciò era dovuto alla catastrofe della Prima Guerra Mondiale e alla drammatica epidemia della cosiddetta “spagnola”, che decapitò la popolazione europea.

Le nascite sono passate da 576.000 nel 2008 a circa 450.000 nel 2018; ma il numero dei decessi, a causa dell’invecchiamento della popolazione (aumenta l’età media dei decessi, ma ovviamente la morte prima o poi arriva) ha conosciuto addirittura nel 2017 il record di 649.000 morti.

La popolazione italiana continua dunque a diminuire e ad invecchiare; e questo nonostante l’ingente e allarmante arrivo di migliaia e migliaia di migranti.

C’è pure il dato allarmante che il 45% delle donne tra i 18 e i 49 anni non ha ancora avuto figli.

Secondo un recente rapporto della “Fondazione Leone Moressa” l’Italia nel 2050 avrà il 17% in meno di popolazione e oltre il 35% dei cittadini avrà più di 65 anni.

Tutto ciò, in contrasto con quanto la quasi totalità degli italiani (più del 95%) ammette di riconoscere come “valore”, cioè l’importanza di avere una famiglia con dei figli.

I problemi economici e il cronico mancato sostegno politico, economico e fiscale alla famiglia e alla natalità, è certamente una delle cause di tale “recessione demografica”, ma non è la principale. Il problema principale è di mentalità, potremmo dire “culturale”, ma ancor più precisamente “spirituale”. Anche questi dati allarmanti sono infatti il segno della perdita dell’autentica “fede cattolica” del popolo italiano, cioè della vera obbedienza a Dio e al Suo progetto (la “volontà di Dio” – non tanto il “sogno” di Dio, come si usa dire oggi con un termine ambiguo, sentimentale e fuorviante). La procreazione è infatti una doverosa partecipazione, per chi ha la vocazione al matrimonio, alla creazione di Dio, che crea l’anima e quindi il soggetto di ogni uomo; per cui la decisione sulle “nascite” e sul loro numero deve esser responsabile, ma non arbitraria o secondo la mentalità mondana di turno, ma anzitutto in piena obbedienza a Dio e pure in totale fiducia nella Provvidenza (v. nel sito le domande 12-13-21 e specialmente 32 in Morale Sessuale o nell’aiuto a fare bene l’esame di coscienza per la Confessione, in riferimento al 6° comandamento).
Oltre alla questione immorale della contraccezione, c’è poi la terribile piaga dell’aborto, che in 40 anni dall’entrata in vigore della legge 194 ha permesso in Italia l’uccisione legale di 6 milioni di bambini!

Circa le questioni economiche è dunque in atto una sorta di “circolo vizioso”: il calo della natalità provoca un calo dell’economia (come molti autorevoli economisti oggi riconoscono); ma anche un calo dell’economia scoraggia la natalità, se l’apertura alla vita, quando recuperata culturalmente e spiritualmente, non è sostenuta anche da giuste politiche economiche e fiscali.

Come dimostrano le statistiche (e  anche un recente saggio pubblicato sulla rivista Population & Avenir dal demografo francese Gerard-Francois Dumont), salvo rarissime eccezioni, i Paesi che più spendono per sostenere la natalità registrano anche i maggiori tassi di fecondità.

Per l’Europa (specie la UE), Eurostat rileva per il 2017 i seguenti dati, anch’essi allarmanti: le nascite sono state 5.075.000 (2016: 5.148.000), con una media di 1,59 parti per donna (2016: 1,60). Così nelle singole Nazioni: Francia (1,90 parti per donna), Svezia (1,78), Irlanda (1,77), Danimarca (1,75) e Regno Unito (1,74). Al fondo della graduatoria Malta (1,26 nascite per donna), Spagna (1,31), Cipro e Italia (1,32), Grecia (1,35), Portogallo (1,38) e Lussemburgo (1,39).

Sale inoltre, in modo innaturale, l’età media delle donne che hanno il primo figlio: 29,1 anni (2013: 28,7). Le più giovani sono le mamme di Bulgaria, Romania e Lettonia (26-27 anni); le più anziane le mamme di Irlanda, Grecia, Spagna, Lussemburgo (30-31). L’Italia batte tutti con un’età media della mamma, per avere il primo figlio, oltre i 31 anni .

In quanto a figli per donna abbiamo i seguenti dati (dal 2008 al 2018): Francia (da 2 a 1,87), Svezia (da 1,91 a 1,75), Gran Bretagna (2018: 1,76, record negativo in 10 anni), Spagna (da 1,44 a 1,25) e Italia (1,32, dato negativo che prosegue da molti anni)

Nella UE entro il 2060 le persone tra i 15-64 anni caleranno dall’attuale 67% della popolazione al 56%; gli “anziani” saliranno invece dal 18% al 30%. Si dimezzerà cioè il numero delle persone in età produttiva rispetto ai pensionati (dagli attuali 4 per 1 ai 2 per 1); con l’evidente impossibilità di sostenere le spese previdenziali e sanitarie per essi (forse che anche la propaganda pro-eutanasia non abbia pure questo macabro sfondo?).
 

Senza un’inversione di tendenza, con questi dati nessuna economia (se vogliamo rimanere anche solo su questo piano) potrà sussistere ed ogni Stato precipiterà inesorabilmente verso il fallimento (default); nessun governo riuscirà a risolvere il problema e sostenere ad esempio le spese sanitarie, previdenziali, pensionistiche, se non con una decisa promozione della famiglia e della natalità. Che in Italia è stata sempre avversata e che tuttora tarda ancora ad essere adeguatamente attuata.