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Che “la rete”, che proprio in questi giorni celebra il suo 25° anniversario di utilizzo pubblico (prima era prerogativa militare), sia una enorme opportunità è fuor di discussione. È come avere il mondo in casa (o a spasso sui sistemi mobili), a portata di click.
Evidentemente è un’enorme opportunità anche per il male e la distruzione dell’uomo e della società (un esempio eclatante, di proporzioni mostruose anche se silenziose, è quello della pornografia, che non poco contribuisce alla distruzione delle coscienze, anche dalle più tenere età, e allo sviluppo di tutte le intemperanze per non dire deviazioni e persino perversioni delle pulsioni sessuali; con una ipocrisia sociale che poi fa finta di scandalizzarsi delle molestie e abusi sessuali, quando invece li promuove).
Dovrebbe però essere anche noto che la rete è proprio una “rete”, dove l’umanità può essere guidata, controllata e tenuta al guinzaglio (anche qua con l’ipocrisia sociale del presunto rispetto della privacy).
È ovvio che le forze dell’ordine (coi suoi rami specializzati in questo settore), come in Italia la Polizia Postale e delle Comunicazioni e la Magistratura, possano in questo modo sapere moltissime cose di noi, e persino sapere dove siamo, cosa scegliamo e che idee abbiamo, in base appunto alle scelte che facciamo in rete o alle nostre conversazioni.
Dovrebbe però essere altrettanto noto che il mondo commerciale è alle stesso modo in grado di conoscere, indirizzare, convogliare anche le nostre scelte di “mercato”. Ogni “app” nasconde anche un trucco: è un’offerta che vuole in cambio qualcosa da noi, anche a livello informativo.
Forse invece non tutti si accorgono che anche i grandi motori di ricerca (dalla Google in giù – il presidente di tale centro di potere di rete è accolto infatti nei diversi Paesi più che come un Capo si Stato) non siano affatto “neutrali”; e che anche i social network non sono semplicemente un carino modo di mantenere compagnie magari in modo solo virtuale, oppure quel paranoico modo di fare la telecronaca illustrata e inutile della propria e altrui vita, ma sono anche un guinzaglio, un modo appunto di registrare, catalogare, indirizzare e persino vendere le scelte delle persone.
Se uno non se ne fosse ancora ingenuamente accorto, ad aprire gli occhi ci ha pensato anche la recente vicenda della Facebook, con l’implicazione, persino legale e penale, del suo giovane ideatore, fondatore e Amministratore Delegato Mark Zuckerberg, che a partire da un gioco quasi da ragazzi per legare una compagnia di amici è non a caso diventato per questo uno degli uomini più ricchi del pianeta.
Ebbene, come sappiamo è emerso che il social network Facebook ha utilizzato in modo illecito milioni (!) di dati personali, influenzando persino le elezioni americane del 2016 e il referendum inglese sulla Brexit. È così emerso il cosiddetto “scandalo di Cambridge Analytica”, che ha cominciato a far luce su come e quanto siamo manipolati quotidianamente in virtù dei dati che circolano in rete sulla nostra persona, appunto attraverso Facebook.
Zuckerberg è stato addirittura chiamato a testimoniare al Congresso americano ed è già stato annunciato che sarà convocato anche in Europa, dal momento che lo scandalo ha dimensioni mondiali. Ne sono seguite da parte sua sentite “scuse”, che ovviamente non risolvono nulla del problema, ma semmai lo rendono ancor più manifesto.
C’è però qualcosa che è emerso in questa sconcertante vicenda, che riguarda non solo i centri di potere ma centinaia di milioni di persone (!), che pochi sanno: Facebook compiva una censura su molti dati “cattolici”! Interrogato dal senatore Ted Cruz, del Congresso USA, in merito a pregiudizi e censure in ambito religioso, Zuckerberg ha ammesso che Facebook «ha bloccato dozzine di pagine cattoliche», dopo aver stabilito che i loro contenuti non erano «sicuri per la comunità». Lo stesso non è successo invece per pagine che al contrario portano avanti il tema dell’aborto, come quelle di Planned Parenthood, oppure di MoveOn.org (gruppo neocon ferocemente anticattolico,  che a suo tempo fece persino una feroce campagna contro Papa Benedetto XVI, accusato di coprire i preti pedofili). È emerso inoltre che già nel luglio 2017 avesse bloccato 25 pagine cattoliche in inglese e portoghese (poi Facebook si scusò, dicendo che l’errore era dovuto a un malfunzionamento piuttosto che a un intento malevolo). All’inizio di quest’anno, un altro gruppo cattolico ha affermato di aver riscontrato «ritardi critici nell’approvazione del suo contenuto di raccolta fondi a sostegno delle “vocazioni” durante il periodo natalizio».
Infine, pressato dalle domande, Zuckerberg è arrivato ad affermare che «Facebook e l’industria tecnologica si trovano nella Silicon Valley, che è un luogo estremamente incline alla sinistra», ma che il suo personale impegno è quello di «fare in modo di non avere pregiudizi».
Di fatto, anche lo scandalo “Cambridge Analytica” ha fatto emergere che l’emarginazione, se non addirittura persecuzione, anticattolica (come quella pro-life) cammina non solo nel mondo reale ma anche su quello virtuale. Un così grande potere, come quello della rete, poteva esserne esente?
Però la rete è comunque più libera, permette anche di sottrarsi alle pressioni dei media, persino di orientare l’opinione pubblica in modo diverso da come i grandi poteri occulti vorrebbero e i grandi giornali diffondono. Certi poteri forti scricchiolano anche sotto le possibilità di comunicare offerta da internet (e infatti ad esempio la Cina cerca sempre di oscurare quei siti liberi che non gradisce) o nascono al di là delle previsioni e pressioni dei grandi giornali e televisioni (come forse proprio anche il caso delle elezioni USA dimostra; per non parlare del caso nostrano del Movimento5stelle).