Anche nel corso del 2018 è aumentato il numero dei “martiri” cristiani cattolici (3.066 cristiani uccisi, 15.540 chiese e proprietà attaccate, 215 milioni i cristiani perseguitati nel mondo).
I “missionari” uccisi nel 2018 sono stati 40 (quasi il doppio rispetto ai 23 del 2017); 35 di essi erano sacerdoti (solo in Africa, continente passato al primo posto in questa tragica ma gloriosa classifica, sono stati uccisi 19 sacerdoti, un seminarista, una laica; ma è il continente dove il cristianesimo, nonostante la diffusione dell’islam che è talora anche molto violento, il cristianesimo cresce in modo più forte) (rapporto Agenzia Fides delle Pontificie Opere Missionarie).
La fede cristiana rimane dunque quella più perseguitata della storia e del presente. Ma non cessa di espandersi, come sempre, anche a motivo di questo sangue versato per Cristo (come diceva Tertulliano: “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”).
Ecco alcuni esempi, tra i tanti.
In Pakistan, Paese a maggioranza musulmana, da 15 anni la legge sulla “blasfemia” permette di essere condannati a morte anche solo se due testimoni si accordano per accusare un cristiano di aver detto parole oltraggiose o non rispettose nei confronti di Maometto o comunque di non credere nel Profeta (v. il celebre caso di Asia Bibi). Ma si giunge fin da ragazzi ad essere ammazzati persino dai propri compagni di scuola perché cristiani. È ad esempio la storia di Sharon Masih, adolescente cristiano che frequentava la scuola superiore a Burewala, nel Punjab meridionale: in quanto apertamente cristiano, è stato recentemente preso a calci e pugni dai suoi compagni, fino al punto da ucciderlo. Ma da dove nasce questa violenza, spesso tollerata anche dalle forze dell’ordine? Anjum James Paul, presidente della Pakistan Minorities Teachers’ Association, ci ricorda che “la violenza inizia tra i banchi di scuola perché i libri di testo usati fin dalle scuole primarie instillano negli allievi odio e intolleranza verso i non musulmani”.
Altri esempi di martiri d’oggi. In Nigeria (nello stato di Benue, che divide il nord a preponderanza musulmana dal sud cristiano) nel villaggio di Mbalom, due sacerdoti cattolici nigeriani, don Joseph Gor e don Felix Tyolaha, sono stati uccisi da parte di pastori jihadisti fulani, mentre celebravano la S. Messa delle 5.30 del mattino, con numerosi fedeli presenti, di cui 17 sono rimasti uccisi. Dopo aver compiuto questa strage in chiesa, gli autori dell’attacco sono entrati nel villaggio e hanno raso al suolo 60 case.
A Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana (dove il Papa inaugurò per tutto il mondo il Giubileo della Misericordia), un gruppo armato ha assalito la chiesa cattolica durante la S. Messa ed hanno ucciso il sacerdote centrafricano di 71 anni, don Albert Toungoumale-Baba.
Anche le cattolicissime Filippine hanno avuto nel 2018 tre sacerdoti uccisi.
Così in Messico, due sacerdoti cattolici (don Ivan Jaimes e don Germain Muniz Garcia) sono stati assassinati in un agguato lungo la strada tra Taxco e Iguala, dopo aver appena celebrato la festa della Vergine della Candelora. Anche don Juan Miguel García, sacerdote cattolico di soli 33 anni, è stato ucciso al termine della S. Messa (era stato da poco inviato in quella parrocchia, in sostituzione del parroco precedente, a sua volta già minacciato di morte).
In Vietnam, a Ho Chi Minh City, molte case di cattolici (di proprietà di un ente cattolico) sono state espropriate e distrutte; 100 famiglie sono rimaste senza abitazione ed hanno protestato ma anche pregato pubblicamente per ottenere giustizia; 10 sono stati arrestati. Gli espropri e le occupazioni forzate, da parte delle autorità comuniste, di terreni e proprietà che appartengono di diritto alla Chiesa sono un fenomeno diffuso in tutto il Paese. Due mesi fa ad Hanoi il governo ha aperto un cantiere edile presso un terreno che appartiene all’arcidiocesi. Il monastero benedettino di Thiên An Huế, nella provincia di Thừa Thiên-Huế, da anni è al centro di una dolorosa disputa con il regime, che ne rivendica la proprietà.

Invece grazie a Dio, s’è potuto celebrare il recente Natale con relativa maggior tranquillità nella tormentata Siria (a Damasco e ad Aleppo), dove comunque i cristiani oggi sarebbero 750.000 (7 anni fa erano 2 milioni! – solo ad Aleppo prima della guerra i cristiani erano 150.000, ora sono 30.000, come testimonia il nunzio apostolico a Damasco, il neo-cardinale Mario Zenari); in Egitto (che pur ha avuto una lunga scia di attentati contro i cristiani), in Afghanistan (dove i cristiani sono un’irrisoria percentuale in una realtà quasi totalmente islamica e che per anni è stata dominata dall’estremismo talebano) e nel nord dell’Iraq (dove regnava sino a poco fa l’ISIS, le case dei cristiani venivano marchiate con la “N” di nazareno come simbolo d’infamia, i cimiteri venivano devastati, le croci divelte, gli antichissimi monasteri dove si pregava in aramaico rasi al suolo – eppure sono tornati a vivere, come il monastero di Mar Benham, poco lontano da Mosul: violato dalle orde jihadiste del Califfato, per la prima volta pochi giorni fa è tornato a ospitare la S. Messa).