Abbiamo visto nei giorni scorse le trionfali accoglienze riservate al Presidente della Repubblica popolare cinese e Segretario del Partito Comunista Cinese Xi Jinping, sia in Italia che in Francia. Di fronte alla potenza commerciale cinese, costruita in gran parte su condizioni di lavoro di decine di milioni di persone che rasentano spesso la schiavitù, tutti si sono prostrati, firmando accordi commerciali da capogiro, che non sono certo una beneficienza cinese all’Europa. Quasi nessuno però che abbia parlato del totale disprezzo dei fondamentali diritti umani in Cina, a cominciare dalla libertà religiosa. Visita di Stato – accolto quasi come un imperatore – nella città, Roma, che è il centro della cristianità o quantomeno della Chiesa Cattolica; ma il Presidente cinese, nonostante il recente accordo segreto tra Cina e Vaticano (che non migliora affatto le condizioni dei cristiani in Cina, anzi si è inasprito il terrore contro chi non si adegua alla Chiesa ufficiale “patriottica” obbediente al Partito comunista) ha totalmente ignorato il Vaticano e il Papa. E anche il Quirinale si è ben guardato di invitare qualsiasi “monsignore” agli incontri e persino ai ricevimenti di gala, dove pure erano presenti persino rappresentanti della cultura e dello spettacolo.
Ebbene, ancora ieri (28.03.2019) in Cina è stato arrestato dalla polizia Mons. Agostino Cui Tai, vescovo “sotterraneo” di Xuanhua (Hebei), riconosciuto dalla Santa Sede ma non dal governo, insieme col suo vicario episcopale, p. Zhang Jianlin. Ciò è avvenuto anche per la collaborazione di un sacerdote-spia, p. Zhang Li, interdetto dal ministero ma obbediente al Partito, che lo ha accusato di “non seguire le indicazioni del Vaticano”! È dal 2007 che mons Cui Tai subisce di continuo detenzioni o è messo agli arresti domiciliari, “in modo pressoché continuativo, senza alcuna ragione e senza alcun processo giuridico. Durante questi anni, il vescovo è stato spesso rinchiuso in diversi centri di detenzione segreti, o in alberghi, oppure portato via per “viaggi” forzati sotto la scorta dei funzionari del governo. In questi anni, solo durante il Capodanno cinese e la Festa di Metà autunno (della luna) mons. Cui Tai è potuto occasionalmente tornare a casa per una breve visita alla sorella anziana. Per il resto del tempo egli è sempre rimasto sotto la guardia e il controllo del governo”. “La diocesi di Xuanhua è stata fondata dalla Santa Sede fin dal 1946, ma nel 1980 il governo ha costituito la diocesi ufficiale di Zhangjiakou, unendo ad essa quella di Xuanhua e di Xiwanzi. La diocesi di Zhangjiakou non è riconosciuta dalla Santa Sede”. [fonte: AsiaNews, 29/03/2019]

A proposito di diritti umani in Cina. Come si vive in un carcere cinese? Umiliazioni, lavori forzati, torture. È quello ad esempio che ha dovuto subire per sette anni e sette mesi Robert Rother, cittadino tedesco, accusato di presunti o reali reati finanziari e condannato a otto anni di carcere da trascorrere nella prigione di Dongguan. Il 20.05.2011, mentre si trovava in un bar di Shenzhen, è stato portato via da due poliziotti e interrogato solo dopo 19 ore, durante le quali gli è stato impedito di dormire. Rinchiuso in una cella del centro di detenzione di Shenzhen numero 3, per mesi la polizia ha cercato di estorcergli una confessione, spiegandogli che altrimenti avrebbe potuto ricevere la pena di morte e millantando false testimonianze contro di lui mai raccolte. Dopo la condanna, è stato portato nella prigione di Dongguan, dove il suo nome è stato tradotto in cinese (Luozi Luobote) ed è diventato il prigioniero numero 27614. Ogni volta che aveva bisogno di parlare a una guardia doveva stringere il pugno, alzare il braccio destro e dire: «Onorevole guardia, sono il prigioniero Luozi Luobote». Poi doveva inginocchiarsi ed esporre la sua richiesta. Il primo mese lo ha passato in una cella destinata a 18 prigionieri, nella quale però dormivano in 40. Il bagno era semplicemente un buco nel pavimento, dal quale saliva giorno e notte il tanfo degli escrementi, che saturava l’aria afosa dell’estate. Per sua fortuna, soffriva di pressione alta e così gli hanno dato un letto da condividere con una sola persona. Le giornate di Rother passavano sempre uguali: sveglia alle 5,30 e una ciotola di riso e verdure per colazione. Poi, alle 6,50, i detenuti dovevano marciare in fila fino alla fabbrica che si trovava nell’edificio numero 6, all’interno del perimetro della prigione, per lavorare. Chi non seguiva il ritmo o camminava troppo lentamente veniva picchiato dalle guardie. Comunque, in quanto europeo, è stato trattato meno duramente di altri detenuti. È uscito dal carcere il 19.12.2018, raccontando questa sua esperienza di detenuto.
[fonte: Tempi, 12.03.2019]