Chiesa, nazismo ed Ebrei

Tra i pregiudizi storici anticattolici (vedi tra i dossier e vedi in altri documenti o vedi in Archivio), ampiamente diffusi da una certa imperante cultura contemporanea, sempre tesa a denigrare e distruggere la Chiesa (e con ciò la vera fede e dunque il destino eterno delle anime), c’è pure quello, particolarmente odioso, dei presunti “silenzi” (se non perfino connivenza) del Papa Pio XII nei confronti del nazismo e soprattutto della tragedia della Shoah ebraica.
Anche questo infamante “mito” anticattolico, questa nuova “leggenda nera”, in realtà è sorto postumo rispetto ai fatti storici cui si riferisce ed è ampiamente contraddetta da un seria e documentata ricerca storica.
Vediamo di portare qui qualche lume in merito, spaziando anche su questioni ad esso collegate, come le feroci dittature del XX secolo, la questione del popolo ebraico e l’antisemitismo.
Indice
Parte prima – Il nazismo
(nazionalsocialismo)
Premessa
Lo scatenamento del male nella prima metà del sec. XX
Sarebbe doveroso, a livello di una più profonda indagine storica e ancor più in un superiore sguardo di fede, cercare di scorgere nel divenire storico, non tanto il manifestarsi (fenomenologia) di un sempre contraddittorio Spirito assoluto, come vorrebbe il pensiero di Hegel, ma il duro scontro tra il “mysterium iniquitatis” e il “mysterium pietatis”, cioè tra l’opera del male e di Satana stesso e il progressivo manifestarsi del Regno di Dio. Tale Regno divino ha già fatto piena irruzione nella storia in Cristo ma prevede ancora un duro scontro, nelle nostre stesse anime come nel grande processo storico, fino alla fine del mondo, quando ci sarà il pieno trionfo di Cristo Signore e dei suoi seguaci e la cacciata definitiva di Satana, dei suoi angeli e dei suoi seguaci nell’inferno eterno (vedi).
Può però accadere che in determinati periodi storici il mistero del male e appunto l’opera di Satana si manifesti con particolare virulenza, quasi da far credere alla sua ormai irresistibile e invincibile potenza. In realtà poi Dio, nei suoi misteriosi disegni, dice “basta!” e il grande potere del male è quasi costretto a crollare improvvisamente su se stesso.
Senza dubbio, al di là dei progressi scientifici e tecnici, la prima metà del sec. XX ha rappresentato proprio, con le sue ideologie e dittature e perfino con due Guerre Mondiali, uno scatenamento del male talmente vasto e feroce da non avere precedenti nella storia dell’umanità!
Ma appunto, come ricordò Giovanni Paolo II nel suo ultimo libro (Memoria e identità, Rizzoli 2005), Pontefice che nella sua stessa persona sperimentò da polacco sia la ferocia del nazismo e della guerra che l’oppressione dell’imposto regime comunista, poi Dio dice “basta!”: il nazismo, dopo soli 12 anni (1933-1945), cadde in fondo vittima del suo stesso delirio d’onnipotenza, e così fece il comunismo, quando dopo poco più di 70 anni (1917-1989) rovinò improvvisamente su se stesso nel novembre del 1989 fino a tramontare definitivamente (nell’Est-Europa) il 25.12.1991.
A ben vedere, però, il male, se talora sorprende, in genere affonda le proprie radici, menzogne e tentazioni anche in lunghi periodi e in premesse lontane. Questo sia nel singolo uomo come nel più ampio divenire storico. E, contrariamente all’apparenza, più che dei singoli fatti, che pure svolgono spesso un potere detonatore, la radice del male è proprio nel mondo delle idee, cioè nelle menti e nelle coscienze.
Talora ciò avviene anche nella nostra vicenda personale, dove ad esempio un cambiamento o una caduta anche apparentemente improvvisi, specie in gioventù, a ben vedere sono stati lentamente preparati da un lungo retroterra, dove l’errore e il male si sono insinuati, fin però poi ad esplodere in tutta la loro virulenza, non appena se ne è presentata l’occasione propizia. Tra l’altro Satana è un maestro in quest’arte di seduzione, all’inizio apparentemente innocua e persino allettante, per poi appunto esplodere a suo tempo in tutto il suo potere deflagrante e distruttivo.
Ideologie anti-cristiche, eredi della Modernità
Ebbene, anche quanto esploso nella prima metà del XX secolo, cioè quando due ideologie sostanzialmente atee e anti-cristiche, apparentemente opposte, come il nazismo e il comunismo, hanno generato in poco tempo due immensi poteri politici e dittature, fino a condurre l’umanità non solo in atroci sofferenze e in immani follie suicide ma addirittura in due guerre mondiali, trova appunto le proprie radici in un unico ceppo filosofico, che spesso si fa risalire soprattutto al pensiero di Hegel. In realtà tali radici filosofiche, ideologiche e politiche, sono emerse da un terreno culturale ancora più lontano e profondo, appunto fondamentalmente ostile alla vera fede cristiana cattolica, rappresentato dall’Illuminismo e dalla cosiddetta Modernità (vedi il dossier a ciò dedicato) (cfr. Bauman Zygmunt, Modernità e Olocausto, Il Mulino 1992).
Potremmo allargare ulteriormente l’orizzonte di questo panorama storico e culturale, per scorgere che quanto vissuto nel sec. XX (ma che è in atto pure oggi, anche se in modo finora più silenzioso) chiude una parabola di 5 secoli. Infatti dal sec. XVI l’Occidente ha progressivamente perso da un lato la più autentica base filosofica, cioè la “metafisica” – col progressivo predominio delle filosofie del divenire sulle quelle dell’essere (e le sue certezze incontrovertibili), fino addirittura a negare ogni oggettività, persino il principio stesso di non-contraddizione, dunque la base stessa della razionalità – e dall’altro la perdita dell’autentica fede cristiana cattolica, una radicale deformazione della fede già esplosa con la cosiddetta Riforma protestante (che non a caso ha avuto il suo centro proprio in Germania), che negli ultimi decenni si è pericolosamente insinuata pure all’interno della stessa Chiesa Cattolica, fino all’attuale pressoché totale apostasia dell’Europa occidentale. Si tratta di una lunga “parabola storica” che, abbandonata la “luminosa” sintesi emersa nel Medioevo (vedi) tra i vertici della sophia greca e l’assoluta novità della fede cristiana (vedi), ci ha progressivamente condotto, nonostante l’indubitabile progresso scientifico, tecnico ed economico, attraverso filosofie e ideologie solo apparentemente contrapposte, al nichilismo contemporaneo.
Potremmo leggere tale parabola storica nell’ottica della celebre parabola evangelica del cosiddetto “figliol prodigo” (cfr. Lc 15,11-24), in cui la presunta autonomia dal padre s’è alla fine risolta nel pascolare porci e desiderare solo le carrube. E allora capiremmo più in profondità anche le vicende storiche del sec. XX e pure quelle attuali, di civiltà oltre che esistenziali.
Sotto questo aspetto, comunismo e nazismo, pur apparentemente antitetici, in realtà nascono da un terreno culturale, filosofico e ideologico comune. Non a caso il nome autentico del nazismo è “nazionalsocialismo” (nonostante il comprensibile pudore di chiamarlo così specie da parte delle forze politiche di origine marxista e nonostante che Hitler stesso si opponesse al comunismo).
Al di là dunque di un’apparente contrapposizione, sia il nazismo (e in Italia, il fascismo: non a caso anche Mussolini venne dalle fila socialiste) che il comunismo hanno una comune radice, illuminista, antimetafisica, anticristiana e a ben vedere radicalmente atea, oltre che pagana e prometeica.
Per usare un’immagine, potremmo parlare delle due rive opposte però di un unico fiume, che poi va inesorabilmente a sfociare nel mare del nulla, cioè nel nichilismo contemporaneo.
Già nel sec. XIX lo sguardo diabolicamente lucido e profetico di Nietzsche – autore non a caso tanto amato dal nazismo e dal fascismo, ma oggi anche dalla sinistra ex-marxista e dalla diffusa mentalità radicale e ultra-libertaria – aveva dato all’Europa al massimo solo due secoli di vita, per poi ritrovarsi appunto nel più buio, drastico e persino insuperabile nichilismo (vedi).
In realtà, proprio la non sistematicità del pensiero nietzschiano, e il suo esprimersi in genere per aforismi se non addirittura per poesie e parabole, ha fatto sì che al pensiero di Nietzsche si siano attaccate tutte le ideologie, anche politiche, tanto di destra come di sinistra [su Nietzsche vedi in Archivio il riferimento ai miei due libri: A. Cecchini, Il divenire innocente (vedi) e Oltre il Nulla (vedi)]
Fu certo facile per il nazismo (e in Italia per il fascismo) trovare in Nietzsche dei riferimenti per la propria ideologia e per le proprie drammatiche scelte politiche: basterebbe pensare ad una lettura distorta ma assai diffusa di ciò che Nietzsche affermò ad esempio sull’auspicato e profetizzato “Übermensch” (super-uomo, ma da tradursi più correttamente con “oltre-uomo“, perché di questo Nietzsche vuole parlare, quindi non in senso prometeico come invece spesso si intende) o di certi suoi proclami sulla “morale dei forti”, da contrapporre alla cristiana “morale dei deboli”, o ancora al suo viscerale anticristianesimo (si definì egli stesso Anticristo e così intitola una sua opera), ma anche alle innegabili invettive “antisemite”, anche se in realtà Nietzsche si oppone all’ebraismo più per questioni religiose (l’ebraismo come “religione dei deboli” e “della vendetta”, secondo lui poi trasmessa e universalizzata dal cristianesimo) che razziali; tanto più che Nietzsche, peraltro figlio di un pastore protestante, è assai critico appunto anche nei confronti degli Europei, plasmati dal cristianesimo, ma ormai galleggianti sul nulla, coperto da falsi e sempre provvisori ideali.
Al di là della particolare situazione storica creatasi in Europa dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e al di là dell’orgoglio tipicamente tedesco (e relative frustrazioni), oltre appunto alle comuni ed erronee radici filosofiche, ci si potrebbe poi persino chiedere se sarebbe mai stato possibile il nazismo se dal 1917 il comunismo non avesse preso così radicalmente campo in Russia (vedi), come sistema politico, economico e culturale di tipo dittatoriale, ma anche influenzando il pensiero sociale di molti Paesi anche dell’Europa occidentale (a cominciare dall’Italia), fino poi ad espandersi pure come forma di governo in ampie regioni del mondo (vedi). Non è peraltro difficile infatti osservare, nonostante appunto il nome iniziale e le comuni radici, che non pochi all’inizio, persino nella Chiesa (che nel comunismo sperimentava progressivamente non solo un sistema radicalmente ateo ma pure una delle più feroci persecuzioni subite nella sua storia), potessero vedere nel nazismo (e in Italia nel fascismo) un muro di difesa appunto nei confronti dell’avanzata del comunismo.
Circa poi la questione del feroce se non diabolico antisemitismo sollevato e follemente perseguito dal nazismo, si dovrebbe ugualmente osservare, anche se molti lo censurano, che proprio nell’Illuminismo e nella Modernità emerge un palese razzismo (promosso già da Voltaire vedi), pure platealmente predicato e perseguito, così da emergere persino con disinvoltura negli alti ambienti sociali, filosofici e persino scientifici, soprattutto nell’Inghilterra del sec. XIX: lo si trova ad esempio chiaramente in Darwin (vedi, sì proprio il padre del tanto incensato “evoluzionismo”), come pure in Malthus, il celebre predicatore della riduzione forzata della popolazione mondiale e considerato un padre della sociologia (vedi nel dossier sull’Anglicanesimo).
Pur essendo un personaggio sconvolgente, e forse persino indemoniato, Adolf Hitler non è sorto dunque totalmente come un fungo o un alieno (burattino e burattinaio, come ad esempio lo presenta Chaplin nel film “Il grande dittatore”). Come afferma J. Fest, uno dei più grandi e attendibili studiosi di Hitler, anch’egli fu “il frutto delle ideologie della modernità”: si pensi all’illuminismo anticristiano, alla rivoluzione francese, all’evoluzionismo di Darwin (base del razzismo biologico), all’anticristianesimo di Nietzsche, persino al mito del suffragio universale (il culto della verità della maggioranza, qualunque essa sia; perché in fondo anche Hitler ebbe la maggioranza dei voti in democratiche elezioni tedesche); Hitler non inventò neppure l’antisemitismo, ma riuscì a portarlo al potere.
Adolf Hitler
Adolf Hitler nacque a Braunau am Inn, in territorio austriaco, il 20.04.1889 e fu battezzato nella Chiesa cattolica, come si era soliti fare in quelle terre rimaste fortemente cattoliche anche dopo la Riforma protestante. Secondo qualche storico, avrebbe avuto paradossalmente antenati ebrei.
Il padre deve essere stato autoritario se non persino violento nei suoi confronti. Comunque rimase orfano dei genitori molto presto, così che a 19 anni (1908) andò a vivere solo a Vienna, in un povero ostello (secondo J. Guitton “l’asilo dei poveri di Vienna”), godendo di una misera “pensione da orfano” e racimolando qualche soldo dipingendo e vendendo cartoline da lui illustrate. Visse dunque quegli anni della prima gioventù ai margini della società, sostanzialmente povero e isolato, senza affetti, in pratica come un emarginato se non già come un fallito. In quella società viennese, sentiva poi una sorta di repulsione per il ricco ceto ebraico presente in città e cominciò già a coltivare, leggendo anche libri appositi, una sorta di antisemitismo, unito pure ad uno spirito avverso alla Chiesa, e a nutrire invece un’attrazione per lo “spirito tedesco”.
Così nel 1913 si trasferì in Germania, a Monaco (Baviera); ottenne però la cittadinanza tedesca solo nel 1932! Continuava intanto ad evidenziare una personalità contorta, introversa, talora persino in preda ad esaurimenti nervosi, senza amici o legami affettivi con le ragazze, legato solo al suo cane (che aveva trovato randagio, in fondo come lui), con cui mantenne un affetto perenne [ciò dovrebbe pure evidenziare come sotto un certo “animalismo”, oggi peraltro imperante, non si nasconda affatto una forte sensibilità umana, ma talvolta persino una sorta di “odio per l’uomo” (del resto espresso perfino nello Statuto del WWF, vedi nel dossier sull’Ecologismo)].
Pare che fin da allora fosse ossessionato da quelli che considerava nemici della Germania e dello spirito tedesco (e della razza ariana): cioè gli ebrei e i comunisti (che nel 1917 andarono invece al potere in Russia), poi vi aggiunse anche i cattolici e in fondo i cristiani in genere (cioè le “religioni dei deboli”, come si era espresso già Nietzsche).
Essendo ancora pressoché disoccupato, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si arruolò come volontario nell’esercito bavarese. Fu allora, in quell’ambiente militare, che, a fronte della sua fragilità psicologica, cominciarono invece misteriosamente ad emergere le sue doti di capo e la sua determinazione. Come poi vedremo, c’è chi sospetta (ma è ben più che un sospetto, come appunto vedremo) che il suo progressivo e irresistibile fascino esercitato sui sudditi, fino al punto da non poter psicologicamente resistere ai suoi richiami o di poter controbattere ai suoi comandi, e soprattutto l’improvvisa, inarrestabile e umanamente inspiegabile ascesa al potere, fino al punto che è a tutti noto, nascondesse un vero e proprio patto stretto con Satana, fino al punto di diventarne strumento! Vedremo tra poco come ne fosse convinto lo stesso Pio XII.
Tornato dalla guerra e trovandosi ancora disoccupato, senza alcun titolo di studio o qualifica professionale, decise di entrare in “politica”. Entrò a far parte del Partito dei Lavoratori Tedeschi, che dal 1920 si chiamò Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP), poi chiamato semplicemente “nazionalsocialista” e infine sintetizzato in “nazista”. [Nonostante il riferimento nominale al “socialismo”, non ci fu affatto in tal partito, tanto meno in Hitler, alcuna simpatia per il socialismo o il comunismo, sistema che considerava ostile al popolo e allo stesso “spirito tedesco”; il NSDAP fu semmai più incline al sistema capitalista, tanto più che poi arrivarono al Partito e ad Hitler stesso non pochi finanziamenti da parte di importanti vertici del mondo economico tedesco, timoroso dell’avanzamento del comunismo, già al potere in Russia, e che vedevano quindi nel NSDAP una sorta di possibile barriera anticomunista]
Nel 1921 Hitler era già il leader del NSDAP, che già nel 1932 sarebbe diventato il più grande partito tedesco! Così Hitler divenne sempre più, anche nell’immaginario non solo politico ma sociale, “il Capo”, “la Guida” (in tedesco il Führer). Egli non perse tempo e insieme alla sua vertiginosa ascesa politica, provvide pure, forte del suo irresistibile ascendente sui sudditi, a crearsi delle proprie formazioni paramilitari naziste: la Hitlerjugend (Gioventù di Hitler) e le SA (Sturmabteilungen), cioè il reparto d’assalto (per la propaganda nazista), di cui poi fece parte il reparto speciale di difesa di Hitler, le SS (Saal-Schutz poi SchutzStaffel, cioè Schiere di protezione).
La vertiginosa e rapida ascesa politica del Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP) e del suo leader Adolf Hitler ha dell’inquietante, come abbiamo sopra accennato; ma è certamente pure da collegarsi con la particolare situazione in cui si trovava la Germania, usciva frustrata e impoverita dalla Prima Guerra Mondiale. L’umanamente inspiegabile, data la situazione personale sopra ricordata, capacità oratoria e forza di attrazione esercitata da Hitler, che ridestava tutto l’orgoglio tedesco e prometteva concretamente la risurrezione del Reich e persino il suo ruolo e la sua missione nel mondo, infiammavano progressivamente le folle e faceva schizzare politicamente il consenso popolare. Non possiamo però sottacere anche la pressione esercitata, certo pure con forza fisica oltre che propagandistica, dalle truppe messe in campo da Hitler, appunto la Hitlerjugend, le SA e poi SS, sopra menzionate. C’erano tutte le premesse per diventare una dittatura, sia pur democraticamente eletta.
L’arcivescovo mons. Eugenio Pacelli fu Nunzio Apostolico, prima in Baviera (1917-1920) e poi a Berlino (1920-1929). Era quindi diretto e profondo conoscitore della situazione ecclesiale, sociale e politica della Germania (anche della lingua). Prima di lasciare la Germania, egli disse testualmente: “Hitler è completamente invasato; tutto ciò che non gli serve lo distrugge; tutto ciò che dice e scrive porta il marchio del suo egocentrismo; quest’uomo è capace di calpestare i cadaveri, di eliminare tutto ciò che gli è di ostacolo. Perché in Germania non leggono e capiscono ciò che scrive nel suo raccapricciante Mein Kampf?” [Pacelli fu poi Cardinale Segretario di Stato Vaticano dal 1930 al 1939 e divenne Papa (Pio XII) il 2.03.1939. Morì il 9.10.1958].
Si arrivò così alle elezioni politiche tedesche del 30.01.1933, dove il NSDAP (ormai noto come Partito nazista) ottenne il 33% dei voti dei Tedeschi, guadagnando in tal modo 196 dei 584 seggi disponibili. Non è dunque vero che ottenne la maggioranza assoluta, ma certo il NSDAP già nel 1933 era il primo partito della Germania! Esso ottenne un forte consenso soprattutto nei Länder (regioni) centrali della Germania, a maggioranza protestante. Invece non ricevette il voto dei Cattolici tedeschi, che, secondo le indicazioni date dai Vescovi stessi, votarono invece per il Zentrum. Infatti nei Länder tedeschi a maggioranza cattolica (1/3 della Nazione) Hitler non riuscì a decollare, neppure in Baviera (Monaco), che pur era la sua nuova patria e dove più era conosciuto, in Westfalia (Münster), come pure a Colonia-Aachen (Aquisgrana) ed a Koblenz-Trier (Treviri).
L’episcopato tedesco rifiutò infatti apertamente e immediatamente il programma del “nazionalsocialismo” (nazismo), specialmente per la sua idolatria del Folk (popolo-razza), col conseguente razzismo. La Chiesa Cattolica aveva infatti messo subito all’Indice i libri di Alfred Rosenberg, filosofo e ideologo del razzismo tedesco. Famosa fu ad esempio l’opposizione del Vescovo di Magonza; così come quella del cardinale di Breslavia Bertram, che negò i funerali religiosi al deputato cattolico Gemeinder per essere stato sostenitore di Hitler.
Dato il risultato ottenuto, il Capo dello Stato (Paul von Hindenburg), nominò Adolf Hitler Capo del Governo, cioè Cancelliere del Reich (della Repubblica di Weimar, cioè dell’intera Germania).
Hitler aveva solo 44 anni; e, come abbiamo visto, solo 20 anni prima era una sorta di “barbone”, senza istruzione, che viveva in povertà e ai margini della società!
Quasi nessuno avvertì tale scelta come un pericolo per la democrazia. Si pensò che la scelta di affidare il Governo a Hitler fosse un’innocua e provvisoria soluzione alla situazione politica di stallo di quel momento difficile per la Germania. Solo la Chiesa Cattolica si accorgeva invece di ciò che stava per avvenire!
Fu di fatto l’inizio di quella feroce dittatura, che infiammò certo l’orgoglio tedesco e in pochissimo tempo diede alla Germania (Terzo Reich) l’impressione e l’illusione di diventare il nuovo “padrone del mondo”; ma che invece trascinò in poco tempo l’Europa e poi il mondo intero, con la II Guerra Mondiale, nell’abisso di terribili sofferenze, violenze, fino a contare decine di milioni di morti; un orrore da cui la Germania stessa uscì nel 1945 non solo vinta ma praticamente distrutta!
Dopo quella prima vittoria Hitler, appena nominato Primo Ministro, cioè Cancelliere del Reich (dell’intera Germania), per consolidare ulteriormente il proprio potere, indisse subito nuove elezioni per il 5.03.1933.
In tali elezioni del 5.03.1933, che furono poi le ultime elezioni tedesche fino al tracollo del 1945, Hitler ottenne il 44% dei voti e una posizione predominante in Parlamento. Ciò provocò la fine della Repubblica di Weimar e della democrazia in Germania e l’inizio del potere nazista.
Forte dei risultati ottenuti e della alta carica istituzionale ricevuta, Hitler non ebbe più freni a porre in atto una potente propaganda ideologica – supportata peraltro dalle sue “squadre” naziste sopra menzionate, che pian piano attuarono un vero e proprio “terrorismo di Stato” – ideologia che era in fondo già descritta nel suo Mein Kampf (“La mia battaglia”), scritto ancora nel 1925 [finito il nazismo, l’opera fu invece censurata per almeno 50 anni].
Hitler pose la sua politica nella linea di Bismarck, anche nella persecuzione contro i Cattolici, per staccarli da Roma ed asservirli al nazionalismo tedesco (Chiesa nazionale, sulla scia di quelle protestanti); lo afferma a chiare lettere nel suo Kulturkampf (“Lotta per la Civiltà”), dove definisce il Papato “straniero e superstizioso”; ma non riuscì in questo intento di portare anche i Cattolici nella cosiddetta “Chiesa nazionale”. Tra l’altro nella Germania protestante fino al 1918 l’essere “Cattolico” impediva l’accesso agli alti gradi dello Stato e dell’esercito.
Come sempre avviene nella storia, la pretesa di staccare la Chiesa da Roma, cioè dal Papa (come invece Cristo stesso ha voluto la sua Chiesa, cfr. Mt 16,18-19), come fecero già Lutero, la Riforma Protestante ed Enrico VIII in Inghilterra, nasconde e si traduce in un maggiore asservimento della Chiesa al potere nazionale, privando i cristiani della loro vera libertà.
Vinte queste seconde elezioni, Hitler non perse tempo. Già il 24.03.1933 promulgò una legge del Reichstag (Parlamento) che concentrava di fatto nel governo tutti i poteri dello Stato. Era esplicita dittatura! Quando poi morì il Capo dello Stato, il 2.08.1934 Hitler unì la figura del Capo di governo (Cancelliere del Reich) a quella di Presidente del Reich (Capo di Stato), creando la figura del Führer (Führer und Reichskanzler, guida e cancelliere del Reich). Da allora e fino al 1945 la Germania non ebbe di fatto più alcun Presidente del Reich e alcuna votazione politica.
Comunque, fino al 1939, Hitler godeva in Germania di un vasto consenso popolare.
Quando nel 1988 il Presidente del Bundestag di Bonn [Repubblica Federale di Germania (Bundesrepublik Deutschland); ricordiamo che la riunificazione della Germania avvenne il 3.10.1990] osò dire che fino al 1939, se in Germania ci fossero state libere elezioni, Hitler avrebbe avuto sempre la maggioranza dei voti, tanto era forte il consenso che fino ad allora c’era per lui e la speranza che i Tedeschi nutrivano per il suo successo internazionale, fu costretto a dimettersi (nonostante la difesa ricevuta dallo stesso ebreo Simon Wiesenthal, che pure ha dedicato tutta la vita a cacciare i gerarchi del Terzo Reich) (cfr. Vittorio Messori, “Le cose della vita“, Ed. S. Paolo, 1995, pp. 339/344).
Circa i deleteri rapporti stretti con l’Italia, che porteranno poi anche il nostro Paese alla catastrofe, si tenga presente che quando Hitler salì improvvisamente al potere, Mussolini lo aveva preceduto in questo percorso già da oltre 10 anni (1922). Anche se poi fu il Duce ad imitare il Führer, fino a diventarne seguace persino sulla via dell’antisemitismo e poi della Guerra, nei primi tempi fu invece Hitler a seguire l’esempio di Mussolini e a sentirne in certo qual modo il fascino. Ci fu una certa ispirazione se non imitazione di Mussolini e quindi del fascismo, nel modo di salire rapidamente al potere e come fu nominato capo del governo. Già il giovane Hitler nel 1923 aveva tentato una sorte di simbolica “marcia su Roma” cercando di fare la stessa cosa su Monaco (il cosiddetto “putsch” di Monaco), esperienza ingenua che finì in modo totalmente fallimentare, fino ad essere egli stesso arrestato e incarcerato. Ci fu un’imitazione pure nel proprio apparato paramilitare (le “camicie nere” fasciste, per il nazismo divennero “camicie verdi”), nella divisa non più civile ma militare, nel saluto (quello nazista, col braccio destro teso, fu mantenuto addirittura lo stesso), nella retorica (anche dal punto di vista fonetico e del piglio facciale, oltre che della postura fisica). Tutto questo si traduceva ovviamente anche nella somiglianza ideologica, oltre che nella struttura dittatoriale.
Ovviamente il duce e il fascismo in Italia dovevano tenere presente che l’Italia è l’Italia e Roma è Roma, cioè il centro mondiale della Cattolicità e sede del Papa! Per cui l’atteggiamento sempre più ostile verso la religione, il cristianesimo e in particolare la Chiesa cattolica, che Hitler non esitò ben presto a manifestare, fino all’odio dichiarato e attuato, per Mussolini diventava ovviamente un continuo tentativo di “Conciliazione”, come significativamente e simbolicamente venne chiamata la trionfale via d’accesso dal Tevere al Vaticano, fatta costruire dal Duce nel 1936, a ricordo dei Patti Lateranensi del 1929 con la Santa Sede.
Tra Italia e Germania, cioè tra Hitler e Mussolini, già il 25.10.1937 si firmò così un “Accordo” (che Mussolini chiamerà “Asse Roma/Berlino”), che il 22.05.1939 si trasformò nel “Patto d’Acciaio“, cioè una vera e propria alleanza militare (che diventerà poi “Patto tripartito” con l’ingresso del Giappone come terzo alleato].
Ricordiamo fin d’ora che tra i due leader ci furono diversi incontri, che assunsero poi toni assai trionfalistici e ostentati di fronte a immense folle in delirio, specie in Italia. Particolarmente importante e trionfalistica fu la visita compiuta da Hitler in Italia (Roma, Napoli e Firenze) dal 3 al 9 maggio 1938. La trionfale presenza a Roma, dal 3 maggio sera alla sera del 4, aveva ovviamente un fortissimo significato anche di ordine simbolico, diplomatico e religioso. Non a caso, proprio in quel giorno il Papa Pio XI (con cui ovviamente non era previsto alcun incontro di Hitler), per simboleggiare la sua chiara opposizione, abbandonò Roma, per recarsi nella sua residenza a Castel Gandolfo!
In poco tempo Hitler riuscì ad annettere o conquistare numerosi Paesi d’Europa, accompagnato dal delirante plauso di folle oceaniche, che vedevano così attuarsi il sogno del Terzo Reich se non addirittura quello di diventare i nuovi padroni del mondo. Si trattava di una sorta di “delirio di onnipotenza” (se non di vera e propria possessione diabolica), coltivato ed attuato non solo dal Führer ma invocato ed osannato dalla maggior parte dello stesso popolo tedesco.
Si giunse così, mentre le potenze europee e transatlantiche sembravano fino ad allora assistere passive, al 1°.09.1939, quando Hitler invase (da occidente) la Polonia, seguita il 17.09.1939 dalla Russia, che invase la Polonia da oriente; e ciò dopo che le due potenze, pur nemiche anche a livello ideologico, avevano appena firmato (il 28.08.1939) i cosiddetti Accordi di “non aggressione”.
Gli “Accordi di non aggressione” – detti anche Patto Molotov-Ribbentrop (i due relativi Ministri degli esteri) o Patto Hitler-Stalin – furono firmati a Mosca il 23.08.1939, tra Germania e Russia (Unione Sovietica). Si trattava di un patto di non aggressione di durata decennale fra la Germania nazista e la Russia comunista, quindi tra due acerrimi nemici ideologici, ma che ottenne in anticipo una sorta di ripartizione dell’Europa secondo le due sfere d’influenza, impegnandosi allo stesso tempo a non attaccarsi a vicenda per 10 anni.
Contrariamente a quanto tollerato fino ad allora dalla altre potenze europee e mondiali, che cioè Hitler annettesse al Reich sempre nuovi Paesi, con l’invasione della Polonia ci fu invece la dura reazione di Francia e Inghilterra. Iniziò così la II Guerra Mondiale, coinvolgendo in breve tempo appunto gran parte delle nazioni del mondo e per la prima volta (anche per l’uso dell’aviazione oltre che di nuove potentissime armi) anche la popolazione civile, fino a causare in quasi 6 anni almeno 65 milioni di morti e la distruzione quasi totale di interi Paesi, ‘in primis’ la stessa Germania!
Quando però il 22.06.1941 Hitler, violando gli accordi bilaterali del 1939, decise pure di invadere la Russia (“Operazione Barbarossa”), catturando anche 3 milioni di sovietici, iniziò invece (come nella storia moderna era già avvenuto per Napoleone) il declino del suo immenso potere.
Pur riuscendo a spingersi via terra fino a Parigi e ad attaccare l’Inghilterra con le proprie ingenti forze aeree, la discesa in campo degli USA a favore di Francia e Regno Unito (soprattutto con lo sbarco in Normandia del 6.06.1944) segnò l’inizio della fine del Terzo Reich.
Intanto in Italia Mussolini, grande alleato di Hitler, fu deposto il 25.07.1943; ma l’armistizio firmato dall’Italia l’8.09.1943 trasformò improvvisamente i Tedeschi, scesi prepotentemente in campo italiano, da alleati a nemici del nostro Paese e della stessa popolazione civile. Mentre lo sbarco delle “forze alleate” e il loro progressivo avanzamento verso l’Italia settentrionale obbligava i Tedeschi alla ritirata, essi si abbandonarono a feroci rappresaglie, così come ad un disumano “rastrellamento” di Ebrei al fine di deportarli in campi di concentramento e di sterminio tedeschi. Su quanto avvenne nella stessa Roma in quel drammatico frangente torneremo ovviamente più avanti.
I soldati tedeschi morti in Italia furono 38.000/50.000 (quasi 300.000 tra feriti e prigionieri). I civili italiani morti per rappresaglie tedesche (v. Sant’Anna di Stazzema o Marzabotto) o a seguito di bombardamenti e attacchi vari furono circa 150.000.
Col proseguo della guerra, specie dal 1944, anche il delirio d’onnipotenza tedesco cominciò ad incresparsi e conoscere forti frustrazioni e il culto idolatrico del Führer da parte di folle oceaniche cominciò a tramontare, pure sotto il peso delle bombe nemiche. Crescevano i dubbi sulla follia bellica e forse anche umana di Hitler; molti, anche del suo staff cercarono inutilmente dal dissuaderlo a continuare su questa strada ormai non più trionfale ma suicida. Ci fu in tal senso anche un attentato contro Hitler, il 20.07.1944, da cui il Führer scampò miracolosamente, per annegare poi nel sangue la congiura (cui parteciparono anche giovani cattolici).
Con tutta probabilità egli aveva prospettato che, nella peggiore delle ipotesi, cioè di fronte ad un’annunciata sconfitta, poteva avvalersi di un’arma segreta (bomba atomica?) che l’avrebbe inesorabilmente portato alla vittoria (non sapendo che lo spionaggio aveva condotto tale segreto già negli USA, che infatti fecero poi finire la Guerra proprio con l’uso di due bombe atomiche sulla popolazione civile del Giappone).
L’intervento aereo anglo-americano per bombardare la Germania non conosceva soste e pian piano la ridusse ad un cumulo di macerie. Solo il bombardamento di Dresda (13-15.02.1945), praticamente rasa al suolo, causò 200.000 morti.
Hitler, ormai spacciato e dopo aver trascinato la Germania stessa e il mondo intero nell’abisso, morì suicida nel suo bunker di Berlino (Führerbunker) il 30.04.1945. La resa completa della Germania avvenne l’8.05.1945, con l’ingresso a Berlino dell’Armata Rossa della Russia.
Hitler e la Chiesa cattolica
Abbiamo già sottolineato come, prima ancora che Hitler salisse al potere, la Chiesa cattolica fu la prima se non addirittura l’unica realtà a rendersi subito conto della pericolosità del nazionalsocialismo (nazismo) di Hitler. Così già nel 1930 l’episcopato tedesco aveva vietato ai Cattolici di iscriversi a quel partito (NSDAP).
Ricordiamo poi di nuovo che dal 1917 al 1929 fu Nunzio Apostolico (cioè ambasciatore del Papa) in Germania l’arcivescovo Eugenio Pacelli, che diventò poi Cardinale Segretario di Stato (Vaticano) nel 1929 e quindi Papa (Pio XII) nel 1939. Pacelli conosceva quindi molto bene la realtà e persino la lingua tedesca.
Abbiamo pure già ricordato come nelle elezioni del 5.03.1933, dove Hitler prese il 44% dei voti del popolo tedesco, i Cattolici (a differenza dei Protestanti), illuminati dalle stesse indicazioni date dai Vescovi, non votarono per Hitler.
Anzi, pur di evitare l’ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista (NSDAP) di Hitler, in occasione delle elezioni politiche del 1933, da Roma stessa il card. Pacelli (appunto l’ex-Nunzio Apostolico in Germania divenuto Segretario di Stato, cioè la figura più importante dopo il Papa, allora Pio XI, e suo più stretto collaboratore) giunse addirittura a suggerire alle realtà politiche cattoliche presenti in Germania, particolarmente forti in Baviera (Bayerische Volkspartei) ma presenti in tono minore anche in altre regioni (Deutsche Zentrumspartei), di stringere persino una provvisoria alleanza politica di contrasto col Partito Socialdemocratico (SDP), che pur era di chiara ispirazione marxista, cioè materialista e atea, fortemente avversa alla religione e alla Chiesa! E ciò proprio quando invece il nazismo, come del resto il fascismo in Italia, si presentava in Germania e in Europa come un baluardo per difendersi dall’avanzata del comunismo, già al potere in Russia.
Evidentemente ciò manifesta quanto il card. Eugenio Pacelli (futuro Pio XII), contrariamente al mito anticlericale creato poi contro di lui e periodicamente riportato in auge, avesse capito perfettamente e prima di tutti quale gravissimo pericolo rappresentasse il nazismo di Hitler, non solo per la Germania ma per il mondo intero!
È però interessante sottolineare come Hitler, appena nominato Cancelliere e dopo aver vinto anche le nuove immediate elezioni del 5.03.1933, dove il suo Partito nazista passò appunto in un mese dal 33% al 44% dei voti, presentando al Parlamento il suo programma di governo, seppe astutamente inserire nella sua discorso un falso e ingannevole riferimento al cristianesimo, al fine di ottenere l’appoggio delle realtà cristiane tedesche, sia protestanti (che già l’avevano dato o almeno non contrastato) che cattoliche (invece apertamente ostili). Il neo-Cancelliere affermò in proposito che si riconosceva in un peraltro fantomatico “cristianesimo positivo” e che il suo Governo vedeva nelle confessioni cristiane importantissimi fattori per la conservazione del carattere nazionale tedesco e auspicava in tal senso una «sincera collaborazione tra Chiesa e Stato», così da attuare «la lotta contro una concezione del mondo materialistica e il ristabilimento di una vera comunità di popolo». Hitler disse inoltre che il suo governo riconosceva la validità dei Concordati già firmati dalla Santa Sede con i Länder di Baviera, Prussia e Baden e che avrebbe voluto estenderli a tutta la Germania. Assicurò pure che nella scuola e nella formazione dei ragazzi sarebbe stato concesso alle confessioni cristiane «l’influsso che loro spettava». In cambio, Hitler affermò di attendere dalla Chiesa l’apprezzamento per «l’opera di elevazione morale e nazionale che il suo governo si era proposto», sottolineando però con tono più minaccioso che il suo governo non avrebbe potuto tollerare «che l’appartenenza a una determinata confessione o a una determinata razza potesse rappresentare un’esenzione dai doveri sanzionati dalla legge, o carta bianca perché rimanessero impuniti o venissero tollerati i crimini commessi».
Dobbiamo purtroppo ammettere che anche i Vescovi cattolici diedero una valutazione positiva di tali dichiarazioni programmatiche del neo-Cancelliere; e come prima risposta annullarono il divieto ai Cattolici di iscrizione al NSDAP. Effettivamente, specie alla luce di ciò che poi in realtà avvenne, tale valutazione appare sconcertante, oltre che ingenua. Tra l’altro, il cosiddetto “cristianesimo positivo”, cui Hitler si richiamava in quel discorso programmatico, era già stato condannato dalle stesse Dichiarazioni dei Vescovi tedeschi nel 1930, poiché rappresentava un falso cristianesimo adattabile all’ideologia nazionalsocialista. Inoltre, la concessione alle Chiese dell’«influsso che loro spettava» era una vera e propria irrisione, in quanto era sufficientemente chiaro che secondo Hitler alle Chiese non spettasse alcun diritto di intervento nella sfera pubblica, tanto più se avessero osato criticare l’ideologia nazista che voleva formare una comunità di popolo edificata su razza e sangue.
I vescovi, rivestiti della tipica mentalità tedesca che comprende pure la “deutsche Treue” (fedeltà tedesca), si fidarono invece ingenuamente di queste promesse di Hitler circa una possibile collaborazione tra Chiesa e Stato. L’illusione di poter imbastire una certa qual intesa – non coltivata invece dal Vaticano, cioè dal Papa e dal suo primo consigliere il card. Pacelli, che appunto conosceva bene la situazione tedesca – era forse sostenuta proprio da quanto era già avvenuto in Italia nel 1929 tra il regime fascista e la Santa Sede (Concordato e Patti Lateranensi). Rimaneva poi sempre il timore di una avanzata europea del comunismo, a cui si doveva ad ogni costo resistere.
Quanto accaduto infatti nel 1917 in Russia, dove il comunismo ateo e ferocemente ostile alla Chiesa e alla sua missione aveva realizzato la propria rivoluzione comunista e aveva instaurato un sistema culturale, economico e politico all’insegna del materialismo dialettico e dell’ateismo di Marx, oltre alle altre follie socialiste (come l’abolizione della proprietà privata e la concentrazione dittatoriale del potere nel Partito comunista), rappresentava per l’intera Europa, oltre che per la cristianità, una seria minaccia; tanto più che l’ideologia socialista/comunista a livello di potere culturale stava prendendo campo in tutto il continente europeo (Italia compresa), così come poi si espanderà in tutto il mondo. Per cui, un freno storico al dilagare di tale ideologia e persecuzione anticristiana era visto comunque come provvidenziale. Ma su questo torneremo tra poco.
La questione del Concordato tra Santa Sede e Germania
Comunque, per salvare il salvabile e fissare a livello diplomatico qualche garanzia alla missione della Chiesa, anche la Segreteria di Stato vaticana – a guida appunto del card. Pacelli, che conosceva bene la situazione tedesca e come Nunzio fu proprio lui a firmare i Concordati con i Länder della Baviera (1924) e con la Prussia (1929) – fu favorevole a firmare un Concordato con l’intera Germania; ciò, pur non facendosi troppe illusioni sul rispetto effettivo che Hitler avrebbe mantenuto di tali accordi, che infatti non mantenne minimamente! Si giunse così al Concordato del 20.07.1933.
Cosa sono i Concordati
Onde evitare confusione e pregiudizi anticattolici anche riguardo ai “Concordati” di volta in volta attuati tra la Santa Sede (soggetto di diritto internazionale) e i diversi Paesi del mondo – accordi condannati, celebrati o silenziati dalla cultura dominante, a seconda dei Paesi interessati e delle ideologie in essi al potere – dobbiamo anzitutto comprendere di che cosa si stia parlando quando si tratta di essi, per evitare di sollevare inutili polveroni o appunto pregiudizi anticattolici in merito [cfr. Luigi Negri, “False accuse alla Chiesa”, PIEMME, 1997 (pp. 197/218)].
Si tratta di “atti diplomatici” e appunto “accordi di tipo giuridico”, che regolano e vincolano i rapporti tra questi due enti pubblici (lo Stato e la Chiesa), senza implicare alcun avvallo delle ideologie o delle politiche al governo in quel momento nello Stato che sigla tale accordo. Anzi, si potrebbe dire che tanto più un certo Stato o regime presenta pesanti rischi di ingerenza nella vita stessa della Chiesa o ne limiti la sua missione non solo religiosa ma anche sociale, tanto più è necessario intervenire per predisporre appunto dei limiti a tale ingerenza statale e dei doveri reciproci in tal senso. Molte volte si tratta appunto di limitare il più possibile il male già in atto o di realizzare il miglior bene possibile in un determinato contesto storico; e ciò non nel senso di ottenerne alcuni privilegi ma in quello di garantire le condizioni anche politiche perché la Chiesa possa esercitare la propria missione specifica, peraltro divina, in quel determinato contesto statale e storico. Quindi se si riesce ad attuare un Concordato tra la Santa Sede ed uno Stato, ciò non implica assolutamente un giudizio positivo su chi governi tale Paese in quel momento e sulle politiche che vengono in esso perseguite e attuate.
Questo, vista l’enorme confusione o i pregiudizi che tuttora permangono anche in Italia, vale per ogni Concordato stipulato di volta in volta coi singoli Paesi. Vale anche per quello stipulato l’11.02.1929 tra la Santa Sede e l’Italia (allora governata da Mussolini e sotto il pontificato di Pio XI), Concordato poi rinnovato e modificato il 18.02.1984, per parte italiana a firma dell’allora Capo di governo (il socialista Bettino Craxi).
Questo vale anche per il Concordato firmato il 20.07.1933 con la Germania di Hitler, peraltro appena salito al potere. Tra l’altro avendo la Germania (anche tuttora) una struttura di tipo federale tra diversi Länder (Regioni) abbastanza autonomi, esistevano appunto già dei Concordati con alcuni singoli Länder, riconosciuti appunto anche da Hitler; quindi si trattava di estendere tali accordi all’intero Paese. Ciò non implicava appunto assolutamente, anzi, una valutazione positiva del governo nazista.
Dunque, contrariamente a quanto si sente spesso affermare, tale Concordato del 20.07.1933 tra Santa Sede e Germania, non significava affatto un’approvazione della neo-dittatura nazista o dell’operato di Hitler; anzi, come abbiamo visto, solo la Chiesa cattolica pareva cogliere e denunciare gli errori e la pericolosità del nazismo (ricordiamo che all’inizio vietò ai Cattolici di aderirvi), cosa che nessun altro fece, non solo in Germania, ma in Europa e nel mondo!
Ripetiamolo. Tale Concordato tra Germania e Santa Sede, come tutti i Concordati, non significava quindi alcun tipo di approvazione né tanto meno sostegno, da parte della Santa Sede, al regime o alle politiche attuate dalla controparte. Nel caso della Germania, l’opposizione all’ideologia nazista di Hitler e al suo governo era già stata esplicita e pure attuata dalle forze politiche cattoliche del Paese. Era stato infatti evidente fin dall’inizio che l’ideologia nazista, pur da soli pochi mesi salita alla guida del Paese, fosse palesemente opposta alla fede cristiana e alla dottrina sociale della Chiesa Cattolica.
Certo erano molti, non solo nella Chiesa ma pure a livello diplomatico (ad esempio il rappresentante austriaco preso la Santa Sede Rudolf Kohlruss), coloro che nutrivano forti dubbi sulla volontà di Hitler di rispettare poi effettivamente tali accordi, che pur vincolano entrambe le parti a livello giuridico internazionale. Col sen di poi ci si potrebbe persino chiedere se in tali condizioni e con tali prospettive sarebbe stato allora opportuno, da parte cattolica, firmare tali accordi. Però si trattava appunto in questo modo di salvare il salvabile in una situazione che diventava sempre più incandescente e dolorosa. Gli attacchi di Hitler contro la Chiesa cattolica non si fecero infatti attendere!
Tale accordo era fortemente auspicato dall’episcopato tedesco e dallo stesso popolo cattolico di Germania. Si comprendeva infatti che, se non fosse stato firmato, i cattolici tedeschi sarebbero stati posti in una situazione ancor più difficile se non impossibile.
Tale Concordato tra Santa Sede e intera Germania fu dunque firmato il 20.07.1933, cioè durante il pontificato di Pio XI, e venne ratificato dal Nunzio Apostolico in Germania mons. Cesare Orsenigo e dal vice-presidente tedesco Von Papen.
In tale Concordato la Chiesa Cattolica, pur rifiutando apertamente la dottrina e gli errori del nazismo (nazionalsocialismo), accettava che i Cattolici collaborassero con lo Stato, come veniva appunto chiesto dal governo. Da parte cattolica si chiedeva ad esempio allo Stato tedesco di garantire il diritto alla “libertà d’educazione”, cioè la possibilità di mantenere o istituire proprie scuole cattoliche (diritto purtroppo già contestato da parte dei Protestanti); ma su questo si riuscì ad ottenere solo un’assicurazione verbale.
In realtà, tale Concordato causò al Papa stesso (Pio XI) “le più profonde amarezze”. Risultò infatti subito evidente che Hitler aveva voluto questo Concordato per accattivarsi un proprio prestigio internazionale; ma di fatto subito lo violò, dando inizio ad una lotta ben pianificata contro la Chiesa Cattolica. La stampa cattolica venne infatti prima censurata e poi vietata, le scuole cattoliche rimasero effettivamente aperte fino al 1939, quando furono abolite; diversi Seminari furono chiusi (e tali proprietà ecclesiastiche vennero poi espropriate e incamerate); nelle scuole statali la religione venne sostituita dalla “visione razzista del mondo” e il Crocifisso venne tolto dalle aule. Soprattutto vennero imprigionati tutti i sacerdoti che opposero resistenza al nazismo, accusati di tradire lo Stato tedesco. Vennero quindi sciolte tutte le organizzazioni e associazioni cattoliche, specie giovanili. Insomma, la Chiesa Cattolica veniva blindata o distrutta!
Nei 4 anni successivi al Concordato del 1933, numerose furono le note di protesta ufficiali da parte del Vaticano per la violazione di questi accordi.
Il linguaggio di queste note vaticane è straordinariamente duro, come è oggi documentabile (cfr. D. Albrecht, Lo scambio di note tra la S. Sede e il governo del Reich, I, 1965). La S. Sede, a causa delle continue violazioni del Concordato da parte di Hitler, pensò addirittura di abrogarlo; ma l’episcopato tedesco sconsigliò questo passo, ritenendo che senza questo strumento la Chiesa non avrebbe neppure più potuto autorevolmente intervenire per denunciare la situazione.
Si giunse così addirittura alla decisione del Papa Pio XI, con l’evidente apporto del Segretario di Stato card. Eugenio Pacelli, di promulgare il 14.03.1937 addirittura un’Enciclica, redatta persino in tedesco (cosa inaudita!), sulla drammatica situazione emersa in Germania con l’avvento di Hitler e del nazismo: si tratta della Mit Brennender Sorge (“Con cocente preoccupazione” – vedi il testo tedesco, qui la traduzione italiana), in cui si condanna apertamente e fortemente l’ideologia nazista, intessuta di paganesimo, di culto della razza ariana, di un nazionalismo esasperato e statalismo idolatra. In essa si denunciava pure il “Calvario della Chiesa” e smascherava il carattere anticristiano del nazismo, comprese le sue teoria razziali.
Pochi giorni dopo, la domenica 21.03.1937 i punti salienti dell’Enciclica furono addirittura letti in tutte le 11.500 parrocchie cattoliche della Germania. Hitler, infuriato, ne proibì allora la diffusione. L’enciclica fu coperta dal silenzio in tutti i Paesi d’Europa (lo stesso Papa parlò di “complotto del silenzio”). Così l’Enciclica fu di fatto ignorata al di fuori dagli ambienti cattolici. Persino oggi è quasi sempre sconosciuta, anche da chi poi accusa la Chiesa di connivenza al nazismo!
Di fatto, storicamente possiamo affermare che nessuna potenza straniera si oppose così duramente ad Hitler ed al nazismo come la Chiesa Cattolica e lo stesso Pontefice. A ciò, comunque, proprio il Concordato del 1933 dava una legittimità giuridica.
All’Enciclica di Pio XI Hitler rispose con un ulteriore inasprimento della persecuzione degli ecclesiastici, molti dei quali furono arrestati con accuse false e infamanti. I cattolici tedeschi furono oggetto di mille forme di limitazioni, privati di veritiere informazioni e delle normali possibilità di difesa. Alle ire del Führer si accompagnarono anche quelle del suo staff politico e persino le aspre reazioni delle sue formazioni paramilitari (come vedremo ancora in seguito).
Poiché però l’Europa correva pure il rischio di cadere sotto l’altra folle ideologia (comunismo) di prevaricazione dello Stato sulla persona (statolatria), materialista, atea e di forte persecuzione anticristiana, già al potere in Russia dal 1917, significativamente solo 5 giorni dopo l’enciclica contro il nazismo, il 19.03.1937, Pio XI scrisse anche l’Enciclica Divini Redemptoris, appunto contro il comunismo ateo (leggi).
Hitler odiava la Chiesa Cattolica ed essa vi si oppose fino al martirio
Forse è più noto, anche perché continuamente ricordato, quell’odio viscerale nei confronti degli Ebrei che Hitler aveva coltivato fin da giovane – inizialmente per gli ingenti patrimoni che spesso gli Ebrei possedevano e di cui aveva fatto esperienza già a Vienna quando vi abitò da giovane indigente e solo – e che poi esplose in seguito in tutta la sua ferocia e follia omicida, nutrita di odio razziale antisemita, fino a tradursi in concreta volontà politica di sterminio di massa, cioè fino alla “soluzione finale”!
In realtà, il Führer, come venne chiamato già dal 1934, coltivava infatti un odio profondo anche per la Chiesa cattolica. Nei suoi folli e diabolici programmi, dopo la “soluzione finale” pensata per gli Ebrei, cioè il loro sterminio, doveva seguire un’analoga “soluzione finale” nei confronti dei Cristiani, specie dei Cattolici. Giungeva infatti a definire i Cattolici degli “Ebrei spirituali”, cioè una forma evoluta dell’ebraismo.
Nei primissimi giorni del suo governo, Hitler mostrò tatticamente un volto più democratico e un’apertura maggiore nei confronti del cristianesimo e della Chiesa. Disse di opporsi solo all’anarchia e al comunismo. Arrivò a dire che “il cristianesimo sarà posto alla base della nostra etica comune”. Pensò poi subito, consigliato dal suo vice Von Papen, di stipulare un Concordato tra la Chiesa Cattolica e l’intera Germania. Però si scoprì ben presto che tutto ciò non era che bieco e falso tatticismo politico. In realtà, come testimoniano oggi i diari dei suoi più intimi collaboratori, Hitler fin dall’infanzia era mosso da un odio feroce nei confronti della Chiesa e voleva in ogni modo annientarla. Così rivela infatti Rauschning (“Gespräche mit Hitler“, 1948): Hitler confida che alla fine avrebbe eliminato sia gli ebrei che i cristiani, per “creare una nuova gioventù, eroica, libera, aggressiva, violenta, crudele, senza educazione intellettuale, perché la gioventù con il sapere si corrompe”.
Hitler pensava dunque certamente che, finita la guerra, la stessa “soluzione finale” adottata per gli Ebrei sarebbe stata impiegata anche contro i cristiani (“non si può essere cristiani e tedeschi!”, aveva del resto già detto in un discorso dell’aprile del 1933).
Sulla scia di una lettura peraltro unilaterale della filosofia di F. Nietzsche (autore preferito da Hitler come da Mussolini in Italia), il Führer considerava il cristianesimo un “ebraismo universalizzato”, inventato da S. Paolo, oltre che un “platonismo per il popolo”, una “la religione dei deboli” (non a caso il simbolo ne è la Croce), “da donnette”, un sogno illusorio proprio degli schiavi, dei malriusciti, degli incapaci; a ciò si opponeva la virilità, la forza e la bellezza della razza ariana, in particolare tedesca e dei seguaci del suo nazismo.
Per lui i Cattolici hanno la colpa di aver infettato il mondo di idee che si trovano nella Bibbia ebraica, come l’eguale dignità di tutti gli uomini (come se l’umanità fosse una razza indistinta), il valore della carità e della compassione, come pure l’idea di un’anima individuale. Con Cristo si sarebbe totalmente rovesciata la tavola dei valori dell’amato paganesimo: la croce al posto della vittoria, l’amore persino per i nemici e il perdono al posto dell’odio, della vendetta e della guerra. I nazisti apprezzavano invece i valori del paganesimo o semmai quei caratteri guerreschi presenti nell’Islam.
Nelle organizzazioni giovanili statali (Hitlerjugend) si disprezzava con ironia tutto ciò che era cattolico, cominciando dal Papa. Furono creati persino falsi scandali sulla vita morale di preti cattolici, per generalizzare poi le accuse all’intera Chiesa Cattolica [come si vede, un metodo assai diffuso ancor oggi, anche nelle sedicenti società democratiche e con pregiudizi ampiamente diffusi dal potere mediatico].
Si trattava dunque, nonostante il motto “Got mit uns” (Dio è con noi) ostentato persino sul cinturone dei suoi “SS”, di un’ideologia profondamente anticristica e atea. Del resto Hitler non esitava ad opporsi a Dio stesso, fino a definirsi, come già Nietzsche, l’Anticristo [cfr. Francesco Agnoli, Hitler – L’anticristo, Il Timone, 2024 (vedi)].
Del resto, persino Papa Pio XII giunse a definire Hitler un Anticristo, e non solo in termini generici, ma pensando proprio che fosse persino “indemoniato” (cosa che sanno anche molti autorevoli esorcisti, anche per certe confessioni del demonio stesso in alcuni posseduti), tanto da far fare su di lui degli “esorcismi a distanza” (leggi).
Visto anche quanto avvenne nel corso della sua vita, passando in pochissimo tempo da una gioventù economicamente indigente e psicologicamente squilibrata, ad un potere immenso, cui i suoi stessi collaboratori, oltre che le oceaniche folle, dicevano non poter resistere, non è difficile pensare proprio ad un’assistenza preternaturale, cioè appunto ad una presenza del demonio stesso nella sua persona, cioè una vera e propria “possessione diabolica”!
Se Satana è “omicida fin dall’inizio” (come lo definisce tra l’altro Gesù stesso, cfr. Gv 8,44), non è certo difficile scorgere in Hitler un’irrazionale furia omicida: oltra ad essere riuscito in poco tempo ad introdurre in Germania le leggi in favore dell’aborto e dell’eutanasia, anche in modo forzato ed eugenetico (cioè per eliminare i disabili), la sua furia omicida si spinse a voler uccidere milioni e milioni di persone (non solo quindi gli Ebrei) già nei “campi di sterminio” nazisti, per poi provocare la II Guerra Mondiale, coi suoi 65 milioni di morti!
Altro dato che pare avere una spiegazione non solo naturale ma preternaturale (demoniaca) fu come Hitler riuscì più di una volta a sfuggire a terribili attentati contro la sua persona, di cui il più eclatante, sia pur anch’esso fallito, fu quello orchestrato con precisione per il 20.07.1944, quando una bomba doveva esplodere sotto il suo tavolo ma che invece non è esplosa, così che il Führer rimase illeso (e annegò nel sangue la congiura).
Pio XII tramò per destituire Hitler
Pochi sanno che Pio XII giunse perfino ad organizzare un golpe per destituire Hitler (leggi).
Il Pontefice, che conosceva bene la Germania e pure la lingua tedesca, mise infatti in atto una sorta di rete di spionaggio, per tenere il più possibile sotto controllo la situazione in Germania, anche cercando potenziali oppositori di Hitler. A tal scopo utilizzò anche sacerdoti e vescovi tedeschi per raccogliere informazioni. Alcuni, come lo stesso cardinale von Preysing di Berlino, divennero importanti centri di una rete di spionaggio che raccoglieva informazioni sui piani nazisti e le trasmetteva in Vaticano.
Pio XII coordinò infatti un’intera rete segreta spionistica per organizzare un golpe contro il Führer. Un’operazione segreta che ebbe il suo centro proprio in Vaticano.
Non ci si meravigli di questo. Infatti, secondo l’autentica morale cattolica, si può giungere persino, se non esistono ovviamente altre vie, ad eliminare anche fisicamente un ingiusto e perverso aggressore, fosse anche un Capo di Stato, che stesse per uccidere innumerevoli persone innocenti, al fine appunto di salvarle.
Il Papa cercò anche potenziali alleati per organizzare tale golpe contro Hitler. Contattò in tal senso perfino il generale Ludwig Beck, capo di stato maggiore dell’esercito, e il conte Claus von Stauffenberg, nella speranza che si unissero alla resistenza contro Hitler. Pio XII giunse addirittura ad offrire a chi si fosse unito a tale ardua impresa un loro sicuro rifugio in Vaticano.
Persino il sito ebraico The Jewish Week ha scritto: «Papa Pacelli costruì e diresse una rete di comunicazione intricata e segreta. Non usava quasi mai lettere scritte, intercettabili dalla censura, semmai usava telegrammi cifrati (in codice); laddove fosse possibile si preferivano conversazioni a tu per tu in luoghi segreti (e anche in essi preferendo usare carta e penna piuttosto che la voce, per non essere intercettati). Si trattava di organizzare un movimento di resistenza vasto, diffuso e clandestino, atto a coinvolgere pure i sindacati e certi settori della società civile, pronti ad entrare in azione non appena Hitler fosse stato deposto. Se fu già un miracolo non essere scoperti, l’attuazione di tale piano rimase però un’utopia [cfr. Mark Riebling, Le spie del Vaticano. La guerra segreta di Pio XII contro Hitler, Mondadori, 2016 (vedi). L’autore, storico americano, fu tra i fondatori del Center for Tactical Counterterrorism, nonché firma eccellente del New York Times e del Wall Street Journal (vedi)]. Tale informazione è presente anche nella Positio di P. Gumpel per la causa di Beatificazione di Pio XII.
Oltre al lavoro clandestino della Chiesa cattolica per opporre resistenza Hitler e perfino per giungere a destituirlo o addirittura ucciderlo, consapevole della sua furia statolatra e omicida, non mancarono anche forti e pubbliche prese di posizione e denunce contro il Führer da parte dell’Episcopato tedesco, di cui la voce più forte e vibrante fu quella del vescovo di Münster (unica zona del nord-ovest della Germania con una forte presenza cattolica), mons. Clemens August von Galen, non a caso definito “il Leone di Münster“. Tale audace e forte vescovo tedesco aveva già apertamente denunciato il programma nazista di “eutanasia” dei malati incurabili, ottenendone la sospensione. Borman, capo della Cancelleria del NSDAP e segretario personale di Adolf Hitler, cioè tra i membri più alti della gerarchia nazista, fuori di sé, voleva farlo impiccare, ma, temendo la reazione popolare (che era molto legata al suo vescovo cattolico), pensò di rimandare la cosa alla fine della guerra. Ma non solo von Galen sopravvisse alla guerra, al contrario dei suoi nemici nazisti, ma nel 1946, poco prima di morire, fu significativamente crato Cardinale da Pio XII.
Il Cardinale di Colonia (Karl Joseph Schulte, che morì nel 1941) già nel febbraio 1934 si era recato personalmente da Hitler per denunciare l’anticristianesimo presente in un libro nazista (di Rosenberg): il Führer prese verbalmente le distanze da quella pubblicazione, senza però fare praticamente nulla. Uscendo da quella udienza, il Cardinale, sconvolto, disse: “Hitler è una sfinge, un uomo sinistro. Dovremo certamente assistere pure a cose terribili!”
Tra i gruppi di resistenza cattolica al nazismo ci fu poi la cosiddetta Weiße Rose (Rosa Bianca), operante soprattutto in Baviera e composta prevalentemente da studenti cattolici; essi, formatisi seguendo le tesi del movimento giovanile cattolico Quickborn, guidato dal sacerdote e grande teologo Romano Guardini, tedesco ma di origine italiana, giunsero a manifestare pubblicamente contro il nazismo, anche con volantinaggi rimasti celebri; ma finirono quasi tutti arrestati e incarcerati e per molti di loro si giunse all’esecuzione (ghigliottinati), offrendo così una fortissima testimonianza di fede e di impegno sociale.
La Chiesa cattolica tedesca sulla via del Calvario
Nonostante il Concordato del 1933, come previsto Hitler scatenò subito una violenta persecuzione contro la Chiesa cattolica. Il nazismo gettò infatti subito la maschera e passò ad un attacco feroce contro i Cattolici.
Le squadre naziste della Hitlerjugend e delle SA (Sturmabteilung; poi SS: Schutzstaffel) attaccarono spesso sia le associazioni cattoliche che lo stesso clero. Ad esempio, quasi a ridosso dello stesso Concordato, nel giugno 1933, a Monaco di Baviera, ci fu un violento attacco di queste squadre di Hitler contro i partecipanti al Gesellentag (incontro periodico delle associazioni cattoliche dei lavoratori tedeschi, ideato dal grande sacerdote Adolfo Kolping, beatificato da Giovanni Paolo II il 27.10.1991).
Negli anni successivi, nonostante appunto il Concordato (subito violato dal Führer) la situazione degenerò progressivamente; a tal punto che nel 1937 proprio il cardinale arcivescovo di Monaco, Michael von Faulhaber, che invece all’inizio del governo di Hitler nutriva ancora qualche speranza per la Chiesa, parlò di vera e propria persecuzione del regime ai danni del cattolicesimo in Germania. Con tutta probabilità fu proprio tale autorevole arcivescovo di Monaco (ricordiamo che proprio la Baviera fu ed è la zona più cattolica di tutta la Germania) ad essere l’ispiratore, insieme al cardinale Pacelli (Segretario di Stato già Nunzio in Germania), della fortissima Enciclica di Pio XI contro il nazismo Mit brennender Sorge del 1937.
Come abbiamo già visto, di fronte a tale Enciclica, i cui brani principali furono letti, solo qualche giorno dopo la sua pubblicazione, nientemeno che durante le S. Messe domenicali di tutte le 11.500 parrocchie cattoliche del Reich, la furia di Hitler contro la “Chiesa romana” si scatenò senza freni. “Adesso i preti dovranno imparare a conoscere la nostra durezza, il nostro rigore e la nostra inflessibilità”, disse Goebbels, braccio destro del Führer.
Le squadre naziste Hitlerjugend e SA (Sturmabteilung) giunsero addirittura ad attaccare le Curie vescovili (ad esempio a Würzburg nel 1934, più volte a Rottenburg nel 1938 e a Monaco nel 1939).
Tali ripetuti e violenti attacchi potrebbero essere definiti delle vere e proprie “Notti dei cristalli” anticattoliche (così fu definita quella degli attacchi contro gli Ebrei); ma di cui invece pare nessuno abbia fatto e faccia memoria.
Quindi, immediatamente crollata ogni speranza di qualche possibile convivenza tra la Chiesa Cattolica tedesca e il nuovo regime nazista, fu proprio la Chiesa Cattolica a prendere in mano in Germania le redini della resistenza al nazionalsocialismo. Oltre alle pubbliche e autorevoli prese di posizione del Papa, dei Vescovi e del laicato cattolico, e perfino gli audaci e clandestini tentativi di resistenza anche fisica sopra citati, la Chiesa cattolica, se non poté ovviamente farlo direttamente a livello politico (data ormai la feroce dittatura in atto), cercò di operare una resistenza anche a monte, cioè a livello culturale, smascherando la follia disumana dell’ideologia nazista (espresso ad esempio nel Reichsleiter della NSDAP di Alfred Rosenberg), il suo razzismo, antisemitismo, la sua stessa idea neopagana e idolatra di popolo e di Stato, fondato sulla superiorità della razza ariana.
Il clero cattolico pagò un altissimo prezzo per questa resistenza. Secondo i dati pubblicati nel 2020 dall’Università di Greifswald, 310 sacerdoti tedeschi furono internati nei campi di concentramento, dei quali 65 morirono durante la prigionia o poco dopo, mentre altri 36 furono giustiziati o assassinati in altre circostanze; altri 790 sacerdoti furono arrestati (di cui 644 furono condannati). Inoltre, 419 sacerdoti cattolici furono malmenati, 1.006 subirono perquisizioni, 1.510 sacerdoti furono multati, 6.593 interrogati, 855 subirono attacchi alle loro canoniche.
Si tratta, a ben vedere, di un vero e proprio martirio della Chiesa Cattolica tedesca (leggi), di cui appunto nessuno parla, ancor oggi!
La persecuzione di Hitler contro i Cattolici col passare degli anni diventò sempre più feroce e si estese anche ai Paesi conquistati o annessi.
Quando Hitler decise l’invasione della cattolicissima Polonia (1°.09.1939), la ferocia nazista non si scagliò solo contro gli Ebrei polacchi (difesi anche clandestinamente dalla Chiesa e dai Cattolici polacchi, come vedremo dopo), ma contro gli stessi Cattolici, fino a contare addirittura 3 milioni di polacchi uccisi (senza appunto contare gli ebrei polacchi; si tratta quindi di cattolici, vista la forte identità cattolica polacca) solo nella zona della Polonia occupata da Hitler! Il nazismo cercò cioè di scristianizzare in ogni modo anche la cattolicissima Polonia!
Si ricordi che il giovane polacco Karol Wojtyła nel 1938 (all’età di 18 anni) si trasferì col padre dalla sua città natale (Wadowice) al capoluogo (Cracovia), dove si iscrisse alla prestigiosa Università Jagellonica (poi chiusa dai nazisti). Rimasto presto orfano e solo, fece pure l’attore teatrale (scrivendo lui stesso delle operette) e persino l’operaio (alla Solvay). Chiamato dal Signore alla vocazione sacerdotale, a motivo dell’invasione tedesca non poté fare un Seminario regolare: il cardinale di Cracovia Sapieha, per evitare la chiusura forzata del Seminario da parte dei tedeschi, trasferì i Seminaristi all’interno della stessa residenza arcivescovile, evidentemente più protetta dalle incursioni naziste. In tale pericolosissimo frangente, durante una retata compiuta dai nazisti nell’agosto 1944, decisi a deportare tutti i giovani maschi, il giovane seminarista Wojtyla si salvò miracolosamente, quasi come se non risultasse visibile ai soldati tedeschi (lo racconta lo stesso Giovanni Paolo II in un suo libro). Come sappiamo, egli diventerà Papa il 16.10.1978.
[Sulla vita di Karol Wojtyła, dall’infanzia alla sua elezione a Papa il 16.10.1978 e al suo primo straordinario viaggio apostolico in Polonia nel giugno 1979, ma soprattutto per comprendere cosa fu l’imposizione del nazismo prima e del comunismo poi nella cattolicissima Polonia, si veda lo straordinario film “Da un Paese lontano” del regista polacco K. Zanussi (qui in inglese)]
Lo stesso Cardinale di Cracovia (Sapieha) dissuase Pio XII da più forti accuse contro Hitler, perché questo avrebbe comportato solo un incremento delle persecuzioni.
In occasione di uno dei viaggi di Giovanni Paolo II in Polonia (del giugno 1999), Giovanni Paolo II ha beatificato 108 martiri polacchi del nazismo (tra cui 3 vescovi, 52 sacerdoti diocesani, 3 seminaristi, 26 sacerdoti religiosi, 7 fratelli professi, 8 religiose professe e 9 laici), tutti uccisi “in odio alla fede cattolica”.
Anche in Olanda le forze di occupazione naziste sferrarono inaudite violenze, non solo contro gli Ebrei ma contro gli stessi Cattolici.
Come ancora vedremo, a fronte dell’aperta denuncia contro i nazisti manifestata dall’Episcopato olandese il 26.01.1941, Hitler rispose con rappresaglie e violenze ancor più feroci ed estese; a tal punto che furono proprio i Vescovi olandesi a vivamente sconsigliare Papa Pio XII ad alzare la voce contro Hitler, onde evitare stragi ancora più immani della popolazione.
Ricordiamo che nei “campi di concentramento” e nei “campi di sterminio” nazisti furono deportati e troveranno la morte anche milioni di Cattolici e pure migliaia di sacerdoti, religiosi e suore. Tra questi anche alcuni Santi straordinari, come Massimiliano Maria Kolbe e Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein; compatrona d’Europa, la filosofa di origine ebraica, poi convertita alla fede cattolica e fattasi monaca carmelitana in Olanda, proclamata compatrona d’Europa), entrambi trucidati nel campo di sterminio polacco ad Auschwitz (Oswiencim); oppure il Santo sacerdote e religioso olandese Tito Brandsma (docente e rettore all’Università olandese di Nimega, pubblicista e direttore di giornale e assistente ecclesiastico dell’Associazione Giornalisti Cattolici), che per il suo pubblico incitamento fin dal 1938 alla resistenza contro l’ideologia nazista, fu arrestato il 20.01.1942 e condotto al campo di concentramento di Dachau (presso Monaco), dove venne poi ucciso con un’iniezione di acido fenico il 26.07.1942.
La “Chiesa protestante” tedesca e il nazismo
A onor del vero, pur avendo poi pagato anch’essa un certo tributo di sofferenza e di sangue (dopo la distruzione degli Ebrei, Hitler avrebbe voluto passare a quella dei cristiani), si deve riconoscere che la Chiesa protestante luterana, nata nel sec. XVI da Lutero e quindi non a caso in Germania, oltre ad un certo appoggio anche politico ed elettorale ad Hitler, ha fornito per così dire alla mentalità del nazismo una sorta di retroterra culturale, di mentalità, quella che in tedesco si dice appunto Weltanschauung (visione del mondo). In fondo, a ben vedere, già l’iniziale separazione di Lutero e della sua Chiesa da Roma, cioè dal Papato e dall’autentica fede cattolica e dall’universale unica Chiesa Cattolica, formandosi così Chiese nazionali e in genere succubi dei sovrani locali (vedi), ha permesso un’esasperazione di quel nazionalismo che Hitler ha poi portato a livello di vera e propria idolatria statalista e persino della razza ariana. Non sarebbe in tal senso difficile scorgere in questa radice religiosa tedesca persino qualcosa dell’antisemitismo poi diventato imperante e folle con Hitler (troviamo infatti già in Lutero molte pagine fortemente antisemite; ad esempio in Degli ebrei e delle loro menzogne, non a caso più volte ristampato in epoca nazista).
La tradizionale sudditanza luterana nei confronti dell’autorità statale lasciò le Chiese protestanti praticamente subordinate in tutto al nazismo. Tutto questo era perfettamente in linea con l’idea protestante di Chiese-nazionali.
Già dal 1933 la Chiesa luterana tedesca si organizzò come “Chiesa del Reich” (i “Cristiani Tedeschi”, Deutsche Christen, ebbero il 75% delle preferenze dei protestanti nelle elezioni ecclesiastiche), accettando inoltre solo battezzati ariani e ordinando pastori solo di “razza pura”. Il loro motto fu “Una Nazione, una razza, un Führer”, il loro grido “La Germania è la nostra missione, Cristo è la nostra forza”, e si usava disprezzo per chi non si associava al “giubilo del Terzo Reich” [v. prolusione del pastore Hossenfelder, riportato dal Time del 17.04.1933; nello stesso numero viene riportato anche l’intervento del pastore Wieneke-Soldin: “La svastica e la croce cristiana sono una cosa sola” (come vedremo, il Papa disse l’opposto)].
Alle elezioni del 1933, 2500 pastori luterani inviarono ad Hitler un telegramma di felicitazioni per la vittoria ottenuta, salutandolo come “il loro Führer, assicurandogli fedeltà assoluta e preghiere ardenti” (così il loro teologo Niemoller, passato poi all’opposizione). Un telegramma di totale appoggio giunse a Hitler da parte dei Protestanti anche in occasione dell’attentato del 1944.
In verità, già nel 1934 ci fu una stretta minoranza protestante che si oppose ad Hitler (riunita però attorno ad uno svizzero, non ad un tedesco: il teologo K. Barth), organizzandosi come “Chiesa confessante”; anch’essa ebbe infatti i suoi martiri, come il celebre teologo protestante Dietrich Bonhöffer.
Hitler e Stalin (e gli Ebrei)
Hitler s’è sempre fatto forte, anche nella sua propaganda nazista, di rappresentare pure un baluardo contro l’espansione del comunismo, già al potere in Russia fin dalla Rivoluzione bolscevica del 1917. E ciò gli permise di avere un certo consenso anche tra i nemici politici.
Nel crescente furore del Terzo Reich e con la contorta personalità stessa del Führer, i nemici, cioè tutti (tranne l’Italia), per tatticismo bellico potevano improvvisamente anche diventare amici, così come gli amici potevano improvvisamente diventare nemici (come l’Italia dall’8.09.1943).
Il 23.08.1939 furono firmati a Mosca, tra Germania nazista e Russia comunista (Unione Sovietica) i cosiddetti “Accordi di non aggressione” (detti anche Patto Hitler-Stalin, o Molotov-Ribbentrop dai nomi dei due relativi Ministri degli esteri), che permettevano alle due forze, pur contrapposte anche dal punto di vista ideologico, di suddividersi praticamente l’Europa in due sfere di influenza, cioè tra loro, impegnandosi a non aggredirsi reciprocamente per almeno 10 anni.
Dopo una sola settimana (1°.09.1939) Hitler invase così la Polonia da occidente, seguita immediatamente dalla Russia, che invase la Polonia da oriente il 17.09.1939. Di fatto, visto che a questo punto le forze anglo-francesi non potevano più stare inerti, si scatenò così la II Guerra Mondiale.
Dunque, il dittatore tedesco Hitler non avrebbe mai potuto invadere la Polonia se non appunto dopo un accordo col dittatore russo Stalin. E fu ancora Stalin che, in base a tale accordo firmato il 23.08.1939 e quindi liberando Hitler dal pericolo di dover combattere su due fronti opposti, che gli permise di invadere addirittura Parigi, il 14.06.1940. Stalin per 22 mesi fornì addirittura a Hitler le energie materiali per poter vincere, ad esempio il carburante per i mezzi di trasporto militari.
Dunque, nonostante tutto, Stalin stava dalla parte di Hitler. Possiamo perfino dire che, anche ideologicamente, il comunismo non si opponeva al nazismo (nazionalsocialismo) ma semmai alla socialdemocrazia.
Anche quando Hitler aggredì la Russia, e fu effettivamente l’inizio della sua fine (come lo era stato già per Napoleone), non si può però concludere che sia stato Stalin a determinare il crollo definitivo di Hitler, ma le forze alleate (anglo-americane).
Questo in fondo avvenne anche per la “liberazione” dell’Italia (dal nazismo-fascismo): nonostante tutta la “Resistenza” (di stampo prevalentemente comunista ma attivata anche dal mondo cattolico), che se ne attribuì il merito fino a farlo diventare un mito perdurante per decenni fino ad oggi, non furono i comunisti, sia pur sostenuti da Mosca (come sarà anche nella successiva Repubblica, fino al 1989), a liberare l’Italia, ma le forze alleate anglo-americane.
Anche sulla questione degli Ebrei, la Russia, dopo aver cercato, anche nei Paesi caduti sotto il suo potere, di assimilarli, giunse poi a “trasferirne molti in Asia, all’estremo confine con la Cina, in luoghi che secondo la propaganda bolscevica erano territori autonomi ebraici, mentre in realtà erano veri e propri ghetti” (cfr. Vittorio Messori, Pensare la storia, Ed. Paoline 1992, p. 357).
Se già Lenin, pur affiancato da molti ebrei (tra cui il fondatore dell’Armata Rossa Trotzkij) ebbe un atteggiamento ambiguo nei loro confronti, Stalin fu invece apertamente antisemita (le sue “purghe” riguardarono infatti anche gli Ebrei). Durante la guerra e la terribile persecuzione antiebraica attuata da Hitler, nonostante avessero creato per loro una sorta di “regione ebraica autonoma” (Birobidjan), gli ebrei polacchi e baltici, in fuga disperata da Hitler, non furono accolti da Stalin.
Nonostante questo atteggiamento non proprio favorevole nei loro confronti, anzi talora chiaramente antisemita, nel 1939 molti “comunisti ebrei” polacchi fuggirono a Mosca. Trattati prima con estremo sospetto, furono poi massacrati da Stalin (i superstiti tornarono poi in Polonia con l’Armata Rossa a imporre in maniera spudorata per non dire spietata il comunismo sovietico). Quando nel 1944 il “ghetto di Varsavia” insorse per la seconda volta, i russi, che erano a pochi chilometri da Varsavia, si fermarono per lasciare ai tedeschi il tempo di sterminare i rivoltosi ebrei.
Finita la guerra, ci furono poi accordi tra il neonato Stato di Israele e la URSS, al fine di far uscire gli Ebrei dalla Russia e mandarli direttamente in Israele [a riprova che non fossero proprio gli Ebrei a voler andare in Israele (sionismo) si fece notare che i voli Mosca/Tel Aviv evitarono perfino lo scalo a Vienna, altrimenti molti Ebrei non avrebbero voluto proseguire].
Infine, si ricordi pure che dietro i ricorrenti attacchi contro la Chiesa Cattolica e soprattutto contro Pio XII, accusati di “silenzio” sulla questione dell’Olocausto nazista degli Ebrei, ci fu anche la propaganda sovietica, che non perdeva certo occasione per attaccare la religione e la Chiesa Cattolica. E questo già durante la guerra. Ad esempio, il quotidiano russo Izvestija del 1°.02.1944 accusò il Vaticano di appoggio al fascismo e al nazismo. L’anno successivo lo stesso giornale accusò Pio XII “di non aver detto nulla di fronte a quell’immane tragedia”.
Così si capisce chi abbia almeno contribuito a creare anche questa “leggenda nera” anticattolica.
Nota
Differenza tra Patria, Stato, nazionalismi e statolatria
Visto che il nazismo, come del resto il fascismo, si sono presentati nella storia come due forme non solo dittatoriali di governo ma come “nazionalismi” esasperati, anzi come una vera e propria statolatria, cioè un culto dello Stato e di chi lo conduce (Führer o Duce), è bene precisare che anche questo prodotto dell’Illuminismo – perché di questo si tratta, come abbiamo qui ricordato all’inizio – costituisce una specie di valore o idea cristiana “impazzita”, come avvenuto appunto con altre idee cristiane impazzite già durante la Rivoluzione francese (liberté, égalité, fraternité) ma anche con la Rivoluzione bolscevica russa (comunismo al posto di comunità e bene comune).
È necessario dunque né confondere i termini, né eliminare il valore originario, che invece costituisce un bene da garantire [vedi anche nella Dottrina sociale della Chiesa].
Poiché l’essere umano, dotato di spirito, gode di una trascendenza sul resto della Natura ma anche nei confronti dello Stato stesso, come di ogni struttura sociale, la sua persona, con i suoi diritti e doveri, non può mai essere violata, a qualunque popolo o struttura statale appartenga (cosa dimenticata sia dal comunismo che da questi statalismi esasperati). Nello stesso tempo, poiché l’essere umano possiede anche una dimensione sociale, va garantito anche il “bene comune”, in un sano equilibrio (non si tratta di limiti o di lotta tra libertà) tra bene personale e sociale, compreso quello della Patria come poi della comunità pure internazionale, cioè composta da tutti i popoli della Terra (e ciò è invece dimenticato dal liberalismo esasperato).
Per questo, nei giusti limiti offerti da un lato dai diritti personali e dall’altro del diritto internazionale, quello della “Patria” è un valore da garantire, avvertire e promuovere, in quanto indica una specifica propria identità culturale, ideale e religiosa, oltre che geografica. Nel quadro più ampio della Dottrina sociale della Chiesa, è anche un valore cristiano, cui educarsi e a cui educare.
La parola società, come quella di Patria, indica per questo un valore persino più alto della parola Stato, che è un tipo di organizzazione politica della Patria. Già questo indica come lo Stato, tanto più quel particolare tipo di Stato o solo il proprio Stato, per non parlare poi di chi lo conduce in un determinato periodo, non può essere idolatrato coma un assoluto.
Nella visione cristiana, che poi è pure autenticamente umana, cioè nella Dottrina sociale della Chiesa, persona e società come bene personale e bene comune, si coniugano armonicamente; questo perché appunto il bene comune non è semplicemente un limite alla libertà personale, ma parte di essa. In tutto ciò lo Stato, politicamente inteso, non deve essere né semplicemente spettatore o regolatore dello scontro tra le libertà dei cittadini (come è appunto nel liberalismo e capitalismo esasperato), né idolatrato come un Assoluto cui tutti prostrarsi (come appunto avviene sia nel socialismo/comunismo che nel nazismo/fascismo o in tutte quelle forme “statolatriche” della Modernità, che assolutizzano la presenza dello Stato, addirittura come fonte del diritto e della stessa legge morale), ma l’espressione, mai assoluta e sempre riformabile, della comunità degli uomini, cioè di una determinata società, e come tale deve riconoscere pure, al di sopra di sé, dei valori dati da Dio e comunque insiti oggettivamente nella stessa natura umana.
Come tutte le ideologie della Modernità, tali valori si sono assolutizzati e come tali opponendosi a vicenda, e di fatto impedendo il pieno sviluppo umano.
In questo quadro, proprio della Modernità e conseguente alla perdita di Dio (lo coglie bene anche Nietzsche, si pur da opposte sponde, che senza Dio nulla si regge; vedi News “Dio è morto”), lo Stato (e chi lo conduce) diventa diabolicamente il “sostituto di Dio”.
Dunque, l’idolatria dello Stato, posto in atto dai totalitarismi del sec. XX (comunismo e nazismo), anche se sembrano richiamarsi ai valori sopra ricordati, in realtà li assolutizzano fino a diventare disumani, se non appunto pure follie.
Nel caso del nazionalsocialismo tedesco (nazismo) questa folle esasperazione dell’identità, della “razza ariana” e infine appunto dello Stato (Reich), ha raggiunto livelli al limite del paranoico se non appunto addirittura del diabolico.
In ciò, oltre al retroterra culturale e filosofico della Germania degli ultimi 4 secoli, ha contribuito pure quella determinazione tutta tedesca di perseguire i propri obiettivi, per cui anche quando si manifesta che essi sono folli, non vanno abbandonati ma inseguiti fino al paradosso, alla tragedia, perfino al propria stessa estinzione. Come infatti è avvenuto nel sec. XX.
Ecco in proposito un’osservazione di Luigi Negri (che fu poi arcivescovo di Ferrara), tratto da un suo articolo (Il Timone, n. 13, 2001).
Il Magistero sociale della Chiesa ha sempre denunciato il “totalitarismo”, emerso nell’età moderna contemporanea, secondo cui lo Stato detiene tutto il potere etico e sociale, cioè tutti i valori etici, personali e sociali. Già Pio IX aveva profeticamente denunciato tale erronea e perniciosa dottrina (proposizione n. 39 del Syllabo). Lo Stato moderno è in grado di liberare così dal passato e da tutte le sue alienazioni, in primis quella religiosa. Tale progetto ideologico era già emerso in Hobbes: “fuori dello Stato è il dominio delle passioni, la guerra, la paura, la povertà, la trascuratezza, l’isolamento, la barbarie, l’ignoranza, la bestialità; nello Stato è il dominio della ragione, la pace, la sicurezza, la ricchezza, la decenza, la socievolezza, la raffinatezza, la scienza, la benevolenza … è il grande Leviatano, cioè quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa; giacché per l’autorità conferitagli da ogni singolo uomo nella comunità, ha tanta forza e potere che può disciplinare con il terrore la volontà di tutti in vista della pace interna e dell’aiuto scambievole contro i nemici esterni”. In altri termini la dignità dell’uomo non è più data da Dio ma dallo Stato e dal ruolo che il singolo ricopre in esso.
Nel corso del XX secolo la Chiesa ha dovuto opporsi al totalitarismo non più solo come dottrina filosofica ma come sua terrificante attuazione storica di inaudita portata.
Papa Pio XI si è trovato di fronte proprio a tali totalitarismi: il Fascismo italiano, il Nazional-socialismo tedesco e il Comunismo sovietico. Nella enciclica “Noi non abbiamo bisogno” del 29.06.1931, Pio XI denunciò il “totalitarismo” fascista che impediva la libertà di coscienza, di educazione e di associazione. Il Papa ha così difeso il diritto della gioventù cattolica a vivere secondo la propria confessione religiosa il cammino personale verso la maturazione piena della propria personalità.
Così, nell’Enciclica “Mit brennender Sorge” il Papa si oppose in modo vigoroso alla dottrina teorica e alla stessa struttura giuridica e politica del Reich tedesco, mostrando l’assoluta inconsistenza filosofica di una statolatria che avvilisce l’uomo e la sua dignità e rinnega in modo totale la tradizione cattolica della nazione tedesca.
Si trattava di difendere non solo la fede cattolica e la vita della Chiesa, ma la stessa morale naturale e il diritto naturale. Il Papa citava in proposito addirittura Cicerone: “Non vi è mai alcunché di vantaggioso, se in pari tempo non sia moralmente buono; e non perché è vantaggioso è moralmente buono, ma perché moralmente buono è anche vantaggioso”.
Senza questo inviolabile diritto naturale, non si regge neppure il bene comune e la stessa vita nazionale; e pure i rapporti internazionali non possono che tradursi in un continuo “stato di guerra”. “La società è voluta dal Creatore come mezzo per il pieno sviluppo delle facoltà individuali e sociali di cui l’uomo ha da valersi, ora dando, ora ricevendo per il bene suo e quello degli altri. Anche quei valori più universali e più alti che possono essere realizzati non dall’individuo, ma solo dalla società, hanno per volontà del Creatore come ultimo scopo l’uomo, il suo sviluppo e il suo perfezionamento naturale e soprannaturale. Chi si allontana da questo ordine scuote i pilastri sui quali riposa la società, e ne pone in pericolo la tranquillità, la sicurezza e l’esistenza”.
Nella “Divini Redemptoris”, pubblicata cinque giorni dopo la “Mit brennender Sorge”, Pio XI compie una disanima teorica e critica di eccezionale profondità sui principi teorici del marxismo-leninismo e sulle inevitabili conseguenze di terrore e di violenza che hanno accompagnato la sua realizzazione: “se si strappa dal cuore degli uomini l’idea stessa di Dio, essi necessariamente sono sospinti dalle loro passioni alle più efferate barbarie”. “Con questo però non vogliamo in nessuna maniera condannare in massa i popoli dell’Unione Sovietica, per i quali nutriamo il più vivo affetto paterno. Sappiamo come non pochi di essi gemano sotto il duro giogo loro imposto con la forza da uomini in massima parte estranei ai veri interessi del paese, e riconosciamo che molti altri furono ingannati da fallaci speranze. Noi colpiamo il sistema e i suoi autori e fautori, i quali hanno considerato la Russia come terreno più atto per introdurre in pratica un sistema già elaborato da decenni, e di là continuano a propagarlo in tutto il mondo”.
Pio XII ha raccolto questa grande tradizione magisteriale e fin dalla sua enciclica programmatica “Sommi Pontificatus” ne ha svolto con rigore e consequenzialità tutta la forza. Basta ricordare i radio-messaggi natalizi degli anni della seconda guerra mondiale, in cui alla presentazione della tragedia della guerra come inevitabile conseguenza della lotta tra le nazioni scatenata nel mondo dai sistemi totalitari, si coglie l’indicazione della possibilità di un nuovo mondo e di una nuova società, fondati sulla accoglienza della tradizione cristiana e sull’amore alla verità e alla libertà. Ma Pio XII non ha soltanto insegnato, ha vissuto in prima persona, in modo esemplare, la tragedia di milioni di uomini dedicando gran parte delle sue iniziative e delle sue risorse a lenire, per quanto era possibile, le conseguenze disastrose del totalitarismo. Chiunque fossero le vittime: cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, non credenti.
Pio XI e Pio XII hanno scritto, pertanto, una pagina luminosa in difesa degli irrinunciabili diritti di libertà della Chiesa ed una pagina piena di passione umana per la libertà e la dignità dell’uomo, di ogni uomo, in qualsiasi situazione.
Approfondimento
La Chiesa Cattolica tra nazismo e comunismo
Prima di procedere, soffermiamo ancora la nostra attenzione sulle ideologie anticristiane che, se affondano le proprie radici nel pensiero moderno, nell’Illuminismo, nella Modernità e già con la Rivoluzione francese hanno manifestato una violenza antiumana e anticattolica di fortissima intensità, l’ulteriore sviluppo anticristiano e ateo delle filosofie del sec. XIX (basterebbe pensare al pensiero di Marx come a quello di Nietzsche, ma anche alla visione dell’uomo e del mondo di Darwin e di Malthus) hanno poi permesso nella prima metà del sec. XX di esplodere in tutta la loro virulenza, fino ad attuarsi in feroci dittature statolatriche ed atee, come appunto il comunismo e il nazismo (il fascismo ha dovuto farlo in modo più felpato, trovandosi in Italia, cioè al centro della Cattolicità mondiale e con la “ingombrante” presenza del Papa e di un popolo ancora fortemente cattolico).
Su tale processo filosofico, ideologico e politico della Modernità vedi nel sito l’apposito dossier.
Com’è noto, il comunismo è salito al potere in Russia con la rivoluzione bolscevica del 1917 ed ha dominato in tutta l’Europa centro-orientale fino al 1989, oltre ad avere esercitato un forte influsso culturale anche in Europa occidentale (specie in Italia, che ha avuto il Partito Comunista più potente dell’Occidente, lautamente sostenuto da Mosca e fortemente incidente sulla realtà operaia e studentesca, ma anche culturale e giudiziaria); ma si è espanso poi in molti Paesi del mondo, a cominciare dalla Cina (dove tuttora è al potere in modo dittatoriale), dalla Corea del Nord (una feroce dittatura comunista ereditaria), in alcuni Paesi del sud-est asiatico, ma pure in altri Paesi dell’Africa e dell’America (a cominciare da Cuba e in altri Paesi dell’America centrale).
Il nazismo, che qui stiamo più diffusamente analizzando, com’è noto è salito al potere in Germania nel 1933, per poi violentemente espandersi in molti Paesi dell’Europa centrale, fino a produrre la Seconda Guerra Mondiale e rovinare poi su se stesso nel 1945.
Anche il fascismo italiano, che poi trovò in modo sconsiderato e tragico una particolare alleanza col nazismo, salì al potere nel 1922, durò solo un ventennio, per poi cadere su se stesso (1943) insieme al Paese nella tragedia del secondo conflitto mondiale.
Nonostante la loro apparente radicale opposizione, nazismo (nazionalsocialismo) e comunismo (socialismo) sono comunque figli ed eredi delle stesse menzogne culturali e ideologiche della Modernità., come abbiamo già ricordato all’inizio.
Sugli errori del socialismo marxista, come del resto su quelli di un liberalismo-capitalismo esasperato (della Rivoluzione industriale) la voce autorevole e profetica del Magistero della Chiesa si era già levata a fine ‘800 col Papa Leone XIII [vedi l’Enciclica Rerum Novarum (15.05.1891) – una enciclica talmente importante che fu più volte ripresa, approfondita e aggiornata alle nuove situazioni anche dal magistero dei Pontefici seguenti, dalla Quadragesimo Anno di Pio XI (vedi, 15.05.1931) alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II (vedi, 1°.05.1991), fino alla Caritas in veritate di Benedetto XVI (del 29.06.2009, vedi)]. Questo saggio e profetico magistero, unitamente all’ampia riflessione dei pensatori cattolici e alle molteplici esperienze sociali cattoliche in atto, permise lo sviluppo di una più profonda ed elaborata “Dottrina sociale della Chiesa” [vedi l’autorevole Compendio di essa; come pure l’omonima sezione del presente sito (vedi, con le sue 41 domande e risposte)]. Infatti la Chiesa, anche a livello di Magistero, oltre che a livello di enorme testimonianza e operatività sociale e caritativa, non si è certo solo limitata a denunciare gli errori ma ha offerto agli uomini e all’umanità una luminosa via (talvolta detta “terza via”, cioè tra capitalismo e comunismo) per una costruzione sociale degna dell’uomo.
Come abbiamo già ricordato, è in tal senso significativo che, a distanza di soli 5 giorni l’una dall’altra, Pio XI abbia pubblicato due encicliche, una contro la nuova ideologia e dittatura nazista [la Mit Brennender Sorge (“Con cocente preoccupazione”, del 14.03.1937 – vedi il testo tedesco, qui la traduzione italiana), in cui si condanna apertamente e fortemente l’ideologia nazista, intessuta di paganesimo, di culto della razza ariana, di un nazionalismo esasperato e statalismo idolatra] ed una ancora contro il comunismo ateo (la Divini Redemptoris, del 19.03.1937, vedi), poiché l’Europa correva pure il rischio di cadere sotto l’altra folle ideologia (comunismo) di prevaricazione dello Stato sulla persona (statolatria), materialista, atea e di forte persecuzione anticristiana, già al potere in Russia dal 1917.
Sulla falsa opposizione di nazismo e comunismo e sull’uso strumentale che spesso la cultura di stampo marxista ha fatto del nazismo per nascondere gli orrori compiuti sotto il comunismo (il nazismo era il male, il comunismo il bene), si veda anche il recente e assai documentato testo di Francesco Agnoli (“Hitler – L’anticristo”, Ed. Il Timone, 2024).
Sottolinea Agnoli: non è vero che comunismo e nazismo (nazionalsocialismo) si oppongano. Hanno infatti una radice e un denominatore comune. Entrambi sono conseguenti a una certa dominante filosofia tedesca del sec. XIX. Entrambi sono sistemi totalitari, statolatrici, chiusi al trascendente; avversi al diritto naturale, alla sacralità della vita e della famiglia.
Comunismo e nazismo sono stati il più grande tentativo della storia mondiale di costruire un mondo senza Dio (il comunismo materialista) e contro Cristo (il nazismo neopagano e panteista). Purtroppo ancor oggi vediamo le conseguenze e la scia di questa base comune e anticristiana: il materialismo (comunista) e il nichilismo (nazista). A livello morale pensiamo ad esempio che aborto ed eutanasia furono legalizzati dal nazismo; e mentre il comunismo esaltava l’amore libero, il nazismo esaltò il nudismo, il poliamore e persino l’antica poligamia precristiana.
Diamo allora ancora un rapido sguardo alle ideologie anti-cristiche della Modernità (vedi il dossier completo).
La Chiesa Cattolica ha dovuto sperimentare atroci persecuzioni già con la Rivoluzione francese e ciò che ne è immediatamente seguito (vedi).
La Rivoluzione francese, oltre alla distruzione di immensi e stupendi patrimoni culturali e artistici cristiani, ha prodotto l’uccisione di 3000 preti, migliaia furono deportati persino in Guaiana e fatti morire anche in provocati naufragi; migliaia di suore furono torturate, violentate e uccise. Anche decine di migliaia di contadini furono uccisi nelle sterminate campagne francesi pur di non rinunciare alla propria fede cattolica!
Una persecuzione di particolare violenza e ferocia contro i Cattolici si scatenò da parte dei rivoluzionari nella regione francese della Vandea, dove la popolazione non voleva assolutamente rinunciare alla propria identità e fede cattolica. Allora i rivoluzionari decisero il loro sterminio (alcuni storici parlano in tal senso del primo “genocidio” della storia moderna)!
Così il generale Carrier, inviato da Parigi per distruggere la Vandea: “Non ci si venga a parlare di umanità verso queste belve vandeane: saranno tutte sterminate. Non bisogna lasciar vivo un solo ribelle”. Insomma, davvero una strana applicazione sociale della “Liberté, Égalité, Fraternité”!
Secondo autorevoli e recenti studi, facenti riferimento anche ai pochi archivi rimasti alla distruzione della Vandea, i rivoluzionari uccisero decine di migliaia di contadini (ecco il “popolo” tanto celebrato dalla Rivoluzione!), distrussero 10.000 case (in genere di poveri contadini) sulle 50.000 allora esistenti, soppressero quasi tutto il bestiame e la totalità delle coltivazioni (i sopravvissuti dovevano morire di fame)! Con le pelli dei morti si fecero stivali per gli ufficiali della rivoluzione, con quelle delle donne, più morbide, i guanti. I cadaveri furono bolliti a centinaia per estrarne grasso e sapone. Si sperimentò persino la prima guerra chimica, con avvelenamento delle acque e l’uso di gas asfissianti. Battelli colmi di contadini coi loro preti furono portati in mezzo al fiume e affondati. In 18 mesi, in un territorio di soli 10.000 kmq, sparirono 120.000 persone. [cfr. Reynald Secher, Le génocide franco-français: la Vendée vengée (trad. it.: Il genocidio vandeano, Ediz. Effedieffe MI, 1989]
Ecco la relazione del generale Westermann, comandante della spedizione contro la Vandea, fatta davanti alla Convenzione di Parigi al termine dell’impresa: “La Vandea non esiste più! È morta sotto le nostre libere sciabole, con le sue donne e i suoi bambini. Ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei miei cavalli, massacrato tutte le donne, che non genereranno così più dei banditi. Non ho da rimproverarmi di aver fatto prigionieri. Ho sterminato tutti … le strade sono disseminate di cadaveri. Ce ne sono tanti che in parecchi luoghi formano delle piramidi”!
Sempre Westermann al “Comitato di Salute Pubblica” (!) di Parigi, dove sedevano gli adoratori della dea Ragione, della Libertà e della nuova Umanità: “Cittadini Repubblicani, non c’è più la Vandea! È morta sotto la nostra libera spada, con le sue donne e i suoi bambini. Ho appena sepolto tutto un popolo nelle paludi e nei boschi di Savenay. Ho sterminato tutti!”.
Ecco dove porta il rifiuto di Cristo, l’odio anticristiano, l’apostasia dal cristianesimo e la tanto proclamata laïcité! Ecco dove sono rapidamente finite la “tolleranza” di Voltaire e la Liberté, Égalité, Fraternité della Rivoluzione!
Che poi sia ancora la cultura laicista, erede di questi misfatti di cui non ha mai fatto ammenda anzi continua a predicarli e celebrarli come vero progresso dell’umanità, anche attraverso le scuole, ad accusare la storia della Chiesa e le sue quasi sempre false e presunte iniquità, lascia esterrefatti.
Un altro sterminio del popolo cattolico, ad opera delle ideologie della Modernità, in questo caso esplicitamente della Massoneria, fu quello perpetrato in Messico dal 1926 al 1929. Per far fronte a queste terribili violenze contro la Chiesa cattolica, una considerevole parte del popolo cattolico messicano scese perfino in campo con le armi (i Cristeros).
Un esempio particolarmente commovente ed eroico di questa battaglia popolare cristiana contro il potere massonico anticattolico fu offerto dal sentito e desiderato coinvolgimento persino di ragazzini intrepidi e di grande fede, come nel caso di José Sánchez del Río (1913-1928), che nonostante i suoi neppure 15 anni, fu catturato, torturato e ucciso per la sua appassionata partecipazione all’epopea dei Cristeros e che è già stato canonizzato come santo martire il 16.10.2016 [su tali vicende si veda ad esempio il film Cristiada (vedi delle sequenze del film e vedi la scena del martirio di José Sánchez)].
Ma soffermiamo ora un poco la nostra attenzione sul comunismo.
Senza dubbio l’avvento del comunismo, a cominciare dalla rivoluzione russa del 1917 e fino ai giorni d’oggi, rappresenta non solo uno dei più sconcertanti eventi della storia dell’umanità, basti pensare agli oltre 100 milioni di morti prodotti, oltre alla negazione dei fondamentali diritti dell’uomo (dalla libertà religiosa e di pensiero, alla soppressione della proprietà privata), ma anche alla più grande persecuzione anticristiana della storia moderna.
Il comunismo, come sistema dittatoriale politico ed economico, si estese poi dalla Russia ai Paesi limitrofi dell’Est-Europa (formando l’URSS), quindi, dopo la II Guerra Mondiale, a quasi mezza Europa (il Patto di Varsavia), con quella assurda e invalicabile spaccatura (“cortina di ferro”) che durò fino al 1989, quando il comunismo crollò su se stesso (e nel 1991 nella stessa Russia).
A proposito della feroce persecuzioni attutata dal comunismo nei Paesi forzatamente inglobati nell’URSS, ricordiamo ad esempio questo dato relativo all’Ucraina, dove per 40 anni la Chiesa Cattolica è stata costretta alla clandestinità ed ha accusato l’uccisione, da parte comunista, di 10 degli 11 Vescovi cattolici presenti nel Paese, di 1400 sacerdoti, di 800 suore ed un numero incalcolabile di laici cattolici. [Per l’intera popolazione, oltre alle immani violenze e privazioni causate dal potere comunista, si ricordino anche i milioni di morti causati da una sorta di “carestia” indotta da Stalin nel 1932-1933].
Non dobbiamo però dimenticare che l’influenza culturale e ideologica del comunismo si è estesa anche nei Paesi dell’Europa occidentale, ‘in primis’ l’Italia, che aveva il Partito Comunista più forte e organizzato dell’Occidente, lautamente sostenuto da Mosca, diventando dominante non solo nel mondo studentesco e operaio, ma in gran parte del mondo intellettuale, culturale e persino giudiziario.
Intanto, finita la II Guerra Mondiale, nell’immensa Cina, appoggiata dalla Russia, nel 1949, sotto la guida di Mao Tse-tung, si costituì la Repubblica Popolare Cinese, in realtà una severa dittatura comunista, che perdura ancora oggi.
L’influsso del comunismo, sia pur riletto da Mao ma sempre sotto l’egida russa, si estese ideologicamente e politicamente a molti Paesi del sud-est asiatico.
Sempre al termine della II Guerra Mondiale anche la Corea fu nettamente spaccata in due, con la parte meridionale legata agli USA (mondo capitalista) e quella settentrionale legata alla Russia (mondo comunista). Tra le due parti ci fu anche una guerra, durata dal 1950 al 1953 (peraltro ufficialmente non ancora conclusa). Così la Corea del Nord è diventata una delle più feroci dittature comuniste, addirittura di tipo ereditario, e tutt’oggi è il Paese dove si registra la peggiore e violenta persecuzione anticristiana.
Nel secondo dopoguerra (specie dalla Conferenza di Ginevra del 1954) anche il Vietnam fu diviso tra i due blocchi mondiali di influenza politica, ideologica ed economica: Il Vietnam del Nord (Repubblica Democratica del Vietnam), guidato da Ho Chi Minh e di fatto una dittatura comunista, appoggiata da Russia e Cina, e il Vietnam del Sud, appoggiato dagli USA (ma a differenza della Corea del Sud in questo caso l’appoggio, più che di stampo liberal-capitalista, era motivato solo per evitare il predominio del comunismo in tutta l’area indocinese). La battaglia del Vietnam del nord per conquistare anche il sud ed unificare tutto il Paese sotto il suo regime comunista, portò ovviamente ad un duro e interminabile scontro con gli USA, presenti anche con ingenti forze militari nel sud del Paese, decisivo per la sua posizione strategica nel sud-est asiatico. Com’è noto, gli USA tentarono per quasi 20 anni (1955/1975) di mantenere le loro posizioni con una estenuante, tragica e infine vana guerra.
Anche la contestazione giovanile del ’68, in Italia sostanzialmente sotto la guida del PCI sostenuto da Mosca, portò avanti questa battaglia per la “liberazione” del Vietnam dagli americani, appoggiando i comunisti Viet Cong e inneggiando al “Libretto rosso” di Mao, libretto-guida della rivoluzione comunista cinese.
Poi però, quando anche il Vietnam del sud, lasciato dagli USA, divenne comunista, cadendo in mano ad un potere violento e dispotico, la “liberazione” ottenuta divenne così insopportabile che moltissimi vietnamiti fuggirono terrorizzati, cercando persino di scappare via mare con umili imbarcazioni (furono chiamati “boat people”): moltissimi morirono in mare, altri furono salvati da soccorsi internazionali (persino l’Italia intervenne con una delle nostre più grandi navi militari per salvare questi disperati)!
Il predominio del potere comunista non solo in Cina e Corea del Nord ma in tutto il sud-est asiatico, coinvolse anche il Laos. Anche in questo Paese, dopo la perdita di influenza francese e negli anni ’70 l’indebolimento della stessa presenza USA in Indocina, salì al potere il comunismo, con l’appoggio della Cina, del Vietnam e della stessa URSS.
La salita al potere del comunismo in Cambogia durò poco (dal 1975 al 1979) ma fu tra i più terrificanti della storia. I Khmer rossi, sotto la guida di Pol Pot, per porre in atto una violentissima dittatura comunista, di stampo maoista, oltre ad immani violenze, giunsero ad uccidere quasi 1/3 dell’intera popolazione, cioè (solo nel triennio 1975-1978), almeno 2 milioni di persone su 7 milioni di abitanti! Molti studiosi ritengono infatti che il genocidio operato dai Khmer rossi nel loro stesso popolo costituisca in fondo “un caso unico e senza precedenti nella storia dell’umanità” (vedi News del 12.09.2020).
L’ideologia atea marxista e il sistema economico-politico del comunismo si estese anche in alcuni Paesi dell’Africa (ad esempio nell’ex Congo Belga). Fece però sentire particolarmente la propria influenza ideologica in America Latina, non solo condizionando il pensiero politico (fino ad arrivare a vere e proprie lotte armate e di guerriglia – si pensi alla mitica figura di Che Guevara), ma persino lo stesso pensiero teologico e la prassi pastorale di una parte non marginale della vita della Chiesa Cattolica (si pensi alla “Teologia della liberazione” e di certe sue frange estreme). Si impose invece come vero e proprio potere politico nell’isola di Cuba (si pensi alla figura di Fidel Castro, al potere per 50 anni), ovviamente sotto la protezione e l’appoggio anche economico e militare della Russia (si pensi alla pericolosissima “crisi di Cuba” del 1962, tra Russia e USA).
Sul martirio dei cristiani sotto i regimi comunisti vedi un nostro documento.
Di fronte a questo quadro storico e geopolitico, non possiamo non pensare a ciò che profetizzò la Madonna a Fatima nel 1917, poche settimane prima della rivoluzione bolscevica russa: che se non ci fossimo convertiti e la Chiesa non avesse consacrata la Russia (che la piccola veggente Lucia non sapeva neppure cosa fosse) al Suo Cuore Immacolato, essa avrebbe provocato una terribile persecuzione e avrebbe divulgato i suoi errori (marxismo, comunismo) in tutto il mondo, con immensa sofferenza di popoli e di persecuzione della Chiesa e dei cristiani!
Alla luce della storia del XX secolo, l’avvento del comunismo, la diffusione nel mondo di tale ideologia materialista e atea, il suo sistema filosofico, la sua visione dell’uomo e della società, il suo sistema politico ed economico e soprattutto la nascita e persino l’attuale permanenza di violente dittature comuniste, costituiscono una tragedia umana e tuttora una minaccia al futuro dell’uomo e del mondo, per non dire per il destino eterno delle singole anime (che poi è comunque la questione principale dell’esistenza umana) ben più grave di quello che fu il nazismo stesso. Se non altro perché, sia pur avendo posto in atto una ferocia non solo umana ma persino diabolica, il nazismo è durato solo 12 anni (1933-1945), mentre il comunismo in Europa è durato come sistema statale per oltre 70 anni (1917-1991) e nel mondo è tuttora presente e imperante in una fetta importante dell’umanità (basti pensare alla popolazione cinese: circa 1,4 miliardi di persone); per non dire quanto il pensiero marxista persista in modo più o meno subdolo o palese anche in una parte non trascurabile della mentalità dominante, anche nelle società cosiddette libere e democratiche dell’Occidente.
Dunque, se già nel sec. XIX il materialismo dialettico e ateo di K. Marx, come visione dell’uomo e del mondo imprescindibile per la costruzione del socialismo-comunismo, si era già diffuso in tutta Europa, con la Rivoluzione russa del 1917, che poneva in atto il comunismo nell’intera e immensa Russia (come sarà poi per l’intera URSS e quindi per l’intero “blocco di Varsavia”, cioè in tutta l’Europa centro-orientale), la questione non era più solo teoretica ma tragicamente reale. In tal senso si può in qualche modo comprendere e giustificare come all’inizio la Chiesa stessa potesse individuare nell’ascesa del fascismo in Italia nel 1922, come del nazismo in Germania nel 1933, una sorta di freno o di barriera al dilagare di tali dottrine e politiche marxiste (freno su cui fascismo e nazismo facevano pure leva per catturare il consenso popolare e istituzionale). Ciò non significava affatto una sintonia o tanto meno un’approvazione della Chiesa nei confronti di queste ideologie. Basti ricordare di nuovo come significativamente a pochi giorni di distanza l’una dall’altra nel 1937 Pio XI pubblicò sia un’Enciclica contro il nazismo (la Mit brennender Sorge) che una contro il comunismo (la Divini Redemptoris).
Non si comprende dunque perché (se non perché culturalmente il comunismo non è ancora davvero tramontato e gli eredi di quel pensiero occupano ancora sedi importanti, persino nel panorama culturale e politico italiano) delle atrocità del nazismo si debba giustamente continuamente parlare e farne memoria (non parliamo poi per le sofferenze inflitte al popolo ebraico), mentre pare ancora quasi proibito e censurato parlare della tragedia che ha rappresentato anche solo in Europa il comunismo e la feroce persecuzione anticristiana che ha scatenato nel mondo intero!
Si è mai pensato ad una sorta di “processo di Norimberga” per i crimini commessi dai comunisti? Qualcuno dei suoi eredi, talora persino ancora viventi e al potere, addirittura di coloro che ad esempio approvarono le invasioni russe di Budapest (1956) o di Praga (1968), ha mai fatto pubblica ammenda per queste atrocità storiche commesse o comunque approvate o censurate? In questo caso i “silenzi” non valgono?
Si pensi che tra questi ci furono personaggi politici italiani che hanno rivestito fino a poco fa importantissimi ruoli politici e istituzionali, anche di massimo livello [in passato si pensi anche solo a P. Togliatti, ma, in tempi più recenti, a G. Napolitano (si ascolti in proposito, nella per nulla limpida stagione di “tangentopoli”, non a caso fatta scoppiare subito dopo il crollo del comunismo europeo, quanto rivelò ad esempio in un processo a suo carico Craxi, a proposito dei legami del PCI e dello stesso Napolitano con Mosca (ascolta, sul PCI ascolta dal minuto 3’)].
Nei primi 70 anni di regime (cioè quanto è durato nell’Est-Europa), il comunismo ha causato ben 85 milioni di morti (1.215.000 all’anno, 3.327 al giorno, 139 ogni ora) [nel mondo in un secolo si può giungere alla terrificane cifra di 200 milioni di morti, oltra alle immani sofferenze e la privazione dei più fondamentali diritti umani – cfr. “Libro nero sul comunismo“, curato in Francia da un gruppo di storici ex-comunisti; dato riferito in Italia da “Il tempo” del 11.11.1997, da “la Repubblica” del 13.11.1997 (Jean Daniele) e da “Avvenire” (P.G. Liverani) del 16.11.1997].
Il silenzio della Chiesa sul comunismo
Molti continuano a ripetere il mito anticlericale dei presunti silenzi della Chiesa e del papa Pio XII sulle atrocità del nazismo e di Hitler, specie nei confronti della tragedia patita dagli Ebrei in quel terribile frangente storico. Su questo torneremo tra poco, oltre a quello cui abbiamo già accennato.
In realtà ci sarebbe semmai da chiarire un ben altro problema. Si tratta dei presunti o reali silenzi del Papa e della Chiesa (almeno fino al 1978) sulla tragedia del comunismo, che ha rappresentato e talora rappresenta ancora per la Chiesa e per i cristiani un “martirio” ancora più grave, feroce e prolungato, patito appunto sotto i regimi comunisti.
In Russia, in tutta l’Unione Sovietica (URSS) e dopo la II Guerra mondiale, dopo la spartizione dell’Europa e del mondo avvenuta a Yalta, anche in tutto il blocco comunista dei Paesi violentemente fatti entrare nel Patto di Varsavia, per non parlare di quello che poi è accaduto in Cina e in altri Paesi asiatici (vedi quanto sopra ricordato), e ciò che ha subìto il mondo e soprattutto l’immenso martirio anche di sangue patito dai cristiani e in particolare dalla Chiesa Cattolica, richiedevano l’innalzamento di un forte grido di protesta per quei regimi comunisti e di sostegno per quei fratelli nella fede tanto perseguitati proprio a causa della loro fede cattolica.
Su questo silenzio si deve semmai riflettere e chiedere ulteriori spiegazioni.
Un dato in tal senso particolarmente impressionante
Com’è noto, dal 1962 al 1965, la Chiesa Cattolica ha celebrato il 21° Concilio Ecumenico della storia della Chiesa: il Vaticano II. I nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto (aerei) avevano tra l’altro per la prima volta permesso la partecipazione di circa 2500 vescovi da tutto il mondo, oltre ad altre delegazioni invitate (compreso quella della Chiesa Ortodossa).
Non doveva e non è stato un Concilio con affermazioni dogmatiche da evidenziare (come fu nei Concili precedenti) ma solo “pastorale”. Ha prodotto però 16 documenti (vedi), che spaziano su moltissimi argomenti, compreso quello del rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo, la Gaudium et spes (vedi).
Normalmente i Concili fanno fronte e chiariscono, con risposte autorevoli e vincolanti, alle principali questioni dottrinali o pastorali emergenti nel periodo storico in cui essi sono stati celebrati e che hanno però un valore perenne (specie ovviamente per le questioni dottrinali e dogmatiche).
Ora, in quegli anni ’60 del sec XX, era certo evidente che il più grave problema e provocazione suscitato nel mondo contro la fede e la Chiesa cattolica fosse rappresentato, se non altro a livello politico, proprio dall’ideologia atea e materialista costituita dal marxismo, filosofia di fondamento di quei sistemi politici, economici e sociali attuati nei Paesi comunisti e che costituivano la più profonda sofferenza e causa di martirio della Chiesa cattolica, almeno del sec. XX, ma si potrebbe dire dell’intera storia bimillenaria della Chiesa, se non altro per le sue proporzioni numeriche oltre che per la sua ferocia.
Si tenga tra l’altro presente che lo stesso arcivescovo di Esztergom (Budapest) e primate d’Ungheria cardinale József Mindszenty, dopo essere già stato incarcerato dai nazisti nel 1944/1945, fu arrestato nel 1948 dai comunisti al governo (essendo Paese satellite di Mosca) e condannato all’ergastolo! Durante l’insurrezione del 1956 fu liberato, ma essendo subito intervenuti i carri armati sovietici a ripristinare l’ordine comunista, si rifugiò nell’Ambasciata USA di Budapest, dove rimase fino al 1971 (morì poi a Vienna nel 1975).
Desta quindi un comprensibile e giustificato stupore che il Concilio Ecumenico Vaticano II, con la miriade di pagine emerse dai suoi documenti e nelle discussioni che ovviamente li hanno preceduti, non abbia detto nulla sul comunismo!
Durante il Concilio, ad esempio il card. Antonio Bacci intervenne con queste parole: “Ogni qual volta si è riunito un Concilio ecumenico, ha sempre risolto i grandi problemi che si agitavano in quel tempo e condannato gli errori di allora. Il tacere su questo punto (il comunismo) credo che sarebbe una lacuna imperdonabile, anzi un peccato collettivo! (…) Questa è la grande eresia teorica e pratica dei nostri tempi; e se il Concilio non si occupa di essa, può sembrare un Concilio mancato!” [è quanto emerge da un dialogo tra il prof. Roberto De Mattei, storico della Chiesa e studioso del Concilio, in un dialogo (9.08.2020) col cardinale cinese J. Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong, che ha tanto patito sotto il comunismo cinese e analogamente non comprende i nuovi accordi segreti o compromessi tra il Vaticano e la dittatura comunista della Repubblica Popolare Cinese].
In quegli anni la diplomazia vaticana, specie nel suo rappresentante mons. Agostino Casaroli (creato poi cardinale nel 1979 e Segretario di Stato dal 1979 al 1990), convinta che il comunismo sarebbe durato a lungo nella storia, perseguì la cosiddetta Ostpolitik, ossia la politica di cauta apertura verso i Paesi comunisti dell’Europa orientale, per cercare di salvare il salvabile (vedi).
Non tutti ne erano convinti (in primis ovviamente il card. Mindszenty, che si sentì dolorosamente quasi scaricato dalla stessa Chiesa) [Si veda in proposito l’interessante autobiografia postuma del card. Casaroli, significativamente intitolata Il martirio della pazienza, Einaudi, 2000].
Pare però che, poco prima dell’inizio del Concilio, nella città francese di Metz ci sia stato un incontro segreto tra la diplomazia vaticana e quella di Mosca, al fine di permettere la presenza al Concilio, come invitati e non certo come Padri conciliari, di rappresentanti della Chiesa Ortodossa russa. Pare appunto che ciò sia stato concesso (e infatti ci fu al Concilio una loro delegazione), a condizione che non ci fosse alcuna condanna del comunismo!
A fronte di tutto ciò, la Provvidenza ha permesso si realizzasse una svolta copernicana, nonostante la dovuta prudenza, nel 1978, con l’elezione a Pontefice del primo Papa polacco (slavo) della storia, che veniva cioè proprio da “oltre cortina di ferro” (da un Paese cattolicissimo ma comunque costretto da Yalta ad essere nel blocco di Varsavia, cioè satellite della Russia); ciò contribuì in soli 10 anni al tracollo totale del comunismo in tutti i Paesi dell’Est-Europa!
Proprio dalla cattolicissima Polonia, che si risollevò anche per avere addirittura un Papa polacco (che fece nel suo Paese natale anche molti viaggi apostolici), iniziò infatti il riscatto anche politico dei Paesi del “blocco di Varsavia”. Non è certo casuale che il 13.05.1981 ci giunse perfino al terribile attentato contro Giovanni Paolo II (vedi nel dossier sulle ideologie della modernità e vedi nel dossier su Fatima). Nello stesso anno, il 13.12.1981, la Polonia fu improvvisamente costretta (probabilmente per evitare l’intervento armato della Russia, come era stato fatto a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968) ad entrare in un estenuante “stato d’assedio” da parte del potere comunista al governo. Poi, nell’ottobre 1984 in Polonia il potere comunista, giunse ad esempio a catturare e uccidere il sacerdote, che era anche cappellano di “Solidarność”, don Popiełuszko (leggi).
Parte seconda – I Papi, nazismo, fascismo e II Guerra mondiale
Dopo quanto sopra ricordato, si comprende perché la Chiesa Cattolica si opponesse fermamente sia al comunismo (al potere in Russia dal 1917) che al nazismo (al potere in Germania dal 1933), essendo entrambe ideologie disumane e anti-cristiche, peraltro eredi dell’Illuminismo.
L’opposizione al comunismo, la cui ideologia marxista, cioè materialista, atea, statalista e contraria ad alcuni fondamentali diritti umani (quali la libertà di coscienza, di religione, di educazione ma anche alla proprietà privata) era già stata autorevolmente e magistralmente espressa, soprattutto a partire dall’Enciclica di Leone XIII Rerum Novarum (come abbiamo sopra ricordato), senza con questo aver sposato ma anzi condannando pure l’opposta ideologia liberale, che già nel sec. XIX aveva generato un capitalismo esasperato e non rispettoso della dignità umana, del bene comune e del creato.
Questo magistero, unitamente all’ampia riflessione dei pensatori cattolici e alle molteplici esperienze sociali cattoliche in atto, permise lo sviluppo di una più profonda ed elaborata “Dottrina sociale della Chiesa” [vedi l’autorevole Compendio di essa; come pure l’omonima sezione del presente sito (vedi, con le sue 41 domande e risposte)]
Il nazismo, pur essendo anch’esso erede del pensiero anticristiano della “Modernità” e persino condizionato dalla filosofia anticristica e nichilista di Nietzsche, era invece un fenomeno sociale e politico nuovo, che salì infatti rapidamente al potere in Germania nel 1933, rappresentando una seria minaccia per l’Europa intera.
Come abbiamo visto, se inizialmente poteva anche presentarsi come un baluardo contro l’espandersi del comunismo in Europa, la follia del suo statalismo esasperato, unito all’esaltazione della razza ariana e poi ad un feroce antisemitismo, aveva subito fatto comprendere alla Chiesa Cattolica quale fosse la sua radice anticristica e quale pericolo potesse rappresentare per l’Europa e per il mondo, oltre che per la stessa Chiesa Cattolica.
Abbiamo così già osservato come da parte dell’Episcopato tedesco prima ancora dell’arrivo di Hitler fosse vietato ai Cattolici di aderire al Partito nazionalsocialista (NSDAP).
Abbiamo poi visto come il Papa stesso (Pio XI), certo sotto l’autorevole consiglio del Segretario di Stato card. Eugenio Pacelli, profondo e diretto conoscitore dell’ambiente sociale tedesco (in quanto ex-Nunzio Apostolico in Germania), il 14.03.1937 scrisse addirittura in tedesco un’enciclica contro il nazismo (Mit brennender Sorge), che suscitò una durissima reazione di Hitler, seguita solo 5 giorni dopo (19.03.1937, perché non fosse dimenticato il gravissimo problema opposto e al potere in Russia dal 1917) da un’enciclica contro il comunismo ateo (Divini Redemptoris).
Il Papa era inoltre consapevole dell’enorme pericolo rappresentato dal bolscevismo (comunismo), che tentava di inondare l’intera Europa. Anche alcuni del clero cattolico tedesco, pur condannando Hitler, vedevano però nel nazismo un elemento di difesa contro il comunismo. Così anche non pochi cattolici italiani pensarono al fascismo, nonostante tutto, come ad un muro per evitare il dominio ideologico e politico comunista.
Pio XI
Prima dunque di passare al pontificato di Pio XII (che inizierà nel 1939 proprio a ridosso del 2° conflitto mondiale e che è spesso oggetto di false e perniciose critiche proprio per un presunto suo silenzio nei confronti di Hitler e della sua feroce persecuzione degli Ebrei), diamo ancora uno sguardo al pontificato di Pio XI (Achille Ratti), che durerà dal 1922 fino appunto al 1939. Quando dunque il suo pontificato ebbe inizio, il comunismo era da poco salito al potere in Russia (1917) e in Italia si avviò la dittatura fascista (1922); mentre durante il suo pontificato nacque la dittatura nazista in Germania (1933). Sull’Europa e poi sul mondo intero, dopo la Prima Guerra Mondiale, non si era dunque certo aperto un cielo sereno e un orizzonte di pace, invece sempre più seriamente minacciata. Il pontificato di Pio XI si concluse proprio alle porte del secondo conflitto mondiale: morì infatti il 10.02.1939, si dice perché pure stroncato dal dolore per l’imminente nuova strage!
Ricordiamo però che nel 1930 Pio XI nominò l’arcivescovo Eugenio Pacelli Segretario di Stato vaticano, creandolo cardinale (e che divenne a sua volta Papa il 2.03.1939 col nome di Pio XII). Ora proprio mons. Pacelli era un profondo conoscitore della realtà (e della stessa lingua) tedesca, in quanto fu Nunzio Apostolico (cioè Ambasciatore del Papa) proprio in Germania dal 1917 al 1929.
Anche se l’arcivescovo Eugenio Pacelli non era dunque già più Nunzio in Germania quando Hitler salì al potere (1933) era però un profondo conoscitore della situazione tedesca dopo la conclusione del primo conflitto mondiale e poco prima dell’avvento del Terzo Reich nazista.
Visto che l’Archivio Segreto Vaticano (oggi denominato Archivio Apostolico) sta rendendo progressivamente disponibili i documenti relativi al pontificato di Pio XI e di Pio XII, sono già a disposizione degli studiosi addirittura circa 6.500 rapporti della Nunziatura apostolica in Germania che mons. Pacelli spedì al Papa o alla Segreteria di Stato nei 12 anni della sua attività di Nunzio in Germania. Inoltre, grazie alla collaborazione tra l’Archivio Apostolico e l’Istituto Storico Tedesco di Roma, oggi è persino possibile una consultazione online dell’edizione critica di tali preziosi documenti. Oggi completa la ricchezza e consistenza delle fonti anche un’edizione delle istruzioni che il Segretario di Stato di quel periodo (il card. Pietro Gasparri, lo stesso che firmò pure a nome della S. Sede il Concordato e i Patti Lateranensi del 1929, siglati con Mussolini) inviava alla Nunziatura tedesca.
Come abbiamo già più volte ricordato, è dunque scontato che pure dietro l’enciclica Mit brennender Sorge, pubblicata da Pio XI 14.03.1937 contro il nazismo, quindi a soli 4 anni dall’ascesa al potere di Hitler, ci fosse pure la mano sapiente dell’allora cardinale Segretario di Stato Pacelli, che aveva appunto alle spalle una personale e autorevolissima presenza in Germania come Nunzio.
Hitler aveva una profonda stima per Mussolini, salito al potere in Italia già nel 1922, ed apprezzava la sua ideologia e la sua opera, cioè il fascismo. Cercò persino di imitarlo, non solo nella gestione del potere (all’inizio furono entrambi nominati Presidenti del Consiglio e poi accentrarono in sé tutto il potere, creando appunto una dittatura), ma persino nella persona e nei gesti. Poi purtroppo, nel furore nazista, fu invece il Duce ad entrare nell’orbita di Hitler.
Ebbene, Hitler sapeva bene che Mussolini (il fascismo) era in Italia e che governava da Roma; ciò voleva dire fare i conti non solo col cattolicesimo italiano, allora praticamente la quasi totalità del popolo italiano, ma con la presenza del Papa, cioè della massima autorità morale del pianeta e capo della Chiesa Cattolica universale. Mussolini era riuscito, pur non essendo certo un devoto figlio della Chiesa, addirittura a risolvere almeno in parte una situazione penosa che si trascinava dal Risorgimento, specie dal 1870, e che vedeva di fatto su opposte sponde (non solo del Tevere) la Chiesa e lo Stato: riuscì infatti a stipulare, l’11.02.1929, i Patti Lateranensi e il Concordato con la Chiesa. Ciò però non impedì anche al Duce di addivenire ad uno scontro con la Chiesa, soprattutto sulla questione dell’educazione della gioventù.
Il Führer fin da giovane nutriva una particolare simpatia per Mussolini e per l’opera da lui compiuta in Italia con l’avvento del fascismo e la dittatura instaurata già nel 1922. Il giovane Hitler aveva persino cercato di imitare la “marcia su Roma”, quando nel 1923 tentò il cosiddetto “putsch” di Monaco, finito in modo fallimentare, addirittura con l’arresto e l’incarcerazione di Hitler stesso. Il fascino esercitato da Mussolini e dal fascismo su Hitler e il nazismo si spinse persino ad imitarne e poi esasperarne la retorica e lo stile (a cominciare dal saluto romano fascista, assunto anche dal nazismo).
Hitler e Mussolini non intrattenevano solo buoni rapporti di amicizia, così come tra nazismo e fascismo non c’era solo una sintonia di tipo ideologico; ma il 25.10.1937 tra i due poteri (e quindi tra Italia e Germania) s’era firmato un Accordo (che Mussolini definì “Asse Roma/Berlino”), che il 22.05.1939 divenne addirittura un’alleanza militare (“Patto d’Acciaio”).
Se lo scontro frontale tra Hitler e la Chiesa Cattolica si era subito palesato in Germania, come abbiamo visto, invece in riferimento ad un buon rapporto coltivato con l’Italia anche una mente folle e violenta come quella del Führer (che pensava ad una “soluzione finale” che avrebbe un giorno attuata anche per la Chiesa cattolica e giunse, durante la guerra, ad ipotizzare persino il rapimento del Papa) doveva fare i conti con la realtà: l’Italia era ancora la cattolicissima Italia e Roma era Roma, cioè il centro della Chiesa Cattolica universale e la Sede del Papa.
Hitler e Mussolini si erano già ufficialmente incontrati a Venezia il 15.06.1934 (fu la prima uscita del Führer fuori dalla Germania, peraltro persino palesemente imbarazzato e vestito in abiti civili, a differenza del Duce) e il 28.09.1937 a Berlino. Ma appunto Roma è Roma! Qui non si trattava solo di un incontro nella capitale italiana di due Capi di Governo e dittatori. Qui si tratta appunto, nonostante la perdita del potere temporale dei Papi, del centro mondiale della Cattolicità e della presenza fisica del Papa!
Così, nella trionfale visita di Hitler in Italia, avvenuta dal 3 al 9 maggio 1938, accolto con tutti gli onori non solo dal Duce ma dallo stesso sovrano Vittorio Emanuele III, dalla Regina e dalle massime autorità statali, oltre alla visita a Firenze e Napoli, evidentemente il momento centrale era riservato alla capitale, cioè a Roma (visita prevista dal 3 maggio sera alla sera del 4, con un programma ricco di avvenimenti trionfali e storici, con tanto di osannanti folle che ne facevano corona). Nonostante tutto il suo megalomane orgoglio e il proprio ostentato “credo” ideologico e politico, palesemente anti-cristico, Hitler dovette certo dunque provare pure un certo imbarazzo se non persino timore per ciò che avrebbe fatto o non fatto il Papa. Chiaramente non era previsto alcun incontro tra Hitler e il Pontefice.
Cosa fece infatti Pio XI in occasione della trionfale visita di Hitler a Roma (appunto il 4.05.1938)? Significativamente, simbolicamente e persino provocatoriamente il Papa abbandonò per quel giorno Roma, ritirandosi nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo!
Si trattava evidentemente di un fortissimo segno di ostilità nei confronti di Hitler e del nazismo.
Mentre l’Europa si inginocchiava ad Adolf Hitler (cfr. gli “Accordi di Monaco”, stipulati il 29-30.09.1938 tra Regno Unito, Francia, Germania e Italia), Pio XI e quindi la Chiesa Cattolica continuò a manifestare chiaramente la propria ostilità al nazismo!
Quando poi anche in Italia entrarono progressivamente in vigore le leggi razziali (1938/1939), Pio XI, in quello che sarebbe stato il suo ultimo discorso natalizio (il 24.12.1938), criticò fortemente e palesemente persino la svastica, scelta come simbolo del nazismo, bollandola come «Una croce nemica della Croce di Cristo»!
Papa Pio XI morì il 10.02.1939, a quasi 82 anni di età e dopo 17 anni di Pontificato.
Nota
Chiesa e fascismo
Qui non abbiamo evidentemente la possibilità di analizzare la questione del fascismo, che com’è noto ha occupato in modo così radicale, fino al folle e tragico epilogo, un “ventennio” della storia d’Italia della prima metà del sec. XX (cfr. Franco Cardini, Processi alla Chiesa, PIEMME 1994, pp. 435/480). Tra Chiesa Cattolica (e Pontefici) e fascismo non ci fu uno scontro così radicale come ci fu invece col nazismo tedesco.
Mussolini era ben consapevole di cosa volesse dire l’allora forte identità cattolica del Paese e la presenza della Chiesa nella società italiana, ma soprattutto che Roma, per la presenza viva del Papa, era il centro mondiale della Cattolicità (ne fece ampio cenno già nel discorso tenuto alle Camere prima ancora di salire al governo, il 21.06.1921).
Quindi, al di là dell’inaccettabile forma dittatoriale del governo e dell’ideologia statalista e pagana fatta propria dal fascismo (pensiamo al culto del corpo e al richiamo alla Roma imperiale pagana), non si giunse quasi mai allo scontro, ma anzi talora poteva sembrare, specie a livello popolare, che ci fosse una sorta di buon vicinato se non addirittura di collaborazione. Il Duce era certo attento e consapevole di questo. Già nel 1929, com’è noto, si riuscì persino a concludere finalmente i rapporti istituzionali tra Chiesa e Stato, che si erano inevitabilmente e bruscamente interrotti col Risorgimento, giungendo a stipulare con la Santa Sede sia i Patti Lateranensi che il Concordato. Non si trattava certo di una collaborazione, tanto meno di una condivisione delle ideologie fatte proprie dal fascismo (vedi quanto detto sopra circa il Concordato stipulato con Hitler nel 1933), però l’essere riusciti dopo 60 anni a raggiungere tale accordo istituzionale fu il motivo per cui si parlò del Duce come “uomo della Provvidenza”, frase tanto incompresa quanto strumentalizzata e caricaturizzata dopo la caduta del fascismo fino ad oggi.
Non è poi certo stata marginale la questione che il fascismo e lo stesso nazismo potevano fornire una sorta di barriera di difesa di fronte all’avanzare dell’altro sistema totalitario costituito dal comunismo, ancor più radicalmente e fortemente ostile alla religione, a motivo della propria base filosofica atea e materialista fornita dal marxismo.
Mentre i Concordati, come abbiamo sopra ricordato, vengono stipulati dalla Chiesa Cattolica con diverse realtà statali del mondo, senza con questo costituire minimamente una sorta di appoggio alle ideologie che reggono al momento tali poteri statali, la situazione italiana presentava inoltre un’originalità e specificità unica al mondo, essendo non solo il centro della Cattolicità mondiale ma avendo in Roma, come Vescovo, il Papa stesso, cioè appunto il Vicario di Cristo e la guida suprema della Chiesa Cattolica mondiale.
Ecco perché il Concordato del 1929 tra la Santa Sede e lo Stato Italiano fu completato anche dai cosiddetti Patti Lateranensi. In questo caso si trattava infatti non solo di regolare i rapporti tra Chiesa e Stato, come in qualsiasi Paese, ma di risolvere una gravosa situazione che si trascinava dal Risorgimento (vedi il dossier e vedi il documento più sintetico) e mai più fino ad allora risolta. Fu infatti in quel frangente storico che le forze piemontesi (in genere col sostegno dei poteri massonici pure inglesi) procedettero ad invadere progressivamente l’Italia, fino ad occupare, nel famoso 20.09.1870 (la cosiddetta “breccia di Porta Pia”, data tuttora celebrata con vie e piazze ad esso dedicate), la stessa città di Roma, centro mondiale della Chiesa cattolica e sede del Papato e fino ad allora sotto la guida anche civile del Papa (che fu immediatamente costretto ad abbandonare la sua stessa dimora, cioè il Quirinale). Ancor oggi, dopo oltre 150 anni, certi “dogmi” ed “eroi” risorgimentali non possono essere messi in discussione; ma che si trattasse non di un’unità d’Italia ma della sua invasione da parte del Piemonte lo si desume anche solo dal fatto ad esempio che il Re del Piemonte divenne Re d’Italia (e con lo stesso numero: Vittorio Emanuele II). Il Piemonte, mentre procedeva alla conquista dell’Italia, provvedeva a sopprimere gli ordini religiosi e ne incamerava i beni; ma l’incameramento di quasi tutti i beni ecclesiastici (a cominciare appunto dal Quirinale) avvenne addirittura anche a Roma! Il Papa fu praticamente relegato in Vaticano (tra l’altro si dovette sospendere immediatamente addirittura il Concilio Ecumenico Vaticano I, in atto proprio nel 1870) e i Cattolici furono esclusi dalla vita sociale, culturale e politica del Paese.
Oltre dunque al Concordato, che regolava i rapporti tra Chiesa e Stato – e si ricordi, visto che molti italiani ancor oggi confondono la questione, che quando parliamo di Chiesa e Stato non parliamo di due Stati, visto che allora apparteneva alla Chiesa cattolica la quasi totalità della popolazione italiana – si stipularono appunto pure i Patti Lateranensi. Così, pur avendo perso Roma la qualifica ufficiale di Città Santa in quanto centro della Chiesa Cattolica e della stessa Cristianità, tali Patti hanno previsto come sede del Papa (guida della Chiesa Cattolica universale; e sarebbe stato quindi assai riduttivo che fosse un cittadino italiano e sottomesso alle sue leggi) la creazione di uno Stato specifico (Città del Vaticano), sia pur simbolico (solo kmq 0,4), ma indipendente e sovrano a tutti gli effetti, quindi anche a livello di diplomazia e di diritto internazionale (ecco perché anche quando le squadre naziste occuparono Roma, non osarono oltrepassare il limite di Piazza S. Pietro, cioè entrare nella Città del Vaticano).
L’essere finalmente riusciti nel 1929 a stipulare sia i Patti Lateranensi che il Concordato, ponendo fine (o almeno un poco risolvendo) ad una situazione incresciosa che si trascinava dal 1870, fu visto quindi dalla Chiesa stessa come un atto provvidenziale. Così va intesa, e solo in tal senso e solo in quel particolare contesto, non certo come approvazione del fascismo, l’espressine riservata a Mussolini come “uomo della Provvidenza”, espressione che anche in questo caso la polemica anticlericale non cessa da quasi un secolo di diffondere come un falso mito contro la Chiesa, su cui persino ironizzare (cfr. Vittorio Messori, “Pensare la storia”, Paoline, 1992, pp. 279/280).
Certo, oltre alla costituzione dello Stato autonomo della “Città del Vaticano” (ultimo simbolico residuo dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi) e a qualche beneficio economico per la Chiesa (anche in questo praticamente quasi un nulla rispetto a tutti i beni ecclesiastici violentemente incamerati durante il Risorgimento; senza poi contare le innumerevoli istituzioni caritative della Chiesa stessa, quindi al servizio della nazione italiana, che per decenni e ancor oggi suppliscono pure alle inadempienze dello stesso Stato italiano), si ottenne anche l’insegnamento della Religione cattolica nelle scuole (anche se sempre strutturalmente emarginata), escluse le Università (tutte statalizzate e dove sono tuttora proibite le Facoltà di Teologia, immediatamente chiuse nel 1873), e alla presenza dei Crocifissi in tutte le strutture statali, scuole comprese (certo un dato simbolicamente bello ma di fatto insignificante rispetto alla realtà effettiva di tali strutture statali e alla cultura impartita alle nuove generazioni nelle scuole).
Con tutto ciò non mancarono durissimi scontri tra la Chiesa e il fascismo; e lo stesso Pio XI arrivò a denunciare apertamente le frequenti violazioni del Concordato da parte di Mussolini.
A parte la questione del nuovo Partito Popolare dei cattolici (don Sturzo), subito soppresso, lo scontro più duro si realizzò già nei primi anni della “era fascista” proprio sull’educazione della gioventù! Il fascismo ne voleva evidentemente il monopolio (pensiamo ai Balilla e alla Gioventù fascista), e non si trattava certo di un’educazione condivisibile dalla fede cattolica; ma allora la Chiesa era talmente presente nel tessuto sociale italiano che nel 1930 la sola Azione Cattolica contava ancora un milione di iscritti!
Lo scontro divenne su questo durissimo quando il 30.05.1931 Mussolini sciolse d’autorità tutti i gruppi giovanili e studenteschi non fascisti, compresi quelli cattolici come l’Azione Cattolica. Intervenne allora autorevolmente lo stesso Papa Pio XI, nientemeno che con un’enciclica del 29.06.1931 (“Non abbiamo bisogno” vedi), in cui Pio XI non condannò il fascismo in quanto tale (del resto, uno scontro con il fascismo in quanto tale non avrebbe che alimentato le opposizioni anticlericali e comuniste), ma denunciò fortemente le sue violenze, la sua statolatria e le sue pretese totalitarie, specie appunto nei confronti dell’educazione della gioventù. Il 2.09.1931 si arrivò così ad un’intesa, che permetteva all’Azione Cattolica di svolgere attività ricreative e religiose, anche se vietava agli antifascisti di esserne i dirigenti. Si manteneva peraltro in vita anche l’Università Cattolica del S. Cuore, nata nel 1920 (da p. Agostino Gemelli a altri protagonisti del mondo cattolico intellettuale e sociale) per preparare professionisti ed intellettuali cattolici e formare anche una nuova classe dirigente cattolica; alimentata dall’Azione Cattolica (FUCI) e sostenuta dall’intera Chiesa Italiana, essa non fu mai ostile al fascismo in quanto tale, e poté così continuare ad esistere e perseguire i propri obiettivi formativi.
Lo scontro sull’educazione della gioventù si riaccese poi nel 1937, circa l’esistenza e l’opera della FUCI (Universitari cattolici).
Comunque, nonostante che la Chiesa istituzionale e lo stesso popolo cattolico italiano, pur non riconoscendosi nell’ideologia nazionalista tanto meno nei valori pagani propagandati (tanto meno poi in quelli razziali) e non approvando certo il sistema totalitario (dittatura) attuata dal fascismo, per non parlare delle derive violente di certe sue frange estreme, s’è potuto pensare, ad una certa qual convivenza, non certo condivisione, che non era invece assolutamente possibile attuare col nazismo.
La guerra d’Etiopia non vide in linea di principio l’opposizione dei Cattolici; ma la benedizione dei soldati in partenza (come invece la propaganda anticattolica ha sempre polemicamente affermato) non voleva essere, precisò il Vaticano, una benedizione dell’opera che stavano per compiere (così come l’assistenza religiosa al mondo militare non significa neppure oggi appoggio incondizionato alle azioni militari comandate dai governi), ma di quei poveri giovani militari in partenza per destinazioni lontane e in fondo a loro stessi sconosciute!
Più forte fu invece il consenso cattolico verso l’impegno italiano nella guerra civile spagnola, dato il terrore e le terribili violenze anticattoliche che il comunismo pose in atto in Spagna.
Però, la sempre più ostentata simpatia ideale tra nazismo e fascismo, fino a diventare una folle alleanza militare tra Italia e Germania, che allora poteva forse far pensare di mettersi dalla parte vincente della storia ma che invece come sappiamo avrebbe portato entrambe le nazioni alla catastrofe della II Guerra Mondiale e alla fine non solo dei due regimi ma degli stessi Paesi, e addirittura le “leggi razziali” promosse anche da Mussolini, portarono poi all’inevitabile scontro, se non sempre a livello popolare ma certo a livello dei Pontefici e della gerarchia ecclesiastica, tra fascismo e Chiesa cattolica.
La Chiesa condannò subito l’antisemitismo nazista, che tra l’altro mostrava sempre più la propria avversione anche nei confronti del cristianesimo, considerato erede del giudaismo, in particolare contro il cattolicesimo e il Papa.
Il 28.07.1938 il Papa condannò che l’Italia si stesse accodando al nazismo anche in questo razzismo (il Papa arrivò a dire, quasi provocatoriamente, che “spiritualmente siamo anche noi dei semiti, visto il legame biblico tra l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento”). La Chiesa cattolica ammetteva del resto i matrimoni misti tra ebrei e cristiani; e questo pose problemi giuridici al fascismo (che giunse a proibirli) per il valore civile dei matrimoni celebrati dalla Chiesa, come risulta dal Concordato del 1929.
Come segno dell’incompatibilità della fede cattolica con i totalitarismi, oltre ovviamente che per la sua pregnanza teologica, Pio XI istituì pure la solennità di “Cristo Re”.
Intanto, nonostante tutte le assicurazioni contrarie fatte ipocritamente da Hitler, si profilava all’orizzonte il terribile spettro della nuova guerra mondiale, per impedire la quale Pio XI fece l’impossibile, fino a far dono a Dio della propria vita pur di ottenere la pace (come confessò nel “radiomessaggio” del settembre 1938). Pio XI morì infatti il 10.02.1939, travolto anche dal dolore per il pericolo di una imminente nuova guerra mondiale.
Quando, morto Pio XI, si giunse all’elezione di Pio XII, essa fu malvista sia dal fascismo che dal nazismo, ideologie e dittature che trovarono infatti subito una forte opposizione da parte del Pontefice, come ora vedremo.
Pio XII
Il 2.03.1939 veniva eletto Papa col nome di Pio XII il card. Eugenio Pacelli, di 63 anni, che era il Segretario di Stato dal 1930. Fu Papa ovviamente fino alla morte, avvenuta a Castel Gandolfo il 9.10.1958.
Mons. Eugenio Pacelli fu consacrato vescovo il 13.05.1917 (proprio il giorno della prima apparizione della Madonna a Fatima*) e col titolo di Arcivescovo fu inviato da Benedetto XV Nunzio Apostolico in Baviera. Il 19.04.1919 fu oggetto di un pericoloso attaccato da parte di rivoltosi di ispirazione comunista, che cercarono di ucciderlo. Dal 1920 fu poi primo Nunzio dell’intera Germania, trasferendosi da Monaco a Berlino. Fu dunque Nunzio in Germania dal 1917 al 1929. Nel 1929 papa Pio XI lo richiamò a Roma, lo fece Cardinale il 16.12.1929 e il 7.02.1930 fu nominato Segretario di Stato.
* Non furono pochi i collegamenti tra le apparizioni di Fatima e la vita di Eugenio Pacelli/Pio XII. Ad esempio, il 30.10.1950 (antivigilia della solenne proclamazione del dogma mariano dell’Assunzione), mentre compiva la consueta passeggiata pomeridiana nei Giardini vaticani, Pio XII vide qualcosa di analogo al miracolo del sole avvenuto a Fatima il 13.10.1917. Il fenomeno si ripeté per 3 volte anche nei giorni seguenti (vedi).
L’elezione di Pio XII fu malvista dalle gerarchie hitleriane, che erano consapevoli dell’influsso da lui esercitato anche sulla Mit brennender Sorge di Pio XI.
La denuncia dei sistemi totalitari, propria della Dottrina sociale della Chiesa e più volte espressa dal magistero dei suoi Predecessori, fu manifestata da Pio XII già nella sua prima Enciclica, quella che è sostanzialmente programmatica di un pontificato, cioè la Summi Pontificatus (20.10.1939, vedi), svolgendone con rigore e consequenzialità tutta la forza.
In tale sua prima Enciclica, Pio XII sottolineò pure come la guerra, che minacciosamente si presentava ormai alle porte dell’Europa e dell’umanità, fosse sostanzialmente il frutto di erronee e tragiche ideologie, che si sono a loro volta opposte al pensiero cristiano (il totalitarismo è lo sbocco inevitabile dell’allontanamento da Dio e diventa idolatria dello Stato).
L’enciclica venne accolta dai nazisti con ostilità e fu proibita dalla Gestapo in tutta la Germania. Il capo della polizia segreta Müller la considerò molto pericolosa e volta direttamente contro la Germania e contro il conflitto tedesco-polacco appena aperto.
Nei primi mesi del suo pontificato, che venivano tragicamente a coincidere con i segnali di una guerra ormai imminente (un segnale fortissimo in tal senso e un detonatore fu proprio l’invasione tedesca della Polonia, il 1°.09.1939, seguita qualche giorno dopo dalla Russia), Pio XII, consapevole del pericolo di un’ormai imminente ed immane catastrofe, non si limitò ad una denuncia verbale o scritta di tale pericolo, ma tentò subito pure ogni strada diplomatica (visto che anche come Capo di Stato vaticano poteva farlo) per scongiurare la guerra. Cercò così di intervenire per via diplomatica presso Hitler, ma egli non prese neppure in considerazione questo intervento della Santa Sede, dicendo sarcasticamente che non vedeva alcun pericolo di guerra. Il Papa spinse allora anche Mussolini a parlare con Hitler circa la questione di Danzica (che fu il pretesto per l’invasione tedesca della Polonia), ma senza riuscirvi.
Fatto ogni tentativo, diplomatico e non, per scongiurarla, una volta scoppiata la guerra il 1°.09.1939, Pio XII, memore di quanto accadde nella Prima Guerra Mondiale, tenne a quel punto una posizione diplomatica di rigorosa “neutralità”, per mantenere la possibilità di intervenire a favore della pace. Tale neutralità non era evidentemente nei confronti della guerra, apertamente condannata, ma delle parti in guerra. Il Papa infatti, Vicario di Cristo e Capo della Chiesa Cattolica universale, deve infatti essere al di sopra delle parti. In questo modo il Pontefice può ancor meglio intervenire, anche per via diplomatica e per affrettarne la stessa conclusione, ma gli permette di muoversi, attraverso le Chiese locali, pure a livello umanitario e assistenziale e per lenire un poco gli orrori della guerra. Però, anche questa posizione di dovuta neutralità, non fu sempre capita e gli procurò accuse da entrambe le parti avverse.
Quando Pio XII fu eletto Papa, il mondo intero stava dunque per entrare in quel secondo conflitto mondiale (incendiato proprio dall’occupazione nazista e comunista della Polonia nel settembre del 1939), che costituisce tuttora la più grande tragedia della storia umana e che in circa 6 anni provocò oltre alla immani distruzioni materiali e allo sterminato numero di feriti, ben 65 milioni di morti!
Pio XII si impegnò con tutti i mezzi a sua disposizione, pur ormai evidentemente vani, per evitare la Guerra, per non farla estendere (specialmente perché non vi entrasse l’Italia), per limitarne il più possibile i danni e per farla concludere nel più breve tempo possibile.
Fallito ogni tentativo diplomatico, una volta scoppiata la guerra Pio XII mosse se stesso e la Chiesa anche in un’immane azione umanitaria per lenirne le terribili ferite. L’opera di assistenza della Santa Sede fu per tutti, al di là di ogni appartenenza religiosa, etnica o nazionale.
Il Papa, lungo tutto il 2° Conflitto mondiale si impegnò inoltre perché, terminata la guerra, si giungesse a firmare una pace separata tra la Germania post nazista e gli Alleati.
Oltre alla preziosa documentazione via via emergente dalla progressiva disponibilità dell’Archivio Apostolico (l’ex Archivio Segreto Vaticano, già sopra citato), sui cui i ricercatori e gli storici stanno lavorando, si cominciano ad avere in merito già delle monumentali e documentatissime pubblicazioni, come quella, attualmente ancora solo in francese, intitolata Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la période de la Seconde Guerre Mondiale (Atti e documenti della Santa Sede relativi al periodo della Seconda Guerra Mondiale), disponibile già anche online (vedi).
Qui sottolineiamo solo un poco quanto in quel primo tragico periodo del suo Pontificato (1939-1945) Pio XII riuscì a porre in atto contro il nazismo, a favore dei popoli e della popolazione civile, con particolare accento a come si spese in tutti i modi per alleviare le immani sofferenze subite dagli Ebrei a causa del follie dell’antisemitismo nazista e delle leggi razziali poste in atto (poi purtroppo anche in Italia).
Nel suo delirio d’onnipotenza e nella sua furia diabolica, Hitler giunse persino a progettare di invadere il Vaticano e sequestrare il Papa, per portarlo prigioniero a Wartburg, nell’Alta Slesia. Del resto non sarebbe stata la prima volta, anche nei secoli più recenti: lo fecero infatti già i rivoluzionari francesi nel 1797 e Napoleone nel 1809. Anche Hitler, però, nonostante la sua follia diabolica, era ben cosciente dell’immenso valore simbolico di tale atto e che non si potesse trattare il Pontefice neppure alla stregua di un qualsiasi sovrano nazionale, essendo il Capo dell’intera Chiesa Cattolica universale e la massima autorità morale del mondo. Vi si oppose lo stesso generale delle SS Karl Wolff, incaricato dell’operazione, perché temeva che ciò avrebbe attirato sulla Germania le accuse di tutto l’occidente cattolico e forse del mondo intero.
Nonostante ciò, in preda alle furie scatenate dall’Armistizio firmato dall’Italia l’8.09.1943 (il popolo italiano si accorse in una notte di essere passati da alleati a nemici della Germania!), Hitler era persino pronto ad attuare pure tale incredibile rapimento!
Visto che ne era giunta voce in Vaticano, Pio XII aveva comunque già preparato un suo documento ufficiale che in tal caso (“Sede impedita”) sarebbero scattate automaticamente le sue dimissioni (Rinuncia al Papato e quindi rendendo la Sede automaticamente “vacante”), così che se anche Hitler fosse riuscito nell’intento si sarebbe trovato tra le mani uno che già non era più il Papa!
Circa la figura del Papa Pio XII e l’importanza enorme del suo luminoso pontificato, si tenga presente che, mentre era in vita, tale Pontefice fu assai amato dal popolo di Dio e osannato anche dalla vera società civile: si pensi alle folle immense che accorrevano a lui in piazza S. Pietro (vedi), ma anche al commosso abbraccio che il popolo romano gli riservò ad esempio pure in occasione del tragico bombardamento di Roma da parte degli USA e forze alleate il 19.07.1943, quando il Papa si recò subito a braccia aperte e benedicenti nella zona di S. Lorenzo al Verano colpita (vedi).
Con l’avvento della televisione (1954), che ebbe presa e incidenza sull’opinione pubblica assai più di quanto fino ad allora avessero potuto fare la stampa e la radio, si divulgò progressivamente e artificialmente, ancora più dopo la sua morte, un’immagine di Pio XII non solo aulica, ma di un Papa serio, distaccato se non persino arcigno. A ciò si contrappose poi nel 1958, e non fu difficile farlo a livello mediatico, il “Papa buono” (come se Pio XII non lo fosse stato!), cioè Giovanni XXIII. Nei turbolenti (per la società e per la Chiesa) anni ’60, dove anche in Italia si imponeva sempre più un potere culturale non solo laicista e massonico ma pure di stampo marxista, comunque fortemente anticlericale, si creò pure il falso e altamente lesivo mito di Pio XII come “Papa del silenzio” se non addirittura compiacente nei confronti di Hitler e persino assente di fronte alla tragedia vissuta dagli Ebrei in quel terribile frangente storico. È certo che a creare tale “leggenda nera” contribuì non poco, insieme alla cultura laicista, pure una fetta consistente di un certo potente mondo ebraico; quando in realtà in quel dolorosissimo frangente, come vedremo, si manifestò invece un’immensa gratitudine nei confronti di Pio XII proprio da parte dello stesso mondo ebraico, se non altro per l’immensa opera di difesa e caritativa posta in atto nei loro confronti proprio da tale Pontefice.
Proprio a partire dagli anni ‘50/’60 del secolo scorso, specie a causa dell’enorme potere mediatico rappresentato dalla televisione, si assisteva quindi ad un fenomeno nuovo e disarmante: la gente (anche per la vita della Chiesa, sia sui Papi come sullo stesso Concilio Vaticano II) apprendeva i contenuti e i criteri di giudizio più dalla televisione che dalla vita reale della Chiesa e dal suo autentico magistero (vedi appunto il “Papa buono” Giovanni XXIII o le novità del Concilio, mentre la maggior parte dei giovani veniva acriticamente trasferita nell’orizzonte culturale marxista o liberal-nichilista, quello della generalizzata “contestazione” e ribellione di quegli anni ’60/’70, vedi).
Pio XII è invece ricordato col significativo appellativo di Pastor Angelicus. Il suo altissimo magistero (che poi, insieme al governo universale della Chiesa, è il compito precipuo di un Papa, missione affidatogli da Cristo stesso), oltre ovviamente a tutto ciò che concerne un’autentica vita di fede, spaziò su moltissimi campi dell’esistenza umana e della stessa vita sociale (basti pensare ai suoi discorsi, ai suoi “radiomessaggi”, oltre che ai suoi documenti ufficiali o alle sue omelie), come davvero una luce, una lampada che brilla nelle tenebre. “Tenebre” che il mondo aveva tragicamente sperimentato nella prima metà del secolo, con le sue ideologie, dittature e guerre mondiali; ma che paradossalmente, a livello esistenziale e morale, continuarono sempre più ad avvolgere l’uomo contemporaneo (particolarmente in Occidente e specie nel mondo giovanile), con progressiva distruzione delle famiglie, del senso morale e religioso, dello stesso destino eterno delle anime.
[Cfr. ad es.: Domenico Tardini, “Pio XII” (Città del Vaticano, 1960); Igino Giordani, “Pio XII, un grande Papa” (Torino, 1961); Andrea Riccardi, “Pio XII” (Bari, 1984)]
Se poi andassimo a conoscere la vita personale e più privata di Papa Pacelli, cioè alla santità della sua persona e limpidezza della sua anima, fino all’evidenziarsi della sue “virtù eroiche” cristiane, potremmo scoprire una realtà in genere sconosciuta ai più ma in grado di offrirci un’impressionante testimonianza di vita cristiana, che qui purtroppo non abbiamo la possibilità di analizzare neppur minimamente.
Potremmo ad esempio scoprire, al di là della doverosa sacralità e magnificenza che un Papa deve avere, per lo stesso altissimo compito che Dio gli affidato per la Chiesa e l’umanità intera, che persino le suole bucata delle sue scarpe avrebbero avuto bisogno di essere cambiate o quanto meno risuolate, ma che invece Pio XII si ostinava ancora ad usare; oppure che per penitenza e per solidarietà con i patimenti che molti stavano vivendo durante la guerra, volle ad esempio che il riscaldamento dell’appartamento pontificio fosse spento, magari devolvendo il corrispettivo per i poveri (vedi). Siamo venuti poi a conoscenza, anche da parte dei suoi segretari o della famosa Suor Pascalina (vedi poi) come in privato il Pontefice facesse anche tanti volontari sacrifici (“fioretti”) da offrire a Dio ma anche per devolvere il più possibile gli aiuti ai bisognosi. Una grande carità e una sincera e attiva vicinanza ai poveri e bisognosi, mai però sbandierata. Per non parlare appunto di quanto fece, anche a livello materiale, per gli Ebrei perseguitati (come tra poco vedremo).
Per il suo luminoso pontificato e per l’eroicità delle sue virtù cristiane, si iniziò presto il suo Processo di Beatificazione e Canonizzazione; già dal 1990, a conclusione della prima fase del Processo, Pio XII ebbe il titolo di “Servo di Dio” e dal 2009 di “Venerabile”. Però, con tutta probabilità proprio a causa di alcuni veti venuti in seguito da certa propaganda anticlericale, dapprima laicista e poi purtroppo anche di origine ebraica, tale processo non ha ancora permesso di proclamare Pio XII Beato e poi Santo (come fu fatto giustamente per Pio X e ultimamente, persino forse con una certa qual fretta e disinvoltura, è stato fatto per tutti i Papi da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II).
Nota
La causa di Beatificazione di Pio XII
Già l’8.12.1958, quindi due mesi dopo la sua morte, la Chiesa pregava ufficialmente per chiedere la Beatificazione di Pio XII. Paolo VI, che stimava moltissimo Pio XII, già durante il Concilio volle che fosse avviata la sua Causa di Beatificazione e che si portassero alla luce e si pubblicassero i documenti sull’opera del Pontefice durante la II Guerra Mondiale, anche per chiarire la sua opera a favore degli Ebrei e fugare ogni dubbio e pregiudizio che si cominciava a creare in merito.
Dal 1983 al 2013 è stato Relatore della Causa, condotta con storica e obiettiva acribia, il gesuita mons. Peter Gumpel (tedesco ma con ascendenze ebraiche, morto il 22.10.2022). Solo per la positio circa le “virtù eroiche” di Pio XII emerge uno studio di circa 3000 pagine. Sulle sue ampie ricerche a tutto raggio, che fugano anche ogni possibile dubbio circa la questione sui suoi presunti “silenzi” sul nazismo e la persecuzione degli Ebrei, torneremo in seguito. Primo Postulatore della Causa fu p. Pierre Blet (morto nel 2009), poi lo fu p. Paolo Molinari (morto nel 2014) e attualmente lo è p. Pascual Cebollada (sono tutti padri Gesuiti).
Dal 1990, a conclusione della prima fase della Causa di beatificazione, Pio XII è “Servo di Dio”; nel 2009 la Congregazione per i Santi ha riconosciuto le sue “virtù eroiche” ed è stato quindi proclamato “Venerabile” da Benedetto XVI.
Certamente sul rallentamento di tale Causa di Beatificazione hanno inciso e incidono molto dei condizionamenti “di parte”: c’è chi vi si oppone per motivi religiosi ed ecclesiali (l’ultimo Papa preconciliare!), quindi all’interno stesso della Chiesa, chi per motivi politici (laicisti o di sinistra) e soprattutto da non pochi esponenti del mondo ebraico. Sul fronte anticattolico c’è chi ha persino avanzato la pretesa di sottoporre a “tutela laica” il Processo di Beatificazione di Pio XII.
L’Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, parlando a nome del governo israeliano, ha chiesto di attendere almeno cinquant’anni prima di beatificare Pio XII.
Sulla stessa linea d’onda anche Elie Diesel, scrittore, sopravvissuto ad Auschwitz, che in un’intervista sulla beatificazione di Pio XII ha dichiarato: “Sarebbe un gesto gravissimo premiare un uomo il cui silenzio durante l’Olocausto ha di fatto avallato lo sterminio di milioni di Ebrei”.
Invece, dalle ricerche di p. Gumpel emerge pure che Pio XII incontrò il leader di un gruppo di circa 800 Rabbini ebrei ortodossi nordamericani, che gli diede una dichiarazione scritta in cui spiegava che gli Ebrei ortodossi non erano d’accordo con quei fratelli nella fede che si intromettono nelle questioni interne della Chiesa.
Hanno poi contribuito a rallentare (o addirittura bloccare?) la Causa anche feroci e tendenziose pubblicazioni, ricche di accuse infamanti contro Pio XII, come quella dell’inglese John Cornwell, Il Papa di Hitler: la storia segreta di Pio XII del 1999 (in italiano dal 2000), su cui torneremo verso il termine del presente dossier.
Inoltre, essendo nata la televisione proprio durante il suo Pontificato (1954), per la prima volta sono prepotentemente entrati in gioco fattori e condizionamenti mediatici (un Papa arcigno e distaccato, da contrapporre al “Papa buono” Giovanni XXIII, più popolare e persino più aperto nei confronti dei comunisti); del resto del Concilio stesso ci fu una conoscenza e recezione più “mediatica” che reale, come ricordò sapientemente lo stesso Benedetto XVI in uno dei suoi ultimi discorsi (vedi).
Torniamo però ancora un poco a fare qualche sottolineatura sul rapporto tra l’ideologia e dittatura nazista e la vita della Chiesa Cattolica, con particolare riferimento al pontificato di Pio XII.
Abbiamo qui già più volte sottolineato l’assoluta opposizione della Chiesa Cattolica all’ideologia e dittatura nazista e come si cercò, persino clandestinamente, di fermarla.
Abbiamo pure ricordato come Pio XII giunse a definire Hitler un Anticristo e lo riteneva persino un indemoniato, tanto da far fare su di lui degli “esorcismi a distanza” (leggi).
Inoltre abbiamo già ricordato come non solo la Chiesa Cattolica tedesca ma lo stesso Pio XII fece tutto il possibile per organizzare clandestinamente una resistenza contro il nazismo, fino a tramare per ottenere la destituzione (leggi) e persino l’uccisione di Hitler (visto che è moralmente lecito, come ultima possibile risorsa, uccidere un ingiusto tiranno che stia provocando la rovina e la morte di milioni e milioni di persone)!
Per comodità di ricerca, riportiamo qui quanto già riferito sopra (vedi sopra il paragrafo “Come Pio XII tramò per destituire Hitler”):
Pio XII si adoperò perfino per destituire il tiranno tedesco. Coordinò infatti un’intera rete segreta spionistica per organizzare un golpe ai danni del dittatore tedesco. Un’operazione segreta che ebbe il suo centro negoziale proprio in Vaticano. Pio XII mise in piedi una rete di spionaggio per tenere il più possibile sotto controllo la situazione in Germania, anche cercando potenziali oppositori di Hitler. A tal scopo impiegò pure sacerdoti e vescovi tedeschi per raccogliere informazioni dirette sulla situazione in Germania e sulle reali possibilità di una destituzione del Führer. Alcuni, come il Cardinale von Preysing di Berlino, divennero importanti centri di una rete di spionaggio che raccoglieva informazioni sui piani nazisti e le trasmetteva in Vaticano.
Il Papa cercò anche potenziali alleati per organizzare un golpe contro Hitler. Contattò in tal senso perfino il generale Ludwig Beck, Capo di stato maggiore dell’esercito, e il conte Claus von Stauffenberg, nella speranza che si unissero alla resistenza contro Hitler. Pio XII offrì anche rifugio e protezione in Vaticano a chi si fosse unito a tale ardua impresa.
Persino il sito ebraico “The Jewish Week” ha scritto: «Papa Pacelli costruì e diresse una rete di comunicazione intricata e segreta. Non usava quasi mai a lettere scritte, intercettabili dalla censura, semmai usava telegrammi cifrati (in codice); laddove possibile si tenevano incontri segreti e in essi, pur tenuti in luoghi nascosti, si preferiva comunicare con carta e penna piuttosto che la voce, per non essere intercettati. Si trattava di organizzare un movimento di resistenza vasto, diffuso e clandestino, atto a coinvolgere sindacati e settori della società civile, pronti ad entrare in azione non appena Hitler fosse stato deposto. Se fu già un miracolo non essere scoperti, l’attuazione di tale piano rimase però un’utopia [cfr. Mark Riebling, “Le spie del Vaticano. La guerra segreta di Pio XII contro Hitler“, Mondadori, 2016 (vedi). L’autore, storico americano, fu tra i fondatori del “Center for Tactical Counterterrorism“, nonché firma eccellente del “New York Times” e del “Wall Street Journal” . Tale informazione è presente anche nella “Positio” di P. Gumpel per la Causa di beatificazione di Pio XII (vedi).
Oltre ai documenti ufficiali, furono assai noti e incidenti a livello mondiale, anche i suoi celebri Radio-messaggi (inoltre la Radio Vaticana permetteva da Roma di farli ascoltare senza interferenze in tutto il mondo). Particolarmente importanti furono quelli natalizi, anche durante la guerra. Anche in tali occasioni Pio XII ripeté e sottolineò spesso come la tragedia della guerra in corso fosse pure inevitabile conseguenza della lotta tra le nazioni scatenata nel mondo dai sistemi totalitari. Il Papa indicava inoltre che solo l’accoglienza della tradizione cristiana, l’amore alla verità e alla libertà, potessero garantire la costruzione di un nuovo mondo e di una nuova società.
Facciamo infine già qualche sottolineatura proprio sulla questione degli Ebrei, ormai palesemente perseguitati dal nazismo di Hitler.
È peraltro assai significativo che Pio XII fosse odiatissimo dai nazisti anche perché considerato un “difensore degli ebrei”; accuse specifiche in questo senso si trovano nei Tichgespräche (discorsi ai fedelissimi riportati nei diari di Goebbels) di Hitler e nelle esternazioni della stampa nazista.
La Radio Vaticana, su istruzione del Papa, nel gennaio 1940 parlò apertamente degli abusi hitleriani, ripresa ampiamente dalla stampa inglese (il Manchester Guardian proclamò la Radio Vaticana “il più energico difensore della torturata Polonia”), francese, italiana, svizzera e statunitense (il Jewish Advocate di Boston ed il New York Time, ad esempio, elogiarono ampiamente gli interventi in merito della Radio vaticana).
Si ipotizzò un intervento ancora più forte del Papa contro Hitler e il nazismo, ma si temeva con ciò di non far altro che aumentarne la loro ferocia. Il Papa pensò anche ad una “scomunica” su Hitler ed il nazismo, ma era anche consapevole che nei tempi moderni (secolarizzati) essa non avrebbe ottenuto alcun effetto; per questo desistette.
Abbiamo già osservato come lo stesso cardinale di Cracovia Sapieha dissuase il Papa da più forti accuse al nazismo, che dopo l’invasione cercava in ogni modo di scristianizzare anche la Polonia, perché questo avrebbe comportato solo un incremento delle persecuzioni.
Peraltro, proprio una non aperta condanna di Hitler permise alla Chiesa non solo di mantenere aperte, sia pur con risultati pressoché nulli, i canali diplomatici per evitare il peggio, ma anche di porre in atto un’immane azione di protezione di tutte le minoranze perseguitate dal nazismo (anche di quelle che talora oggi lo criticano).
Pio XII non ha infatti solo insegnato o agito a livello diplomatico per evitare o limitare i danni della guerra e di queste ideologie e dittature contemporanee: ha vissuto in prima persona, in modo esemplare, la tragedia di milioni di uomini, dedicando gran parte delle sue iniziative e delle sue risorse a lenire, per quanto era possibile, le conseguenze disastrose di tale totalitarismo nazista. Chiunque fossero le vittime: cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, non credenti.
Nota
L’Archivio Apostolico (Vaticano)
Avevamo già osservato come l’Archivio Segreto Vaticano (vedi), oggi denominato Archivio Apostolico, stesse rendendo progressivamente disponibili i documenti relativi al pontificato di Pio XI e di Pio XII. Avevamo sottolineato come fossero ad esempio già a disposizione degli studiosi circa 6.500 rapporti della Nunziatura apostolica in Germania che S. E. mons. Eugenio Pacelli (futuro Pio XII) spedì al Papa Pio XI o alla Segreteria di Stato nei 12 anni della sua attività di Nunzio in Germania, nonché le istruzioni che il Segretario di Stato (card. Pietro Gasparri) inviò alla Nunziatura tedesca.
Circa l’immensa documentazione relativa al Pontificato di Pio XII (1939-1958), in via del tutto eccezionale (erano passati solo pochi anni) Paolo VI, che nutriva una particolarissima stima per questo suo venerando Predecessore, volle che già dal 1965 i ricercatori potessero accedere a tale immenso materiale, non solo per iniziare così la stessa Causa di Beatificazione, ma anche per far piena luce sugli insegnamenti e le opere di Pio XII in riferimento alle dolorose vicende storiche della Guerra, dei totalitarismi e della persecuzione contro gli Ebrei, come pure per rispondere in modo documentato e inoppugnabile alle calunnie sulla Sua figura emergenti proprio in quegli anni (cfr. l’opera Il Vicario, v. poi).
A tale imponente e prezioso materiale storico ebbe subito accesso il grande studioso e padre gesuita mons. Peter Gumpel (tedesco ma con ascendenze ebraiche), già più volte citato e su cui ancora ritorneremo, che dal 1983 al 2013 fu il Relatore nella Causa di Beatificazione di Pio XII.
Dal 2020 anche la sezione dell’Archivio Apostolico relativa al pontificato di Pio XII è totalmente accessibile agli studiosi.
Parte terza – Gli Ebrei
Parlando degli Ebrei, occorre anzitutto fare una distinzione e non cadere in pericolosi equivoci.
C’è anzitutto l’Ebraismo come religione. Anche nel panorama religioso mondiale e persino nel rapporto col Cristianesimo (e per certi versi anche con l’Islam), l’Ebraismo ha una specificità ed assume un ruolo del tutto particolare. Pur essendo nella storia e nel mondo attuale una religione minoritaria (neppure 20 milioni di fedeli), l’Ebraismo costituisce infatti obiettivamente una novità assoluta: è una Religione rivelata da Dio stesso, in un percorso storico che va circa dal 1.800 a.C. a Cristo stesso e che è racchiusa nella Bibbia, cioè nei 46 libri dell’Antico Testamento; e non si tratta solo di una loro “credenza”, ma è possibile averne pure un riscontro oggettivo e storico [lo sottolineiamo brevemente qui, ma lo si può vedere nel sito in modo più diffuso nella News “Bibbia e cultura” (vedi), come pure nella catechesi n. 3 sulle “Religioni” (vedi, domande 7-12)].
Attualmente, essendo tra l’altro gli Ebrei presenti non solo nello stato di Israele ma in tutto il mondo, è difficile avere un loro quadro religioso numericamente ben determinato. Possiamo però far certo riferimento a quanti frequentano ad esempio le “sinagoghe”, cioè i luoghi di culto ebraici (visto che il Tempio di Gerusalemme, massimo centro religioso dell’Ebraismo, fu radicalmente distrutto dai Romani nel 70 d.C. e mai più ricostruito; vi rimane ancor oggi solo il cosiddetto “Muro occidentale” o “Muro del pianto”, su cui sovrasta appunto la spianata del Tempio, peraltro oggi occupata da due enormi e gloriose moschee musulmane, specie quella di Omar, col famoso tetto d’oro). Tra gli stessi appartenenti ufficialmente alla religione ebraica, andiamo dai più fervorosi ed ortodossi (si notano persino dal corpo, dal taglio dei capelli, dall’abbigliamento, dal copricapo – vedi la foto sopra – fino ad esempio all’osservanza rigorosissima del sabato come assoluto riposo), fino a coloro che pur possedendo tale fede non sono strettamente osservanti della Legge di Dio (Antico Testamento).
Possiamo poi parlare degli Ebrei come gruppo etnico: anche per questo, oltre che in Israele, possiamo parlare di una loro presenza in molti Paesi del mondo, a cominciare dagli USA. Nonostante le loro diverse cittadinanze, costituiscono un gruppo abbastanza omogeneo e determinato (talora si è parlato nella storia ma anche nel presente di “ghetto ebraico”, non sempre loro imposto ma perfino scelto); altri lo sono per ascendenza genealogica (lo si può riscontrare persino dagli stessi cognomi, basti pensare ad esempio a “Levi”, o nei nomi propri). In tal senso, molti grandi personaggi della storia ma pure del presente, dal mondo dell’economia (in cui in genere primeggiano) a quello stesso della scienza, o sono direttamente Ebrei o appartengono al popolo ebraico nella loro genealogia. Dovrebbe essere abbastanza noto che, anche negli USA ma non solo, molte famiglie ebraiche sono detentrici di un potere economico stratosferico e tale da poter incidere anche nelle scelte culturali, economiche e politiche dei Paesi in cui vivono se non nel mondo intero!
Si tenga dunque presente questa distinzione, per non confondere appunto tale appartenenza etnica o culturale con la loro appartenenza religiosa. Si dovrebbe tener conto di ciò anche nell’attuale dialogo inter-religioso. Molti di questi Ebrei sono infatti, talora anche pubblicamente e persino ostentatamente, atei o agnostici dichiarati.
L’ultima distinzione da tener doverosamente presente riguarda poi il mondo ebraico in riferimento allo Stato di Israele, nato solo nel 1948, dopo l’atroce esperienza subita dagli Ebrei nella II Guerra Mondiale, specie ad opera del nazismo (l’Olocausto, oggi meglio denominato col termine ebraico Shoah) e per fornire agli Ebrei anche una propria configurazione statale, in quel territorio del Medio Oriente dove appunto vissero fino al 70 d.C. (si parla in questo senso di “Sionismo”, dal nome del monte Sion su cui è edificata Gerusalemme) e che è detta anche “Terra Santa”, specie dai Cristiani, essendo i luoghi stessi della presenza di Cristo, cioè di Dio stesso, nella storia e nel mondo (ma in tal senso è spesso rivendicata come tale anche dagli Ebrei e persino dai Musulmani, come ricorderemo tra poco). La costituzione moderna di tale Stato, che peraltro comprendeva anche la costituzione dello “Stato palestinese”, per garantire anche a tale popolazione presente in tale territorio una conformazione giuridica riconosciuta a livello internazionale e invece non ancora riconosciuta dai più, nel corso di questi decenni e nel presente, come sappiamo, non ha cessato di sollevare anche gravi problemi, addirittura militari, perfino terroristici e di politica internazionale.
Occorre tener presenti tali distinzioni anche quando si parla di “antisemitismo”, per non confondere appunto un detestabile odio antireligioso o anti-etnico con qualsiasi dissenso anche culturale e politico nei confronti delle scelte fatte dagli Ebrei o dallo stesso Stato d’Israele.
Con un poco di malizia si potrebbe ad esempio sottolineare – lo fece ad esempio il famoso giornalista italiano Vittorio Messori, che pur intratteneva buoni rapporti con gli Ebrei e poteva godere persino di buona e riservata accoglienza addirittura nella blindatissima Ambasciata di Israele presso la Santa Sede per dialoghi appunto con l’Ambasciatore stesso, come egli stesso racconta (cfr. Vittorio Messori, “Emporio cattolico“, Sugarco Ed., 2006, p. 168) – che la questione dell’antisemitismo e persino della super rinnovata e perenne memoria della Shoah fossero state riesumate nel panorama culturale e politico internazionale, proprio in occasione della “Guerra dei 6 giorni”, attuata da Israele nel 1967. Una tentativo di recuperare la compassione e il credito internazionale per Israele proprio per coprire i loro misfatti?
La cosiddetta “Guerra dei 6 giorni” fu quella scatenata dall’ancor giovane Stato d’Israele in pochi giorni (5/10 giugno 1967), quando Israele invase dei territori dell’Egitto (Sinai e la stessa Gaza), della Giordania (Cisgiordania) e della Siria (Golan), destabilizzando così ulteriormente l’intero Medio Oriente. Non è certo casuale che appunto proprio in quel frangente Israele fece riemergere la questione del cosiddetto “antisemitismo” (come quello del “negazionismo”), non soltanto quindi per ricordare quanto orribilmente patito sotto il nazismo (strano però che quanto ancor più patito dai cristiani nello stesso frangente storico sia invece tuttora censurato), quanto forse per cercare di silenziare con questo termine persino qualsiasi possibile dissenso anti-ebraico, anche nei confronti di certe potentissime famiglie ebraiche americane, se non addirittura appunto delle stesse politiche di Israele (vedi).
Diamo dunque uno sguardo alla storia di questo straordinario popolo
Il popolo ebraico nell’Antico Testamento
Dio ha scelto Abramo (circa 1800 a.C., anche se non c’è pieno accordo tra gli studiosi) e la sua discendenza (fino all’anno 0) per rivelarsi, come unico vero Dio, all’umanità (vedi il documento “Bibbia e cultura”). Il popolo ebraico è la discendenza non solo spirituale (di fede) ma fisica di Abramo (ne è tuttora il segno anche la circoncisione dei maschi). Tale Rivelazione divina o “storia della salvezza” è contenuta nell’Antico Testamento della Bibbia. Dio ha promesso ad Abramo una numerosissima discendenza ed una Terra per il suo popolo (terra che secondo Gn 15,18 doveva andare dall’Egitto alla Mesopotamia). Che dopo circa 3800 anni questa discendenza fisica e spirituale, promessa da Dio ad Abramo, rappresenti addirittura la maggioranza assoluta della popolazione mondiale è evidenziato da quanto ora osserviamo.
Attualmente il popolo ebraico conta appunto circa 20 milioni di persone, ma per non pochi di loro tale appartenenza è più etnica che religiosa; anzi non sono pochi tra loro che anche pubblicamente si dichiarano atei (anche noti personaggi in Italia). Religiosamente parlando, pur riconoscendo come misteriosamente Dio da 2000 anni non abbia più parlato e non abbia più inviato profeti (come invece accadeva di frequente nell’Antico Testamento), sono ancora in attesa dell’arrivo del promesso Messia, cioè dello speciale inviato (Unto, Cristo) di Dio.
I cristiani, pur riconoscendo l’Antico Testamento come Parola di Dio (anche se non vincolante in tutto), riconoscono invece in Gesù di Nazareth non solo il vero Messia (in greco: Cristo) ma Dio stesso fatto uomo, quindi la Rivelazione suprema e definitiva di Dio all’umanità e unica salvezza per l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo. Ed esistono i motivi, cioè le prove, di questa “Incarnazione” di Dio stesso: soprattutto la Sua Risurrezione, cioè la vittoria definitiva sulla morte e l’ingresso del Suo stesso Corpo in un’altra dimensione. Nella Bibbia quindi il centro è il Vangelo, con tutto il Nuovo Testamento (parola degli Apostoli) che aiuta a comprendere meglio il mistero di Cristo. Ebbene, i cristiani sono attualmente nel mondo 2,5 miliardi di persone. Il cristianesimo è dunque la più grande (anche numericamente) religione del mondo.
Per la religione ebraica Gesù di Nazareth non solo non fu il Messia atteso da secoli (e che è appunto ancora atteso), ma fu un bestemmiatore, perché nessun uomo può pretendere di essere Dio.
L’Islam, unica grande religione nata dopo Cristo (inizio del sec. VII) e attualmente con 1,5 miliardi di seguaci (musulmani), pur avendo in Maometto il proprio fondatore, creduto come il più grande e definitivo Profeta, e avendo un nuovo testo sacro normativo di tutta la vita (il Corano), ha ancora un riferimento ad Abramo e all’Antico Testamento biblico e riconoscono Gesù come un grande Profeta (certamente non Dio perché questo anche per l’Islam sarebbe un’inammissibile bestemmia).
In certo qual modo, quindi, se gli Ebrei sono i diretti discendenti biologici di Abramo, si sentono però spiritualmente “figli di Abramo” anche i Cristiani e i Musulmani; ed è allora interessante notare che attualmente la loro somma numerica supera il 50% della popolazione mondiale. Spiritualmente parlando pare quindi più che realizzata la promessa divina ad Abramo circa la sua numerosissima discendenza (cfr. Gn 22,17), nonostante fosse già anziano e con moglie sterile.
Rimane però evidente che la grande discriminante tra queste tre grandi religioni (peraltro sono significativamente le uniche religioni monoteiste) è proprio il riconoscimento o meno della divinità di Cristo (cristianesimo), come condizione di salvezza (cfr. Rm 10,9).
Con tutto ciò, nonostante sia stato portato a compimento e per certi versi anche superato (in molte sue leggi e tradizioni) da Gesù, pienezza definitiva e insuperabile della Rivelazione di Dio, l’Antico Testamento rimane “Parola di Dio” anche per i cristiani e come tale proclamato anche nella Liturgia.
[Su tale valore della Bibbia nella storia dell’umanità si veda appunto pure il documento “Bibbia e cultura” (vedi)]
Gli Ebrei e Gesù di Nazareth
Come abbiamo ricordato, per la religione ebraica Gesù non solo non fu il Messia atteso da secoli (e che ancora è atteso), ma fu un bestemmiatore, perché nessun uomo può pretendere di essere Dio.
Al di là del grande seguito che Gesù di Nazareth ha avuto nei circa 3 anni della sua missione pubblica (circa 30-33 d.C.) e della fede in Lui che essa ha suscitato in migliaia di persone, Egli dovette riscontrare una netta opposizione da parte di non pochi Ebrei, specialmente dai loro capi religiosi; opposizione che cresceva progressivamente quanto più diventava nota e importante la Sua figura e missione. Tale scontro culminò col processo e condanna a morte di Gesù di Nazareth da parte del Sinedrio (cfr. Mt 26,62-66), cioè dal supremo organo religioso ebraico di Gerusalemme, appunto con l’accusa di bestemmia. Gesù aveva effettivamente la blasfema “pretesa” di essere Dio (cfr. Mt 26,62-66), perché in realtà Egli è davvero il Logos, l’Incarnazione della Seconda Persona della SS.ma Trinità, dunque Dio stesso! In realtà tale condanna a morte, Gesù, che poteva ovviamente evitarla col suo potere divino e fino ad allora l’aveva fatto, l’ha liberamente assunta e vissuta, perché così doveva essere nell’infinito disegno d’amore divino, trasformata cioè in offerta e prezzo pagato per la Redenzione dell’uomo! L’effettiva condanna a morte doveva però essere attuata dai Romani, allora occupanti anche la Palestina (l’Impero romano era alla sua massima espansione); e qui l’accusa dei capi religiosi degli Ebrei davanti al governatore romano (Pilato) divenne astutamente e falsamente di tipo politico (“Gesù vuol farsi Re” e quindi diventa pericoloso anche dal punto di vista politico). Tale pressione, tra l’altro in un periodo di non poche tensioni tra Ebrei e Romani, fu talmente forte fino a quasi costringere Pilato a condannarlo a morte e quindi alla Croce (condanna a morte romana per gli stranieri e per uomini comunque di secondaria importanza o pericolosi) (cfr. Mt 27).
Non si può dunque affermare che tutti gli Ebrei furono responsabili della morte di Cristo (deicidio), che rimane certo il fatto più terribile della storia dell’umanità, sia pur trasformato da Dio nella sorgente di ogni grazia! La condanna a morte fu decretata dal Sinedrio ed attuata da Ponzio Pilato.
Tra l’altro anche nel Sinedrio stesso ci fu chi si oppose o almeno non aderì a tale condanna (Giuseppe d’Arimatea), anche perché nascostamente già seguace di Gesù e che, rischiando quindi di persona provvederà pure alla Sua sepoltura (cfr. Lc 23,50-53; Gv 19,38-42; Mt 27,57-66; Mc 15,43-47).
La folla, che come spesso avviene, si fa pure condizionare dagli eventi e soprattutto dal potere ed è spesso assai ondivaga nelle proprie convinzioni. Anche in questo caso passa in effetti in poco tempo dall’acclamazione quasi trionfale di Gesù al suo ingresso a Gerusalemme (cfr. Gv 12,12-19), ad associarsi qualche giorno dopo al grido per ottenere la Sua condanna (cfr. Mt 15,8-14). Rimane però vero che solo 7 settimane dopo, di fronte alla predicazione di Pietro conseguente alla Pentecoste, una folla immensa di Ebrei e di proseliti (stranieri convertiti all’ebraismo) si converti alla nuova e vera fede cristiana (cfr. At 2,5.36-41).
Dunque, la condanna a morte di Gesù Cristo ad opera almeno dei capi degli Ebrei corrisponde certo ad un dato storico reale. Una condanna a morte peraltro mai negata o rivista dagli Ebrei di tutti i tempi fino ad oggi: mai quel giudizio del Sinedrio è stato rivisitato, ritrattato e mai se ne chiese in qualche modo perdono. Per le religione ebraica rimane dunque immutato il giudizio su Gesù di Nazareth: non solo non era il Messia (e infatti ancora lo attendono, nonostante riconoscano il silenzio di Dio da allora in poi, visto che anche per loro non è sorto più alcun profeta da 2000 anni), ma era appunto un bestemmiatore, cioè un uomo che voleva farsi Dio.
Gli Ebrei e la Chiesa primitiva
È errato affermare che gli Ebrei non si sono convertiti in toto a Gesù. Occorre intanto ricordare che, per quel che riguarda la Sua natura umana, Gesù stesso era un ebreo, addirittura di discendenza davidica (regale). Erano ovviamente appartenenti al popolo ebraico e osservanti della legge mosaica (che ha trovato però compimento in Cristo) anche Maria SS.ma e S. Giuseppe, come pure i 12 Apostoli, un gran numero dei discepoli e la maggior parte della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme e di altre città, il diacono e protomartire Stefano (cfr. At 6,5-15) e lo stesso S. Paolo [addirittura convinto fariseo, della tribù di Beniamino, e primo grande persecutore dei cristiani, prima della sua improvvisa e miracolosa conversione (cfr. Rm 11,1; Fil 3,5-6)].
La comunità cristiana primitiva subì in effetti una radicale persecuzione da parte ebraica. La persecuzione da parte del Sinedrio, dopo aver provocato la condanna a morte di Gesù, si rivolse subito anche contro la predicazione di Pietro (cfr. At 4,1-21) e gli Apostoli; ma anche nel Sinedrio ci fu qualcuno, come il fariseo e dottore della legge Gamaliele, che si accorse che sarebbe stato inutile opporsi al disegno di Dio, se fosse stato tale, e promosse la loro liberazione (cfr. At 5,12-42).
Oltre al protomartire Stefano (cfr. At 7,54-60), molti primi cristiani di Gerusalemme furono esiliati o uccisi. Fu martirizzato anche l’apostolo S. Giacomo (At 12,1-3), primo vescovo di Gerusalemme dopo che Pietro si recò prima ad Antiochia e poi a Roma come primo vescovo e Papa.
Lo stesso S. Paolo, nei suoi viaggi missionari (come si evince dagli Atti degli Apostoli e dalle sue stesse 13 Lettere che sono parte del Nuovo Testamento e quindi Parola di Dio), ebbe a subire ovunque una fortissima opposizione e persecuzione da parte degli Ebrei, presenti ovunque nella zona centro orientale dell’Impero romano e a Roma stessa (ed anche con un certo potere economico), anche appunto nell’attuale Turchia e Grecia allora raggiunte appunto dalla missione di S. Paolo. La sua stessa condanna a morte, avvenuta a Gerusalemme, fu da parte ebraica (cfr. At 25–26–27,1); godendo però per privilegi familiari della “cittadinanza romana”, Paolo poté “appellarsi a Cesare” ed essere processato dai Romani a Roma stessa, dove infatti fu inviato (e poi vi morì martire, anche se non a causa di quel processo ma in un secondo momento, sempre sotto Nerone, come lo stesso Apostolo Pietro).
Non sono pochi gli storici che individuano come pure dietro la feroce persecuzione dei cristiani, attuata dai Romani prima del 313 d.C., ci fosse l’odio anticristiano e un’istigazione in tal senso da parte dei Giudei.
Però in alcuni casi anche gli imperatori di Roma si opposero alla presenza degli Ebrei a Roma, probabilmente per questioni più di tipo economiche che razziali (perché in fondo era questo che interessava alla politica dell’Impero; e già allora si parlava di ingenti quantità di “oro” posseduto dagli Ebrei), oltre che per la loro fortissima identità o per la loro intransigenza religiosa, che non si piegava certo alle credenze pagane. Accadde così che vennero cacciati da Roma, anche dagli imperatori Tiberio e Claudio del I sec. d.C.; ne abbiamo notizia anche nella missione di S. Paolo in Grecia (cfr. At 18,2).
Comunque, anche di questa persecuzione ebraica contro i primi cristiani mai finora si sono sentite da parte ebraica parole di revisione, di pentimento o di richiesta di perdono ai cristiani; anzi, nascostamente conservano per lo stesso S. Paolo, l’ex grande ebreo convertito e che all’inizio ha fatto più di altri per la missione e la conversione dei popoli, tanto da essere chiamato “Apostolo delle genti” anche se non era ovviamente nel gruppo dei 12 Apostoli di Gesù, un odio viscerale.
Rimane inoltre il mistero, ricordato da S. Paolo (cfr. 2Cor 3,16; Rm 11,23.25-36) che Dio attende la loro conversione, che precederà il ritorno glorioso di Cristo.
La questione della Terra Santa e di Gerusalemme
L’Impero romano, con il suo celebre Diritto e con la loro saggezza peraltro anche pragmatica, pur coinvolgendo nel tempo della sua massima espansione un immenso territorio che andava com’è noto dalla Spagna alla Mesopotamia e dalla Gran Bretagna a tutto l’Africa settentrionale, e quindi inglobando innumerevoli popoli, con le loro lingue, culture, tradizioni umane e religiose, assicuravano in genere per tutti una grande tolleranza (in certi casi, come abbiamo ricordato sopra anche per lo stesso S. Paolo, fornivano persino a certi sudditi la “cittadinanza romana”). Esportavano certo anche la loro civiltà, cultura, arte, lingua e pensiero. All’Impero interessava però soprattutto la questione economica, cioè che tutti dovessero pagare loro le tasse [ne abbiamo traccia persino nel Vangelo, a riguardo di Gesù stesso (cfr. Mt 17,24-27), ma anche per la questione dei “pubblicani”, ebrei che riscuotevano le tasse a nome di Roma e per questo considerati pubblici peccatori].
Il territorio palestinese e la forte identità culturale e religiosa degli Ebrei, che non si sottomettevano facilmente al nemico, creava però non pochi problemi di tipo politico anche a Roma. Se ne vede traccia anche nel Vangelo e persino proprio nel processo a Gesù, dove il governatore di Roma Ponzio Pilato (ed era per questo considerato quasi una punizione essere mandati a governare quella terra) fu alla fine costretto ad arrendersi alla volontà omicida dei capi ebraici e della stessa folla e fece “crocifiggere” Gesù (la peggiore condanna a morte dei Romani), per timore di un’insurrezione antiromana (e il Sinedrio gioca astutamente questa carta politica per ottenerla), visto che già altre volte aveva dovuto domare anche nel sangue delle rivolte anti-romane e c’era chi, come gli zeloti, propugnava una vera lotta armata contro Roma.
Già prima di Cristo, come ci testimonia ampiamente la Bibbia, gli Ebrei hanno avuto non poche tensioni con gli altri popoli limitrofi; per non parlare di quando furono schiavi in Egitto (secoli XIX-XIII a.C.; cfr. l’Esodo) o dovettero subire l’esilio a Babilonia (sec. VI a.C.).
Si giunse così all’immane catastrofe del 70 d.C., quando Roma prese la radicale ed inaudita decisione di distruggere Gerusalemme e l’intero territorio palestinese, uccidendo tutti gli Ebrei o costringendoli a vivere per sempre esuli dalla loro terra, una “diaspora” che è durata nientemeno che fino al secondo dopoguerra, quando nel 1948 venne ricostituito lo Stato di Israele.
Non è difficile osservare come questa catastrofe fosse stata annunciata da una chiara profezia di Gesù stesso (cfr. Mt 24,1-2; 23,37-38), e proprio perché non avevano riconosciuto il tempo in cui erano stati visitati da Dio stesso (cfr. Lc 21,5.20-28).
In questa “Terra Santa”, così chiamata perché raggiunta dalla presenza stessa di Dio fatto uomo, rimase una vaga presenza cristiana (come in tutto il Medio Oriente; vedi ancor oggi in Libano, Siria ed Iraq). Un grande ritorno dei Cristiani in Terra Santa (Palestina) fu invece permessa dopo che l’imperatore Costantino riconobbe ufficialmente il cristianesimo (313 d.C.), recuperando con gli scavi i preziosi luoghi santi cristiani (compreso il Santo Sepolcro di Cristo), e persino preziose reliquie come la stessa Croce di Cristo (la madre dell’imperatore, Sant’Elena, se ne fece particolarmente promotrice; e molte di queste preziose reliquie cristiane furono persino portate a Roma e tuttora conservate nella basilica significativamente chiamata S. Croce in Gerusalemme), erigendo in quei luoghi santi, come del resto fece a Roma e in molti luoghi dell’Impero, delle sontuose basiliche cristiane (a cominciare appunto da quella del Santo Sepolcro). Oltre alla presenza cristiana stabile, si sviluppò ovviamente dai cristiani anche il grande pellegrinaggio in Terra Santa (uno dei 3 grandi pellegrinaggi medievali, insieme a Roma e a Santiago de Compostela).
Avvenne però che immediatamente dopo la loro nascita (nel VII sec. d.C.) i Musulmani occuparono violentemente, cioè con la guerra, anche la Terra Santa e la stessa Gerusalemme. Se Maometto in persona aveva occupato militarmente tutta la penisola arabica, già il suo successore, il califfo Omar, occupò appunto anche Gerusalemme. [Ancor oggi, sulla spianata del tempio di Gerusalemme, raso al suolo appunto dai Romani nel 70 d.C. (lasciando solo il “muro occidentale”, o “muro del pianto”, assai caro ovviamente agli Ebrei, che vi si recano tutt’oggi continuamente a pregare), si erge sontuosa e col tetto d’oro proprio la moschea ad Omar dedicata].
La presenza musulmana in quella “Terra santa” rimane ancor oggi assai forte, specie nella popolazione cosiddetta “palestinese”, prevalentemente araba (ma il popolo palestinese comprende anche non pochi cristiani).
Si comprende in quest’ottica anzitutto religiosa, oltre che culturale e certamente anche economica, la grande epopea delle Crociate, indette appunto dai Cristiani dall’anno 1096 all’anno 1310, per la liberazione della Palestina (e di Gerusalemme, la “città sacra” per eccellenza, pur essendo Roma il centro della cristianità) dall’occupazione musulmana (vedi il dossier e vedi il documento più sintetico).
Gli Ebrei a Roma
Già ai tempi dell’Impero Romano, ancor prima di Cristo, molti Ebrei ero sparsi in molte regioni del Mediterraneo orientale (abbiamo visto che S. Paolo, quindi dal 30 al 66 d.C., li incontrava ovunque nei suoi viaggi missionari nell’attuale Turchia e Grecia, ricevendo peraltro da loro netta opposizione e violenza persecuzione) e anche a Roma stessa. Normalmente appartenevano, per ricchezza, ad una classe sociale elevata (probabilmente erano propri i commerci a spingerli ovunque). Talora, come abbiamo già sopra notato, sia a motivo della loro forte identità etnica e religiosa (mai un Ebreo si sarebbe piegato alla religione pagana romana o greca) ma ancor più per questioni di tipo economico (perché in fondo era questo che interessava alla politica dell’Impero; e già allora si parlava di ingenti quantità di “oro” posseduto dagli Ebrei), sono stati pure persino espulsi da Roma, come fecero ad esempio gli imperatori Tiberio e Claudio del I sec. d.C.. Ovviamente, dopo la distruzione romana (di Gerusalemme e dell’intero Israele) del 70 d.C., le loro cosiddetta “diaspora” (durata fino al 1945) ha anche forzatamente accentuato la loro presenza prima nel bacino del Mediterraneo e poi anche nella parte continentale dell’impero. Consistenti conglomerati di Ebrei (dal 1500 chiamati “Ghetto”, il primo fu a Venezia nel 1516 , seguito da quello di Roma nel 1556) si trovarono poi anche in quasi tutte le città dell’Europa centrale, fino alla Russia. Dopo la scoperta dell’America e specialmente con la colonizzazione inglese del nord, che poi divennero gli Stati Uniti, la presenza ebraica è stata sempre ingente, come lo è tuttora, e in genere proprietaria di ingenti risorse economiche.
Per quel che riguarda il continente europeo, quella di Roma è la più grande e più antica comunità ebraica (comunità poi dette appunto “ghetto”) della storia. Tale dato è assai significativo, essendo Roma il centro vivo e mondiale della Cattolicità, la sede del Papato e per secoli governata dai Papi stessi (Stato Pontificio). Mentre gli Ebrei potevano tranquillamente rimanere tali nelle loro convinzioni ebraiche e relative pratiche. Non a caso la Sinagoga di Roma, tuttora in esercizio, è una delle più grandi del mondo. Anche i rapporti tra Cattolici ed Ebrei erano normalmente sereni e fecondi; il Papa stesso se ne faceva garante e spesso stringeva rapporti di amicizia con i rabbini-capo della città. È peraltro significativo che quando le forze anticattoliche e massoniche del Risorgimento (vedi il dossier) si mossero alla conquista di Roma e già nel 1849 l’effimera Repubblica “mazziniana” costrinse addirittura il Papa Pio IX a fuggire da Roma e recarsi esule a Gaeta, si trovarono di fronte pure alla riprovazione della comunità ebraica romana.
Sul rapporto tra Chiesa Cattolica (e in particolare Pio XII) e la comunità ebraica di Roma durante la II Guerra Mondiale e soprattutto dopo l’8.09.1943 e l’occupazione nazista (che giunse ai “rastrellamenti” e deportazione degli Ebrei), e su quanto il Pontefice e gli istituti Cattolici di Roma fecero per salvare gli Ebrei torneremo ampiamente in seguito.
Lo Stato di Israele
A seguito pure della feroce persecuzione subita sotto il nazismo e specialmente durante la II Guerra Mondiale (l’Olocausto, oggi meglio denominato col termine ebraico Shoah), gli Ebrei poterono ritornare dopo 20 secoli nella loro terra. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), creata subito a ridosso della Guerra e per evitare nuove catastrofi come quella appena sperimentata, per dare agli Ebrei sparsi nel mondo anche una loro Terra (quella che storicamente ebbero fino al 70 d.C.) costituì nel 1948 lo Stato di Israele (nato ufficialmente il 14.05.1948), peraltro ben distinto da quello proprio dei Palestinesi (ufficialmente nominato nello stesso anno ma non riconosciuto tuttora da molti Paesi, Israele compreso).
Come sappiamo, tale compresenza in quella Terra Santa di due popoli e di due Stati non solo non si è risolta in questi ultimi decenni, ma si è proprio recentemente particolarmente acuita!
Peraltro in tale tensione, che coinvolge più che mai tutto il Medio Oriente, ne hanno sofferto e ne soffre, oltre alla popolazione palestinese (talora decimata) e in piccola parte quella ebraica (a motivo di attacchi soprattutto terroristici), proprio la popolazione cristiana, costretta assai spesso all’esilio se non fisicamente decimati (tra l’altro, tale grave situazione di dolore subita dai cristiani si verifica in quasi tutti i Paesi del Medio Oriente).
Questa regione del Mediterraneo orientale (mare dove si affacciano significativamente 3 continenti) e che nella storia antica ha visto coesistere o avvicendarsi importanti civiltà, soprattutto quella greca e quella romana, ha visto pure emergere, incontrarsi o scontarsi, le tre grandi religioni monoteiste; da quella ebraica a quella cristiana (che è diventata ed è tuttora la più grande religione del mondo, con 2,5 miliardi di seguaci) per poi, dal VI sec. d.C., anche quella musulmana (che occuperà oltre alla Palestina anche tutto il nord Africa e persino la penisola iberica come la Turchia e quella balcanica). Si può dire in tal senso che la Palestina è considerata Terra Santa in primis dai Cristiani (furono i luoghi della presenza fisica di Cristo Signore, cioè di Dio stesso fatto uomo, e dove si è realizzata Redenzione del genere umano), oltre ovviamente agli Ebrei (se non altro per la storia della salvezza attuatasi in quella terra da Abramo alla distruzione romana del 70 d.C., cioè per circa 1800 anni), ma poi chiamata tale anche dai Musulmani (che credono persino ad una importante presenza a Gerusalemme di Maometto stesso, cosa peraltro storicamente smentita). Ricordiamo di nuovo che si tratta delle 3 religioni monoteiste e che insieme (specie cristiani e musulmani) superano ancor oggi il 50% della popolazione mondiale!
Per questo motivo, pur se contesa nella storia (cfr. appunto le Crociate) tra Cristiani e Musulmani ed oggi tra Israele (di prevalenza ebraica) e Palestina (di prevalenza musulmana), la città di Gerusalemme assume un’importanza ed un ruolo paradigmatico e di eccezionale importanza. Per questo motivo, al fine di risolvere anche politicamente la questione e garantire a tutti la libertà di presenza (e di pellegrinaggio), la Santa Sede (Vaticano), che pur riconosce sia Israele che la Palestina, promuove a livello diplomatico che per Gerusalemme (“Città Santa”) l’ONU stessa preveda il riconoscimento di città a “Statuto speciale”.
Ricordiamo ancora questo importante dato, già sopra menzionato. Fin dai tempi dell’imperatore romano Costantino (e per la particolare sensibilità anche della madre Sant’Elena) a Gerusalemme è stato possibile venerare i luoghi della Passione, Morte e Risurrezione di N.S. Gesù Cristo; anzi, proprio sul quel luogo santo (che era rimasto sepolto dopo la distruzione del 70 d.C.) fu possibile costruire subito la Basilica del Santo Sepolcro e raccogliere molte reliquie della Crocifissione (molte delle quali trasportate a Roma e tuttora presenti nella basilica significativamente chiamata S. Croce in Gerusalemme). Dopo l’occupazione musulmana (avvenuta subito dopo la nascita dell’Islam, nel 638 d.C. vedi), dal 1096 al 1310 ci fu la grande epopea delle Crociate, cioè il tentativo di liberare la Terra Santa e la città santa di Gerusalemme dall’occupazione musulmana (vedi il dossier apposito o vedi il documento più sintetico). Tra l’altro, proprio la presenza stessa di S. Francesco d’Assisi alla V Crociata (vedi), ha permesso che rimanesse a Gerusalemme e in Terra Santa, fino al giorno d’oggi, una significativa presenza dei Francescani (la cosiddetta “Custodia di Terra Santa”); oltre all’assistenza spirituale della comunità cattolica locale e dei numerosi pellegrini cattolici provenienti da tutto il mondo, negli ultimi decenni specialmente la loro presenza (e i loro autorevoli centri di studi biblici e archeologici) ha permesso pure di effettuare straordinari scavi archeologici, che hanno riportato alla luce moltissimi luoghi delle vita e missione stessa di Gesù (vedi). Sia nello zone appartenenti allo Stato Palestinese (non riconosciuto da molti Paesi), come ad esempio la città di Betlemme, che in quelle dello Stato di Israele, è stato in genere possibile compiere tali scavi ed erigere in loco anche significative basiliche cristiane cattoliche. Tra l’altro la Terra Santa (tranne che nei periodi di massima tensione) è tuttora meta di numerosi pellegrinaggi cristiani; e ciò è in genere tollerato anche dalle autorità israeliane, sia pur tra ampi e accurati controlli, oltre che palestinesi, perché i pellegrini costituiscono pure un notevole introito economico e commerciale anche per i loro Paesi.
Purtroppo, almeno fino a poco fa, è rimasto un doloroso impedimento che riguarda, nella città di Gerusalemme, proprio il luogo del “Cenacolo” (di proprietà israeliana, in quanto sottostante ci sarebbe addirittura la tomba del re Davide), cioè proprio il luogo dove è stata istituita da Gesù, nell’Ultima Cena, l’Eucaristia (e il sacerdozio) e dove avvenne pure la Pentecoste (la discesa dello Spirito Santo e la nascita della Chiesa). Persino in occasione della storica visita del Papa Paolo VI (il 4.01.1964 vedi) fu impedito al Papa di celebrarvi l’Eucaristia (e per questo vi pianse). Fu invece concessa a Giovanni Paolo II una S. Messa in privato il 23.03.2000, in occasione del Pellegrinaggio giubilare (vedi). In occasione del pellegrinaggio in Terra Santa di Benedetto XVI, nel maggio 2009, non fu permessa in quel luogo santo che una piccola preghiera (vedi). Fu invece permessa una S. Messa, con un piccolo seguito, a Papa Francesco il 26.05.2014, in occasione del suo pellegrinaggio in Terra Santa (vedi).
Si osservi peraltro come anche in occasione di questi storici viaggi dei Pontefici in Terra Santa, da parte della S. Sede, anche nel programma del viaggio, sia sempre stata sottolineata la distinzione dei due Stati, Palestinese e di Israele (v. poi).
Sulla questione del riconoscimento dello Stato di Israele da parte vaticana (Santa Sede) torneremo più avanti.
Breve nota sugli Ebrei e i Savoia
Tra i segni che il potere al governo in Piemonte, anche se la casa Savoia conta anche illustri figure cattoliche, fosse fortemente segnato dalla Massoneria, e quindi fortemente ostile alla Chiesa Cattolica, lo si evidenzia anche in tutta la controversa vicenda del Risorgimento (vedi il dossier e vedi il documento), quando appunto tale potere conquistò l’Italia intera (ricordiamo ad esempio che, secondo una legge del governo di Cavour, man mano che il Piemonte avanzava, fino ad occupare poi l’Italia e la stessa Roma, centro della Cristianità, sopprimeva tutti gli ordini religiosi e ne incamerava i beni).
Tutto ciò che poteva nascondere od oscurare la presenza della Chiesa era promosso in Piemonte. Solo in Piemonte è rimasta ad esempio una comunità eretica già medievale e poi confluita nel Protestantesimo, cioè i Valdesi, protetti già da Carlo Alberto. È poi noto che a Torino si pensò di costruire un’immensa sinagoga, di altezza vertiginosa (m. 167, cioè ben 37 metri più della Cupola di S. Pietro!), che domina tuttora la città e ne è tuttora il simbolo, cioè la Mole Antonelliana. Ma quanti Ebrei dovevano esserci a Torino per giustificare una sinagoga così grandiosa? Oppure si trattava appunto di un simbolo anticattolico e anticristiano? Progettata e iniziata dall’architetto Alessandro Antonelli nel 1863, venne conclusa solo nel 1889; in realtà non fu mai conclusa (è rimasta un enorme guscio esterno, internamente totalmente vuota) e mai divenne davvero una sinagoga. Solo ultimamente è diventata un “Museo del Cinema”.
Nella stessa città, invece, il duomo, dove peraltro si conserva la Sacra Sindone, è, pur prezioso, di modeste dimensioni.
Un altro dato simbolico e significativo che il Risorgimento doveva segnare la fine della Cattolicità (astutamente presentata come necessaria fine del potere temporale di Papi e quindi dello stesso Stato Pontificio) è che al momento della presa di Roma da parte dei Piemontesi, cioè il fatidico XX Settembre 1870, a varcare tra i primi la celebre breccia di Porta Pia, sia stato proprio un Pastore protestante, con in mano una Bibbia. Toccò poi ad un ufficiale ebreo piemontese (Giacomo Segre) il compito di comandare la batteria dei cannoni che aprì, nelle mura di Roma, la famosa “breccia di Porta Pia”, appunto il 20.09.1970 (su cosa avvenne davvero in quel doloroso frangente storico, pur tuttora ancora celebrato, anche con vie e piazze a quel XX settembre dedicate; vedi il dossier apposito).
Tutto questo appunto nel centro mondiale della cattolicità ed a pochi passi dalla Residenza del Papa (Quirinale), che si trova proprio in tale direzione, immediatamente occupato e poi divenuto dimora del Re e quindi del Presidente della Repubblica.
È invece significativo, come abbiamo ricordato, che già quando nel 1849 l’effimera Repubblica “mazziniana” costrinse addirittura il Papa Pio IX a fuggire da Roma e recarsi esule a Gaeta, anche la comunità ebraica romana mostrò apertamente il proprio dissenso a tale attacco anticattolico.
Chiesa Cattolica ed Ebraismo oggi
Dopo quanto storicamente e religiosamente sopra ricordato, dovrebbe già risultare chiaro quanto sia falso e pernicioso il pregiudizio anticristiano secondo cui proprio il Cristianesimo (e i Cristiani stessi, perfino la Chiesa Cattolica) sarebbe all’origine dell’antisemitismo storico e contemporaneo.
Basterebbe peraltro ricordare che proprio a Roma, sede del Papato e centro della Cattolicità, ha vissuto e vive la più importante ed antica comunità ebraica della diaspora ed esiste una delle più grandi sinagoghe del mondo.
Nel clima di un rinnovato dialogo tra la Chiesa Cattolica e le Religioni non cristiane, emerso già ufficialmente nel Concilio Ecumenico Vaticano II (vedi la Dichiarazione Nostra Aetate), si è poi sottolineato ulteriormente il particolare rapporto tra il Cristianesimo e la Religione ebraica (cfr. n. 4 del documento), la non imputabilità della morte di Cristo a tutti gli Ebrei, come la ferma condanna ad ogni forma di persecuzione nei loro confronti.
Oltre ai più generali riferimenti al dialogo col mondo contemporaneo (vedi la Costituzione Gaudium et spes) e all’appena citata Dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni con le “Religioni non cristiane”, si accenna al rapporto con la religione ebraica anche nella Costituzione dogmatica Lumen gentium (vedi). Proprio in tale importante documento conciliare, al fine certo di promuovere un maggiore dialogo (talora rimasto però unilaterale) con la religione ebraica, ci si è spinti a formulare espressioni che potrebbero generare però anche gravi equivoci. Ad esempio nel n. 16 si afferma che, a proposito della divina “elezione di Israele” (nell’Antico Testamento), “Dio non si pente della loro chiamata”, in quanto “i doni di Dio e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. Espressioni certo vere ma ardite e facilmente fraintendibili (e infatti furono ampiamente fraintese anche da non pochi cattolici), perché se è vero che Dio è fedele e non cambia, è altrettanto vero che la nostra volontà rimane libera e la nostra negazione della volontà di Dio può annientare per noi la realizzazione del Suo disegno d’amore, fino a pagarne tristissime conseguenze, sia nel tempo che nell’eternità.
È oggi noto, anche a livello di studi accurati sugli Atti stessi del Concilio [vedi ad esempio quelli del prof. Roberto De Mattei, “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta“, Lindau, (2010) 2019], ma anche sulle ampie discussioni (non solo tra teologi ma anche tra Vescovi e Cardinali) che precedettero, accompagnarono e seguirono il Concilio, che ci furono certo pure delle infiltrazioni culturali di tipo “relativistico”, per non dire massonico [interessante a proposito ascoltare ancor oggi certe dichiarazioni di un Arcivescovo che fu non solo presente al Concilio ma che fu tra i pochi che erano parte della sua Commissione preparatoria, cioè mons. Marcel Lefebvre (ascolta, qui anche con video-documentario, una conferenza tenuta a Torino nel 1984). [Sulla presenza massonica nella Chiesa, anche recente, si veda ad es. il recente e autorevole testo di Charles T. Murr, “Massoneria vaticana”, Fede e cultura, 2023].
Un gesto di particolare spessore storico e simbolico fu in tal senso quello di Giovanni Paolo II, quando il 13.04.1986 si recò a fare visita ufficiale alla comunità israelitica addirittura nella grande Sinagoga di Roma (fu il primo Papa, dopo S. Pietro, a varcare le soglie di una sinagoga ebraica), dove tenne anche un importante discorso (vedi), in cui si spinse persino a definire gli Ebrei “nostri fratelli maggiori”!
A dire il vero, in certi ambienti ebraici romani, persino tale visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma – che offrì peraltro loro l’occasione, come nelle visite dei Pontefici seguenti, per rimarcare soprattutto tutto il giusto sdegno contro quanto avvenne a Roma nel 1943 contro di loro – e quanto disse il Pontefice in tale occasione fu considerato come ancora insufficiente per superare certi contrasti (ci fu persino chi nell’espressione “fratelli maggiori”, sottolineò ironicamente che anche Caino era fratello maggiore di Abele).
Ovviamente tale espressione, già ardita, è da intendersi nel senso della Rivelazione biblica già presente nell’Antico Testamento (anche se portata a compimento e compiuta da Cristo Signore) e quindi in un senso esclusivamente religioso e biblico. Abbiamo già sopra sottolineato che se per Ebrei si intende invece il popolo ebraico in genere, cioè come etnia, allora evidentemente tale espressione risulterebbe più che mai impropria. Tra l’altro, proprio in tale incontro con la Comunità ebraica nella Sinagoga di Roma, erano presenti, anche in prima fila, noti personaggi della cultura e persino della scienza notoriamente e dichiaratamente atei, come nel caso del Premio Nobel e poi Senatrice Rita Levi Montalcini.
Furono poi molte le comunità o le autorità ebraiche incontrate da Giovanni Paolo II (come poi i suoi successori) durante i suoi numerosissimi viaggi. Particolarmente significativi furono quelli avvenuti in Israele, durante il già citato Pellegrinaggio in Terra Santa in occasione del Giubileo del 2000 (vedi).
Proprio in vista del grande Giubileo del 2000, già in data 16.03.1998 la Commissione vaticana per i “Rapporti religiosi con l’Ebraismo” pubblicò una Dichiarazione intitolata “Noi ricordiamo: una Riflessione sulla Shoah”.
In tale documento, nel rievocare la ”indicibile tragedia” dell’uccisione di milioni di ebrei da parte del regime nazista, si invitano pure i cristiani a “riflettere sulla catastrofe che colpì il popolo ebraico” e in particolare “sull’imperativo morale di far sì che mai più l’egoismo e l’odio abbiano a crescere fino al punto da seminare sofferenze e morte”.
Si sottolinea però che le origini dell’antisemitismo nazista e della Shoah siano “fuori del cristianesimo” e si fondano “su teorie contrarie al costante insegnamento della Chiesa”. Per questo motivo la Chiesa in Germania, attraverso la voce dei Cardinali Bertram e Faulhaber, condannò il “nazionalsocialismo con la sua idolatria della razza e dello Stato”. Netta fu la condanna da parte di Pio XI con l’Enciclica “Mit brennender Sorge” (14.03.1937) e di Pio XII fin dalla sua prima Enciclica “Summi Pontificatus” (20.10.1939, dove c’è pure un riferimento alla Polonia, peraltro occupata solo poche settimane prima dalla Germania nazista e dalla Russia comunista, occupazioni che di fatto ha dato origine alla Seconda Guerra Mondiale).
Il Documento invita pure a non dimenticare “coloro che aiutarono a salvare quanti più ebrei fu loro possibile, sino al punto di mettere le loro vite in pericolo mortale”.
Nell’occasione, in data 12.03.1998, Giovanni Paolo II scrisse una Lettera al Card. E. I. Cassidy, Presidente della suddetta Commissione, intitolata “Un’indelebile macchia nella storia del secolo che si sta concludendo” e che fa da Premessa al Documento sopra citato. In tale Lettera il Papa sottolinea di aver già molte volte “richiamato con senso di profondo rammarico le sofferenze del popolo ebreo durante la Seconda Guerra Mondiale” e che “il crimine diventato noto come la Shoah rimane un’indelebile macchia nella storia del sec. XX”.
In tale contesto ci si spinse addirittura ad ammettere che un certo clima antigiudaico, se non era da attribuire alla Chiesa in quanto tale, non fosse però stato assente in molti cristiani! Lo si ammise ad esempio nel Seminario organizzato dalla Chiesa Cattolica nel 1997, intitolato “Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano” (i cui Atti sono stati pubblicati nel 2002). Vi fece seguito un’ammissione in tal senso anche nella Dichiarazione del 1998 sopra citata.
Nel corso del Giubileo del 2000 si giunse poi alla Dichiarazione della Commissione Teologica Internazionale “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato“, che ammetteva certe responsabilità in tal senso dei Cattolici; cui fece seguito la sensazionale cerimonia di “purificazione della memoria” del 12.03.2000, che incluse, pronunciata dal card. Cassidy a nome della Chiesa, la richiesta di perdono “per i peccati commessi [dai cristiani] contro il popolo dell’alleanza e delle benedizioni”. Nella stessa linea, il 29.12.2000 lo stesso Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (card. J. Ratzinger), pur in un intervento su “L’Osservatore Romano“, riconobbe esplicitamente che, pur tenuto conto dell’eccezionalità dei tempi, in alcuni cattolici l’anti-giudaismo tradizionale possa essere stato un fattore di inibizione o di addolcimento della protesta contro lo sterminio degli Ebrei (che ha comunque radici in “un’ideologia anticristiana, che voleva colpire la fede cristiana nella sua radice abramitica”) e che di tale mancanza si dovesse fare ammenda.
A dire il vero, tali “richieste di perdono”, che nel clima relativista e anticattolico potevano essere interpretate come ammissione unilaterale di colpe della Chiesa stessa (e infatti così furono interpretate a livello mediatico!), non ottennero però mai una controparte, cioè una richiesta di perdono per tutti gli innumerevoli attacchi e persecuzioni subite dalla Chiesa lungo i secoli, anche nella Modernità.
Comunque, tutto questo, pur creando apparentemente un clima più disteso e sereno, non bastò però a dissipare certe diffidenze e pregiudizi del mondo ebraico, emersi appunto non immediatamente dopo la guerra, dove prevalse invece la gratitudine del mondo ebraico verso Pio XII, ma dopo gli anni ’60, come poi meglio vedremo. Così anche in occasione della visita di Giovanni Paolo Il in Terra Santa, sempre nel quadro del grande Giubileo del 2000, il premier israeliano Ehud Barak, citando brani di un poeta ebreo contemporaneo, Natan Alterman, si riferì apertamente ai presunti “silenzi” della Chiesa sull’Olocausto!
Com’è noto, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II si sono fatti notevoli passi avanti nel dialogo tra le Religioni (anche appunto con la Religione ebraica), corredati da gesti simbolici di non poco conto, anche se arditi e persino pericolosi per i fraintendimenti o per la strumentalizzazioni che avrebbero potuto esserci, non solo da parte delle cultura laica (e relativo potente impatto mediatico), ma persino all’interno stesso della Chiesa, come infatti purtroppo è spesso avvenuto.
Si possono pensare in tal senso anche gli incontri di preghiera, al fine soprattutto di scongiurare il pericolo della guerra e ottenere il dono della pace, tra tutte le Religioni, tenuti ad Assisi già il 26.10.1986 e altre volte ripetuti, fino a generare un ambiguo e presunto “spirito di Assisi” (come del resto avvenne già nel dopo-Concilio, con quel diffuso e ambiguo concetto di “spirito del Concilio”).
A tali incontri e visite di Giovanni Paolo II, anche in molti Paesi, fecero ovviamente seguito anche quelle di Benedetto XVI, che peraltro non nascondeva il pericolo di possibili interpretazioni relativistiche e sincretistiche, specie a livello mediatico e poi popolare, di tali eventi, diventati quasi una consuetudine e periodicamente promossi, ad esempio, dalla Comunità di S. Egidio.
Effettivamente il pericolo in cui è incorsa negli ultimi decenni la Chiesa cattolica non è certo quello di cadere in visioni di opposizione alle religioni, se non addirittura in forme di razzismo o appunto, nel caso del Ebrei, di antisemitismo.
Semmai il pericolo, e non solo il pericolo ma pure la realtà, è stato quello di cadere in forme appunto di relativismo culturale e di sincretismo religioso, fino al punto che molti, anche nella Chiesa, sono ormai convinti che tutte le religioni siano uguali (confondendo appunto il rispetto e il dialogo col relativismo), che tutte conducano a Dio e portino la salvezza (rendendo così vano il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, cioè l’opera di Cristo stesso, dunque di Dio, e la stessa missione della Chiesa).
Se poi si giunge ad affermare che nel mondo nessuna Religione (neppure il cristianesimo, cioè Gesù Cristo!) possa pretendere di essere unica e vera, allora evidentemente il relativismo è conclamato e corrisponde esattamente al progetto illuministico e massonico di un appiattimento o annichilimento generalizzato. Se è vero che ogni cultura e religione va certo rispettata e nessuna va imposta, è altrettanto vero che una Religione, portando le ragioni della propria fede (oltre alla testimonianza di vita), permette appunto alla ragione stessa di convincersi ed aderire alla Verità (ma è proprio sulla ragione e sulla Verità che nascono tutti gli equivoci della Modernità).
Peraltro, dentro questo quadro relativista, si assiste in modo contraddittorio ad una pressione culturale, mediatica e sociale, in cui proprio solo la Chiesa Cattolica dovrebbe rinunciare a se stessa, alla propria fede, vergognarsi del proprio passato e chiederne perdono!
Al fine di scongiurare tale pericolo e gravissimo fraintendimento, proprio in occasione del grande Giubileo del 2000 (quindi dei 2000 anni della venuta di Cristo) Giovanni Paolo II, ad opera della Congregazione della Dottrina della fede, presieduta dal card. J. Ratzinger, emise un importantissimo documento per riconfermare l’unicità salvifica di Cristo e della Chiesa Cattolica, cioè la Dichiarazione Dominus Iesus, che non a caso incontrò tanta opposizione, più che dalle altre Religioni o delle diverse Confessioni cristiane, all’interno stesso della Chiesa Cattolica! Visto che in tal senso si giunse perfino paradossalmente ad opporre il card. Ratzinger al Papa, si veda pure ciò che confidò in proposito lo stesso Benedetto XVI, già ritirato nei Giardini vaticani (2016) (vedi).
Approfondimento
Antisemitismo
Con il termine “antisemitismo” ci si riferisce in genere a quella forma particolare di razzismo indirizzato contro il popolo ebraico.
Popoli “semiti” alla lettera sarebbero quelli appartenenti ad un particolare gruppo linguistico, che comprende oltre all’ebraico e all’aramaico, anche l’arabo, il maltese, l’amarico (etiopico), la lingua fenicia e lingue estinte della Mesopotamia.
Nello specifico il termine “antisemitismo” fu coniato proprio in Germania nel 1879 e si riferisce appunto all’odio e alla discriminazione nei confronti degli Ebrei; ma com’è noto ha preso forma ideologica e politica sotto il nazismo tedesco e in forma più secondaria nel fascismo italiano, ma è presente in molti Paesi del mondo, a cominciare dagli USA.
Come abbiamo già sottolineato è falso affermare che l’antisemitismo, o avversione al mondo ebraico, sia di origine cristiana; anzi, semmai è proprio il giudaismo che si è sempre opposto in modo radicale al cristianesimo, fin dai primi giorni, cioè fin dai tempi di Cristo Signore e della comunità cristiana primitiva, come abbiamo sopra ricordato. Se vogliamo poi trovare tracce di antisemitismo nell’area cristiana, le si possono riscontrare semmai proprio nell’area culturale tedesca e protestante: esistono in Lutero stesso diverse pagine chiaramente antisemite (ad esempio: Degli ebrei e delle loro menzogne, non a caso più volte ristampato in epoca nazista).
Come abbiamo già all’inizio ricordato, di certo troviamo invece chiari segni di antisemitismo, cioè di avversione agli Ebrei, e di razzismo in genere, proprio nel pensiero moderno, illuminista e anticattolico (vedi). Infatti già Voltaire (vedi) non si faceva scrupolo di elogiare e promuovere il “razzismo” e fu tra i più beceri maestri dell’antisemitismo, così come nel mondo inglese (vedi) esso fu palesemente inseguito come metodo addirittura di selezione e riduzione della popolazione mondiale (Malthus), pretendendo persino di darvi una base scientifica (Darwin), così come rientrava nei progetti di eugenetica, ma anche in quelli della rivoluzione social-comunista (anche il pensiero stesso di K. Marx ha numerosi accenti antisemiti, assai censurati dalle politiche che vi si sono riferite). È poi noto che sia il nazismo che il fascismo trovarono dei propri principi ispiratori, anche a riguardo della “razza pura” (ariana) e dell’antisemitismo, nella filosofia anticristica di Nietzsche, peraltro letta in modo strumentale e parziale, anche se non mancano certo in questo importante e persino profetico autore tedesco chiari riferimenti alla doverosa esclusione dei “deboli” e a quella giudaico-cristiana come “religione e vendetta dei deboli”, al fine di creare un’umanità più pura ed elevata (invece, a ben vedere, la figura del “superuomo”, in realtà “oltre-uomo” come indica il termine tedesco Übermensch, non andrebbe letta in Nietzsche in chiave prometeica, come invece venne intesa sia dal nazismo che dal fascismo).
È interessante notare come già Voltaire (Françoise-Marie Arouet), accanito avversario della religione e in particolare della Chiesa cattolica (diceva della Chiesa “Écrasez l’infâme!”), questo precursore della rivoluzione francese (fu accolto trionfalmente a Parigi nel febbraio 1778 e la sua salma fu trasportata in trionfo nel 1791 al Pantheon parigino), questo propugnatore della fraternité illuminista e rivoluzionaria (e non c’è cosa forse più pericolosa che certe idee cristiane tolte dal contesto di fede e impazzite, come in questo caso), che da certi manuali scolastici viene tuttora presentato come “apostolo della fraternità e della tolleranza tra gli uomini”, fu in realtà “uno dei più feroci antisemiti, il padre dell’antisemitismo laico e culturale” (così lo definisce Joël Borromi, storico dell’Università ebraica di Gerusalemme). Esiste addirittura una raccolta degli scritti antisemiti di Voltaire (del 1942, dello storico francese H. Labroue), alla quale si ispirò l’antisemitismo francese (X. Vallat). Come riconosce il grande storico dell’antisemitismo L. Poliakov, “è assurdo che Voltaire passi per l’apostolo della tolleranza”. Nel Dictionnaire philosophique (1764), che viene fatto passare come “la Bibbia dell’umanità nuova liberata dall’oscurantismo cristiano”, su 118 voci, 30 attaccano gli Ebrei; e Voltaire è proprio l’autore della voce “Ebrei” di tale dizionario: “quello giudeo – vi si legge – è il più abominevole popolo del mondo”. Dei “negri” afferma addirittura che sono “animali, forse nati dall’incrocio tra donne e scimmie” (cosa riconfermata nel suo Saggio sui costumi). Anche nella sua vita confermava questa visione, così da avere investito parte del suo enorme patrimonio in una compagnia di navigazione che trasportava schiavi negri in America (cfr. Vittorio Messori, Pensare la storia, Paoline, 1992, pp. 232/234).
Troviamo questo filone razzista e antisemita dell’Illuminismo e della Modernità non solo in Voltaire e nella rivoluzione francese, ma in gran parte del pensiero moderno. Esistono ad esempio gravi pagine antigiudaiche già in Kant, Fichte, Hegel, Schopenhauer e appunto Nietzsche (potremmo quindi dire un filone filosofico prevalentemente tedesco e protestante) e nello stesso Marx (che pur ha ascendenze ebraiche, ma usa come peggior insulto l’espressione “giudeo”).
Storicamente, però, l’esplosione dell’antisemitismo ideologico e politico si deve appunto al nazismo tedesco (Hitler), purtroppo anche in questo poi seguito, pur in tono minore, dal fascismo italiano.
Come abbiamo visto già all’inizio osservato, Adolf Hitler, fin da giovane e ancora nel povero periodo viennese, nutriva uno spirito razzista e antisemita (sul mondo ebraico non mancavano anche questioni legate al loro grande potere economico), unitamente ad un’esaltazione dello “spirito tedesco” (poi considerata “razza pura”). Quindi, salito al potere, il Führer trasfuse questo crescente odio nei confronti degli Ebrei nell’intera politica e prassi del “nazismo”, fino al delirio di perseguire, già alla fine del 1940, la cosiddetta “soluzione finale”, cioè il loro totale sterminio.
Appena salito al potere, Hitler non tardò a promulgare leggi razziali e antisemite. Le prime leggi razziali furono promulgate addirittura il 7.04.1933, quindi poche settimane dopo aver vinto le elezioni (31.01.1933) ed essere divenuto Cancelliere (primo Ministro) tedesco. Il suo feroce e diabolico razzismo e antisemitismo emerse poi ancor più chiaramente nelle cosiddette “Leggi di Norimberga”, promulgate il 15.09.1935, dove si manifestava già chiaramente l’ideologia della razza pura, ariana, della protezione del sangue e dell’onore tedesco, come condizioni per godere della cittadinanza nel “Reich” e quindi per creare pure il contesto giuridico idoneo per attuare progressivamente la persecuzione sistematica degli Ebrei in Germania.
Si trattò della tragica, macabra e persino diabolica vicenda che fu chiamata “Olocausto”, poi, per non confonderla con le offerte fatte a Dio dalla stessa religione ebraica con quel nome, gli Ebrei stessi preferirono usare il termine ebraico Shoah, oggi più diffuso (in ebraico significa “catastrofe”).
Non si deve peraltro dimenticare che una successiva “soluzione finale” era prevista da Hitler anche nei confronti dei cristiani, in particolare contro la Chiesa Cattolica; e comunque durante la guerra deportò nei campi di sterminio e uccise anche milioni e milioni di Cattolici.
Come abbiamo osservato, la Chiesa Cattolica si oppose radicalmente al nazismo, non solo per il suo totalitarismo e la sua statolatria pagana e idolatra, ma appunto anche per il suo folle culto della “razza ariana” e del conseguente razzismo, specie nei confronti degli ebrei (antisemitismo). La radicale opposizione cattolica a tali dottrine colpì anche il fascismo e la dittatura in atto in Italia.
Quando poi anche in Italia la dittatura fascista, più per l’alleanza col nazismo tedesco che per una reale convinzione filosofica o ideologica (nonostante l’innegabile idolatria del corpo umano, oltre che dello Stato, promossa dal Duce), approdò all’antisemitismo, con le cosiddette “leggi raziali” del 1938, Mussolini si trovò più che mai di fronte la dura e fiera opposizione da parte del Vaticano e della Chiesa intera!
Ad esempio, il 13.04.1938 la Congregazione vaticana dei Seminari e delle Università (Mons. E. Ruffini) inviò a tutti gli Istituti cattolici una circolare in cui si invitava ad opporsi al “razzismo” in ogni modo, anche su base filosofica e teologica.
Una questione pure economica
A riguardo dell’antisemitismo, non mancano poi certo anche della motivazioni di stampo più economico, cioè in riferimento ai capitali che molte famiglie ebraiche possedevano (e possiedono) in molte nazioni.
Mentre già il giovane e quasi mendicante Adolf Hitler ancora a Vienna aveva potuto toccar con mano il potere economico degli Ebrei (e ciò accese già il suo odio nei loro confronti), anche in Germania, a riguardo del mondo ebraico, la questione economica non era poi tanto secondaria. Quindi nel folle antisemitismo nazista non c’era solo radici ideologiche proprie della Modernità, ma anche enormi interessi economici. I primi attacchi antisemiti di Hitler, fin dal 1933, furono infatti contro gli affari ebraici. In Germania, solo il patrimonio degli Ebrei registrati come lavoratori (che erano solo 240.000) consisteva infatti nell’enorme somma di 6 miliardi di marchi, cioè l’equivalente della spesa sostenuta dal Terzo Reich per il riarmo.
Lo storico italiano Renzo De Felice, comunista ma di origine ebraica, afferma addirittura che Hitler non avesse inizialmente il progetto dello sterminio degli Ebrei, quanto semmai di deportarli in uno Stato (pensava ad esempio in Madagascar).
Tale storico italiano ebbe pure il coraggio di ammettere che fino al 1940 Mussolini godeva del consenso della maggioranza del popolo italiano e che fino ad allora, se ci fossero state libere elezioni, avrebbe sicuramente vinto. Aggiunge che il Duce fu distrutto dalla disfatta militare della guerra, non dal rifiuto popolare. Di fronte a tali giudizi così controcorrente, De Felice fu in Italia subito censurato e abbandonato nell’oblio.
Ci furono persino accordi con gli stessi Ebrei per favorire la loro volontaria emigrazione.
Anche il grande giornalista e scrittore italiano Vittorio Messori (cfr. Le cose della vita, Ed. S. Paolo, 1995, pp.153/155) compie delle sottolineature per indicare come la realtà storica non sia così “manichea” (tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra) come spesso si vuol far credere. Ad esempio sottolinea che ci furono persino accordi o interessi comuni tra Ebrei e Hitler, in ordine ad un possibile rientro degli Ebrei di tutto il mondo in Israele (“Sionismo”), come poi peraltro fece l’ONU stessa dopo la fine della guerra.
Pure uno dei più celebri studiosi di Hitler e del nazismo, Reainer Zitelmann, peraltro forse di origine ebraica, affermò (Hitler, Laterza, 1957): “scopo dei provvedimenti economici antisemiti era quello di costringere Ebrei ad abbandonare la Germania. In tal senso convergevano gli sforzi nazisti e quelli stessi sionisti. Già nel 1933 ci fu una collaborazione tra organismi ufficiali tedeschi (Gestapo compresa) ed ebraici per favorire l’emigrazione degli ebrei dalla Germania. Infatti tra il 1933 e il 1937 lasciarono la Germania 130.000 ebrei, di cui 38.400 diretti in Israele”. Questi accordi tra nazisti e sionisti non furono peraltro segreti, perché ne parlavano gli stessi giornali dell’epoca. Continua: “Se non furono di più gli Ebrei che partirono, fu perché da un lato molti Paesi rifiutavano o limitavano l’immigrazione ebraica (compreso USA, GB e F), dall’altro perché molti non si resero conto delle dimensioni della catastrofe imminente” (si vedano in tal senso anche le raccomandazioni ebraiche “a non entrare nel panico”, fornite agli ebrei tedeschi dalla Delegazione degli Ebrei Tedeschi, del dicembre 1937).
Hitler appoggiò con entusiasmo la decisione del suo Ministro per l’economia di affidare ad un Comitato di Garanti tutto il patrimonio degli Ebrei di Germania; dal quel fondo ogni ebreo desideroso di emigrare avrebbe potuto attingere quanto gli sarebbe servito per una vita all’estero. Anche le organizzazioni assistenziali ebraiche di USA e GB erano favorevoli a ciò. Ancora nel 1941 attraverso l’ambasciata tedesca ad Ankara, una parte almeno del movimento sionista proponeva a Berlino un accordo tra il Terzo Reich e l’istituenda Repubblica di Israele per il dominio in Medio Oriente.
L’antisemitismo nazista si acuì ovviamente con la guerra. Come documentò poi lo stesso Processo di Norimberga, nel settembre del 1939, subito all’inizio della guerra, Chaim Weizmann, Presidente del Congresso Mondiale Ebraico e dell’Organizzazione Sionista Mondiale, annunciò imprudentemente da Londra che la “nazione ebraica del mondo” era impegnata a fianco degli Alleati per sconfiggere la Germania nazista. I tedeschi replicarono a loro volta di considerarsi allora ufficialmente in guerra con l’ebraismo mondiale.
Ma torniamo al dato che dietro molto antisemitismo (non solo tedesco) si nascondeva pure spesso proprio una questione di interessi economici, anche ingenti, visto le cospicue risorse economiche di cui assai spesso gli Ebrei godevano, fino a condizionare non poco la vita sociale, economica e politica del Paese dove vivevano (e vivono). Lo si può riscontrare ancor oggi, a cominciare dagli stessi USA; non a caso popolarmente il termine Jew, cioè “giudeo”, viene usato in termini dispregiativi non tanto per questioni razziali ma per il loro attaccamento al denaro e persino perché spesso identificati come “usurai”, oltre ad essere proprietari anche di potentissime banche e proprietà.
Non sono pochi gli analisti storici che individuano appunto in tale questione economica un inconfessato sfondo anche al deprecabile e folle “antisemitismo” posto tragicamente in atto sotto il nazismo (più tardi e di conseguenza anche dalle “leggi razziali” del fascismo italiano).
Nella prima metà del sec. XX, infatti, ai grandi poteri politici facevano certamente “gola” le grandi disponibilità di oro di certe famiglie ebraiche sparse in tutta Europa, dalla Russia appunto alla Germania, da Praga (ancor oggi la comunità ebraica ne chiede pubblicamente il risarcimento) a Londra (culla della Massoneria moderna, nata lì nel 1717) a Parigi (culla illuminista delle stesse ideologie e rivoluzioni della Modernità). Tale questione riguardava anche la comunità ebraica di Roma: come vedremo i Tedeschi, dopo l’armistizio dell’8.09.1943 (da loro inteso come tradimento dell’Italia), occupando la stessa Roma e prima del terrificante “rastrellamento” degli Ebrei del 16.10.1943, il 26.09.1943 avevano proposto agli Ebrei romani un riscatto di kg. 50 di oro per evitare la loro deportazione (riscatto che fu pagato, ma che non impedì ugualmente la loro deportazione, come vedremo, anche se assai limitata dall’aiuto della Chiesa e dello stesso Papa Pio XII).
Su un certo abuso dei termini “antisemitismo” e “negazionismo”
Proprio per evitare di offuscare il doveroso sdegno che la questione dell’antisemitismo suscita, specie quando raggiunge dei livelli così folli e feroci come avvenne appunto nel nazismo, occorre però non confondere o estendere questa deprecabile forma di razzismo a qualsiasi forma di dissenso (bollato come “negazionismo”) nei confronti di qualsiasi scelta fatta storicamente o socialmente dagli Ebrei o addirittura dello Stato di Israele.
Abbiamo peraltro già sopra ricordato come la rimarcata memoria della Shoah e la questione dell’antisemitismo siano state riportate alla ribalta proprio dal 1967, non a caso proprio in concomitanza della cosiddetta “guerra dei 6 giorni” posta in atto dall’ancor giovane Stato di Israele contro i Paesi limitrofi e che tanto ha destabilizzato l’intera ragione mediorientale.
Negli anni 1970-1980, al fine di mantenere viva la memoria e lo sdegno per l’Olocausto (poi detto Shoah), furono poi prodotti in Occidente decine e decine di film e serial televisivi a grande diffusione (come “Holocaust” del 1977), anche ciclicamente riproposti.
È bene poi che la doverosa memoria e il giusto sdegno per le atrocità e sofferenze subite dal popolo ebraico nella II Guerra Mondiale non impediscano di essere volte con altrettanta riprovazione per ciò che hanno sofferto, talora con proporzioni persino maggiori, altri popoli, etnie e religioni, a cominciare proprio dai Cristiani!
Si potrebbe pensare a quanto siano invece dimenticati o censurati altrettanti genocidi perpetrati nella storia moderna, da quello contro i Cattolici in Inghilterra (nel primo secolo dell’Anglicanesimo vedi) e quello del popolo cattolico della Vandea (in Francia, nel periodo seguito alla Rivoluzione vedi) o, per venire al secolo XX, quello degli Armeni (perpetrato dall’Impero ottomano, cioè turco e islamico, tra il 1915 e il 1916 e che causò ben 3 milioni di morti), o quello della Cambogia (perpetrato dai Khmer rossi, comunisti cambogiani, che dal 1975 al 1979 uccisero 1/3 dell’intera popolazione del loro Paese, cioè circa 3 milioni di persone! vedi News del 12.09.2020); ma in fondo, al momento presente (2024-2025), quello perpetrato dallo stesso Stato israeliano contro il popolo palestinese (vedi nella cosiddetta “Striscia di Gaza”).
Uno sconcertante silenzio avvolge poi quello che ogni anno patiscono 360 milioni di Cristiani nel mondo, con discriminazioni di ogni tipo, aspre violenze, distruzione e morti (vedi).
Il termine “negazionismo” [cfr. pure una News apposita (vedi)] è stato recentemente esteso persino a qualsiasi dissenso, anche motivato e documentato, nei confronti dell’indotta e dominante narrativa anche sociale: lo abbiamo persino sentito usare per chi abbia osato porre leciti dubbi sulla pandemia Covid-19 e relativi cosiddetti vaccini (vedi) o sul nuovo imperante “ecologismo” (vedi); per non parlare dell’analogo uso abnorme (abuso) e generalizzato del suffisso “fobia” (vedi) (peraltro proprio della psichiatria e che riguarda un grave disturbo appunto psichiatrico o almeno psicologico), scagliato contro chiunque osi contraddire i nuovi “dogmi” relativi alla sessualità (senza alcun vincolo e significato morale vedi), come nel caso dell’aborto legale (che ogni anno nel mondo provoca l’uccisione di oltre 45 milioni di esseri umani innocenti e indifesi!) o delle nuove ideologie gender e Lgbt.
Sulle persecuzione anticristiana e cristianofobia vedi nel sito ad esempio queste notizie.
Con tutta onestà, non si dovrebbe bollare immediatamente come “negazionista” neppure ogni dubbio sulla questione o addirittura impedire sempre nuove ed obiettive ricerche storiche sull’argomento della persecuzione degli Ebrei da parte nazista e durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il grande giornalista italiano Vittorio Messori, che pur eccelle per serietà di ricerca e di documentazione (e che gode della stima anche di autorità ebraiche, cfr. l’incontro riservato con l’Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede sopra ricordato) riporta in proposito anche questi dati (cfr. Vittorio Messori, “Le cose della vita“, Ed. S. Paolo, 1995, pp. 339/344):
Con una decisione senza precedenti per l’Italia, il governo italiano vietò l’ingresso in Italia allo storico inglese David Irving, le cui opere sono tradotte in tutto il mondo da grandi editori (in Italia, da Mondadori). La motivazione di tale diniego è che egli sia uno storico “revisionista” delle vicende della seconda guerra mondiale e della persecuzione degli Ebrei.
In Francia esiste addirittura una legge, criticata anche da Amnesty International, che condanna a forti pene chi dia una versione dell’Olocausto ebraico diversa da quella autorizzata ufficialmente. Ad uno dei più noti storici revisionisti, Robert Faurisson, fu addirittura revocata la cattedra universitaria ed è stato aggredito a bastonate da membri della “Organizzazione per la memoria ebraica”.
Anche nella Germania occidentale esisteva (almeno fino al 1990) un “Ufficio federale per il controllo sugli scritti pericolosi per la gioventù”, che vietava la pubblicazione di opere “revisioniste”. Il Consiglio accademico dell’Università di Gottinga ritirò addirittura il titolo di dottore (paradossalmente in base a due leggi del 1939 firmate da Hitler) all’ex-alunno e ricercatore Wilhelm Staglich, per aver scritto un libro revisionista su Auschwitz.
Peraltro il divieto di porre dubbi o di effettuare nuove ricerche, come pure l’impossibilità di presentare nuovi dati e serie documentazioni alternative, è sempre segno di debolezza, in quanto la verità, se va sempre rispettata, non teme mai confronti e dibattiti seri.
Parte quarta – Pio XII, la Chiesa Cattolica e la Shoah
Dopo quanto già fin qui osservato circa le severe condanne, da parte della Chiesa Cattolica e in particolare dei Pontefici Pio XI e Pio XII, delle ideologie e dei sistemi totalitari emersi in Europa nella prima metà del secolo XX (nazismo e comunismo), ci chiediamo ora come si sarebbe potuto far concretamente fronte allo scatenarsi della furia omicida di Hitler, contro gli Ebrei e pure contro gli stessi Cattolici, specie una volta esplosa l’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
S’era intanto già amaramente sperimentato che un’ancora più esplicita e aperta condanna da parte del Magistero della Chiesa non sortiva purtroppo altro effetto che un maggior incremento di tali persecuzioni.
Come abbiamo visto, non mancarono neppure, persino da parte dello stesso Pontefice Pio XII, i tentativi per organizzare una “resistenza” clandestina contro il nazismo, fino a progettare addirittura attentati contro la stessa persona del Führer.
Essendo poi davvero passati, specie con la guerra, alla “soluzione finale”, cioè al folle progetto di Hitler di attuare la concentrazione, l’esilio e perfino appunto lo “sterminio” del popolo ebraico presente nel Reich e nei Paesi annessi o conquistati, allora anche la carità cristiana, oltre alla doverosa solidarietà umana, richiedeva di porre concretamente in atto, da parte della Chiesa Cattolica, tutto in sistema clandestino di rifugio e assistenza per gli Ebrei, al fine di sottrarli al cosiddetto “rastrellamento”, consapevoli che tale aiuto faceva correre il rischio di fare la stessa loro fine o di essere immediatamente fucilati.
Si trattava, concretamente, di nascondere gli Ebrei, ricercati per essere deportati nei campi di concentramento o di sterminio, nelle proprio case private, nei propri istituti o strutture religiose. Si giunse persino, da parte delle autorità ecclesiastiche e addirittura violando lo stesso Codice di Diritto canonico, di fornire loro dei falsi Certificati di Battesimo, per permettere loro di nascondere in questo modo la loro identità ebraica (ma di fatto subirono il martirio anche autentici cattolici pur di famiglia ebraica, come nel caso, abbiamo visto, della celebre filosofa e monaca carmelitana Edith Stein, cioè Santa Teresa Benedetta della Croce).
Insomma, non potendo più fare altro, si fece almeno tutto il possibile per salvare il salvabile!
Ci chiediamo pure, specie all’inizio e poi durante la guerra, cosa si sapesse davvero di tale fine degli Ebrei, dei campi di concentramento e di sterminio. Pare che poco o nulla, in Europa e nel mondo, si fosse consapevoli di tale sterminio posto sempre più in atto da Hitler, almeno non nelle proporzioni in cui tale eccidio si stava consumando.
In Italia, con tutta probabilità neppure il Duce (Mussolini) era realmente a conoscenza di cosa Hitler stava progettando e progressivamente attuando per giugnere allo sterminio degli Ebrei.
Pare che persino molti capi nazisti, anche quelli che in Europa pur organizzavano e attuavano il “rastrellamento” e la “deportazione” degli Ebrei, non fossero davvero informati di quale fosse lo scopo e l’esito finale di tali già terrificanti operazioni, cioè che si trattasse pure del loro eccidio.
Abbiamo visto ad esempio che lo stesso Hitler, in accordo addirittura con Stalin e altri capi di Stato persino occidentali, avesse ventilato l’ipotesi di deportarli e concentrarli in zone, regioni o Stati dove gli Ebrei avrebbero potuto confluire e vivere. Già allora si parlò perfino della Palestina, cioè della loro antica patria! Non era dunque noto che pure l’esito delle deportazioni fosse in realtà lo sterminio tesso degli Ebrei.
Dunque lo stesso Papa Pio XII, nonostante le informazioni più dirette che potevano pervenire dalle diverse diocesi o per via diplomatica (anche se era comunque difficile superare le censure dei regimi nazista e fascista), non poteva essere pienamente al corrente della situazione.
Comunque, appare oggi più chiaro, anche dai nuovi studi a seguito della disponibilità dell’Archivio vaticano, che il Pontefice e la stessa diplomazia vaticana cercassero di far forte pressione sul Duce (Mussolini), dopo aver già ampiamente manifestato la propria contrarietà all’alleanza con Hitler e soprattutto perché non trascinasse l’Italia nella follia suicida della guerra – mentre le piazze italiane inneggiarono con folle entusiasmo a tale decisione (i filmati stessi stanno lì a dimostrarlo) e poi fu proprio la catastrofica quinquennale esperienza bellica a ridurre il Paese ad un cumulo di macerie (tra l’altro fu proprio tale decisione del Duce a condurre la sua stessa persona e l’intero fascismo alla fine) – ma pure perché non si associasse assolutamente al programma antisemita nazista. Com’è noto il Duce non ascoltò minimamente tali accorati appelli. Però si può notare che Mussolini, che fino ad allora non aveva pensato nulla di simile ma nel 1938 promulgò le prime “leggi razziali”, non si associò mai alla furia omicida e antisemita dell’alleato tedesco (Hitler). Si ricordi che infatti il dramma dei “rastrellamenti” e delle “deportazioni” degli Ebrei iniziò a Roma e in Italia solo dopo l’8.09.1943, cioè dopo la fine del potere di Mussolini (anche se vi collaborarono ancora forze fasciste) e con lo scatenarsi del furore dei nazisti, che con tale Armistizio si sentirono traditi dall’Italia e iniziarono le loro terribili rappresaglie, fino alla loro completa ritirata [chiamata “Liberazione”, che peraltro fu più dovuta all’arrivo e avanzamento delle Forze Alleate (anglo-americane) che alla cosiddetta “Resistenza” partigiana o italiana].
Altre osservazioni circa gli interventi (e i silenzi) di Pio XII
Era dunque diventato ormai evidente che ulteriori e più sonori pronunciamenti contro le nefandezze del nazismo da parte delle Autorità ecclesiastiche (Vescovi e Cardinali) e dello stesso Pontefice (Pio XII), se avrebbero portato certamente più gloria e onore alle loro persone, avrebbero invece trascinato il popolo, non solo i Cattolici ma pure gli Ebrei, in tragedie ancor peggiori!
Per il bene stesso delle persone coinvolte in tale tragedia, occorreva quindi fermezza ma anche molta prudenza!
Si era infatti già sperimentato come più forti interventi pubblici contro l’operato di Hitler emersi da parte di alcuni Vescovi avevano prodotto un ulteriore inasprimento della politica e delle rappresaglie del Führer contro i popoli, i Cattolici e gli stessi Ebrei. Si pensi in tal senso ai forti interventi, con l’appoggio del Papa, del vescovo tedesco di Münster mons. August von Galen (chiamato per questo “il leone di Münster” e che poi Pio XII creò Cardinale).
In Olanda un durissimo intervento dell’Episcopato cattolico contro il razzismo e antisemitismo nazista non fece affatto terminare le deportazioni già in atto degli Ebrei ma le aggravò, coinvolgendo persino gli Ebrei che erano diventati cristiani cattolici [tra questi appunto pure la straordinaria figura di Edith Stein, filosofa, diventata cattolica e perfino monaca carmelitana (Teresa Benedetta della Croce), che venne deportata ad Auschwitz e lì uccisa (è stata proclamata Santa e Compatrona d’Europa)]. Così la veemente Lettera pastorale del Vescovo cattolico di Utrecht contro la persecuzione nazista degli Ebrei, oltre ad aumentare tale persecuzione antisemita, provocò appunto pure la deportazione e uccisione dei Cattolici di origine ebraica. In Olanda dunque, dove fu più aperta la resistenza antinazista, il 70% degli Ebrei fu destinato al martirio.
A Roma, invece, dove prevalse la cautela e il soccorso concreto agli Ebrei da parte del Papa e degli Enti cattolici, si salvò invece quasi il 90% degli Ebrei!
In conseguenza a queste rappresaglie e a questo ulteriore incremento di persecuzioni, contro i cattolici e gli stessi Ebrei, furono allora proprio i Vescovi (della Germania, dell’Olanda ma anche quelli del Belgio) a supplicare il Papa di evitare pubblici e solenni interventi contro il nazismo o a favore degli Ebrei, perché ciò non avrebbe prodotto appunto altro che un inutile ulteriore aggravamento della situazione, anche degli Ebrei stessi. In altri termini, il Papa in astratto avrebbe fatto bene a tuonare contro Hitler e ne avrebbe ricevuto gloria dalla storia, ma in concreto avrebbe invece così mandato al macello milioni e milioni di persone (Ebrei ma anche i Cattolici).
Così si pronuncio ad esempio lo scrittore mons. Vitaliano Mattioli, che ha dedicato alla questione più di un libro: «Suo scopo (di Pio XII) non era quello di condannare il nazismo solo per condannare, ma di sottrarre il maggior numero possibile di individui a quell’insano furore. Una condanna esplicita e diretta avrebbe ancora di più aizzato la “belva” contro degli innocenti. Un intervento più esplicito di Pio XII lo avrebbe reso più applaudito dagli storici, ma a prezzo di innumerevoli vite, lacrime e sofferenze! Non era questo quello che il Papa cercava» [Mattioli Vitaliano, “Gli Ebrei e la Chiesa. 1933-1945”, Mursia (MI), 1997].
Si dovevano dunque usare strategie diverse per arginare quella catastrofe ormai inarrestabile.
Si veda in proposito quanto Pio XII comunicò a Dino Alfieri, ambasciatore in procinto di partire per Berlino, con una lettera del Pontefice da recapitare a Hitler stesso, perché se ne facesse portavoce presso i Cattolici e gli stessi Ebrei presenti e perseguitati nel Terzo Reich:
«Dica a tutti che il Papa agonizza per loro e con loro. Dica che, più volte, avevo pensato a fulminare con scomunica il nazismo, a denunciare al mondo civile la bestialità dello sterminio degli ebrei! Abbiamo udito minacce gravissime di ritorsione, non sulla nostra persona, ma sui poveri figli che si trovano sotto il dominio nazista. Ci sono allora giunte gravissime raccomandazioni, per diversi tramiti, perché la Santa Sede non assumesse un atteggiamento drastico … Dopo molte lacrime e molte preghiere, ho giudicato che la mia protesta, non solo non avrebbe giovato a nessuno ma avrebbe suscitato le ire più feroci contro gli ebrei e moltiplicato gli atti di crudeltà perché sono indifesi. Forse, la mia protesta solenne avrebbe procurato a me una lode nel mondo civile, ma avrebbe procurato ai poveri ebrei una persecuzione anche più implacabile di quella che soffrono».
Qui si fa pure accenno alla ventilata possibilità di una ufficiale “scomunica” di Hitler. Ancora oggi c’è chi si chiede perché non fu comminata, facendosene perfino pretesto di scandalo. In realtà si ricordi che il termine “scomunica” indica una condanna canonica (appunto un’estromissione dalla “comunione” ecclesiale), quindi un atto interno alla vita stessa della Chiesa. Era evidente che Hitler non avrebbe saputo che farsene di tale estromissione della comunità ecclesiale, ma il clamore mediatico di tale pena canonica (ammesso che fosse trapelata dalla censura del regime) avrebbe appunto provocato solo un ulteriore incremento della sua persecuzione contro i Cattolici e gli Ebrei stessi.
Lo scrittore Nando Fabro, a proposito di Pio XII, parlò per questo di «Calvario della responsabilità».
Come sottolinea Hubert Jedin, uno dei più importanti storici della Chiesa, “un’infiammata protesta del Papa non avrebbe imposto l’interruzione dell’azione omicida, bensì l’avrebbe aggravata, e al tempo stesso avrebbe distrutto la possibilità che erano rimaste per agire per via diplomatica a favore degli Ebrei in Stati come l’Ungheria e la Romania”. Con tutto ciò, il Papa non lasciò di far sentire al mondo la sua voce di condanna, come fece ad esempio nel “Radiomessaggio” del Natale 1942, ascoltato quindi in tutto il mondo (se non altro attraverso la Radio vaticana), in cui tra l’altro disse: “pensiamo con immenso dolore alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento” (Discorsi e Radiomessaggi di Pio XII, IV, 2.3.1942-1.3.1943, p. 345).
Il Segretario di Stato vaticano, Cardinal Maglione, convocò l’ambasciatore tedesco presso la S. Sede, Ernst von Weizsäcker, per riferire dell’amara protesta del Papa contro lo sterminio degli Ebrei.
Il Papa scrisse poi molte lettere ai Vescovi tedeschi, sia per conoscere meglio la situazione che per sapere quale suo intervento avrebbe potuto essere più utile. Confida ad esempio al Vescovo di Berlino di non sapere se fosse più utile esprimere “una riserva e un silenzio prudente, oppure una parola franca e un’azione vigorosa”. Lo stesso Episcopato tedesco, per evitare appunto un aggravamento ulteriore della situazione, scongiurarono il Pontefice di avere prudenza.
A proposito della situazione italiana e della stessa città di Roma, dove appunto risiedeva la più grande comunità ebraica del mondo, ecco quanto emerse in un articolo del 29.10.1943 dello stesso Jewish Chronicl: “Il Vaticano ha presentato dure proteste presso il Governo Germanico e presso l’Alto Comando Militare tedesco in Italia contro la persecuzione degli Ebrei nella parte del Paese occupato dai nazisti” [cfr. Antonio Gaspari, Gli ebrei salvati da Pio XII, Art, 2001].
Strano poi che chi accusa Pio XII di deplorevoli “silenzi” sul nazismo e la tragedia della situazione ebraica sotto quel regime, non dica nulla su ben altri silenzi, di grandi forze politiche, militari e perfino umanitarie. Vediamo allora qualcosa in merito.
Le Forze Alleate e gli Ebrei
Gli Inglesi, che pur non avevano sollevato inizialmente delle contrarietà ideali nei confronti del nazismo come pure del fascismo (Churcill aveva anzi avuto parole di elogio sia per Mussolini come per Hitler), si opposero alla Germania soprattutto per ragioni economiche, cioè per impedire la superpotenza tedesca; e in questo riuscirono ad ottenere anche l’appoggio degli USA.
Circa poi l’apertura delle frontiere ai profughi Ebrei in fuga dalla Germania e dagli altri Paesi dove si palesava il pericolo della loro deportazione e sterminio, la risposta delle Forze Alleate fu di una sostanziale chiusura! Dopo un iniziale rifiuto degli Ebrei tedeschi, in seguito, quando nel 1939 30.000 ebrei tedeschi raggiunsero l’Inghilterra, furono internati come “stranieri nemici”. La Camera respinse pure la proposta dell’arcivescovo di Canterbury di accogliere gli Ebrei ben al di là delle rigide quote previste. Anche la Francia rifiutò l’immigrazione ebraica.
Nel 1940, prima che cioè che entrassero in guerra, il Congresso USA respinse la richiesta di aprire i confini dell’Alaska ai profughi ebrei provenienti dalla Germania. Un anno dopo, il Congresso respinse la mediazione svedese per accogliere 20.000 bambini ebrei dell’Europa. Gli USA giunsero addirittura a respingere una nave (Saint Louis) con 930 profughi ebrei a bordo.
Nella “Dichiarazione di Mosca sui crimini di guerra nazisti”, pubblicata dagli Alleati (Churcill, Roosevelt, Stalin) nel 1943, non si accenna poi minimamente alla persecuzione degli Ebrei.
Paradossalmente, il Paese europeo che si mostrò più accogliente per gli Ebrei in fuga fu invece la Spagna del generale Francisco Franco (il dittatore spagnolo fu certamente aiutato dalla Germania a salire al potere, ma poi non volle entrare in guerra in alleanza con Roma e Berlino).
Poiché la guerra, contrariamente ad ogni propaganda bellica, non è mai nettamente giudicabile con criteri manichei (i buoni sono solo da una parte e i cattivi dall’altra), è ben noto che l’aviazione inglese si scatenò (pure in Italia!) anche contro le popolazioni civili e in Germania, oltre a radere al suolo intere città (abbiamo visto che solo la città di Dresda ebbe il 15.02.1945 ben 200.000 morti!), bombardò pure gli stessi campi di concentramento (senza peraltro alcuna utilità strategica). Analizzando ad esempio i tragici dati del campo di concentramento di Dachau, vediamo che, su un totale di 35.613 morti, nel 1944 a gennaio morirono “solo” 54 deportati e a febbraio 101, mentre i morti del 1945 furono 2.888 a gennaio, 3.977 a febbraio e nei rimanenti mesi di guerra furono ben 19.296; si tenga presente che, oltre alle terribili morti inflitte dai tedeschi, ci furono anche migliaia di decessi causati da tifo, dissenteria, fame e gelo, ma appunto negli ultimi mesi anche in conseguenza dei mitragliamenti e bombardamenti alleati [cfr. Vittorio Messori, Le cose della vita, S. Paolo, 1995 (pp. 339/344)].
Infine, Himmler, capo delle SS e responsabile dei campi di concentramento, con l’autorizzazione di Hitler, nel 1944 offrì alle Forze Alleate prima 1 poi 2 milioni di Ebrei dell’Europa orientale in cambio di 10.000 autocarri pesanti, 1.000 tonnellate di caffè e di sapone; ma gli Alleati rifiutarono entrambe le proposte: il Ministro Britannico per il medio Oriente Lord Moyne rispose testualmente “E che dovrei farmene di due milioni di ebrei?” [v. quanto citato nel celebre libro Il nazismo e lo sterminio degli ebrei di Léon Poliakov (ebreo militante) e confermato dal Tribunale di Gerusalemme nel processo ad Eichmann del 1962].
La stampa internazionale divulgò con clamore i Verbali del processo contro Adolf Eichmann, uno dei massimi responsabili della “soluzione finale” ebraica, dai quali emerge un terrificante quadro di orrori. Ma Gideon Hausner, Procuratore generale israeliano nel processo contro Eichmann, il 18.10.1961 ricordò pure: “Il clero italiano aiutò numerosi israeliti e li nascose nei monasteri e il Papa intervenne personalmente a favore di quelli arrestati dai nazisti”.
Alcuni studi storici apparsi poi alla fine del secolo, in particolare quelli di Richard Breitman e di Yehuda Bauer, rivelano una sostanziale indifferenza della maggior parte dei governi e Capi di Stato nei confronti del dramma della Shoah.
La Croce Rossa Internazionale e gli Ebrei
Secondo lo studio particolareggiato condotto dallo storico svizzero Jean-Claide Davez sui Verbali delle assemblee di quel tempo, conservati nell’Archivio Centrale della Croce Rossa Internazionale a Ginevra, risulta che fin dal 1942 la CRI sapeva cosa stesse capitando agli Ebrei sotto il nazismo e della prospettiva dello sterminio progettata da Hitler; cosa invece ignota non solo alle popolazioni, ma anche a molti Capi di stato. Il Comitato centrale della CRI fu invece messo al corrente, ma si decise di tacere, temendo che una denuncia pubblica avrebbe scatenato ancor più le ire naziste.
La Chiesa non sapeva dunque tutto quello che la Croce Rossa Internazionale invece conosceva, ma gli interventi della Chiesa contro il nazismo e a favore degli Ebrei furono più espliciti di quelli della CRI, che in pratica non ci furono affatto. Nessuno però accusa la Croce Rossa Internazionale di “silenzi” complici, oppure compone romanzi o produce film sul silenzio dei funzionari svizzeri della CRI, come si fa invece periodicamente contro la Chiesa Cattolica!
Comunque, anche la stessa Croce Rossa Internazionale riconobbe espressamente che “le proteste sarebbero state inutili, anzi avrebbero potuto rendere un cattivo servizio a chi si voleva aiutare”.
Anche il Dipartimento di Stato Americano, dal canto suo, era convinto che l’unico modo di aiutare gli Ebrei era vincere la guerra. E il delegato USA al Processo di Norimberga, M.W. Kempner, disse che “ogni tentativo di intervento della Chiesa Cattolica contro Hitler non solo sarebbe stato un suicidio, ma avrebbe contribuito all’esecuzione capitale di un numero ancora maggiore di Ebrei e di sacerdoti” (come appunto era già avvenuto in Olanda).
Allo stesso Corpo Diplomatico a Berlino veniva impedito di compiere qualsiasi passo per incarico dei rispettivi Governi in favore degli Ebrei, perché in risposta le deportazioni erano presentate come un fatto di politica interna, su cui nessuno aveva il diritto di intervenire.
Ancora su un possibile intervento del Vaticano
Pio XII era pienamente consapevole che una sua chiara parola avrebbe causato gravi sofferenze alla Chiesa Cattolica in Germania, ove la propaganda anticristiana di Goebbels faceva di tutto per presentare Pio XII come un nemico della Nazione, al fine di disorientare i fedeli. E il Papa sapeva bene che il regime nazista voleva farla finita anche con la Chiesa Cattolica e che qualsiasi pretesto poteva essere utile a tale scopo. Furono questi motivi, in un frangente storico fra i più drammatici e incerti dell’epoca moderna, che consigliarono a Pio XII di mantenere un atteggiamento di prudenza, per evitare dichiarazioni che, in qualsiasi modo, avrebbero solo peggiorato la già grave situazione. Ma ciò non significa affatto indifferenza. Fu soprattutto coi mezzi diplomatici a sua disposizione che la Santa Sede moltiplicò ogni tentativo: i Nunzi e Delegati apostolici, nei Paesi ove era in atto la Shoah, furono sollecitati ad intervenire presso i Governi e gli Episcopati per salvare il più alto numero possibile di condannati.
Il Nunzio Apostolico in Germania mons. Orsenigo, del quale è apparsa più di recente un’accurata biografia [cfr. Monica M. Biffi, Mons. Cesare Orsenigo, Nunzio Apostolico in Germania (1930-1946), Archivio Ambrosiano – NED; cfr. pure L’Osservatore Romano, 4.04.1998 e 31.05.1998], è forse il diplomatico che ebbe maggiormente a soffrire durante la guerra. Non si potrebbe condensare in poche righe l’enorme attività svolta da Mons. Orsenigo durante quel periodo: dai continui contatti col Ministero per gli Affari Esteri del Reich, per incarico della Santa Sede, con richieste che erano normalmente respinte; ai passi fatti per l’assistenza ai prigionieri di guerra e per la difesa delle città, poste in pericolo dalla ritirata delle truppe tedesche; agli interventi per seguire le necessità delle popolazioni nei territori passati alla Germania in seguito all’occupazione tedesca. Gli fu sistematicamente rifiutato il permesso di visitare gli Ebrei internati nel campo di concentramento di Terezin. A proposito della questione ebraica ascoltiamo dalle sue parole il racconto di un incontro con Hitler stesso: “Qualche giorno fa sono finalmente riuscito a recarmi a Berchtesgaden, dove sono stato ricevuto da Hitler; appena ho fatto cenno alla questione ebraica, il nostro colloquio ha perso ogni serenità. Hitler mi ha girato le spalle, si è avvicinato alla finestra, e ha preso a tamburellare con le dita sui vetri… mentre io continuavo a esporre le nostre lagnanze. D’improvviso Hitler si è voltato, ha raggiunto un tavolino dal quale ha afferrato un bicchiere che ha scaraventato per terra con gesto iroso. Di fronte a un simile atteggiamento diplomatico, ho considerato finita la mia missione”. Dunque, per parlare in difesa degli Ebrei, un rappresentante del Papa non temette di affrontare direttamente Hitler! [Giovanni Coppa, nell’Osservatore Romano del 26.06.1998]
L’aiuto agli Ebrei da parte della Chiesa Cattolica e dello stesso Pio XII
Abbiamo dunque visto come ulteriori solenni denunce contro Hitler e la terrificante persecuzione degli Ebrei non avrebbero ottenuto che un ulteriore aggravamento della situazione e un incremento delle violenze e del numero dei morti!
Si ricordi che il Papa e i Vescovi non riuscirono neppure a fermare la persecuzione e le atroci violenze contro gli stessi Cattolici, comprese le deportazioni nei “campi di concentramento” e l’uccisione nei “campi di sterminio”, anche di sacerdoti, frati, suore, monaci e monache e milioni di laici cattolici! Ad esempio, in Europa furono almeno 5000 i sacerdoti cattolici uccisi dal nazismo. Ma di questo immane sacrificio invece mai si parla!
Quindi era ormai evidente che neppure il Papa era in grado di fermare l’Olocausto degli Ebrei ma neppure quello degli stessi Cattolici! E che ogni ulteriore denuncia non avrebbe sortito altro effetto che un ulteriore aggravamento della situazione.
Avevamo osservato come nella sola Polonia occupata dal Terzo Reich, oltre al rastrellamento e uccisione di centinaia di migliaia di Ebrei, subirono la stessa sorte anche milioni di Cattolici. Si calcola infatti che furono arrestati e poi uccisi oltre 3 milioni di Polacchi non-Ebrei e quindi in massima parte Cattolici, vista la fortissima identità cattolica del Paese.
Abbiamo ricordato, ma è solo un esempio, che in occasione di uno dei viaggi di Giovanni Paolo II in Polonia (giugno 1999), il Papa ha beatificato 108 martiri polacchi del nazismo, tra cui 3 vescovi, 52 sacerdoti diocesani, 3 seminaristi, 26 sacerdoti religiosi, 7 fratelli professi, 8 religiose professe e 9 laici, tutti uccisi dai nazisti “in odio alla fede cattolica”!
Di fronte a tale “catastrofe” (in ebraico Shoah) che colpì gli Ebrei ad opera di Hitler durante la II Guerra Mondiale e all’ormai evidente impossibilità di fermarla, si pose allora almeno in atto, e non fu poco e comportò peraltro un coraggio da martirio, da parte della Chiesa Cattolica – dal Papa in persona, dall’Episcopato cattolico, dalle Parrocchie e Istituti religiosi, fino all’eroico aiuto di singoli laici e famiglie cattoliche – uno straordinario, clandestino e concreto aiuto nei confronti del popolo ebraico tanto perseguitato; lo si attuò ovunque, ma particolarmente in Polonia, come in Olanda, e poi soprattutto proprio a Roma, dove l’intervento stesso del Papa e la gran quantità di enti religiosi cattolici lo rendevano ancor più possibile, comunque non senza difficoltà e fortissimi rischi.
Anche autorevoli esponenti del mondo ebraico, come l’ex console israeliano a Milano e storico, Pinchas Lapide, hanno certificato che “il Papa in persona, la S. Sede, i Nunzi e tutta la Chiesa Cattolica hanno salvato da 150.000 a 400.000 Ebrei da morte certa” (Anthony Rhodes, The Vatican in the Age of the Dictators. 1922-1945, Hodder & Stoughton Ltd, 1973). In alcuni testi (cfr. Three Popes and the Jews, 1967) il console Lapide fa addirittura riferimento a 700.000 e perfino 860.000 Ebrei salvati da morte certa dalla Chiesa Cattolica [cfr. Antonio Gaspari, Gli ebrei salvati da Pio XII, Art, 2001].
“I conventi, i seminari, i luoghi di culto divennero in tutta Europa il rifugio più sicuro per migliaia e migliaia di ebrei, partigiani, laici, marxisti, senza distinzione di ideologie politiche, di religione o di razza” (F. Malgeri, La Chiesa di Pio XII fra guerra e dopoguerra). Una testimonianza assai eloquente dell’amore universale emergente dall’autentica fede cristiana cattolica.
Dei 7 milioni di Ebrei deportati (in Europa), solo 950.000 ne uscirono vivi; ma è stato calcolato che di questi, il 90% deve la vita agli aiuti ottenuti dalla Chiesa Cattolica (così il grande storico Jedin). L’azione umanitaria nei confronti degli Ebrei fu dunque immensa.
Emmanuel Lévinas [di origine ebraica, nato nel 1905 a Kaunas (Lituania), morto a Parigi nel 1995], uno dei più importanti filosofi del ‘900, scrisse: “Nessuno nella Chiesa si oppose ad esempio al Battesimo degli Ebrei” e aggiunse “Durante la Shoah, ovunque c’era un prete c’era un rifugio”.
Abbiamo anche notato come, se l’antisemitismo nazista emerse fin dall’inizio, ma si manifestò concretamente e con virulenza luciferina durante la Guerra, in Italia, col fascismo, nonostante il legame ideologico, politico, militare purtroppo poi attuato con la Germania di Hitler, fino all’ingresso in guerra al suo fianco, nonostante le “leggi razziali” emanate nel 1938-1939 (che provocarono già l’esclusione degli Ebrei da molte attività pubbliche, vedi), il Duce non mise di fatto mai in atto una persecuzione fisica degli Ebrei.
La tragedia degli Ebrei, in Italia e persino a Roma, incominciò invece dopo l’Armistizio, firmato unilateralmente dall’Italia l’8.09.1943 (e che decretò di fatto pure la fine del fascismo), venne interpretato dalla Germania come un tradimento, per cui i Tedeschi da alleati diventarono improvvisamente nemici. Incominciò in tal senso un’occupazione tedesca e nazista dell’Italia, che giunse a porre in atto anche feroci rappresaglie e pure le deportazioni, non solo di Ebrei, ma anche di Cattolici, compreso numerosi sacerdoti e religiosi.
Si calcola che in Italia gli Ebrei deportati dal 1943 al 1945 furono circa 8.000.
Roma fu occupata dai nazisti dal 10.09.1943 al 4.06.1944 (quando le Forze alleate, anglo-americane, “liberarono” la città). Ed anche a Roma iniziarono subito (già il 16.10.1943) i “rastrellamenti” e le “deportazioni” degli Ebrei. In quel periodo (9 mesi) furono deportati quasi 2.000 Ebrei, compresi centinaia di bambini e adolescenti, su una comunità di 15.000 persone. Degli Ebrei deportati, solo 16 ritornarono vivi a Roma.
Fu allora che, essendosi evidentemente vanificata ogni possibilità di intervento politico, diplomatico o militare, il Papa e l’intera Chiesa cattolica dell’Urbe posero in atto un’immane e rischiosa opera di carità nei confronti degli Ebrei.
Comunque, da quanto scritto in un articolo 29.10.1943 dello stesso Jewish Chronicl, emerge che “Il Vaticano ha presentato dure proteste presso il Governo Germanico e presso l’Alto Comando Militare tedesco in Italia contro la persecuzione degli ebrei nella parte del Paese occupata dai nazisti” [cfr. Antonio Gaspari, Gli ebrei salvati da Pio XII, Art, 2001].
Nonostante la tragedia in corso e i pericoli corsi dagli stessi Cattolici (che se scoperti avrebbero fatto la stessa fine degli Ebrei che ospitavano o sarebbero stati immediatamente fucilati!) gran parte della comunità ebraica di Roma riuscì a salvarsi e ciò proprio per il rifugio e la protezione trovata presso la Chiesa Cattolica.
Nonostante il pagamento di un cospicuo riscatto (il colonnello tedesco Herbert Kappler chiese e ottenne kg. 50 d’oro per evitare la loro deportazione) già il 16.10.1943 scattò un feroce “rastrellamento” degli Ebrei presenti in città, al fine di deportarli nei famigerati campi di concentramento o di sterminio. Poiché la maggior parte degli Ebrei presenti in città trovò rifugio e nascondimento nelle numerose strutture ecclesiali e persino vaticane (almeno 5000 persone), gli Ebrei deportati furono ufficialmente 1023 (comunque non più di 2000) e la maggior parte di loro non fece più ritorno.
Al numero degli Ebrei romani deportati e uccisi dai nazisti vanno pure aggiunti i 75 Ebrei trucidati alle “Fosse Ardeatine”, nell’eccidio del 24.03.1944 ad opera dei Tedeschi che costò la vita a 335 persone (civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei già arrestati e detenuti comuni), come rappresaglia tedesca per l’attentato partigiano di via Rasella, compiuto il giorno prima e che costò la vita a 33 soldati tedeschi. Considerando il clima resosi ormai particolarmente incandescente tra Italia e Germania e lo sbarco delle Forze Alleate già avvenuto ad Anzio il 22.01.1944, si può certo ritenere che l’attentato partigiano di via Rasella costituisse di fatto un’inutile e pericolosa provocazione, che sarebbe appunto costata la vita a 335 persone!
Prima di procedere è pure doveroso compiere un’altra osservazione. Pochi sanno che tra la numerosa comunità ebraica di Roma ci furono persino collaboratori del governo fascista e che non erano pochi coloro che esprimevano scetticismo circa le notizie (peraltro poche, come abbiamo visto) a riguardo dell’emarginazione e poi persecuzione poste in atto dal nazismo in Germania e in altri Paesi d’Europa già caduti sotto il Terzo Reich.
Fu proprio Pio XII a mettere in guardia gli Ebrei romani nei confronti del nazismo! Allo stesso modo, dopo l’occupazione tedesca di Roma (10.09.1943), gli Ebrei di Roma non presero in considerazione l’invito loro rivolto dal Papa a lasciare la città e rifugiarsi altrove, proprio per non incorrere nei gravi pericoli che avrebbero corso da parte nazista rimanendovi. Il Papa, più consapevole di loro dei pericoli a cui potevano appunto andare incontro, consigliò loro pure di chiudere la Sinagoga e soprattutto di nascondere tutti gli elenchi degli Ebrei romani presenti in essa. Qui si inserisce ovviamente anche l’importante figura e vicenda relativa proprio al Rabbino Capo di Roma Israel (Italo) Zolli, che poi si convertirà al cattolicesimo (e significativamente, anche per gratitudine nei confronti di Pio XII, col Battesimo prese il nome di Eugenio Maria Zolli). Su questa importante figura, su cui il mondo ebraico ha steso ovviamente un velo, che tuttora perdura, torneremo più avanti.
Dopo l’occupazione nazista, anche il Rabbino Zolli si rifugiò da amici cristiani, che lo accolsero e lo nascosero, con grave loro pericolo. Infatti la Gestapo lo cercò ovunque e mise addirittura una forte taglia su di lui, al fine di trovarlo.
Quando il colonnello tedesco Herbert Kappler chiese agli Ebrei un riscatto di 50 chili d’oro per evitare la loro deportazione, il rabbino Zolli andò direttamente da Pio XII per chiederne l’aiuto. Il Papa fu disposto ad offrire quanto mancasse in tal senso (kg. 15) alla disponibilità degli Ebrei. Non è chiaro se tale rimanenza sia stata poi colmata dai Cattolici o dagli Ebrei stessi. Comunque, nonostante il pagamento ai tedeschi di tale riscatto, la deportazione di quasi 2000 Ebrei di Roma avvenne ugualmente (la maggior parte degli Ebrei di Roma trovò invece scampo appunto nelle strutture cattoliche e persino vaticane) .
A proposito della “Liberazione” dalla dittatura nazi-fascista, ancor oggi celebrata il 25 aprile (il 25.04.1945 segnò la definitiva ritirata nazista dall’Italia, il totale disfacimento del fascismo e di lì a poco la fine stessa della guerra): essa è dovuta certo pure alla tanto celebrata Resistenza – in genere ascritta ai partigiani comunisti (quando in realtà ci furono pure valorosi partigiani cattolici), che peraltro si abbandonarono pure a feroci attacchi anche contro i cattolici, persino uccidendo giovanissimi seminaristi, oggi Beati (vedi) – ma senza dubbio soprattutto all’arrivo delle cosiddette Forze Alleate, cioè anglo-americane. Anch’esse però ottennero il predominio e la vittoria anche a prezzo di pesantissimi bombardamenti di molte città e centri italiani (quindi anche provocando la morte di numerosissimi civili). L’indiscussa appartenenza da allora dell’Italia al Patto Atlantico ne è una conseguenza. Del resto sono infatti tuttora presenti sul nostro territorio non solo basi militari della NATO ma degli stessi USA; si aggiungano pure tutti gli influssi economici, politici e culturali che tale dipendenza dagli USA hanno esercitato ed ancora esercitano sull’Italia (si ricordi però che il nostro Paese ha avuto fino al 1989 il più grande e potente partito Comunista dell’Occidente, lautamente sostenuto da Mosca).
Le opere di Pio XII in favore degli Ebrei di Roma
È anzitutto significativo che a Roma, dove pur esiste una delle più grandi e storiche comunità ebraiche, durante la persecuzione nazi-fascista la grande maggioranza degli Ebrei si salvò! Ciò è dovuto a diversi motivi, come abbiamo già ricordato: anzitutto perché il fascismo, nonostante le leggi razziali emanate nel 1938-1939 (quindi molto dopo l’inizio del potere di Mussolini, diversamente da quanto fece invece Hitler), non attuò nei loro confronti alcun rastrellamento e invio nei campi di concentramento e di sterminio (questo avvenne appunto dopo l’8.09.1943, cioè dopo la fine del fascismo e l’inizio dell’occupazione nazista); poi perché, nonostante le ferme prese di posizione contro l’antisemitismo nazista, da parte della Chiesa si scelse di muoversi con cautela (visto appunto che i duri interventi episcopali ad esempio in Olanda non sortirono altro effetto che un incremento delle violenze naziste nei confronti degli Ebrei e degli stessi Cattolici); infine appunto per l’attuazione di un enorme piano di assistenza posto in atto a favore degli Ebrei a Roma dalle numerose istituzioni ecclesiali e dall’intervento diretto del Papa e del Vaticano in tali opere di carità (rifugio, assistenza, sostegno).
Fu infatti in quella tremenda circostanza che tutta la comunità cattolica di Roma, dal Papa in persona all’ultima parrocchia o convento, pose coraggiosamente in atto una formidabile rete di assistenza e rifugio in soccorso degli Ebrei presenti nella capitale.
Raccogliamo allora qualche documentazione in merito.
Gideon Hausner, Procuratore generale israeliano nel processo contro Eichmann, il 18.10.1961 affermò: “Il clero italiano aiutò numerosi israeliti e li nascose nei monasteri e il Papa intervenne personalmente a favore di quelli arrestati dai nazisti”.
Anche le ampie ricerche compiute nell’Archivio Apostolico dallo storico p. Gumpel, il già citato Relatore del processo di Beatificazione di Pio XII, hanno potuto attestare che migliaia di Ebrei furono salvati grazie all’opera diretta del Pontefice (leggi).
Circa l’opera diretta di carità e assistenza nei confronti degli Ebrei posta in atto personalmente del Papa Pio XII, un ruolo non secondario lo ebbe Suor Pascalina Lehnert, una figura importante anche se paradossalmente ricopriva semplicemente il ruolo di “governante”, cioè domestica o perpetua del Pontefice (cfr. Lehnert, Pascalina, Pio XII: il privilegio di servirlo, Milano 1984).
Suor Pascalina era un’umile ma assai intelligente e intraprendente suora, originaria della Svizzera tedesca, che fu la governante dell’Arcivescovo Eugenio Pacelli già quando egli era Nunzio in terra tedesca, accudendolo (aveva particolari attenzioni anche nella cucina, visto che l’augusto prelato soffrì sempre di disturbi di stomaco) sia a Monaco di Baviera che a Berlino. Durante la sua presenza a Monaco, nell’aggressione subita dal Nunzio il 19.04.1919 cercò perfino di difenderlo fisicamente. Suor Pascalina seguì e servì mons. Pacelli anche quando fu richiamato a Roma, creato Cardinale e Segretario di Stato, e mantenne il suo ruolo discreto ma importante anche quando Pacelli divenne Papa e lungo tutto il suo pontificato. La figura di tale suora (che ovviamente abitava nell’appartamento pontificio del Palazzo apostolico, insieme ad altre suore che l’aiutavano, oltre al Segretario personale del Papa e agli altri addetti di camera) fu importante non solo per il suo ruolo di domestica e quindi per i “lavori di casa” ma persino come attenta consigliera e in certi casi fedele collaboratrice di Pio XII.
Proprio a lei il Pio XII affidò pure l’importante e delicato incarico di gestire la carità personale del Papa in favore degli Ebrei di Roma, quando cominciarono le persecuzioni razziste nei loro confronti.
A lei l’importante studioso e storico Charles T. Murr, che poté non solo conoscerla ma stringere con lei una discreta e preziosa amicizia (dopo la morte di Pio XII e persino in tempi più recenti) e raccogliere suoi ricordi e preziose testimonianze storiche in merito proprio alla persona e all’attività specie più privata di Pio XII. Ecco perché anche di recente (2024) tale autore ha potuto scrivere un interessantissimo libro su Suor Pascalina e sui suoi importanti ricordi: Charles T. Murr, “L’anima segreta del Vaticano”, Ed. Fede e cultura, 2024 (vedi) (si ascolti anche questa recente interessante intervista all’autore fatta dal direttore di tale casa editrice Giovanni Zenone, con l’intervento pure dello storico prof. Roberto De Mattei).
Anche da tale testo su Suor Pascalina (come dall’intervista citata) raccogliamo alcuni dei dati qui riportati.
[Dello stesso autore, e sempre recentissimo, esiste anche un delicato e scottante studio: Ch. T. Murr, “Massoneria vaticana“, Fede e cultura, 2023 (vedi), che abbiamo sopra citato]
Anche da questa “testimone d’eccezione” della vita per così dire privata del Pontefice, chiamata pure ad organizzare direttamente l’opera caritativa del Papa anche in riferimento agli Ebrei di Roma in quel doloroso frangente creatosi specie dopo l’8.10.1943, apprendiamo che Pio XII riuscì a nascondere e salvare molti Ebrei in Vaticano e nelle altre zone extra-territoriali, come le Basiliche patriarcali di S. Giovanni in Laterano e di S. Maria Maggiore e persino nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo.
Dato che in quel periodo bellico scarseggiavano anche i viveri, Sr. Pascalina, a nome del Papa, per sfamare quella quantità enorme di ebrei ospitati nelle strutture vaticane, inoltrò una richiesta di aiuti alimentari addirittura al leader spagnolo il Generalissimo Franco (la Spagna era rimasta neutrale nella guerra), il quale non esitò ad inviare via mare a Civitavecchia e quindi in Vaticano enormi quantità di grano, per fare il pane per gli Ebrei lì nascosti.
Non curante persino delle norme canoniche e ben consapevole che la carità sorpassa ogni cosa, Pio XII fece addirittura compilare dai 250.000 ai 300.000 falsi Certificati Battesimo per gli Ebrei, perché in questo modo potessero forse salvarsi (anche se in Olanda proprio la santa carmelitana Edith Stein sopra citata, ex ebrea ma autenticamente convertita alla Chiesa Cattolica e addirittura fattasi monaca carmelitana, fu ugualmente, per le sue origine ebraiche, arrestata e deportata ad Auschwitz, come abbiamo appunto sopra ricordato).
Il Papa dispose che, oltre nella Città del Vaticano (che pur è di soli kmq 0,4, da cui sottrarre anche la Basilica e la piazza di S. Pietro, i Musei Vaticani e i molti Uffici della Santa Sede) e negli altri spazi romani che godevano dell’extraterritorialità vaticana, anche le parrocchie e gli istituti religiosi di Roma, pur correndo così il rischio di essere essi stessi arrestati, uccisi o deportati, aprissero le porte per accogliere e nascondere gli Ebrei.
La stessa Suor Pascalina, su incarico del Santo Padre, organizzò l’accoglienza degli Ebrei in diversi monasteri e lei stessa andava in giro per Roma alla guida di un furgone, distribuendo cibo e vestiti.
Alcune di queste testimonianze della carità concreta del Papa nei confronti degli Ebrei romani, attuata in quegli anni difficilissimi dal Papa con discrezione e nel nascondimento, sono conservate persino in un piccolo Museo allestito alla periferia di Roma da Oversteyns con l’aiuto della stessa Suor Pascalina e documentate pure in un sito (vedi).
Un dato curioso ed eloquente: pare che anche il fantomatico e potentissimo Soros, statunitense ma di origine ungherese e di famiglia ebrea, ebbe salva la vita per questi interventi di Pio XII a favore degli Ebrei.
Alcune recenti scoperte e autorevoli documentazioni in merito
Nel 2021 è stato pubblicato il libro di Johan Ickx, che da decenni lavora negli archivi vaticani, Pio XII e gli ebrei (vedi), In esso viene pure menzionata l’esistenza di un apposito ufficio creato da Pio XII per aiutare gli Ebrei di Roma. In esso (in riferimento all’archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato) vengono registrate circa 2800 richieste di aiuto, relative ad almeno 5000 Ebrei.
Dal 2020 il Vaticano non solo ha reso possibile l’accesso agli studiosi di una sezione dell’Archivio denominata “Ebrei”, dove sono custodite pure le richieste di aiuto pervenute alla Santa Sede da parte di Ebrei di tutta Europa dopo l’inizio delle persecuzioni nazi-fasciste, ma ne ha addirittura pubblicato i dati ed è accessibile perfino online.
Tale sezione, già disponibile al 70%, conta nientemeno che 170 volumi (equivalenti a quasi 40.000 file). Gran parte di questi volumi furono resi disponibili già dal 2005 (durante il pontificato di Benedetto XVI). Ciascun volume è corredato anche da riferimenti cronologici di tali richieste e spesso persino dai nomi dei richiedenti. Dal 2010 ne è iniziata pure la digitalizzazione, resa poi persino disponibile online.
Ci sono richieste di aiuto perfino al fine di poter ottenere visti o passaporti per espatriare, ricongiungimenti familiari, liberazione dal carcere, perfino trasferimenti da un campo di concentramento all’altro e se ci fossero notizie su familiari o conoscenti scomparsi. Ci sono ovviamente anche richieste di sostegno economico, persino di cibo o vestiti.
Tali richieste venivano fatte pervenire al Papa o alla Segreteria di Stato attraverso ecclesiastici, monsignori, persino vescovi e cardinali, che fungevano da autorevoli intermediari con la Santa Sede.
La Segreteria di Stato vaticana, ai tempi del pontificato di Pio XII, aveva una sezione chiamata “Congregatio pro negotiis ecclesiasticis extraordinariis” (è l’attuale Sezione per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali), una sorta di Ministero degli Esteri. In quel periodo Pio XII incaricò un diplomatico di tale Sezione (mons. Angelo Dell’Acqua) di occuparsi di queste richieste con l’obiettivo di fornire ogni aiuto possibile.
L’esito di tali istanze è in gran parte sconosciuto, diverse volte non è stato possibile soddisfarle, ma in molti casi è stato invece possibile esaudirle, cioè sono andate a buon fine (cfr. leggi).
Aiuti da Enti ecclesiastici di Roma
Furono innumerevoli, anche se assai pericolosi per coloro stessi che li fornivano (potevano fare la stessa fine comminata agli Ebrei che difendevano o essere fucilati) gli aiuti agli Ebrei forniti da Istituti religiosi, Parrocchie, Enti, Associazioni cattoliche presenti in città [cfr. Gaspari Antonio, Nascosti in convento, Ancora (MI), 1999].
Raccogliamo solo qualche dato emerso peraltro recentemente.
Nel 2023, dall’Archivio del Pontificio Istituto Biblico (di Roma) è emersa una documentazione assolutamente inedita e con una precisione mai avuta prima circa la rete di assistenza agli Ebrei messa in atto dagli Istituti religiosi cattolici di Roma. Nei conventi, nelle molteplici Case generalizie degli Istituti religiosi e in altri loro centri e proprietà (oltre che nelle parrocchie e all’interno stesso del Vaticano), trovarono rifugio migliaia di Ebrei, scampati così non solo alla persecuzione nazi-fascista ma soprattutto al “rastrellamento” posto in atto dai tedeschi a Roma il 16.10.1943. In tale documento viene addirittura presentato un elenco di 4.300 persone, di cui 3.600 identificate per nome, salvati in 110 Case religiose e conventi romani. Dal confronto incrociato con l’Archivio della Comunità Ebraica di Roma, risulta con certezza che 3.200 di queste persone erano con certezza Ebrei (uomini, donne e bambini). «Di questi sappiamo dove sono stati nascosti e, in talune circostanze, i luoghi di residenza prima della persecuzione», si legge in una Nota congiunta del Pontificio Istituto Biblico, della Comunità Ebraica di Roma e dello Yad Vashem, presentata il 5.09.2023 al Museo della Shoah di Roma durante un workshop dal titolo “Salvati. Gli ebrei nascosti negli istituti religiosi di Roma (1943-1944)”. Il supremo regista di questa immane opera di carità nei confronti degli Ebrei era ovviamente il Papa Pio XII (leggi).
Una prima sintesi, ovviamente provvisoria (trattandosi di milioni di pagine da analizzare), degli studi emersi dopo la totale accessibilità dell’Archivio Apostolico, non solo riguardo al Pontificato di Pio XII ma proprio alla sezione intitolata “Ebrei”, è emersa già, oltre che in apposite pubblicazioni, anche in un convegno tenuto alla Pontificia Università Gregoriana il 9-11.10.2024 (“New documents from the Pontificate of Pope Pius XII and their Meaning for Jewish-Christian Relations: A Dialogue Between Historian and Theologians“). In tale convegno sono stati resi pure noti i risultati di recenti studi tenuti sull’Archivio del Pontificio Istituto Biblico di Roma (affiliato alla prestigiosa Pontificia Università Gregoriana, la più importante università dei Gesuiti al mondo, con sede in Roma), da poco aperto agli studiosi. Ne sono emersi, insieme a documenti inediti, persino elenchi di persone, in maggioranza ebree, protette dalle persecuzioni nazifasciste della Capitale grazie al rifugio loro offerto presso istituzioni ecclesiali della città.
Già nel 1961 lo storico Renzo De Felice aveva pubblicato uno studio accurato in cui emergeva che le Congregazioni religiose che hanno ospitato ebrei furono 155 (100 femminili e 55 maschili) e i numeri delle persone ospitate (4.300 persone, di cui 3.600 identificate per nome). Anche dai documenti conservati nell’archivio della Comunità Ebraica di Roma risulta che 3.200 di questi erano con certezza ebrei (si dice dove furono ospitati e spesso anche i luoghi di residenza di provenienza prima della persecuzione) [cfr. anche l’accurata documentazione fornita dal gesuita P. G. Birolo, redatta da giugno 1944 e primavera 1945, del P. I. Biblico (allora ne era Rettore il gesuita P. Augustin Bea, creato cardinale nel 1959 e promotore del dialogo ebraico-cattolico, del dialogo interreligioso e della dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Allora mancava però tutta l’immensa documentazione ora reperibile] [cfr. La Gregoriana, anno XXIX n. 63 (dicembre 2024)].
Dei circa 4000 Ebrei salvati a Roma (soprattutto dal rastrellamento del 16.10.1943) dalle comunità religiose cattoliche raccogliamo ancora qualche dato (leggi).
Il convento delle suore di Nostra Signora di Sion, sul Gianicolo, all’alba di quel tragico 16 ottobre, arrivò ad ospitare addirittura 187 Ebrei. L’ebrea romana Emma Alatri, sopravvissuta a quella tragedia, nel suo racconto allo storico Andrea Riccardi, descrive così la scena: “le suore, con grande rischio per loro stesse, mi accolsero immediatamente e mi ritrovai in uno stanzone dove si trovavano già altri 70 ebrei in fuga; avevo l’impressione di essere nell’arca di Noè”. Fuori dal convento la madre superiora Maria Augustina fece appendere una targa con scritto «zona extraterritoriale» per tentare di evitare così le perquisizioni naziste.
Suor Ferdinanda Corsetti, della Congregazione delle Suore di San Giuseppe di Chambéry, nel convento di via del Casaletto, assieme alla consorella Emerenziana Bolledi, accolse e salvò nel convento, oltre ad un’intera famiglia, più di 30 bambini ebrei. Ecco una sua toccante testimonianza di quel momento tragico: «una tarda sera, un’ebrea di nome Franca, da noi ospitata, piangeva a dirotto, raggiunta dalla notizia di una retata di uomini ebrei avvenuta nelle vicinanze, pensando a suo padre che sapeva nascosto in un casolare vicino. Quasi al buio, accanto al suo letto, pregammo insieme il salmo De Profundis. Era proprio la Parola di Dio dell’Antico Testamento e la preghiera ad unirci e sostenerci. Nei momenti più difficili, organizzavamo proiezioni di diapositive di carattere biblico, proprio per non far sentire isolate e abbandonate queste sorelle di fede ebraica». Tale suora, per tale opera di aiuto posta in atto, ha avuto il riconoscimento ebraico di “Giusta tra le Nazioni”.
Da parte delle residue milizie nazi-fasciste fu violata persino l’extraterritorialità vaticana dell’abbazia di San Paolo fuori le Mura (attigua alla gloriosa Basilica papale che conserva le spoglie dell’Apostolo), dove avevano trovato rifugio numerosi Ebrei. Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1944 ci fu infatti un’incursione di nazi-fascisti (dei reparti di Pietro Koch e Giuseppe Bernasconi), che, bestemmiando e offendendo l’Abate, arrestarono, dopo averli picchiati, 9 ebrei rifugiati in tale storico monastero benedettino (i loro nomi erano presenti ufficialmente nelle liste del colonnello nazista Kappler); furono deportati e non fecero più ritorno dai campi di sterminio. Di tale sacrilega irruzione protestò ufficialmente il Vaticano, denunciando la violazione dei Patti Lateranensi che ne garantivano appunto l’extraterritorialità.
Nonostante la scalpore che destò la notizia di tale grave episodio, preti, frati e suore di tutta Roma continuarono ad aprire agli Ebrei le porte di Parrocchie e Case religiose.
Uno dei sacerdoti più attivi in tal senso fu il viceparroco della chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio don Vincenzo Fagiolo (poi creato Cardinale nel 1994). Fu lui a far sì che il famoso ebreo Michael Tagliacozzo, costretto ad arrangiarsi per mesi in situazioni di fortuna, fosse ospitato nel 1943 presso il Pontificio Seminario Romano (al Laterano) Per quest’attività, don Fagiolo fu insignito del titolo di Giusto tra le Nazioni.
Michael Tagliacozzo, ebreo storico dell’Olocausto, è stato anche uno strenuo difensore di Pio XII (v. poi una sua ferma presa di posizione contro il mito di un Pio XII alleato di Hitler e che avrebbe persino aiutato i nazisti a fuggire dall’Europa dopo il termine della guerra). Salvatosi così dallo sterminio tedesco, dopo la guerra visse ancora a lungo in Israele ed è morto il 15.04.2011.
Sarà Tagliacozzo a ricordare con immensa gratitudine, in un quotidiano di Israele, dove poi andò a vivere, quanto Pio XII e la Chiesa Cattolica fecero per salvare e assistere gli Ebrei, e sempre sulla stampa israeliana si oppose fermamente alle diffamazioni poi orchestrate contro Pio XII, circa il mito dei suoi “silenzi” se non persino connivenza col nazismo. Ricorderà ad esempio che circa 5.000 Ebrei di Roma trovarono scampo e rifugio nelle istituzioni della Chiesa, dei quali 4.238 nei conventi, monasteri ed altri istituti religiosi mentre 477 furono accolti nel Vaticano stesso e nelle zone extraterritoriali dipendenti dalla Santa Sede. Ricordò pure che tutti i bambini dell’orfanotrofio israelitico trovarono rifugio in un convento. Anche i nazisti e i loro satelliti accusarono il Vaticano per l’aiuto agli ebrei, ai comunisti e ad altri perseguitati. L’organo delle SS in lingua italiana “L’avanguardia” del 12.08.1944 non risparmiò pesanti offese al Vaticano e al clero, chiedendosi il perché dell’“interesse della Chiesa per ebrei e comunisti, nemici dell’umanità”».
Fu certamente anche per il suo interessamento che poi i Cardinali Pietro Palazzini e Vincenzo Fagiolo ricevettero l’onorificenza israeliana di “Giusti delle Nazioni” «per l’opera di soccorso da loro svolta a favore degli ebrei perseguitati dai nazifascisti durante l’occupazione tedesca a Roma».
Secondo Grazia Loparco, che all’ospitalità cattolica degli Ebrei romani tra il 1943 ed il 1944 ha dedicato uno specifico studio, «su un totale di circa 740-750 Case religiose, si dispone di qualche informazione diretta, antica o recente, per quasi 200 di esse» (numero confermato dai recenti studi sull’Archivio del P.I. Biblico, come sopra ricordato). I numeri potrebbero essere al ribasso, considerando la situazione di clandestinità che rendeva necessario non lasciare troppe testimonianze scritte. Se il risultato del “rastrellamento” del 16.10.1943 fu assai inferiore rispetto a quanto previsto dai Tedeschi ciò fu appunto “grazie alla solidarietà di molti cittadini romani e di non pochi religiosi di vari conventi e istituti religiosi” (cfr. Riccardo Calimani, Storia degli ebrei di Roma, Mondatori, 2018).
Tutti i bambini dell’orfanotrofio israelitico trovarono rifugio in un convento [ma persino su questo e sul fatto che poi per alcuni di loro fu chiesto il Battesimo, c’è stato nella stampa anticattolica chi ha parlato di Pio XII come “rapitore di bambini” (Daniel Goldhagen)].
Da quanto reso recentemente noto dal Pontificio Seminario Lombardo di Roma scopriamo che, a seguito del “rastrellamento” di Roma del 16.10.1943, si rifugiarono nel Pontificio Seminario Lombardo di Roma 63 Ebrei, che furono nascosti e così si salvarono. Nonostante l’irruzione dei soldati nazisti la notte tra il 21 e 22.12.1943, non furono scoperti. Ne era Rettore (1933-1961), mons. Francesco Bertoglio (1900-1977; vescovo dal 28.10.1960, Ausiliare di Milano dal 1964), proclamato dagli Ebrei (Yad Vashem di Gerusalemme) “Giusto tra le Nazioni”.
Le suore della Congregazione delle Maestre Pie Filippine ospitarono per più di un anno, con grande carità e con immenso pericolo per la loro stessa vita, ben 114 Ebrei, uomini e donne, adulti e bambini, per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi. Le suore accolsero i perseguitati romani in tre conventi: in via delle Botteghe Oscure, in via Caboto e in via delle Fornaci.
Di quella terribile vicenda storica, ma anche dell’immensa testimonianza di carità cristiana di quelle suore, si occupò poi particolarmente una Suora della stessa Congregazione, Suor Margerita Marchione, statunitense ma di origine italiana (che fu allieva, collaboratrice ed amica di Prezzolini, ma incontrò pure Ungaretti), divenuta poi una delle più stimate storiche della questione della difesa degli Ebrei da parte di Pio XII e della Chiesa di Roma in quel pericolosissimo frangente storico. Raccogliamo da lei la testimonianza diretta di alcune delle sue Consorelle allora presenti e operanti a Roma in quei tre conventi (tali testimonianze sono riportate in un’intervista fatta da L’Osservatore Romano a Suor Marchione il 17.07.1998).
Nell’Istituto di via delle Botteghe Oscure furono sistemate comodamente (in appartamenti con stanze da letto, lavanderia e servizi) 60 persone. Nella casa in via Caboto erano raccolte 25 persone: qualche anziano, sposi giovani e anche bambini. Una quindicina erano barricate nel teatrino dello stabile con tutto quello che s’era potuto salvare, anche la merce dei loro negozi. Gli altri erano nei locali dell’asilo dove erano attrezzate due stanze anticrollo.
Le Maestre Pie Filippini insegnavano durante il giorno mentre la sera, a turno, facevano la guardia per proteggere i loro ospiti.
“Una notte un camion si fermò davanti al convento. Mentre i soldati tedeschi si preparavano a fare irruzione pensando che fosse un rifugio o un nascondiglio di armi, un signore, dalla finestra, avvertì che quella era solo una scuola elementare. I tedeschi allora se ne andarono”.
“Suor Lucia Mangone andava ogni giorno al mercato per poter dare da mangiare alle persone rifugiate, ma non era certo facile reperire sempre il cibo necessario per sfamare tutti. Alle suore non mancava il coraggio, così suor Lucia si presentò ad un generale tedesco ed ottenne il permesso di comprare un camion di riso. Ovviamente non disse chi lo avrebbe mangiato” (il che tra l’altro significa che anche i tedeschi non erano poi tutti perfidi assassini, come molte volte la visione manichea, specie in frangenti di guerra, ci presenta).
“Suor Assunta Crocenzi invece conosceva il tedesco e poteva quindi parlare con facilità con i soldati. Per sviare ogni sospetto sul fatto che nel convento erano ospitati ebrei, decise di invitare alcuni tedeschi a pranzo. Invece di bussare al numero civico 20 di via delle Botteghe Oscure, i soldati si fermarono al numero 19 dove, appunto, erano ospitati gli ebrei. La suora che faceva la guardia non conosceva il tedesco e a gesti fece capire che non avrebbe aperto la porta perché quello era un luogo di clausura. Grazie al cielo, i soldati alla fine capirono e bussarono alla porta successiva”.
Alla fine della guerra un gruppo di donne ebree ospitate dalle suore in via delle Botteghe Oscure, volendo offrire un segno della loro gratitudine, donarono al convento una bella statua della Madonna, “come segno della loro commossa gratitudine per essere state da loro ospitate e salvate, consapevoli che se le suore fossero state scoperte sarebbero state immediatamente fucilate”!
Mentre doverosamente sempre ricordiamo e inorridiamo nei confronti dell’Olocausto (Shoah) patito dagli Ebrei, non dobbiamo dimenticare che le vittime e i martiri cristiani provocati dalle ideologie anti-cristiche del sec. XX, compresa la II Guerra Mondiale, furono oltre 40 milioni!
Sarebbe poi doveroso ricordare l’immenso oceano di sofferenza e morte patito in Europa e nel mondo intero anche dalla popolazione civile, per la prima volta nella storia dell’umanità coinvolta direttamente anche nella guerra (non solo quindi le centinaia di migliaia di militari).
Sarebbe poi ugualmente doveroso, ricordando la dura persecuzione subita dagli Ebrei in molte nazioni, sottolineare come ovunque la Chiesa Cattolica, senza dimenticare certo l’annuncio di Cristo, unico Dio e Salvatore dell’uomo, abbia fatto tutto il possibile per manifestare la propria solidarietà e aiuto nei loro confronti.
Particolarmente significativo è il caso della Polonia, come abbiamo già ricordato.
La forte presenza di Ebrei nella cattolicissima Polonia (3,5 milioni di Ebrei) non creava assolutamente nessuna tensione o forme di discriminazione nei loro confronti; anzi spesso si intrattenevano ottimi rapporti di amicizia. Ne offre una stupenda testimonianza anche il giovane Karol Wojtyła (il futuro Giovanni Paolo II), che coltivava profonde amicizie anche con coetanei ebrei.
Proprio l’invasione nazista della Polonia (1°.09.1939), che di fatto offrì il pretesto per lo scoppio della II Guerra Mondiale, portò anche in Polonia alla feroce persecuzione degli Ebrei, difesi anche clandestinamente e con grande pericolo dalla Chiesa e pure da numerose famiglie polacche, fino allo sterminio del 95% di essi, cioè circa 3 milioni (dunque la metà quindi di tutti prodotti nella Shoah, cioè 6 milioni). Non dobbiamo però dimenticare che furono uccisi in Polonia anche oltre 3 milioni di polacchi cattolici (una tragedia invece raramente ricordata)!
Ad esempio, in occasione di uno dei suoi viaggi in Polonia (quello del giugno 1999), Giovanni Paolo II ha beatificato ben 108 martiri polacchi del nazismo, , tutti uccisi “in odio alla fede cattolica”, tra cui 3 vescovi, 52 sacerdoti diocesani, 3 seminaristi, 26 sacerdoti religiosi, 7 fratelli professi, 8 religiose professe e 9 laici
Il martirio di un’intera famiglia cattolica polacca (ora interamente Beata)
Tra le numerosissime e gloriose testimonianze, raccogliamo quella della straordinaria famiglia cattolica polacca Ulma [i coniugi Józef (44 anni) e Wiktoria (31 anni) e i loro figli Stanisława (8 anni), Barbara (7 anni), Władysław (6 anni), Franciszek (4 anni), Antoni (3 anni), Maria (2 anni), più un altro figlio in fase avanzata di gravidanza] interamente trucidata dai nazisti il 24.03.1944 insieme agli 8 Ebrei che avevano ospitato e nascosto nella loro casa da oltre un anno. Tale famiglia è stata recentemente (10.09.2023) proclamata interamente Beata dalla Chiesa, col titolo di martiri (leggi). Che sia stato proclamato Beato e Martire anche il nascituro è il primo caso nella bimillenaria storia della Chiesa e testimonia tra l’altro la piena dignità umana del concepito (leggi). [Vedi il racconto del Postulatore della Causa di Beatificazione; si veda pure il testo di Manuela Tulli (vaticanista ANSA) e Pawel Rytel-Andrianik (sacerdote polacco), Uccisero anche i bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei, Ares 2024); si veda pure un’intervista, che fa da Prefazione al libro, al Card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi].
Tale ancor giovani e cattolicissimi sposi erano perfettamente consapevoli del pericolo a cui andavano incontro ospitando da oltre un anno in casa loro (già con grandi sacrifici, visti anche i loro 6 figli più uno in arrivo) ben 8 Ebrei!
La squadra nazista era guidata da Eilert Dieken, un tedesco mosso da vero odio non solo nei confronti degli Ebrei ma degli stessi Cristiani! Tale spedizione nazista rientrava nella vasta Operazione Reinhard, determinata a sterminare i quasi 2 milioni di ebrei polacchi presenti nell’area della Polonia occupata dalla Germania.
Già 15 mesi prima del martirio degli Ulma, tale quadra nazista aveva compiuto proprio in quella stessa città (Markowa) delle meticolose perquisizioni, con la fucilazione di 25 ebrei che si erano nascosti nei boschi intorno, dove un contadino aveva preparato invano un nascondiglio per loro. Altre famiglie dei dintorni avevano nascosto degli Ebrei, con grave loro rischio e pericolo.
Quella dei coniugi Ulma (Józef e Wiktoria) era una carità che veniva da lontano, radicata e coltivata fin dalle loro famiglie d’origine, profondamente cattoliche. Entrambi avevano una profondissima devozione alla Madonna (come del resto la maggior parte dei Cattolici polacchi) ed erano impegnati anche nella vita parrocchiale. Crebbero i figli in un’atmosfera di semplice amore familiare, con loro pregavano insieme in casa e leggevano la Parola di Dio. Ora, insieme ai loro 7 figli, splendono col titolo di Martiri nella gioia e gloria eterna del Paradiso.
La gratitudine post-bellica degli Ebrei nei confronti della Chiesa cattolica e di Pio XII
Mentre il secondo conflitto mondiale era ancora in corso ma volgeva ormai verso il termine e l’Italia, dopo aver sperimentato più duramente la ferocia nazista a seguito dell’Armistizio dell’8.09.1943, con tanto di deportazione degli Ebrei, dal gennaio 1944 veniva progressivamente “liberata” dalle Forze Alleate (anglo-americane), ci fu subito, da parte dell’Ebraismo non solo romano e italiano ma internazionale e istituzionale, un coro di gratitudine nei confronti del Papa Pio XII, della Chiesa di Roma come di quella italiana ed europea (in particolare quella polacca), per quanto era stato eroicamente posto in atto in loro soccorso e per salvarli addirittura da morte certa.
Dallo stesso Archivio Apostolico vaticano, oggi accessibile, emerge persino una quantità enorme di telegrammi fatti pervenire già durante la guerra alla Santa Sede in ringraziamento per l’aiuto ricevuto, da parte di Ebrei di Bolivia, Costarica, Sudafrica, Cile, ma anche dall’Unione dei Rabbini Ortodossi dell’America e del Canada, come pure dal Grande Rabbino di Zagabria.
Nel luglio del 1944, solo qualche giorno dopo la “liberazione” di Roma (4-5.06.1944), una delegazione ufficiale israelitica, guidata dal rabbino capo di Roma Israel Zolli (di cui tra poco parleremo) si recò da Pio XII per ringraziarlo dell’aiuto ricevuto dalla Chiesa Cattolica, come dalla sua stessa augusta persona, durante la tragedia della Shoah.
Nello stesso mese si tenne nella sinagoga di Roma una solenne celebrazione (radiotrasmessa in Italia e addirittura negli USA), in cui il Rabbino capo Zolli espresse ufficialmente i sentimenti di riconoscenza degli Ebrei di tutto il mondo per l’aiuto ricevuto dal Pontefice Pio XII , come pure dal Presidente USA Roosevelt.
Poco dopo, il rabbino Zolli tornò in udienza dal Papa, presente il card. Dezza, per rinnovare il proprio personale sentimento di gratitudine, come di quello dell’intera comunità ebraica di Roma, per quanto il Pontefice aveva fatto per loro, anche aprendo eccezionalmente le porte dei conventi e dei monasteri e per l’aiuto ricevuto anche da parte di molte famiglie cattoliche di Roma
Verso la fine della guerra il rabbino Zolli si convertì al cristianesimo (Chiesa Cattolica) e ricevendo il Battesimo a Roma il 13.02.1945 prese il nome di “Eugenio”, espressamente per riconoscenza nei confronti del Papa Pio XII (Eugenio Pacelli), per tutto ciò che il Pontefice fece in favore degli Ebrei (disse: “l’ebraismo mondiale ha un debito di grande gratitudine verso Pio XII”).
Il 7.09.1945, Giuseppe Nathan, Commissario dell’Unione delle Comunità Israelitiche italiane, ha dichiarato: “Per primo rivolgiamo un riverente omaggio di riconoscenza al Sommo Pontefice (Pio XII) e ai religiosi e alle religiose che, attuando le direttive del Santo Padre, non hanno veduto nei perseguitati che dei fratelli, e con slancio e abnegazione hanno prestato la loro opera intelligente e fattiva per soccorrerci, non curanti dei gravissimi pericoli ai quali si esponevano” (L’Osservatore Romano, 8.09.1945, p. 2).
Il 29.11.1945, Pio XII ricevette circa 80 delegati di profughi ebrei, provenienti dai campi di concentramento in Germania, i quali gli manifestarono “il sommo onore di poter ringraziare personalmente il Santo Padre per la sua generosità dimostrata verso di loro, perseguitati durante il periodo del nazifascismo” (L’Osservatore Romano, 30.11.1945, p. 1).
Espressero subito la propria gratitudine al Pontefice anche diversi Rabbini di alto rango e dirigenti di importanti associazioni ebraiche della diaspora.
Leo Kubowitzki, Segretario generale del Congresso Mondiale ebraico, già il 21.09.1945 si recò in udienza da Pio XII, per presentare “al Santo Padre, a nome dell’Unione delle Comunità Israelitiche, i più sentititi ringraziamenti per l’opera svolta dalla Chiesa Cattolica a favore della popolazione ebraica in tutta l’Europa durante la guerra”.
Il Rabbino Maurice Perlzweig, direttore del World Jewish Congress, affermò: “I ripetuti interventi del Santo Padre in favore delle comunità ebraiche in Europa evocano un profondo sentimento di apprezzamento e gratitudine da parte degli ebrei di tutto il mondo”.
Tra i riconoscimenti istituzionali dell’opera compiuta a favore degli Ebrei dal papa Pio XII, dalla Chiesa, dai numerosi enti ecclesiastici come da parte di singoli Cattolici, ci fu in seguito persino quello dello stesso premier israeliano Signora Golda Meir (Primo Ministro israeliano dal 1969 al 1974). Tale Primo Ministro israeliano, in riconoscenza per quanto il Pontefice fece in favore degli Ebrei, nominò ufficialmente Pio XII “Uomo di valore universale”, “Uomo della carità per gli Ebrei” ed “Eroe per Israele”.
Nell’immediato dopoguerra, Nahum Goldmann, Presidente del Congresso Mondiale Ebraico, scrisse: “Con particolare gratitudine ricordiamo tutto ciò che egli [Pio XII] ha fatto per gli ebrei perseguitati durante uno dei periodi più bui della loro storia”. E a dimostrazione che non si trattava soltanto di parole di circostanza, il medesimo Congresso donò alla Santa Sede $ 20.000 dollari per le opere di carità (una belle somma per l’epoca).
In segno di riconoscenza per quanto il Pontefice Pio XII aveva compiuto per salvare gli Ebrei di Roma dalla deportazione e dallo sterminio, fino ad ospitarne personalmente a decine in Vaticano, nelle Basiliche papali e persino nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, oltre ad aver promosso e incoraggiato la loro accoglienza in tutte le struttura cattoliche dell’Urbe, alcuni facoltosi Ebrei di Roma pensarono di restaurare a loro speso proprio l’appartamento pontificio di Castel Gandolfo, dove gli Ebrei erano stati ospitati per non cadere nei rastrellamenti tedeschi.
Pure in occasione della morte del Pontefice (9.10.1958) e delle sue Esequie, furono molti, anche tra i più importanti e noti personaggi del mondo ebraico, ad esprimere pubblicamente la propria gratitudine nei confronti di Pio XII per quanto fu fatto dal Pontefice in loro aiuto. Tra questi lo stesso Capo di Stato di Israele Ben Zevi, oltre alla già citata Signora Golda Meir (Ministro degli Esteri di Israele, poi diventata Primo Ministro), a Moshe Sharett (già Ministro degli esteri di Israele dal 1948 al 1955 e Primo Ministro dal 1953 al 1955). Espresse la propria gratitudine al Pontefice anche il Rabbino Capo dello Stato di Israele Isaak Herzog, morto nel 1959 [nonno dell’attuale (2025) omonimo Presidente di Israele].
L’allora Ministro degli Esteri di Israele Golda Meir, in occasione della morte di Pio XII, inviò alla Santa Sede un messaggio di cordoglio nel quale scrisse: “Durante il decennio del terrore nazista, il nostro popolo ha subito un martirio terribile. La voce del Papa si è alzata per condannare i persecutori e per invocare pietà per le vittime”. Ella definì Pio XII “un grande servitore della pace”.
Espresse la propria pubblica gratitudine anche il grande scienziato, di origini ebraiche, Albert Einstein. Fuggito dalla Germania negli USA, scrisse sul Time Magazine del 23.12.1940: “Soltanto la Chiesa si oppose pienamente alla campagna di Hitler mirante a sopprimere la verità. Non avevo mai avuto un interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento per essa un grande amore ed ammirazione, perché soltanto la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di difendere la libertà intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che prima avevo disprezzato ora lodo incondizionatamente”.
In occasione della morte del Pontefice Pio XII espressero la loro stima e il loro dolore pure il Zionist Record, il Jewish Chronicle, il Canadian Jewish Chronicle, il Jewish Post, l’American Hebrew, insieme ai Rabbini di Londra, Roma, Gerusalemme, Francia, Egitto, Argentina e alla quasi totalità delle associazione ebraiche.
Inoltre, molti ecclesiastici di Roma, per quanto avevano compiuto a favore degli Ebrei in quel doloroso frangente, ebbero riconoscimenti ufficiali, come ad esempio il titolo di “Giusto tra le Nazioni”. Abbiamo in tal senso già citato il caso del sacerdote don Fagiolo (poi diventato cardinale nel 1994) e di mons. Bertoglio, Rettore del Pontificio Seminario Lombardo dal 1933 al 1961.
Anche in tempi più recenti i più importanti storici ed esperti della storia dell’Olocausto hanno espresso la loro imperitura gratitudine a Pio XII per quanto compiuto in favore degli Ebrei; tra questi l’inglese Martin Gilbert (uno dei più grandi storici inglesi e studiosi della storia degli Ebrei e dell’Olocausto) e l’americano Richard David Breitman.
Dopo il calunnioso libro di Cornwell su Pio XII (v. sotto), il Rabbino David Dalin, in un lungo articolo scritto per la prestigiosa rivista USA The Weekly Standard, disse che “Nessun altro Papa è stato così magnanimo con gli ebrei come Pio XII. Contrariamente a quanto scritto da John Cornwell, secondo cui Pio XII fu il papa di Hitler, io credo che Papa Pacelli fu il più grande sostenitore degli Ebrei. Un’intera generazione dei sopravvissuti all’Olocausto ha testimoniato che Pio XII fu autenticamente e profondamente un uomo giusto”.
David Dalin fu una personalità di spicco del mondo ebraico statunitense. Rabbino a New York, venne spesso invitato a tenere conferenze sui rapporti ebraico-cristiani nelle Università di Hartford Trinity College, George Washington e Queens College di New York.
Tra gli storici ebrei specialisti dello studio dell’Olocausto, che all’epoca viveva proprio a Roma, abbiamo già menzionato Michael Tagliacozzo, in quanto fu personalmente salvato da un sacerdote romano (don Fagiolo) dal “rastrellamento” dei i nazisti, trovando rifugio addirittura nel Pontificio Seminario Romano. Nel luglio del 1944, in una Roma appena liberata, si recò dal Papa per ringraziarlo personalmente dell’aiuto ricevuto dalla Chiesa. Andò poi a vivere in Israele, dove visse a lungo, fino alla morte, avvenuta il 15.04.2011.
Quando cominciarono a circolare, anche in ambienti israeliani, i pregiudizi anticattolici sui presunti “silenzi” di Pio XII e persino sull’aiuto che il Pontefice avrebbe poi dato ad alcuni nazisti per espatriare e sottrarsi così alla giustizia, prese netta e pubblica difesa di Pio XII.
Il 28.06.1983 scrisse sul quotidiano israeliano “Haaretz” una lettera al direttore con la quale reagiva vigorosamente all’accusa mossa al Vaticano che avrebbe aiutato dei nazisti a fuggire dall’Europa. Tagliacozzo disse: «Riguardo al controverso giudizio sul “silenzio” di Pio XII e dei circoli vaticani nei confronti della persecuzione, è doveroso ricordare il prezioso aiuto della Santa Sede di cui beneficiarono gli ebrei di Roma. Su raccomandazione dello stesso Pontefice, il clero di ogni grado fece del suo meglio per salvare gli ebrei tanto che un numero grande di perseguitati fu accolto nei conventi, che aprirono le loro porte agli ebrei (che scappavano dalla persecuzione nazista), offrendo con larghezza rifugio e assistenza. Nel corso di tale opera di salvataggio, ad esempio, tutti i bambini dell’orfanotrofio israelitico trovarono rifugio in un sicuro convento. Dentro le stesse mura del Vaticano “sotto le finestre del Pontefice” gli ebrei trovarono salvezza dai furori della Gestapo. Furono circa 5.000 gli ebrei che si rifugiarono nelle istituzioni della Chiesa, dei quali 4.238 nei conventi, monasteri ed altri istituti religiosi mentre 477 furono accolti nel Vaticano stesso e nelle zone extraterritoriali dipendenti dalla Santa Sede. Per questo i nazisti e i loro satelliti accusarono il Vaticano per l’aiuto dato agli ebrei, ai comunisti e ad altri perseguitati. L’organo delle SS in lingua italiana “L’avanguardia” del 12.08.1944 non risparmiò pesanti offese al Vaticano e al clero, chiedendosi il perché di tale “interesse della Chiesa per ebrei e comunisti, nemici dell’umanità”». Tale lettera di Tagliacozzo gli procurò subito reazioni infastidite.
In una sua lettera del 18.04.1985, quando, certamente non senza il suo interessamento, il card. Pietro Palazzini e mons. Vincenzo Fagiolo ricevettero l’onorificenza israeliana di “Giusti delle Nazioni” «per l’opera di soccorso da loro svolta a favore degli ebrei perseguitati dai nazifascisti durante l’occupazione tedesca a Roma» (cfr. “L’Osservatore Romano“, 12.02.1985), scrisse: «Debito di grande riconoscenza debbono gli Israeliti di Roma alla memoria di Papa Pacelli, perché – come ripetutamente affermato – più vicini alla Sua Augusta Persona, furono oggetto di speciali sollecitudini e provvidenze». Nel 1998, in un dossier di testimonianze a difesa di Pio XII, scrisse: «La difesa della calunniata memoria dello scomparso Santo Padre costituisce ormai per me uno dei principali scopi che occupano l’ormai breve periodo di vita terrena che il Signore vorrà concedermi. I denigratori, coscienti o incoscienti, della memoria di Pio XII, non sono pochi. Chi per ignoranza di cose e fatti; chi per innati pregiudizi e chi – e questi sono i meno scusabili – per ragioni di strumentalizzazione politica. Per tutti invochiamo il perdono di Dio».
Luciano Tas, già direttore di Shalom e noto rappresentante della comunità ebraica romana, ha scritto: “Se la percentuale di ebrei deportati non è in Italia così alta come in altri Paesi, ciò è senza dubbio dovuto all’aiuto attivo portato loro dalla popolazione italiana e dalle singole istituzioni cattoliche. Centinaia di conventi, dopo l’ordine impartito in tal senso dal Vaticano (Pio XII) accolsero gli ebrei, migliaia di preti li aiutarono, altri prelati organizzarono una rete clandestina per la distribuzione di documenti falsi”.
In un attestato delle Comunità israelitiche italiane che si trova al Museo della Liberazione in Via Tasso a Roma è scritto: “Il Congresso dei delegati delle comunità israelitiche italiane, tenutosi a Roma per la prima volta dopo la liberazione, sente imperioso il dovere di rivolgere reverente omaggio alla Santità Vostra (Pio XII) ed esprimere il più profondo senso di gratitudine che anima gli ebrei tutti, per le prove di umana fratellanza loro fornite dalla Chiesa durante gli anni delle persecuzioni e quando la loro vita fu posta in pericolo dalla barbarie nazifascista”.
L’opera di assistenza di Papa Pacelli era così nota che nel 1955, quando l’Italia celebrò il decimo anniversario della Liberazione, l’Unione delle Comunità Israelitiche proclamò il 17 aprile “Giorno della gratitudine” per l’assistenza fornita dal Papa durante il periodo della guerra.
Il Rabbino capo di Roma Israel Zolli
Proprio nel periodo della seconda Guerra Mondiale, cioè dal 1940 al 1945, alla guida della comunità ebraica di Roma, che è la più antica e una delle più grandi della storia (nella diaspora nata dal 70 d.C. e fino alla costituzione dello Stato di Israele nel 1948) ci fu il Rabbino Israel Anton Zoller (1881-1956), all’anagrafe italiana Israel Italo Zolli.
Nato a Brodj, in Ukraina, il 17.09.1881, primo di 5 fratelli, intraprese gli studi filosofici, prima a Vienna, poi a Firenze, dove si laureò, studiando al contempo nel Collegio Rabbinico. Per ramo materno apparteneva a una famiglia rabbinica di oltre quattro secoli. Così nel 1920 fu già nominato rabbino capo a Trieste e nel 1940 divenne appunto Rabbino capo a Roma.
Uomo di fine intelletto e di grande cultura, fu pure un valido esegeta dei testi biblici (ovviamente dell’Antico Testamento). E fu proprio come studioso della Bibbia che cominciò ad accorgersi che tutte le profezie, in particolare quelle di Isaia riguardanti il sofferente “Servo di Jahvè” (cap. 52-53), trovavano effettivamente piena attuazione in Gesù di Nazareth e persino nella Sua Passione. Si fece dunque strada nella sua mente e nella sua coscienza che Gesù fosse dunque davvero il Cristo, cioè il Messia atteso (e che gli Ebrei attendono ancora). Comprese infine che Gesù non fosse solo il Messia atteso ma appunto l’Incarnazione stessa del Verbo, cioè Dio stesso fatto uomo. Era appunto la fede cristiana. Comprese pure che, facendosi cristiano cattolico, non doveva rinnegare la fede ebraica nella Rivelazione divina (appunto l’Antico Testamento), ma anzi proprio nella fede cristiana essa avrebbe trovato pieno compimento! Pur nel supremo incarico che ricopriva nella comunità ebraica addirittura di Roma, nel suo animo era dunque maturata la chiamata a diventare cristiano. Si dice che, a conferma di questa sua decisione, intervenne nella sua vita pure un avvenimento molto particolare. Proprio nel corso di una liturgia tenuta nella Sinagoga di Roma nel settembre del 1944 (quindi dopo la liberazione di Roma dai nazifascisti) ebbe una sorta di visione: Cristo stesso, coperto di un mantello bianco che irradiava un’aura di pace inesprimibile, gli si presentò e gli disse “Tu sei qui per l’ultima volta”!
Dirà nella sua autobiografia Before the dawn (Prima dell’alba), mai pubblicata in Italia: “Un uomo non è convertito nel momento in cui sceglie, bensì nell’ora in cui riceve la chiamata di Dio. E quando si sente tale chiamata, chi la riceve ha solo una cosa da fare: obbedire”!
Abbandonò l’altissimo incarico e la stessa religione ebraica e divenne cristiano; ma sempre disse appunto che non si trattava di un abbandono o di un tradimento ma di un compimento della sua precedente fede ebraica (così sono infatti le parole stesse di Gesù, cfr. Mt 5,17). Si preparò e ricevette il Battesimo (cristiano cattolico) il 13.02.1945, alla presenza di poche persone. Con lui vollero ricevere il Battesimo anche la moglie Emma Majonica e la figlia Miriam.
Come nome di Battesimo volle assumere quello di Eugenio Maria; e ciò proprio per riconoscenza nei confronti di Pio XII (Eugenio Pacelli), per tutto quello che il Pontefice aveva fatto per gli Ebrei durante la guerra e soprattutto per gli stessi Ebrei di Roma, al fine di salvarli dalle deportazioni naziste iniziate col rastrellamento del 16.10.1943.
Si noti che tale conversione e Battesimo non aveva nulla a che fare col tentativo di salvarsi dai nazisti (perché è stato detto anche questo), in quanto Roma era già stata liberata dagli Alleati il 5.06.1944 e il Battesimo fu appunto amministrato il 13.02.1945.
Quando si sparse la notizia della conversione, gli Ebrei fecero di tutto per dissuaderlo. Addirittura dagli Ebrei americani, al fine di farlo desistere da tale proposito, gli offrirono in cambio un’ingente somma di denaro, che egli rifiutò.
Se per gli Ebrei questa conversione costituiva un tradimento, Zolli la considerò appunto invece come la piena comprensione della Rivelazione divina, che trova appunto in Cristo il compimento e la pienezza.
Ricevuto il Battesimo, ci fu da parte ebraica contro di lui e la sua famiglia una violenta reazione. Fu coperto di insulti e il suo nome fu cancellato dall’elenco dei Rabbini di Roma. Tuttora non se ne vuol sentir parlare. Persino le sue alte competenze bibliche furono totalmente censurate.
Zolli e la sua famiglia si ritrovarono addirittura in ristrettezze economiche. Trovarono alloggio presso i Gesuiti di Roma, che gli assegnarono poi una cattedra (lingua e letteratura ebraica) presso l’Istituto Biblico associato alla Pontificia Università Gregoriana.
Non solo nella comunità ebraica ma nella stessa opinione pubblica italiana si volle che su Israel Zolli, il grande rabbino capo di Roma durante la II Guerra Mondiale e che tanto fece e ottenne per proteggere gli Ebrei di Roma dalla persecuzione nazifascista e dalla deportazione, si stendesse un perenne e incomprensibile velo di silenzio e censura.
Non si volle mai pubblicare in Italia e in italiano la sua autobiografia Before the Dawn. Solo nel 2002 è stata pubblicata in italiano la sua storia, peraltro scritta da un’altra ebrea convertita, Judith Cabaud (Il rabbino che si arrese a Cristo, Ed. S. Paolo, 2002).
Da parte ebraica è stato persino negato che quella di Zolli fosse una vera conversione (c’è stata pure una recente pubblicazione intitolata provocatoriamente Il rabbino che non si arrese a Cristo).
Fino alla morte, avvenuta nel 1956, pur coperto da un oblio imposto dalla comunità israelitica mondiale, Zolli, oltre all’insegnamento presso l’Istituto Biblico, tenne corsi e conferenze anche all’estero. Scrisse anche diversi articoli e libri (ad es. Guida all’Antico e al Nuovo Testamento, Petrus e altri). Ovunque difese l’opera del Papa Pio XII e ricordava quanto il Pontefice aveva fatto per gli Ebrei. Svolse pure un’instancabile opera di apostolato, con particolare attenzione verso i suoi antichi correligionari.
A proposito di quanto il Rabbino Capo Israel Zolli fece per l’intera comunità ebraica di Roma e di quanto ricevettero dal Pontefice e da un numero enorme di Istituti religiosi, parrocchie e privati cittadini cattolici di Roma, ricordiamo ancora questi dati.
Dopo l’Armistizio dell’8.09.1943 Pio XII fu tra i pochi (e per questo fu addirittura definito “un visionario”) ad essere consapevole che la situazione, almeno fino all’arrivo delle Forze Alleate, non sarebbe affatto migliorata ma anzi precipitata in nuovi e più acuti orrori: i Tedeschi, sentendosi traditi dall’Italia, avrebbero infatti scatenato tutta la loro ferocia; e gli Ebrei ne sarebbero stati particolarmente colpiti. Il Pontefice convinse di ciò lo stesso rabbino capo di Roma Israel Zolli e organizzò ogni tipo di aiuto per salvare il maggior numero di Ebrei presenti in città, specie quando iniziò, col rastrellamento del 16.10.1943, la loro deportazione nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Quando il colonnello tedesco Herbert Kappler chiese agli Ebrei un riscatto di 50 chili d’oro per evitare la loro deportazione, il rabbino Zolli andò direttamente da Pio XII per chiederne l’aiuto. La comunità ebraica di Roma ne aveva a disposizione kg. 35, ma ne mancavano appunto 15. Il Papa fu disposto a dare tale aiuto! Non è però chiaro se tali kg. 15 d’oro siano poi stati recuperati tra i Cattolici di Roma o dagli stessi Ebrei. Di fatto, nonostante che tale riscatto fosse stato pagato interamente, la deportazione avvenne ugualmente.
Lo stesso Zolli dovette fuggire e nascondersi: fu ospitato clandestinamente, con immenso loro pericolo (la Gestapo lo cercò ovunque e mise addirittura una forte taglia su di lui, al fine di trovarlo), da amici, cioè presso una coppia di giovani sposi cristiani di condizione operaia (mentre la moglie e la figlia di Zolli trovarono rifugio in un convento di suore).
Abbiamo già sopra ricordato come, terminata l’occupazione tedesca e subito dopo la “liberazione” della città da parte delle Forze Alleate (5.06.1944), cioè nel luglio 1944, una delegazione ufficiale israelitica, guidata proprio dal rabbino capo di Roma Zolli, si recò da Pio XII per ringraziarlo dell’aiuto ricevuto in quel terribile frangente storico dalla Chiesa Cattolica, come dalla sua stessa augusta persona.
Nello stesso mese (luglio 1944) si tenne nella Sinagoga di Roma una solenne celebrazione (radiotrasmessa in Italia e addirittura negli USA), in cui il Rabbino capo Zolli espresse ufficialmente i sentimenti di riconoscenza degli Ebrei di tutto il mondo per l’aiuto ricevuto dal Pontefice Pio XII, come pure dal Presidente USA Roosevelt.
Pochi giorni dopo, il rabbino Zolli andò in udienza dal Papa, presente il card. Dezza, per rinnovare il proprio personale sentimento di gratitudine, come di quello dell’intera comunità ebraica di Roma, per quanto il Pontefice aveva fatto per loro, anche aprendo eccezionalmente le porte dei conventi e dei monasteri e per l’aiuto ricevuto anche da molte famiglie cattoliche di Roma [cfr. Vittorio Messori, La sfida della fede, S. Paolo, 1993 (p. 48) e Uomini, storia, fede, BUR 2001 (pp. 50-51)].
Note … stonate
Qualche infelice e inopportuna “interferenza” ebraica all’interno della Chiesa Cattolica
Nonostante questo sopra documentato, persiste e talora persino rispunta con particolare veemenza il “mito” anticattolico secondo cui proprio nella Chiesa Cattolica ci sarebbe da sempre un più o meno palese “antisemitismo”, fino a chi afferma che proprio il cristianesimo ne sarebbe la causa, oppure che la Chiesa avrebbe non solo discriminato le comunità ebraiche ma ne avrebbe fortemente condizionato o impedito la vita. Per smentire tale falsa “diceria” basterebbe pensare, avevamo osservato, che proprio nella città di Roma, sede del Papato e centro della Cattolicità mondiale (e fino al 1870 anche alle stesse dipendente politiche e istituzionali del Papa, essendo capitale dello Stato Pontificio) esiste la più antica comunità ebraica della “diaspora” (cioè dopo la distruzione della Palestina da parte dei Romani nel 70 d.C.) e una delle più grandi al mondo (escluso ovviamente nel moderno Stato di Israele); ne è riprova anche l’immensa Sinagoga di Roma, una delle più grandi del mondo, che si erge in pieno centro di Roma, sulla sponda sinistra del Tevere; una sinagoga tuttora attiva e sede del culto ebraico romano.
In realtà, a ben vedere, ci sono semmai delle tristi vicende, anche contemporanee, che dimostrano esattamente il contrario, cioè come proprio i responsabili della comunità ebraica internazionale abbiamo pesantemente interferito persino nella stessa vita interna della Chiesa Cattolica (oltre alla violenta persecuzione dei cristiani da parte ebraica nei primissimi secoli della vita della Chiesa, come sopra abbiamo ricordato).
Vediamo allora brevemente solo alcuni episodi; considerando che se fosse avvenuto il contrario, cioè un’interferenza della Chiesa Cattolica nella vita interna e persino nelle liturgie della comunità ebraica, sarebbe successo il finimondo!
Su una preghiera del Venerdì Santo
Secondo la bimillenaria liturgia della Chiesa, il Venerdì Santo, che precede la S. Pasqua e giorno (anche di digiuno) in cui si fa particolare memoria della morte in Croce di N.S. Gesù Cristo, non si celebra la S. Messa (Eucaristia), ma, oltre ad altre pratiche di pietà (come ad esempio la Via Crucis), è prevista una lunga, solenne e mesta Liturgia della Passione del Signore, in cui viene proclamata la Passione del Signore secondo il Vangelo di Giovanni e si compie una solenne Adorazione della Croce (c’è infine la possibilità di ricevere la S. Comunione con le particole consacrate il Giovedì Santo, giorno appunto dell’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio). In tale Liturgia della Passione è compresa anche una lunga e solenne “Preghiera universale”, che abbraccia numerose particolari “intenzioni”: per la Chiesa Cattolica, il Papa, i fedeli, i catecumeni, l’unità dei cristiani, gli Ebrei, i non credenti in Cristo, i non credenti in Dio, i governanti e per i sofferenti. Come si può notare (la successione descritta è quella liturgica ufficiale), nella preghiera per chi non riconosce Cristo come vero e unico Dio fatto uomo, la priorità è data significativamente proprio agli Ebrei, in quanto popolo dell’Antica Alleanza, cioè della Rivelazione di Dio nell’Antico Testamento. Ovviamente si prega per tutte queste categorie di persone, al fine di ottenere l’aiuto divino ma soprattutto, circa i non cristiani, per la loro conversione e adesione a Cristo. È allora significativo che, tra coloro che non credono in Cristo, la priorità sia appunto data agli Ebrei, sia per importanza, essendo appunto il “popolo di Dio” dell’Antica Alleanza, sia perché, secondo le stesse parole di S. Paolo (v. 2 Cor 3,16; Rm 11,23.25-36) la loro conversione è anche misteriosamente legata alla fine dei tempi. [Pare che nei secoli passati si usasse pure l’espressione “perfidi” Ebrei, sparita già nel Vetus Ordo in uso attuale; ma, contrariamente a quanto si potrebbe intendere oggi, tale espressione non era dispregiativa ma stava a significare “non-fedeli”. Sulla questione poi della condanna a morte di Gesù, peraltro mai revocata anche se non certo attribuibile all’intero popolo ebraico, come pure sui rinnovati rapporti giudeo-cristiani degli ultimi decenni, abbiamo già sopra compiuto alcune considerazioni. Ebbene, in tempi peraltro recenti, la comunità ebraica internazionale ha vivamente protestato per tale solenne e liturgica Preghiera della Chiesa (non possiamo neppure pregare per la loro conversione?!) e ne ha ottenuto persino un piccolo cambiamento! Pensiamo cosa sarebbe appunto successo se la Chiesa Cattolica avesse chiesto loro non diciamo di revocare la condanna a morte di Gesù (appunto mai effettuata e sui cui non c’è mai stato un segno di pentimento o di dissociazione dall’allora decisione del Sinedrio giudaico) ma di modificare una loro preghiera solenne e ufficiale da recitarsi in Sinagoga!
Sul monastero “carmelitano” di Auschwitz
Un caso poco conosciuto ma particolarmente doloroso è avvenuto abbastanza di recente, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, che tra l’altro come polacco l’ha fatto particolarmente soffrire.
Esso riguarda nientemeno che l’attuale Museo del campo di sterminio di Auschwitz (Oświęcim in polacco, peraltro un centro non lontano da Wadowice, paese natale di Karol Wojtyla).
Com’è tristemente noto, Hitler fece costruire in quel paese nel sud della Polonia già occupata dai nazisti uno dei più feroci ed estesi lager, attivo dal 1940 al 1945, addirittura comprendenti dei “campi di concentramento” e di “sterminio” (appunto Auschwitz e l’adiacente Birkenau) e il non lontano “campo di lavoro” di Monowitz, oltre a diversi sottocampi. In tali campi vi furono internate milioni di persone, condannate ad atroci sofferenze e torture, e vi morirono oltre un milione di persone!
Lo storico polacco F. Piper smentisce il dato che nel campo di sterminio di Auschwitz siano morti 4 milioni di prigionieri, come si sente talvolta asserire; in realtà i morti sarebbero stati 1,5 milioni (dato confermato pure dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano), in maggioranza ebrei; ma tale numero comprende pure 150.000 polacchi, 23.000 zingari e 15.000 russi (cfr. Vittorio Messori, “Le cose della vita“, S. Paolo, 1995, pp. 339/344).
Mentre ricordiamo di nuovo che in tutta la Polonia occupata da Hitler i Cattolici polacchi uccisi dai nazisti furono addirittura 3 milioni, sottolineiamo certo che la maggior parte degli internati uccisi ad Auschwitz siano stati Ebrei, ma vi furono rinchiusi e vi trovarono una morte atroce appunto anche decine di migliaia di Cattolici e altre categorie di persone che il nazismo voleva eliminare dalla società (anche zingari, omosessuali, ecc.), al fine di creare una razza pura ariana e il “superuomo” del futuro [i disabili potevano essere eliminati anche altrove, possibilmente ancor prima di nascere; Hitler promosse infatti l’aborto su vasta scala, anche proprio a scopo eugenetico, eliminando cioè i difettosi … crimine che peraltro oggi produce oltre 40 milioni annui di morti innocenti (vedi) ed è chiamato perfino un “diritto”].
Se è giusto quindi dare particolare rilievo, come infatti continuamente si fa, alla memoria degli Ebrei, uccisi anche in quel campo di sterminio, non è invece corretto dimenticare o censurare anche le altre numerosissime persone che in quel luogo subirono atroci sofferenze e vi trovarono la morte. Una parte rilevante di queste (senza dubbio oltre 100.000 persone) erano Cattolici; ma è alquanto significativo che tra essi ci siano stati anche due Santi di eccezionale importanza: Teresa Benedetta della Croce [l’importante filosofa Edith Stein, di origine ebraica, poi convertitasi al cattolicesimo e divenuta monaca carmelitana; dall’Olanda fu deportata ad Auschwitz, dove dopo atroci tormenti fu uccisa il 9.08.1942; fu proclamata Santa da Giovanni Paolo II l’11.10.1998 e poi addirittura Compatrona d’Europa (si veda su di lei il famoso film del 1995 “La Settima stanza”)] e Massimiliano Maria Kolbe [il padre francescano che fondò in Polonia e nel mondo la “Milizia dell’Immacolata” e le “Città dell’Immacolata” (in Polonia e persino in Giappone). Ordinato sacerdote a Roma, dove studiò e dove il 29.04.1918 celebrò la sua prima S. Messa nella Chiesa di S. Andrea delle Fratte (dove una lapide lo ricorda, accanto all’altare dove il 20.01.1842 la Madonna apparve proprio ad un ebreo ateo, il banchiere francese Alfonso Ratisbonne, convertendolo immediatamente alla fede cattolica); molti forse sanno che padre Kolbe, catturato dai nazisti e internato nel campo di sterminio di Auschwitz, volle persino volontariamente sostituirsi ad un padre di famiglia che doveva essere ucciso come rappresaglia per una fuga realizzatasi nel campo, morendo al suo posto nel bunker della fame, dopo giorni di agonia, il 14.08.1941. È stato canonizzato da Giovanni Paolo II col titolo di martire il 10.10.1982].
Dunque in quell’infernale campo di odio (per gli uomini ma prima ancora per Dio) e di morte, potremmo dire di male assoluto, brillarono pure due luminosissime stelle d’amore, di fede cattolica e di santità!
Molti, nel dopoguerra, si chiesero “dove fosse Dio ad Auschwitz” – lo ricordò nella sua visita anche Benedetto XVI, peraltro proprio un Papa tedesco; ma fu ovviamente visitato anche da Giovanni Paolo II, nato nel 1920 appunto non lontano da quel luogo e dove corse il rischio di esservi anch’egli internato! – nel senso di chiedersi come Dio avesse potuto permettere un tale trionfo del male. In realtà tale orrore di odio e di morte è stato possibile proprio a causa delle ideologie anti-cristiche sorte nella Modernità (vedi) e attive più che mai proprio nel sec. XX, come abbiamo ricordato all’inizio.
Nel dopoguerra, proprio nel territorio di quell’atroce tempio del male, oggi molti visitato anche dai turisti, si volle fosse presente proprio un monastero di clausura “carmelitano”, sia come luogo di preghiera e di “riparazione” per l’enorme peccato e bestemmia da lì gridato e salito al Cielo durante la Seconda Guerra Mondiale, sia proprio per la terribile e gloriosa morte lì subita dalla grande santa carmelitana Teresa Benedetta della Croce.
Ebbene, negli anni ’80, gli Ebrei fecero di tutto perché si chiudesse tale monastero carmelitano. Si mossero per questo anche i più alti livelli del mondo ebraico, persino internazionale.
Che fastidio poteva dare un tale monastero di clausura? Negava forse lo sterminio degli Ebrei? E in quel campo non erano appunto morti anche migliaia e migliaia di cattolici, di sacerdoti e religiosi e persino due santi (compreso appunto un’importante Santa carmelitana)? Ma gli Ebrei non vollero sentire ragioni; così, nonostante l’intervento stesso di Giovanni Paolo II (appunto il Papa polacco, nato proprio nelle vicinanze di Auschwitz, che patì da giovane l’occupazione nazista della Polonia e rischiò egli stesso di esservi internato e morirvi, poi divenuto arcivescovo e cardinale della vicina Cracovia e quindi Papa), che fece di tutto per mantenere quella significativa presenza carmelitana ad Auschwitz, le monache furono costrette ad abbondare quel monastero nel 1993, che venne chiuso!
Sulla revoca della scomunica a 4 vescovi
Un altro grave episodio è accaduto poi il 21.01.2009, cioè durante il Pontificato di Benedetto XVI e proprio in riferimento ad una importante sua scelta pastorale. Fu uno dei numerosi e terribili attacchi contro Benedetto XVI e il suo Pontificato, che lo indussero poi a compiere il dolorosissimo e per certi versi inedito passo della Rinuncia (vedi). Per promuovere l’avvicinamento e il dialogo (o il dialogo deve essere solo verso alcune direzioni?) con la peraltro sempre feconda realtà cosiddetta “tradizionalista” fondata da S. E. mons. M. Lefebvre (e che ha costituito l’ultimo scisma vissuto dalla Chiesa, nel 1988; vedi in questo documento), appunto il 21.01.2009 Benedetto XVI revocò la scomunica (è nel pieno liberissimo e sovrano potere del Pontefice farlo, tanto più che si tratta di questione spirituale e canonica all’interno stesso della vita della Chiesa), pur persistendo lo scisma, nei confronti dei 4 vescovi della Fraternità S. Pio X ordinati da mons. M. Lefebvre senza mandato pontificio nel 1988 (scelta che appunto provocò ufficialmente lo scisma e la scomunica).
Come fu possibile che tale scelta pastorale del Papa scatenasse immediatamente (nel giro di poche ore!) una furibonda reazione non solo del mondo ebraico (fino a rasentare lo scontro diplomatico tra Vaticano e Israele), ma persino all’interno stessa della Chiesa e addirittura da parte di Vescovi, con un imponente rilevo mediatico internazionale?
Il “caso” scoppiò appunto nell’arco di poche ore e con un’immediata eco a livello mondiale, perché si fece osservare che tra quei 4 vescovi (ordinati da mons. Lefebvre nel 1988 e a cui Benedetto revocava appunto la scomunica) ce ne fosse uno (mons. Williamson) che, peraltro in una precedente dichiarazione ad una televisione privata svedese (come fu trovata in poche ore tale registrazione, se non fosse stato già tutto orchestrato in precedenza?), avrebbe sollevato dei dubbi sull’entità numerica della Shoah e quindi caduto immediatamente sotto l’accusa di “negazionismo”!
Evidentemente si trattava di un pretestuoso attacco contro Benedetto XVI, da parte ebraica e persino israeliana, per opporsi alla Chiesa Cattolica e nello specifico contro il suo Pontificato (attacco che coinvolgeva certo anche la regia dei “poteri forti” americani, poi venuti sufficientemente alla ribalta) e da parte ecclesiale (ci furono forti prese di posizione contrarie anche da parte di importanti realtà cattoliche e persino di numerosi Vescovi) come occasione propizia per attaccare tutto il mondo cosiddetto “tradizionalista” e le stesse scelte pastorali e dottrinali di Benedetto XVI.
Tale clamore internazionale e soprattutto tale opposizione dall’interno stesso della Chiesa ferì profondamente il cuore e la vita del Pontefice, a tal punto che dopo qualche giorno scrisse con immenso dolore a tutti i Vescovi del mondo un’accorata Lettera (vedi) per spiegare l’accaduto e quali fossero le sue reali motivazioni.
Insomma, si cercò in tutti i modi e con grande clamore mediatico internazionale (rasentando appunto persino l’incidente diplomatico tra Santa Sede e Israele) di bollare tale scelta pastorale di Benedetto XVI come una sorta di più o meno celato appoggio di posizioni antisemite e negazioniste!
Anche in questo caso pensiamo invece cosa sarebbe successo se, al contrario, un Pontefice o la stessa Chiesa Cattolica avesse ad esempio criticata o denunciata la nomina ebraica di un Rabbino, per aver sollevato dubbi sullo sterminio nazista ad esempio anche “solo” dei 3 milioni di Cattolici polacchi?
Sul Processo di Beatificazione di Pio XII
Un’ultima grave intromissione e interferenza ebraica nella stessa vita interna della Chiesa riguarda poi lo stesso Processo di Beatificazione di Pio XII, processo cui abbiamo già sopra dedicato una Nota particolare, sufficientemente documentata (si vedano gli interventi di p. P. Gumpel, a lungo Relatore nella Causa stessa) .
Anche in questo caso si può ben comprendere che tale azione e procedura riguardi un atto di fede e addirittura canonico interno alla vita stessa della Chiesa: un Beato e poi un Santo, dopo un attento esame (Processo), che può durare anche secoli, da parte degli organi competenti prima di una Diocesi e poi della stessa Curia Romana, fino a implicare nella sua promulgazione finale (canonizzazione) nientemeno che il giudizio infallibile di un Pontefice, viene proclamato tale (Beato prima e poi Santo) in quanto proposto come maestro e modello per la vita cristiana e da quel momento pregato per ottenerne l’intercessione in quanto sicuramente in paradiso. Dovrebbe dunque essere evidente che, pur nell’ascolto di chiunque, gli interventi o addirittura le censure da parte di forze non cattoliche, atee o di altre Religioni o Confessioni, siano alquanto indebite e fuori posto!
La Causa di Beatificazione di Eugenio Pacelli (Papa Pio XII) fu fortemente voluta e aperta già dal Papa Paolo VI; a conclusione della prima fase della Causa di Beatificazione (1990) egli gode già del titolo di “Servo di Dio” e dal 2009, quando la Congregazione per i Santi ne ha riconosciuto le “virtù eroiche”, è già stato proclamato “Venerabile” da Benedetto XVI.
Però, con tutta probabilità proprio a causa di alcuni veti venuti in seguito da certa propaganda anticlericale, dapprima laicista e poi purtroppo anche di origine ebraica, tale processo non ha ancora permesso di proclamare Pio XII Beato e poi Santo (come fu fatto giustamente per Pio X e ultimamente, persino forse con una certa qual fretta e disinvoltura, è stato fatto per tutti i Papi da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II).
Abbiamo già ricordato (vedi sopra la Nota apposita) come invece in tale Processo siano intervenuti non pochi veti da parte ebraica, anche a livello istituzionale. Abbiamo ad esempio ricordato quello dello stesso Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, che, parlando ovviamente a nome del governo israeliano, chiese di attendere almeno cinquant’anni prima di beatificare Pio XII. Sulla stessa linea si pronunciò anche Elie Diesel, scrittore ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, che in un’intervista sulla beatificazione di Pio XII ha dichiarato: “Sarebbe un gesto gravissimo premiare un uomo il cui silenzio durante l’Olocausto ha di fatto avallato lo sterminio di milioni di Ebrei”.
Che ciò sia un “mito” falso e infamante abbiamo dato sufficiente testimonianza anche in questo dossier. Comunque, si tratta di un grave atto di interferenza per un atto di esclusiva competenza ecclesiale e che riguarda appunto la vita di fede cristiana. Un processo di Beatificazione non è un riconoscimento ONU. Peraltro, abbiamo ampiamente osservato come anche da parte di autorevoli esponenti del mondo ebraico non siano mancati, specie nei primi anni dopo la guerra ma anche in occasione della morte stessa di Pio XII, dei fortissimi segni di stima e di gratitudine nei confronti di tale Pontefice e della sua opera. E non sono certo tendenziose e menzognere accuse emerse poi da certe pubblicazioni, opere teatrali o film, come pure il potere mediatico, a determinare un giudizio obiettivo o addirittura da porre ostacoli ad un processo di beatificazione.
Comunque si ricordi che (come emerse dalle meticolose ricerche di p. Gumpel) già in un incontro tra lo stesso Pio XII ed un gruppo di circa 800 Rabbini ebrei ortodossi nordamericani, il Pontefice ricevette da loro pure una Dichiarazione scritta in cui si rendeva noto che gli Ebrei ortodossi non erano affatto d’accordo con quei fratelli nella fede (Ebrei) che osavano intromettersi in questioni interne della vita della Chiesa.
Ancora sul mito anticattolico e la “leggenda nera” su Pio XII
Abbiamo dunque osservato come quello dei cosiddetti “silenzi” di Pio XII sulla tragedia della Shoah, di un “antisemitismo” che troverebbe le proprie radici all’interno del cristianesimo e della Chiesa stessa, se non persino di una connivenza tra Pio XII e il nazismo (fino al punto che il Vaticano avrebbe addirittura aiutato dei nazisti a fuggire, dopo l’arrivo degli Alleati e la fine della guerra), siano solenni menzogne, un falso “mito” o “leggenda nera” creati come al solito dalla propaganda anticlericale e anticattolica. Tra l’altro anche questa “leggenda nera” contro la Chiesa Cattolica non è emersa negli stessi tempi storici cui si riferisce e in concomitanza con nuove inoppugnabili scoperte di una seria e obiettiva ricerca storica, ma in tempi postumi (in questo caso dagli anni ’60 del sec. XX) e periodicamente ritornanti senza tener assolutamente conto delle autentiche testimonianze e scoperte storiografiche in merito.
L’opera teatrale “Il Vicario”
L’opera che accese per prima la “leggenda nera” contro la figura e il pontificato di Pio XII (Pacelli) fu “Il Vicario”, scritta dal tedesco (della Repubblica Federale Tedesca) Rolf Hochhuth nel 1963. Si tratta di un’opera teatrale.
Essa fu subito rappresentata a Berlino, appunto nel 1963; ma fu immediatamente riproposta in tutte le capitali dell’Europa occidentale e poi negli USA, suscitando scalpore e vivaci polemiche.
Tale opera è di fatto un calunnia, falsa e tendenziosa, che ruota tutta attorno ai “silenzi” di Pio XII riguardo alla tragedia del nazismo e alla feroce persecuzione contro gli Ebrei. Una calunnia che da lì in poi non cessò più di circolare, di venire periodicamente riproposta e persino ingigantirsi, ma che contrasta con la realtà dei fatti, come abbiamo anche qui un poco documentato. Tale polemica e menzogna interpreta e vuol far interpretare la necessaria “prudenza” del Pontefice, al fine di evitare drammi e dolori ancor più gravi per gli interessati (gli Ebrei, ma pure per gli stessi Cattolici), visto che si erano già sperimentate le folli ritorsioni di Hitler contro le denunce dei Vescovi e del Papa, con il disinteresse per la strage in corso se non persino come connivenza con il nazifascismo (vedi). A dire il vero l’autore non nega l’opera di soccorso posta in atto da Pio XII a favore degli Ebrei, ma accusa senza mezzi termini il Pontefice di non avere condannato il genocidio ebraico.
In realtà, quello che da allora viene periodicamente e calunniosamente riproposto con opere come questa o pubblicazioni analoghe, non è mosso soltanto dalla volontà di far conoscere e non far dimenticare il dramma dell’Olocausto (Shoah) del popolo ebraico sotto il nazismo e la guerra, ma da una vera e propria volontà denigratoria a danno della Chiesa Cattolica, senza alcuna attenzione ai dati storici oggettivi, di cui non si tiene minimamente conto, anche a fronte delle sempre più aggiornate e obiettive ricerche storiografiche progressivamente emergenti dagli archivi.
Per rispondere a questo attacco contro la figura dei Pio XII, lo stesso Paolo VI, che aveva per il suo Predecessore un’immensa stima, subito nel 1964, oltre a protestare vivamente contro tale opera ingiuriosa, creò pure una autorevole Commissione di esperti per ricostruire gli autentici dati storici e la reale azione vaticana in merito durante il secondo conflitto mondiale. Come abbiamo già ricordato, tale Commissione, composta da 4 studiosi gesuiti (lo statunitense Robert A. Graham, il tedesco Burckhart Schneider, l’italiano Angelo Martini e il francese Pierre Blet), analizzò in merito oltre 5.000 documenti degli Archivi vaticani; i loro studi, di migliaia di pagine ricche di inoppugnabili documentazioni, sono già stati pubblicati (dal 1965 in poi) in 12 volumi, intitolati Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde Guerre mondiale, cioè “Atti e documenti della Santa Sede durante la Seconda Guerra Mondiale”.
Per avere informazioni complete sull’azione svolta da Pio XII in tutte le fasi della Seconda Guerra mondiale, anche per quanto riguarda la Shoah, si possono consultare appunto questi 12 volumi (sulla questione degli Ebrei cfr. specialmente i volumi VI, VIII e IX). Tra l’altro P. Blet, uno dei 4 ricercatori che curarono tale monumentale ricerca storiografica, nel 1999 ne ha proposto una sintesi nel suo libro “Pie XII et la Seconde Guerre mondiale d’après les archives du Vatican” (anche in italiano: Pierre Blet, “Pio XII e la Seconda Guerra mondiale negli Archivi Vaticani”, S. Paolo, 1999).
L’autorevole periodico dei gesuiti “La Civiltà Cattolica” il 21.03.1998 presentò un articolo di Padre Blet (ripreso da “L’Osservatore Romano” del 27.03.1998) intitolato “La leggenda alla prova degli archivi”, smentendo quanto riportato dalle polemiche contro Pio XII.
[cfr. pure: Burkhart Schneider, “Pio XII”, S. Paolo 2002]
[cfr. pure: Esposito Rosario Francesco, “Processo al Vicario”, Torino 1964]
Purtroppo però di questa assai ampia e obiettiva documentazione la cultura dominante non presenta alcuna notizia e non ne tiene assolutamente conto, mantenendo i propri miti anticattolici.
Ancora nel 1987, la stampa tedesca riportò nuovamente in auge “Il Vicario“, come se non fosse stato smentito da tale rigorosa documentazione storica. A tali nuovi ripetuti attacchi, rispose anche il card. F. Wetter, arcivescovo di Monaco, dicendo tra l’altro: “Si dimentica che dal 79% al 90% dei circa 950.000 ebrei europei riusciti a sopravvivere alla persecuzione nazista lo devono a iniziative cattoliche, che Pio XII ha promosso, sostenuto e incoraggiato”.
Il film “Amen”
Dall’opera teatrale Il Vicario, nel 2002, per la regia di Costa Gavras, emerse il film “Amen”.
Inizialmente il film dà l’impressione di offrire un quadro obiettivo e generale della situazione che si stava delineando per gli ebrei nella Germania nazista: c’era chi non sapeva nulla (gran parte dei semplici cittadini), chi non voleva sapere (chiesa luterana), chi sapeva ma per comodità o per opportunismo taceva (ufficiali dell’esercito e molti borghesi). Uno sfondo realistico dunque sul quale si inserisce la figura di Kurt, un SS realmente esistito, del quale si segue il tormentato percorso tra fedeltà alla divisa e orrore per i crimini visti con i propri occhi. La figura del giovane padre gesuita è invece del tutto inventata. Tale figura è costruita al fine di fornire un quadro, peraltro spesso ripetuto in alcuni film contemporanei, in cui non c’è più un’accusa generalizzata contro la Chiesa cattolica, ma solo alla sua potente gerarchia (Papi, cardinali, vescovi e certi monsignori), messa in opposizione o contraddizione con certe figure idealizzate di fedeli o sacerdoti fortemente impegnati nel sociale (una sorta di lotta di classe all’interno stesso della Chiesa). La figura esemplare del giovane gesuita viene infatti inventata per essere appunto contrapposta alla gerarchia vaticana, dai cardinali al Papa stesso, chiusa e sorda alla richiesta di appelli umanitari, gerarchia che viene fatta quindi intendere come assente se non perfino collusa col potere. E su questo facile motivo conduttore il regista va avanti fino alla fine, diventando perfino pesante, nonostante la drammaticità delle situazioni presentate.
Ecco la trama del film “Amen”. Un ufficiale delle SS (Kurt) viene a conoscenza della volontà di Hitler di giungere allo sterminio degli Ebrei. Essendo chimico, viene incaricato dell’uso del gas Ziklon B da utilizzare nei campi di sterminio allo scopo. Va di persona in Polonia a verificare tale uso del gas nei campi di sterminio. Impressionato da ciò che sa e ha visto, ne parla con i pastori della sua chiesa protestante, ma non viene ascoltato. Va allora direttamente dal Nunzio apostolico, ma viene respinto. Nella Nunziatura un giovane padre gesuita vuol invece saperne di più; egli stesso andrà a Roma per parlarne direttamente col Papa, affinché denunci tale tragedia, e riesce a riferirne al Pontefice in un’udienza privata. Tale padre gesuita, durante il rastrellamento di ebrei romani, si fa arrestare e sale con gli altri sul treno per la Polonia. Giunto al campo l’ufficiale Kurt lo fa liberare, ma viene anch’egli scoperto e arrestato. Redatto un documento di testimonianza da inviare agli Alleati, viene scoperto; allora si suicida. Intanto, finita la guerra, un Cardinale aiuta un ex gerarca nazista a fuggire e raggiungere l’Argentina.
Il libro “Il Papa di Hitler”
Ancor più polemico, fantasioso e calunnioso de Il Vicario, fu il libro pubblicato nell’ottobre 1999 dell’inglese John Cornwell Hitler’s pope: The Secret History of Pius XII (dell’editrice britannica Viking), tradotto in italiano subito nel 2000 per la Garzanti, col titolo “Il Papa di Hitler: la storia segreta di Pio XII”.
La casa editrice Viking presenta il volume addirittura come “la storia mai raccontata del più pericoloso uomo di chiesa della storia moderna” (cioè Pio XII)!
L’ampissima e obiettiva (sugli Archivi storici vaticani) documentazione emersa in quasi 40 anni di ricerche e studi specialistici in merito viene totalmente censurata; in compenso il livello polemico e calunnioso nei confronti di Pio XII, come si evince anche dal titolo del libro, si erge a tal punto da considerare addirittura il Pontefice promotore e difensore di Hitler, del nazismo e della persecuzione antiebraica! L’autore sostiene che Pio XII era antisemita e addirittura aiutò Adolf Hitler a prendere il potere (“Hitler non avrebbe mai avuto il potere di perpetrare l’Olocausto senza l’aiuto di Pacelli”). Pio XII avrebbe addirittura favorito, nel dopoguerra, la fuga dei gerarchi nazisti in Sudamerica.
Dunque Cornwell non si limita più a parlare dei “silenzi” complici di Pio XII e di una sua nascosta connivenza, ma fa del Pontefice addirittura un sostenitore del nazismo. Influenzato dalle tendenze più conservatrici dello spirito tedesco, assimilate quando fu Nunzio apostolico in Germania, Pacelli, caratterizzato da uno spirito reazionario, avrebbe addirittura coltivato una mentalità favorevole al nazionalsocialismo.
Paradossalmente, la feroce critica di Cornwell, che si definisce “cattolico”, pare provenire da quell’ambiente cattolico progressista (in questo caso inglese) da sempre ostile a Pio XII, visto come figura austera e aristocratica ed emblema della Chiesa preconciliare. Oltre che antisemita, Cornwell sostiene inoltre che Pio XII fosse pure narcisista e che il suo pontificato sia stato segnato da ambizioni politiche e spirituali (aggiungendo: come quello di Giovanni Paolo II)!
Insomma, tali fulmini menzogneri e calunniosi pare emergano soprattutto dalla volontà di impedire in tutti i modi la Beatificazione di Pacelli, perché ciò costituirebbe un ritorno ad una Chiesa gerarchica, autoritaria e preconciliare.
Secondo gli studi di Antonio Gaspari, “pare evidente che il libro di Cornwell sia stato pensato solo per gettare fango sulla figura di un grande Papa come Pio XII”; “non mira solo a diffamare Pio XII, ma si tratta di un attacco alla concezione cattolica del papato. Cornwell è infatti un sedicente Cattolico che protesta contro la nomina dei Vescovi decisa dal Papa, se la prende con la dichiarazione di infallibilità del Concilio Vaticano I e si scaglia contro la definizione dei dogmi mariani. Sostiene poi che tutti i papi sono dittatori. Nell’ultimo capitolo critica infine Giovanni Paolo II, che a suo giudizio “dirige la Chiesa in maniera più autoritaria di Pio XII”. In tal senso lo scopo vero del libro è dato dalla “esplicita richiesta di ritardare o addirittura fermare il processo di beatificazione del Servo di Dio Eugenio Pacelli”.
Il padre gesuita P. Gumpel, lo studioso che come abbiamo visto è il più profondo conoscitore di Pio XII (di cui è Relatore nella Causa di Beatificazione), lo storico che per anni ha potuto studiare tutta la documentazione su Pio XII negli Archivi vaticani, definisce tale opera “un libro completamente inaffidabile dal punto di vista documentale, una penosa contraffazione storica, un autentico linciaggio morale nei confronti di Pio XII”. Aggiunge; “l’Autore è così scadente, superficiale e poco attendibile, prevenuto, tendenzioso e unilaterale, che vien da chiedersi che cosa lo abbia spinto a scrivere un libro così calunnioso”.
Anche l’autorevole ricercatore Pierre Blet (già sopra citato) ha dichiarato che Cornwell presenta accuse gravissime senza alcuna prova di ciò che afferma.
A smentire le fantasiose menzogne di Cornwell, oltre agli accurati e documentatissimi studi di Gumpel e di Blet, ci sono anche quelli di Margherita Marchione, l’importante scrittrice e suora italo-americana, già precedentemente citata e sui cui al termine ancora torneremo.
[cfr. pure il testo di Andrea Tornielli, Pio XII. Il Papa degli Ebrei, Piemme 2001]
Padre Georges Cottier, teologo della Casa Pontificia, ha spiegato che: “Contro Papa Pio XII si assiste ad uno scandalismo continuo, disonesto. Sono ormai quasi quarant’anni che accuse di ogni genere sono riversate contro la memoria del pontefice scomparso nel 1958, ma ogni volta non mi riesce di trovare una spiegazione a questo accanimento”.
La Santa Sede ha risposto indignata alla tesi di Cornwell con una precisazione pubblicata da “L’Osservatore Romano” in cui la credibilità dell’autore britannico viene totalmente distrutta. Cornwell ha affermato che il suo libro è frutto di mesi di lavoro nell’archivio della Segreteria di Stato. “L’Osservatore Romano” precisa invece che Cornwell ha consultato l’Archivio della sezione per i Rapporti con gli Stati dal 12 maggio al 2 giugno 1997. Ha lavorato per meno di un’ora al giorno per circa tre settimane. Oggetto della sua ricerca sono stati la Baviera (1918-1921), l’Austria, la Serbia e Belgrado (1913-1915), una documentazione che non ha neanche utilizzato.
Cornwell ha affermato che i documenti da lui trovati erano stati tenuti strettamente segreti fino a quando egli svolse la sua ricerca. A questo proposito egli sostiene di aver trovato un documento esclusivo e inedito del 1919 che proverebbe l’antisemitismo di Pacelli. Cornwell parla di questa lettera come di “una bomba a tempo” che sarebbe stata tenuta segreta nell’Archivio Vaticano. In realtà “L’Osservatore Romano” fa notare che tale lettera (di cui Cornwell cita solo alcune frasi avulse dal contesto) era già stata pubblicata per intero in Italia sette anni prima, nel volume scritto da Emma Fattorini “Germania e Santa Sede. La nunziatura di Pacelli fra la Grande Guerra e la Repubblica di Weimar”, Il Mulino, 1992).
Il libro di Cornwell si è però attirato una critica assai negativa non solo da parte cattolica ma pure da parte di storici e studiosi di estrazione diversa, anche a livello internazionale. Ad esempio Woodward (USA) o M. Marrus (professore ebreo presso l’università di Toronto), criticano l’opera come un pessimo esempio di faziosa menzogna, contraddetta dai fatti, ampiamente documentati.
Kenneth L. Woodward ha scritto sul settimanale statunitense Newsweek che “errori nel raccontare i fatti e ignoranza del contesto storico appaiono in quasi ogni pagina del libro”.
Anche l’autorevole professore ebreo Michael Marrus, storico e preside di Graduate Studies presso l’Università di Toronto, ha definito il libro di Cornwell “superficiale e scandalistico”.
Nonostante la qualità scadente e le tante mistificazioni, il libro di Cornwell è stato oggetto di una delle più vaste e diffuse campagne pubblicitarie mai fatte per un volume di questo tipo.
Significativa fu anche la presa di posizione del noto rabbino conservatore David G. Dalin, che in un lungo saggio uscito sul settimanale di New York The weekly Standard il 26.02.2003, ripercorrendo tutta la questione dei presunti “silenzi” di Pio XII, sottolineò la tendenziosità del libro di Cornwell, nonché di certi interventi scandalistici di scrittori americani come Susan Zuccotti. Dalin accusa costoro di cavalcare criteri scandalistici, estendendo arbitrariamente le responsabilità della Shoah e persino di strumentalizzare per i loro scopi le sofferenze del popolo ebraico.
Comunque, anche dai dati emersi nel 2002 dai Servizi segreti americani e riferentesi al periodo della II Guerra Mondiale, la figura e l’opera di Pio XII appare totalmente estranea alle accuse mosse da Cornwell contro il Pontefice.
In realtà, qualche anno dopo (nel dicembre 2004), lo stesso John Cornwell ammise poi i propri errori profusi in quel testo Il Papa di Hitler, ha fatto uno sorta di “mea culpa” persino sull’Economist. Ha ammesso i suoi giudizi faziosi su Pio XII e prendendone egli stesso le distanze, giustificandosi un poco dicendo che dopo la sua pubblicazione sono emersi nuovi documenti. Ma c’è anche chi non ha accettato le sue giustificazioni perché, come ha dichiarato Matteo Luigi Napolitano, analista degli Archivi vaticani, i documenti esistevano anche prima del suo libro. Cornwell avrebbe quindi dovuto meglio informarsi prima di propagare le sue menzogne calunniose.
In chiave fortemente polemica e calunniosa contro Pio XII troviamo infine anche i seguenti volumi: James Carrol (ex-sacerdote USA) Constantine’s Sword. The Church and the Jews. A History (2001); Daniel Jonah Goldhagen, A Moral Reckoning: The Role of the Catholic Church in the Holocaust, 2002 (in trad. it. Una questione morale: la Chiesa cattolica e l’Olocausto, Mondadori, MI 2003).
David Israel Kertzer, un ebreo statunitense, scrisse molti libri per gettare fango contro la Chiesa cattolica, tra cui The Kidnapping of Edgardo Mortara (1997), The Popes Against the Jewish (2001), The Pope and Mussolini (2014), contro Pio XI. Il 3.11.2022 tenne una conferenza al Memoriale della Shoah di Milano, presentando il suo libro Un Papa in guerra. Tali testi, colmi di gravi e infamanti menzogne contro la Chiesa Cattolica, già ampiamente smentite, sono stati però lanciati con grande sforzo pubblicitario (anche dal New York Time).
In Italia, il testo di Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli 2000, sedicente storico della Chiesa, evidenzia una sostanziale opposizione a Pio XII più da una prospettiva “progressista”, cioè accusando l’ultimo Pontefice preconciliare come emblema di una Chiesa ormai sorpassata, gerarchica e papalina, incapace di far fronte ai problemi della modernità, compreso questi totalitarismi del ‘900.
Ancora recentemente, il Corriere della sera ha pubblicato il 17.09.2023 (vedi) un dossier in cui l’archivista Giovanni Coco (che ha avuto accesso all’Archivio Vaticano) fa una sorta di “scoop” che incastrerebbe Pio XII e attesterebbe la sua piena conoscenza di quanto stava avvenendo agli Ebrei nei campi di concentramento e di sterminio nazisti. In tale dossier, che alimenta l’idea che in Vaticano regnasse un clima antisemita, si parla ad esempio di una lettera e della foto (riportata dal Corriere) di un pugnale, con incisa una svastica (si trattava di una minaccia nazista fatta giungere a Pio XII?), che era stato rinvenuto nell’appartamento pontificio da Giovanni XXIII, successore di Pio XII. Sorpreso evidentemente della presenza di tale pugnale, Giovanni XXIII ne chiese notizia all’allora Sostituto della Segreteria di Stato mons. Angelo Dell’Acqua, il quale, non sapendo nulla dell’oggetto, ne chiese notizia a Suor Pascalina Lenhert, l’attiva e informatissima governante di Pio XII (della cui importanza ci siamo già sopra occupati). Ella disse che tale pugnale era stato portato in udienza da un membro delle SS, che confessò che lo doveva usare contro Pio XII, ma, ravvedutosi, ne aveva fatto significativamente dono al Papa stesso”.
In tale dossier del Corriere della Sera, Giovanni Coco torna ancora sulla questione dei “silenzi” di Pio XII, rivelando una altro dato scoperto nell’Archivio Vaticano: si tratta di una missiva di Myron Taylor, addirittura portavoce del presidente USA Roosevelt, in cui si sollecitava il Pontefice a dire parole forti sulla persecuzione degli Ebrei. Sul motivo per cui Pio XII ad un certo punto preferì una sofferta prudenza (consigliata dagli stessi Episcopati di Germania, Olanda e Polonia), per evitare stragi peggiori, abbiamo sopra già ampiamente soffermato la nostra attenzione.
Altri “miti” anticattolici circa gli Ebrei
Sul riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede
Sulla questione della Terra Santa e della stessa città di Gerusalemme (considerata “sacra” non solo dagli Ebrei e dai Cristiani ma persino dai Musulmani, cioè dalle 3 grandi religioni monoteiste, che insieme costituiscono più del 50% della popolazione mondiale) abbiamo qui già fatto cenno, nella parte specifica dedicata agli Ebrei e allo Stato di Israele.
Dopo la tragedia della Shoah e terminata la Seconda Guerra Mondiale, nonostante la persistenza di Ebrei in molte Nazioni del mondo specie occidentale, la neonata Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), deliberò nel 1947 la creazione dello Stato di Israele (che nacque ufficialmente il 14.05.1948, allo scadere del cosiddetto mandato britannico), per dare una Patria agli Ebrei. In contemporanea a tale decisione, l’ONU deliberò pure la creazione di un attiguo Stato arabo “Palestinese”, per permettere soprattutto la permanenza in quei territori delle popolazioni arabe (in genere musulmane ma anche cristiane) che vi si risiedevano ormai da secoli.
Com’è noto, tale coesistenza, mentre tuttora Israele non riconosce lo Stato Palestinese e lo stesso (unitamente a molti Paesi arabi specie di tradizione sciita) non riconosce quello di Israele, è rimasta sempre problematica e le tensioni in quella regione del Medio Oriente non si sono di fatto mai placate e in certi momenti, come l’attuale (2025), raggiungono livelli di sconvolgente drammaticità.
Si tratta peraltro appunto della Terra Santa, cioè dei territori dove 2000 anni fa s’è attuata addirittura l’Incarnazione del Verbo, cioè di Dio stesso, e il compiersi del mistero della Redenzione dell’umanità (morte e risurrezione di Cristo) e dove i cristiani avrebbero quindi diritto ad una loro particolare e devota presenza (mentre, come in molti Paesi del Medio Oriente sono invece spesso costretti a fuggire).
Anche sulla storica città di Gerusalemme (il cui nome significa peraltro “città della pace”) le tensioni si fanno particolarmente acute, visto anche il suo altissimo valore simbolico appunto per le tre religioni monoteiste: antica capitale del popolo giudaico, luogo della morte-risurrezione di Cristo e della nascita stessa della Chiesa (e quindi fondamentale per i Cristiani), ma rivendicata come tale anche dai musulmani (che dopo la loro invasione avvenuta subito nel VII sec. d.C., proprio sulla spianata dell’ex-tempio di Gerusalemme distrutto dai Romani nel 70 d.C., costruirono due straordinarie moschee tuttora presenti e attive).
Per questo motivo l’ONU deliberò come capitale di Israele Tel Aviv (e non Gerusalemme, come invece tuttora rivendicato dagli Israeliani) e la stessa Santa Sede ha sempre suggerito, e lo fa tuttora, di dare a Gerusalemme la qualifica di “Città a Statuto speciale”, proprio per la sua storia e il suo singolarissimo significato storico e simbolico.
Lo Stato di Israele è stato progressivamente riconosciuto da molti Paesi del mondo ed attualmente ha rapporti diplomatici con 157 dei 192 Paesi membri dall’ONU.
La Santa Sede ha riconosciuto lo Stato d’Israele solo nel 1993 (Accordo fondamentale) e nel 1994 sono state istituite le relazioni diplomatiche tra i due Stati: l’Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede (con sede a Roma) e la Nunziatura Apostolica presso lo Stato di Israele (con sede a Tel Aviv, anche se il Nunzio, cioè il Vescovo rappresentante del Papa, risiede a Gerusalemme nella sede della Delegazione apostolica di Gerusalemme e Palestina).
Lo Stato Palestinese è membro dell’ONU dal 2012 ed è riconosciuto da 138 Stati membri dell’ONU, dalla Santa Sede e dalla Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (ma appunto non da Israele).
La Santa Sede, che pur non mancava di riconoscere anche prima l’importanza di tale Stato, riconosce diplomaticamente lo Stato Palestinese nel 2015.
In questo senso è sempre stato assai significativo quanto simbolicamente espresso anche nei viaggi dei Pontefici in Terra Santa, inaugurati da Paolo VI nel gennaio 1964 (vedi il programma). Quando Giovanni Paolo II compì il suo viaggio apostolico in Terra Santa, in occasione del grande Giubileo del 2000 (20-26.03.2000 vedi il programma) fu ben chiaro che, oltre alla Giordania (punto di arrivo e prime celebrazioni giubilari sulle orme di Mosè morente), il viaggio prevedeva la visita appunto in altri due Stati (tra l’altro Giovanni Paolo II era solito baciare la terra dei Paesi visitati per la prima volta), appunto quello Palestinese e quello Israeliano. Anche nella visita in Terra Santa di Benedetto XVI (8-15.09.2009 vedi il programma), fu ben chiara la distinzione dei due Stati (oltre alla prima parte della visita ad Amman in Giordania, fu evidente la distinzione tra l’arrivo in Israele, vedi l’arrivo a Tel Aviv e a Gerusalemme, e quello nello Stato Palestinese, vedi l’arrivo a Betlemme). Lo stesso è avvenuto in occasione del viaggio in Terra Santa di Francesco (24-26.05.2014, vedi il programma) dove si nota addirittura che nel passaggio tra Betlemme (Stato Palestinese) e Gerusalemme (in realtà solo pochi km) il viaggio ha previsto invece il ritorno in elicottero a Tel Aviv (Stato di Israele) per poi ritornare subito a Gerusalemme.
Evidentemente, anche a livello diplomatico (e si ricordi che in questo senso la Città del Vaticano è uno Stato a tutti gli effetti, pure essendo quasi simbolico, cioè solo kmq 0,4, il più piccolo Stato del mondo), il Pontefice, che deve essere padre di tutti (ovviamente ‘in primis’ dei Cattolici), deve prestare molta attenzione a non creare privilegi, tensioni o dare l’impressione di propendere per visioni “di parte”.
Dunque un certo ritardo in tale riconoscimento dello Stato di Israele era dovuto a motivi di “prudenza” da parte della Santa Sede, che vuole e deve ovviamente mantenere il più possibile buoni rapporti con tutti i popoli e le religioni della Terra. Infatti la sempre (tuttora) incandescente situazione geopolitica (e persino religiosa) del Medio Oriente (basti penare alle forti tensioni tra Iran e Israele/USA) richiedeva appunto di muoversi con prudenza, non tanto per tatticismo politico e diplomatico, quanto appunto per evitare inutili e dannosi attriti con qualche altro Paese o religione.
Tutto ciò per ricordare che il riconoscimento diplomatico dello Stato di Israele dalla parte della Santa Sede (solo nel 1993) ha dovuto ovviamente tener conto della particolare situazione e tensione del Medio Oriente e non dare adito a nessun possibile equivoco.
Però anche tale presunto “ritardo” nel riconoscimento dello Stato di Israele ha dato adito, in alcune frange del mondo ebraico, a sollevare una nuova pretestuosa questione di rapporto tra la Chiesa Cattolica ed Ebrei.
Nonostante, come abbiamo ampiamente osservato, la gratitudine manifestata dagli Ebrei dopo la II Guerra Mondiale per quanto la Chiesa Cattolica e in particolare il Papa Pio XII avevano compiuto a difesa e in soccorso degli Ebrei, gratitudine più volte espressa anche a livello ufficiale e istituzionale (dal Capo di Stato di Israele Ben Zevi, al Ministro degli Esteri poi Primo Ministro Golda Meir, dal Ministro degli Esteri poi Primo Ministro Moshe Sharett allo stesso Rabbino Capo dello Stato di Israele Isaak Herzog), nel quadro delle montanti polemiche sorte dopo gli anni ’60 proprio su Pio XII (in realtà sulla stessa Chiesa Cattolica), anche questo poteva diventare appunto pretesto per rovinare i rapporti tra Ebrei e Chiesa Cattolica, nonostante i nuovi rapporti intessuti dopo il Concilio e i Pontefici successivi (abbiamo visto anche la storica visita di Giovanni Paolo II alla stessa grande Sinagoga di Roma nel 1986, che da molti fu persino già intesa pure come un implicito riconoscimento dello stesso Stato di Israele).
Sul “caso Mortara” (e Pio IX)
Un altro mito anticattolico, circa i rapporti tra Chiesa Cattolica ed Ebrei, particolarmente doloroso quanto falso, riguarda invece l’ormai lontano periodo “risorgimentale” e quindi il pontificato del Beato Pio IX (c’è stato chi, a causa di questo caso, intimò a Giovanni Paolo II di non procedere alla Beatificazione di Pio IX, che invece fu proclamato tale nel 2000), ma viene continuamente riproposto in chiave fortemente polemica contro la Chiesa (anche un film del 2023, Rapito, ha fatto riemergere di nuovo questa “leggenda nera” e riacceso le forti polemiche anticattoliche): si tratta del cosiddetto “caso Mortara”, avvenuto nel 1858, e di cui nel sito ci siamo occupati in una nostra apposita e documentata News (vedi), pubblicata appunto in occasione dell’uscita del film appena citato. A tale documentazione rimandiamo, senza dover qui riprenderla.
Si tratta di un’ulteriore “leggenda nera” anticlericale (cioè anticattolica) costruita e diffusa da oltre 150 anni e tuttora evocata, come dimostra il film recentemente prodotto, una menzogna particolarmente perniciosa perché non solo costituirebbe un’ulteriore prova della violenza perpetuata nei secoli dalla Chiesa Cattolica per convertire i popoli ma in questo caso verterebbe appunto su un fanciullo ebreo, che lo stesso Pontefice Pio IX avrebbe fatto sottrarre alla propria famiglia, sarebbe stato battezzato ed educato cattolicamente, fino al punto da farne un prete cattolico.
Abbiamo qui già ricordato i buoni rapporti intercorsi sempre tra i Pontefici e la comunità ebraica di Roma (la più antica e grande d’Europa), liberi di praticare la loro religione, pur nella città che è centro mondiale della Cattolicità e sede viva del Papato (e fino al 1870 i Papi erano pure i sovrani dello Stato Pontificio). Abbiamo pure qui osservato come, anche sotto la persecuzione antisemita del nazi-fascismo nessuno sia stato spinto a farsi cattolico per sfuggire ad esempio alle deportazioni, nemmeno uno delle migliaia di ebrei ospitati pure negli istituti religiosi cattolici di Roma, ma semmai, abbiamo visto, lo stesso Papa Pio XII giunse persino a permettere e incoraggiare la stesura di Atti di Battesimo falsi (che non risultano cioè canonicamente effettuati) da dare agli Ebrei per fornire ad esempio ai Tedeschi una prova onde poter sfuggire al loro “rastrellamento”.
Ricordiamo che anche nel Medioevo nessuno fu costretto a farsi cattolico e che anche l’Inquisizione (vedi il dossier), altra leggenda nera anticattolica, non aveva alcuna giurisdizione sui non Cattolici.
Abbiamo pure già ricordato come proprio in occasione dell’occupazione di Roma da parte delle forze risorgimentali (vedi il dossier), e siamo cioè nel periodo che riguarda il caso di questo fanciullo ebreo, la comunità ebraica di Roma si oppose ad esempio già all’effimera Repubblica “mazziniana”, che nel 1849 prese Roma e addirittura costrinse Pio IX a fuggire esule a Gaeta (peraltro poi i primi governi dell’Italia unita progettarono addirittura di demolire le case del ghetto ebraico sul lungotevere).
Venendo poi a questo “caso”, cioè alla presunta sottrazione del piccolo ebreo Mortara, si dovrebbe semmai ricordare, e proprio a quella cultura che solleva tali scandali e produce tali menzogne, che sono state proprio le ideologie anticattoliche della modernità e gli Stati che ne sono di conseguenza emersi (vedi il dossier) (compreso il nuovo Stato Italiano) ad inventare quelle forzate e traumatiche sottrazioni di giovani alle loro famiglie e al loro lavoro che sono state ad esempio le coscrizioni, cioè la “leva obbligatoria” (servizio militare), create subito con la Rivoluzione francese e mantenute fino ai giorni nostri o da poco (come in Italia) cessate.
A proposito poi della presunta educazione forzata di quel fanciullo ebreo, non si dovrebbe invece dimenticare che dal Risorgimento ai giorni attuali, proprio attraverso le Scuole statali, generazioni e generazioni di fanciulli, ragazzi e giovani sono stati in genere indottrinate secondo una cultura anticattolica (prima liberal-massonica, poi di stampo comunista e infine secondo le attuali nuove ideologie pansessualiste), venendo peraltro meno a quel fondamentale e irrinunciabile “diritto dell’uomo” che è la “libertà di educazione”, proprio delle famiglie.
Venendo però alla storia reale di questo “caso Mortara”, rimandando a quanto detto in modo più documentato nella News citata (vedi), ricordiamo solo quanto segue.
Edgardo Mortara nacque a Bologna (allora nello Stato Pontificio) nel 1851, da una benestante famiglia ebraica. All’età di circa un anno, il bambino fu colpito da una gravissima malattia che in pochi giorni lo portò alle soglie di una morte ormai certa e prossima. Fu allora che una domestica cattolica della famiglia prese la decisione di battezzare il fanciullo “in articulo mortis” (cosa che in necessità può infatti fare chiunque). La questione, che ha peraltro del “miracoloso”, è che il piccolo Edgardo nel giro di pochi giorni dopo aver ricevuto il Battesimo, invece di morire (come davano per certo e imminente i medici stessi) guarì totalmente e definitivamente (Edgardo vivrà fino a 90 anni)! Ora, quel Battesimo era stato conferito “illecitamente” (non avrebbe dovuto essere amministrato senza il permesso dei genitori), anche se eravamo in imminente pericolo di morte, ma comunque “validamente” (producendo oggettivamente i suoi salvifici effetti soprannaturali, rendendo cioè quell’anima partecipe della vita della Santissima Trinità e quel bambino oggettivamente “cristiano”). Lieta di tale prodigiosa guarigione ma entrata nel panico perché non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, la domestica tenne segreta la cosa fino a quando il fanciullo giunse all’età di 5 anni. Fu in quell’anno che un’altra figlia della stessa famiglia ebraica andò in fin di vita; ma questa volta, edotta dall’esperienza precedente, la stessa domestica si guardò bene da battezzare la fanciulla, che invece morì rapidamente. In quel frangente la domestica cattolica confidò la cosa ad un sacerdote, al fine di sapere cosa si dovesse fare di Edgardo. Tale bambino ebreo, che intanto aveva raggiunto l’età di ragione, oggettivamente (anche se illecitamente) era diventato cattolico e partecipe della vita stessa di Dio. Aveva tutto il diritto, crescendo, di conoscere la fede cristiana cattolica. Tra l’altro, crescendo tra amici italiani e cattolici (siamo peraltro a Bologna, appunto allora ancor per poco appartenente allo Stato Pontificio, e comunque nella cattolicissima Italia), almeno la conoscenza della fede cattolica gli avrebbe permesso persino di conoscere le stesse basi culturali e religiose della società in cui cresceva e avrebbe vissuto. Anche un buon ebreo italiano dovrebbe farlo. La famiglia, informata alla fine della realtà (del Battesimo del figlio), non solo ne fu fortemente contrariata ma si rifiutò assolutamente, nel presente e nel futuro, di far conoscere ad Edgardo la fede cristiana cattolica.
Ed eccoci così giunti al fatto originante il presunto terribile scandalo cattolico, che, in un frangente in cui la cultura anticattolica risorgimentale (specie contro il Papa Pio IX) stava prendendo il sopravvento, salì alla ribalta nazionale e internazionale, strumentalizzato in chiave fortemente anticlericale, con vere e proprie calunnie, che perdurano addirittura fino ad oggi (ne è prova appunto anche il film “Rapito” uscito nel 2023 e subito salito alla ribalta internazionale).
Si chiesero lumi allo stesso Pontefice, per sapere cosa si sarebbe dovuto fare per garantire almeno un minimo di educazione cattolica al fanciullo; si giunse alla determinazione di fargliela impartire almeno per un certo periodo da un collegio cattolico di Bologna, come alunno interno. Poi, una volta informato sulla dottrina cattolica e cresciuto, Edgardo avrebbe preso le sue liberi decisioni in merito alla religione cui aderire. Del resto, come si può scegliere senza conoscere? O proprio la religione ebraica sarebbe stata per lui un’imposizione senza conoscere alternative? Tale educazione cattolica ricevuta per un certo periodo in un collegio cattolico sarebbe stato un “sequestro” di persona (come poi appunto è stato presentato il caso a livello internazionale)? Ma allora è un “sequestro” di persona anche il servizio militare che dal Risorgimento in poi, sulla scia della Rivoluzione francese, è stato imposto a tutti i giovani maschi! È allora un vero sequestro culturale l’istruzione obbligatoria di stampo anticattolico imposta dal Risorgimento in poi a tutti i fanciulli attraverso le Scuole di Stato?
I genitori di Edgardo, che mai avevano dato ai loro figli la pur minima informazione circa i contenuti del Cattolicesimo, si opposero radicalmente alla permanenza di Edgardo nel collegio cattolico; forti anche della loro posizione sociale, economica e culturale, fecero esplodere la questione a livello pubblico. In quel frangente risorgimentale e in chiara polemica contro la Chiesa Cattolica e lo stesso Papa Pio IX, il “caso Mortara” fu immediatamente pompato in chiave anticlericale persino a livello nazionale e internazionale, creando appunto la “leggenda nera” del sequestro di un bambino ebreo da parte della Chiesa e dello stesso papa Pio IX. Il “caso” era certamente ghiotto per la propaganda anticlericale, trattandosi nientemeno che di Ebrei e di Pio IX, tanto denigrato dalle forze risorgimentali massoniche, che nel 1860 occuparono anche Bologna. Fu allora, visto che i Piemontesi man mano che avanzavano, secondo una legge di Cavour, sopprimevano gli ordini religiosi e ne incameravano i beni, che il bambino fu trasferito in un collegio di Roma.
Il problema (in realtà un dato bello e frutto della grazia di Dio) è che il bambino, sia a Bologna che a Roma, si mostrava invece sempre più entusiasta dell’ambiente in cui viveva e soprattutto della fede cristiana che progressivamente apprendeva. Di fatto era comunque un bambino con la grazia del Battesimo, ma che mostrava progressivamente di godere pure di particolari grazie divine. Del resto Dio gli aveva già salvato la vita non solo dell’anima ma anche del corpo (ormai morente) non appena fu battezzato!
Il bambino non fu affatto sequestrato ai suoi genitori, che potevano vederlo quando volevano, anche tutti i giorni, anche quando fu trasferito a Roma (ricordiamo che si trattava di una famiglia assai benestante). Si doveva solo assicurare per un certo tempo un’educazione cattolica (o almeno una qualche informazione sui contenuti del Vangelo) che i suoi genitori si rifiutavano ad ogni costo di fornirgli. Nei primi due mesi di permanenza a Roma i genitori incontrarono quotidianamente il figlio, cercando in tutti i modi di convincerlo a lasciare quel collegio; ma Edgardo continuava a rispondere che si trovava benissimo lì e voleva restarvi!
I genitori cercarono per anni di convincere il figlio ad abbandonare la fede cattolica e ad uscire dal Collegio; ma, il ragazzo tanto più cresceva tanto più si mostrava entusiasta della fede cristiana, fino al punto di desiderare la conversione stessa dei genitori (la mamma sembrò vicina ad aderire alla fede cristiana, ma fu fortemente dissuasa dal marito).
I genitori smisero di visitare il figlio Edgardo quando si accorsero che, ormai giovincello, non solo era ormai un fervente cattolico, ma manifestava fortemente il desiderio di diventare addirittura sacerdote, e proprio in quell’Ordine religioso che lo accolse e lo educò cattolicamente.
Già nel 1868, quando Edgardo aveva 17 anni e si considerava completata la sua formazione cristiana, le autorità ecclesiastiche volevano rimandarlo alla sua famiglia e poter scegliere liberamente anche la sua appartenenza religiosa; ma fu lui a rifiutare!
Le forze anticlericali, non potendo negare l’entusiasmo del giovane Edgardo, non potendo evidentemente più parlare di “sequestro” del ragazzo, parlarono allora di plagio ricevuto dalla Chiesa (un pregiudizio che ancor oggi molte volte sentiamo: se uno è ateo o di qualsiasi altra esperienza religiosa è un “libero pensatore”, se invece è un fervente “cattolico” è perché è stato plagiato o è ignorante).
Quando i Piemontesi presero Roma (1870) si presentarono subito al Collegio dove abitava Edgardo Mortara per finalmente “liberarlo”, ma si trovarono di fronte al diniego totale del giovane, ormai di 19 anni e perfino in preparazione al sacerdozio!
I genitori furono invece fortemente coinvolti dai poteri massonici risorgimentali, al fine appunto di montare il “caso”; ricevettero per questo persino dei finanziamenti. Si organizzarono allora loro conferenze in giro per l’Italia e persino all’estero.
Nell’occasione si creò la prima organizzazione ebraica mondiale di autodifesa, che giunse ad offrire una lauta somma di denaro anche solo a chi avesse tentato di “liberare” il Mortara dal Collegio romano dove viveva.
Edgardo Mortara divenne sacerdote nel 1883, all’età di 32 anni, col nome di Pio Maria; e la scelta di “Pio” fu da lui presa proprio per gratitudine ed affetto nei confronti del Papa Pio IX, che tanto aveva fatto per la salvezza eterna della sua anima! Addirittura mantenne per tutta la vita una affezionata gratitudine per la domestica che l’aveva battezzato (che dovette abbandonare non solo la famiglia presso cui prestava servizio ma la stessa città di Bologna «per sfuggire alle violente vessazioni e rappresaglie» da parte dei feroci anticlericali), come per tutti coloro che gli avevano fatto conoscere Gesù ed educato sapientemente alla Sua sequela. Ricevette persino la visita di S. Giovanni Bosco!
All’età di 37 anni scrisse un prezioso Memoriale autobiografico, in cui racconta tutta la sua storia (di recente scoperto da Messori nell’archivio del suo Ordine e pubblicato da Mondadori nel 2005 col titolo Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX).
Date le sue capacità intellettuali (aveva persino imparato 9 lingue moderne), di oratoria e di insegnamento (di Teologia), come pure per sottrarlo al clima anticattolico creatosi a Roma dopo il 1870 e che vedeva in lui un simbolo della violenza perpetuata dai Cattolici e dal Papa in persona, i suoi superiori lo inviarono in missione in molti Paesi europei, come predicatore e docente.
Visse una lunga vita, talora segnata anche da sofferenze, specie a motivo del “caso” che egli rappresentava per il mondo anticlericale (che giunse persino a far dubitare del suo equilibrio psicologico, per danni causati appunto dal suo “rapimento”).
Dopo aver predicato in mezza Europa, don Edgardo Pio Maria (Mortara) morì quasi novantenne (nel 1940), in un monastero in Belgio, in “odore di santità” (s’è persino parlato di una possibile causa di beatificazione)!
[cfr. ad es. Vittorio Messori, Le cose della vita, Ed. Paoline, 1995, pp. 322/325]
[cfr. pure i seguenti articoli usciti sul caso e sul film “Rapito”: (leggi) (leggi) (leggi)]
Per ricordare… (Margherita Marchione e Michael Tagliacozzo)
Per concludere quest’ampia panoramica, torniamo ancora sugli studi, abbondanti e documentati, compiuti da due importanti ricercatori e storici, specialisti proprio di quel doloroso periodo bellico e dei rapporti tra Chiesa Cattolica (in particolare del Pontefice Pio XII) e gli Ebrei (in particolare della comunità ebraica di Roma di quel tempo), di cui abbiamo già sopra parlato: si tratta della famosa studiosa e suora italo-americana Margherita Marchione e dello storico ebreo Michael Tagliacozzo.
Torniamo dunque a soffermare ancora un poco la nostra attenzione sugli accurati studi della suora italoamericana Margherita Marchione (1922-2021), di cui abbiamo già parlato a proposito degli aiuti forniti agli Ebrei durante l’occupazione nazista romana nelle case delle sue consorelle, le suore della Congregazione delle Maestre Pie Filippine. Filosofa e storica, la Marchione fu anche una delle più stimate specialiste della questione della difesa degli Ebrei da parte di Pio XII e della Chiesa di Roma in quel pericoloso frangente storico.
Ricordiamo ancora che le suore della Congregazione delle Maestre Pie Filippine ospitarono con grande carità e con immenso pericolo per la loro stessa vita, per più di un anno, in 3 loro istituti, ben 114 Ebrei, uomini e donne, adulti e bambini, per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi.
Margherita Marchione, religiosa statunitense della Congregazione delle Maestre Pie Filippine, di origine italiana e allieva prediletta di Prezzolini (conosciuta così anche da Ungaretti), fu professoressa di Lingua e Letteratura italiana presso la Fairleight Dickinson University di Madison, New York. Come abbiamo ricordato, durante la guerra viveva in quel convento romano di via delle Botteghe Oscure dove vennero accolte e salvate (con grande pericolo per le suore stesse di essere fucilate) molte donne ebree.
I suoi importanti studi e le stesse testimoniane cristiane raccolte dalle suore che vissero quella tremenda ma anche edificante situazione, emerge pure con forza tutto il giusto sdegno e ribellione nei confronti della perniciose, false e ingrate calunnie scagliate poi contro Pio XII. Afferma con veemenza: “Non è solo un’accusa falsa contro Pio XII, ma contro la Chiesa e, se vogliamo, anche contro tutti quegli ebrei che alla fine della guerra hanno ringraziato in mille modi la Santa Sede e tanti cristiani per ciò che hanno fatto. Ho abbandonato tutti gli altri studi per cercare di rispondere a questa menzogna. Così continuerò a mettere tutto il mondo sottosopra e a cercare le lettere dei prigionieri che confermino, anche se in effetti non ce ne sarebbe bisogno, la verità”.
La Marchione ebbe poi modo di studiare in modo approfondito tutta l’azione di Pio XII contro il nazismo ed in favore degli ebrei. Tra i suoi libri più famosi abbiamo: Pope Pius XII, architect for peace (Paulist Press, New York 2000; trad. it. Pio XII architetto di pace, Piemme 2002), Pio XII e gli ebrei (Piemme, 2002), In difesa di Pio XII (Paulist Press, USA), Il silenzio di Pio XII (Sperling & Kupfer, 2002).
Dai suoi testi rileviamo ad esempio: “Basta leggere la stampa libera di quegli anni per scoprire che Pio XII fu l’unico in Europa ad alzare la voce in favore degli Ebrei. Lo affermano nientemeno che autorevolissimi giornali mondiali dopo la fine della Guerra. Così ad esempio il Washington Post pubblicò per intero la sua prima Enciclica “Summi Pontificatus”. Il New York Time intervenne molte volte a favore di Pio XII: il 25.12.1941 fece un elogio di Pio XII per “essersi opposto al nazismo”, il 6.08.1942 “riportò le suppliche del Papa per impedire la deportazione degli ebrei dalla Francia”, il 27.08.1942 affermò che “Pio XII difese pubblicamente gli ebrei ogni volta che i vescovi lo hanno informato circa le atrocità dei nazisti”. Il London Time del 1°.10.1942 afferma: “Non ci sono dubbi: Pio XII ha condannato la persecuzione della razza ebraica”. Il Tablet di Londra del 24.10.1942 afferma: “Goebbels ha fatto stampare un pamphlet in molte lingue in cui denuncia Pio XII come un Papa favorevole agli ebrei”.
La Marchione ricorda inoltre gli interventi di Pio XII a favore degli ebrei mediante i famosi “Discorsi radiofonici”, gli appelli ai governi e l’opera della diplomazia segreta. Rivela inoltre che “Pio XII era in contatto coi generali tedeschi che hanno cercato di rovesciare Hitler” e che “per salvare gli ebrei Pio XII ha utilizzato di tutto, anche i suoi fondi personali”. Anche “i Nunzi Vaticani in Croazia, Ungheria, Romania sono intervenuti con tutta la loro autorità per fermare le deportazioni”. La Marchione menziona pure i numerosissimi ringraziamenti fatti pervenire a Pio XII da parte ebraica, dal “Congresso Ebraico Mondiale” al Congresso ebraico americano e Anti-Defamation-League”.
Tra gli storici ebrei specialisti dello studio dell’Olocausto, che all’epoca viveva proprio a Roma, abbiamo già menzionato Michael Tagliacozzo, in quanto fu personalmente salvato da un sacerdote romano (don Fagiolo) dal “rastrellamento” del 16.10.1943 da parte dei nazisti, trovando rifugio addirittura nel Pontificio Seminario Romano. Nel luglio del 1944, in una Roma appena liberata, si recò dal Papa per ringraziarlo personalmente dell’aiuto ricevuto dalla Chiesa. Andò poi a vivere in Israele, dove visse a lungo, fino alla morte, avvenuta il 15.04.2011.
Riportiamo qui ancora, per comodità e a mo’ di conclusione, quanto già sopra ricordato.
Quando cominciarono a circolare, anche in ambienti israeliani, i pregiudizi anticattolici sui presunti “silenzi” di Pio XII e persino sull’aiuto che il Pontefice avrebbe poi dato ad alcuni nazisti per espatriare e sottrarsi così alla giustizia, Tagliacozzo prese netta e pubblica difesa di Pio XII.
Il 28.06.1983 scrisse sul quotidiano israeliano “Haaretz” una lettera al direttore con la quale reagiva vigorosamente all’accusa mossa al Vaticano che avrebbe aiutato dei nazisti a fuggire dall’Europa. Tagliacozzo disse: «Riguardo al controverso giudizio sul “silenzio” di Pio XII e dei circoli vaticani nei confronti della persecuzione, è doveroso ricordare il prezioso aiuto della Santa Sede di cui beneficiarono gli ebrei di Roma. Su raccomandazione dello stesso Pontefice, il clero di ogni grado fece del suo meglio per salvare gli ebrei tanto che un numero grande di perseguitati fu accolto nei conventi, che aprirono le loro porte agli ebrei (che scappavano dalla persecuzione nazista), offrendo con larghezza rifugio e assistenza. Nel corso di tale opera di salvataggio, ad esempio, tutti i bambini dell’orfanotrofio israelitico trovarono rifugio in un sicuro convento. Dentro le stesse mura del Vaticano “sotto le finestre del Pontefice” gli ebrei trovarono salvezza dai furori della Gestapo. Furono circa 5.000 gli ebrei che si rifugiarono nelle istituzioni della Chiesa, dei quali 4.238 nei conventi, monasteri ed altri istituti religiosi, mentre 477 furono accolti nel Vaticano stesso e nelle zone extraterritoriali dipendenti dalla Santa Sede. Per questo i nazisti e i loro satelliti accusarono il Vaticano per l’aiuto dato agli ebrei, ai comunisti e ad altri perseguitati. L’organo delle SS in lingua italiana “L’avanguardia” del 12.08.1944 non risparmiò pesanti offese al Vaticano e al clero, chiedendosi il perché di tale “interesse della Chiesa per ebrei e comunisti, nemici dell’umanità”». Tale lettera di Tagliacozzo gli procurò subito reazioni infastidite.
In una sua lettera del 18.04.1985, quando, certamente non senza il suo interessamento, il card. Pietro Palazzini e mons. Vincenzo Fagiolo ricevettero l’onorificenza israeliana di “Giusti delle Nazioni” «per l’opera di soccorso da loro svolta a favore degli ebrei perseguitati dai nazifascisti durante l’occupazione tedesca a Roma» (cfr. “L’Osservatore Romano”, 12.02.1985), scrisse: «Debito di grande riconoscenza debbono gli Israeliti di Roma alla memoria di Papa Pacelli, perché, come ripetutamente affermato, più vicini alla Sua Augusta Persona, furono oggetto di speciali sollecitudini e provvidenze». Nel 1998, in un dossier di testimonianze a difesa di Pio XII, scrisse: «La difesa della calunniata memoria dello scomparso Santo Padre costituisce ormai per me uno dei principali scopi che occupano l’ormai breve periodo di vita terrena che il Signore vorrà concedermi. I denigratori, coscienti o incoscienti, della memoria di Pio XII, non sono pochi. Chi per ignoranza di cose e fatti; chi per innati pregiudizi e chi – e questi sono i meno scusabili – per ragioni di strumentalizzazione politica. Per tutti invochiamo il perdono di Dio».
Ecco dunque un altro pernicioso pregiudizio anticattolico, obiettivamente falso, che riguarda la storia della Chiesa della prima metà del sec. XX e che, pur non corrispondendo assolutamente ai fatti storici realmente accaduti (e persino facilmente documentabili), periodicamente viene riesumato, persino con apposite opere teatrali, film e tendenziose pubblicazioni, che cercano di infamare con terribili calunnie soprattutto la prima parte del pontificato di Pio XII, cioè nel periodo della II Guerra Mondiale. Si tratta dei cosiddetti “silenzi” del Pontefice circa le atrocità del nazismo e soprattutto nei confronti della tragica vicenda della Shoah ebraica.
Come abbiamo visto, si tratta appunto di un infamante pregiudizio anticattolico, periodicamente fatto riemergere e che può invece essere ampiamente smentito, anche con l’apporto di una seria e abbondante documentazione storica, cui qui abbiamo fatto ampio cenno.