Medioevo
un “luminoso” millennio
Indice
Introduzione
Fede e storia
Nella sezione News (Notizie … controcorrente), come è richiamato anche nella ‘homepage‘ del sito (“questo sito è stato pensato per aiutare …”), offriamo piccoli contributi per un’informazione su fatti di attualità che esca dagli schemi ideologici e talora dalle censure del pensiero dominante e aiuti a formulare un giudizio cristiano, oltre a fornire notizie in genere difficilmente raggiungibili sulle questioni di fede e della vita della Chiesa e del mondo.
Talora ci siamo soffermati anche su notizie storiche “alternative”.
Nel 2021, ad esempio, ci siamo soffermati su alcuni miti della “modernità” (vedi), così come abbiamo sinteticamente ripreso alcune notizie sull’Inquisizione (vedi).
Tra i Dossier (vedi), così come in modo più sintetico (sottoforma di domande e risposte) in appositi documenti nella sezione Fede & cultura (vedi), abbiamo già presentato alcune questioni storiche “scottanti”, nel senso di “cavalli di battaglia” della polemica anticristiana post-illuminista, come le Crociate (vedi – vedi), l’Inquisizione (vedi – vedi), il “caso Galileo” (vedi – vedi).
Perché dobbiamo avere questa preoccupazione, al di là della passione storica, sia per la nostra formazione cristiana come per quella delle nuove generazioni (figli, studenti)?
Perché, sia sulle questioni di attualità come su molte questioni storiche, siamo talmente bombardati da pregiudizi anticattolici, già dalle scuole primarie come dalla pubblicistica dominante fino all’invasivo circo mediatico contemporaneo, così che essi sono presenti non solo tra i non cristiani ma addirittura nella maggior parte dei Cattolici!
È solo una questione culturale, per addetti ai lavori? No. Sono questioni che costituiscono in realtà una grande “minaccia” alla propria coscienza ed anima, perché fin da ragazzi inoculano nella nostra mente pregiudizi anticristiani che progressivamente, senza quasi che ce ne accorgiamo, distruggono la fede e di conseguenza fanno perdere eternamente l’anima.
Per molti, specie dall’adolescenza (che è già un momento “critico”, che avrebbe bisogno di particolari sostegni spirituali, morali e pure culturali), ciò rappresenta un’occasione per allontanarsi dalla Chiesa e perdere progressivamente la fede e la salvezza eterna (del tipo: “se la Chiesa ha fatto e fa questo, stiamone il più possibile alla larga, visto tra l’altro che vuole imporci dogmi irrazionali ed una morale disumana”, di cui infatti pare oggi persino vergognarsi ed essa stessa censura)!
Per altri, sempre meno, pur rimanendo cristiani cattolici (e persino praticanti, come moralmente doveroso), resta comunque nella mente e nella coscienza una sorta di “schizofrenia”, per cui a fianco di una pratica formalmente ancora cristiana coesiste una mentalità (giudizi) anticristiana; e questo senza neppure che ce se ne accorga. Il che, come osservava già il Papa Paolo VI negli anni ’70, è il dramma del nostro tempo e l’insidia più grande che mina alle basi l’evangelizzazione contemporanea [del tipo: “Sono cattolico… però la Chiesa, visti gli errori e gli scandali del passato e pure del presente, non mi venga ad insegnare cosa devo fare …. Meglio che mi faccia una fede e una morale a modo mio”!]
Lo stesso S. Giovanni Bosco, che costituisce come sappiamo un “genio” della capacità educativa dei ragazzi e dei giovani (anche dei casi più difficili), consapevole di questo enorme pericolo presente già nella sua Torino risorgimentale (una cultura di fatto anticattolica, come sarà quella imposta nella progressiva “invasione” piemontese dell’Italia, vedi e vedi) ed avendo a cuore una completa formazione dei suoi ragazzi – cioè attenta all’anima ma anche al corpo, alla salvezza eterna come allo studio e al lavoro – non a caso aveva provveduto a scrivere lui stesso persino una alternativa “storia della Chiesa”! (vedi)
Il Medioevo
Come sappiamo, tra i “mantra” del pensiero laicista, dominante già dall’Illuminismo ma appunto ora presente a livello di massa, persino tra i Cattolici, c’è quello del Medioevo (un nome che indica già un pregiudizio illuminista), che sarebbe stato un periodo, tra l’altro durato mille anni, in genere censurato o calunniato, di “oscurantismo” clericale, “secoli bui” (in opposizione appunto alla luce dell’Illuminismo e della modernità), un’epoca di superstizione religiosa, di condizioni disumane, di violenze inaudite da parte della Chiesa, e via calunniando…
Tutto ciò, ovviamente, perché rappresenta un millennio in cui si manifestò il trionfo della fede e della civiltà cristiana.
Un’epoca che ha però gettato le basi stesse della civiltà occidentale e mondiale.
Questo non significa che ovviamente anche in quel periodo non siano emersi limiti e peccati che caratterizzano l’uomo di ogni tempo, anche tra i cristiani. Ma che queste accuse provengano proprio da quelle ideologie della modernità (vedi) che, nonostante il progresso scientifico ed economico, hanno scatenato le più grandi atrocità della storia (basti pensare a ciò che già accadde nella Rivoluzione francese e a quanto ne seguì, fino alle rivoluzioni, dittature e guerre mondiali del secolo scorso), richiederebbe almeno una maggiore umiltà ed onestà culturale, se non un rispettoso silenzio.
Come ricordato, ci siamo già soffermati su alcune questioni, come quello dell’Inquisizione (vedi – vedi) o delle Crociate (vedi – vedi).
Ora facciamo ancora alcune rapide osservazioni su questo periodo in realtà luminoso della storia e fondamentale per la civiltà occidentale e mondiale.
1) Medioevo: un “luminoso” millennio
Prima parte
Secondo il pregiudizio illuminista, tuttora dominante (persino tra i Cattolici), il Medioevo, cioè il millennio che va dal VI al XVI secolo, sarebbe appunto una triste ed oscura “epoca di mezzo”*, “secoli bui” (dominati dalla Chiesa Cattolica), da cui la civiltà europea e mondiale si è finalmente liberata appunto con l’Illuminismo, quando si sono accesi i “lumi” della ragione, della scienza, del progresso, dell’autentico bene dell’uomo e della umana società.
* Come ricorda il grande storico Franco Cardini, in realtà “Medioevo” non è un’epoca ma un concetto o un pregiudizio illuminista.
E se tuttora permangono residui di quelle superstizioni medievali, essi (cioè quei Cattolici che vogliono rimanere tali) devono essere annientati o quantomeno emarginati dall’umano consorzio, come pericolosi conservatori, ostili al progresso e alla libertà dell’uomo, al “libero pensiero”, all'”autodeterminazione”, all’affermazione dei propri “diritti” (qualunque essi siano, pure totalmente inventati e confusi con le pulsioni e le voglie del momento). Così deve essere l’uomo di oggi e l’umanità dell’avvenire. Questo è il vero “laicismo”, di un’umanità finalmente liberata dalla Chiesa e dalla stessa fede in Cristo (a meno che non accetti di essere rinchiusa dentro la realtà solo intima e privata della coscienza).
“Medievale” è infatti uno dei peggiori epiteti che si possa affibbiare ad un uomo, ad una mentalità o ad un’istituzione.
Questo “pregiudizio”, questo “mito” ed indiscutibile dogma illuminista e anticattolico è duro a morire, persino di fronte all’evidenza dei fatti, di rigorosissimi studi storici e di uno “splendore” artistico, urbanistico, culturale che lascia peraltro esterrefatto anche l’osservatore più superficiale o il turista più affrettato (chi non rimane attonito di fronte ad una cattedrale gotica… e si va pure a caccia del “borgo medievale” rimasto tale).
Basterebbe, per irridere tale pregiudizio illuminista, una battuta di uno dei maggiori intellettuali francesi del secolo scorso, André Frossard (celebre intellettuale e giornalista francese, membro dell’Académie française, figlio peraltro del fondatore del Partito comunista francese e come tale educato all’ateismo più ortodosso, che poi si convertì e divenne un apologeta della fede cattolica e persino amico e intervistatore di Giovanni Paolo II), di fronte a tutta la sua incantata meraviglia per il Medioevo, anche solo contemplando le bellezze artistiche che ci ha lasciato: “Ci dicono che erano secoli bui; non lo so; ma quello che ci hanno lasciato è di una luminosissima e stupefacente bellezza”!
L’Università, come vedremo più avanti, è una luminosa istituzione nata dalla Chiesa Cattolica nel Medioevo. Le prime e principali università europee (Bologna, Padova, Roma, Parigi, Oxford, Cambridge, …) sono infatti sorte per volontà della Chiesa, come segno vivente dell’amore che la genuina fede cattolica nutre per la ragione e per la ricerca. Alcune università sono nate addirittura, potremmo dire, all’ombra del campanile: così quella parigina (la Sorbona) è nata nel cortile stesso di Notre Dame. Peccato che nell’occupazione rivoluzionaria e nella furia illuminista proprio la Sorbona divenne invece un tempio dell’Illuminismo e dell’odio anticattolico; e proprio in tale ambiente culturale nacque pure il dogma illuminista dell’oscurantismo del Medioevo. Ma la Provvidenza ha i suoi piani, anche se talora sembrano a noi lenti, e alla fine la verità riemerge sempre. Così nei primi decenni del secolo scorso proprio in Francia sorsero degli intellettuali (filosofi, teologi) e accademici cattolici di altissimo prestigio (si pensi a M. Blondel, J. Maritain, M.D. Chenu, R. Garrigou-Lagrange e al cosiddetto neo-tomismo, cioè ad un rinnovato ed entusiasta riferimento al sublime pensiero di S. Tommaso d’Aquino), tra cui Étienne Gilson, autorevole docente di “Filosofia medievale” proprio alla Sorbona (!). I suoi eruditissimi studi e le sue magistrali lezioni* hanno permesso una plateale rivalutazione del Medioevo, del pensiero non solo teologico ma filosofico di quel periodo, talmente profondo e fecondo da costituire i fondamenti non solo della civiltà europea ed occidentale, ma in grado di fornire le basi concettuali del pensiero moderno, persino quando esso si è opposto al cristianesimo.
* cfr. É. Gilson, L’esprit de la philosophie médiévale, Paris 1932-1944 (trad. it., Lo spirito della filosofia medioevale, Morcelliana 2009) e La philosophie au moyen âge, Paris 1922-1952 (trad. it., La filosofia nel medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, Rizzoli 2011).
Potremmo dire che, nonostante i persistenti giudizi propagandati ancora nelle scuole, nella pubblicistica, negli strumenti di comunicazione di massa e persino nel mondo dello spettacolo, a livello di “alta cultura” non c’è praticamente più nessuno che osi ancora rimanere ancorato a certi pregiudizi illuministici circa i cosiddetti “secoli bui”, come del resto anche sulla presunta opposizione tra fede e scienza (altro mito ottocentesco, come abbiamo osservato circa la montatura ottocentesca del caso Galileo vedi – vedi).
Persino negli USA stanno emergendo seri studi accademici sull’enorme fecondità anche culturale che la Chiesa Cattolica ha fatto emergere nel Medioevo e come l’intera civiltà occidentale (e potremmo dire anche mondiale) sia debitrice nei confronti della fede e della Chiesa Cattolica per i fondamenti stessi della propria cultura, persino della scienza, del diritto, dell’economia, insomma del progresso stesso dell’umanità.
Abbiamo altre volte citato, ad esempio, la documentata sintesi che ne ha fatto lo studioso americano T. E. Woods Jr., How the Catholic Church built western civilization, Washington D.C., 2001 (trad. it., Cantagalli SI, 2007: “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale”).
Riporteremo in seguito dei dati inconfutabili emersi in molti studiosi americani e riportati da Woods in questo testo.
Dalla caduta dell’Impero romano alla civiltà cristiana
Quando verso la fine del V secolo d.C. è crollato l’Impero romano (d’Occidente) davvero si ebbe l’impressione non solo della fine di una civiltà, già gloriosa ma ormai decaduta (anche moralmente), ma quasi della fine del mondo, tanto Roma rappresentava il centro del mondo antico.
Da tre secoli le invasioni barbariche ne avevano scosso non solo l’immenso territorio, ma ne avevano minato la struttura e le stesse basi sociali. Così ancor oggi dire “barbaro”, nominare Attila o denominare certi atti come “vandalici” (dai Vandali, che saccheggiarono Roma stessa nel 455 d. C.) è sinonimo di distruzione e rovina.
L’intera civiltà occidentale fu in pericolo, compresa la cultura latina e la gloriosa eredità della cultura classica greca, che avevano plasmato il tessuto culturale e sociale dell’area mediterranea (il Mare nostrum).
Oltre ad Atene (e l’ellenismo) e Roma (la latinità), un terzo polo culturale si era però affacciato nella storia: Gerusalemme.
Se già la cultura giudaica (e il patrimonio religioso dovuto all’Antico Testamento biblico, ricco di importantissime novità riguardo alla visione di Dio, dell’uomo, della morale e della storia) aveva conosciuto una certa diffusione per la presenza, talora tormentata, degli Ebrei in ampi territori dell’impero e nella stessa Roma (ad un certo punto furono persino cacciati dalla città, cfr. At 18,2), l’incidenza culturale di tale patrimonio era però in genere circoscritta appunto agli ambienti giudaici.
Fu proprio la venuta di Cristo Signore, Dio incarnato, al di là della sua breve e circoscritta missione, dal punto di vista umano, e della sua fine apparentemente ingloriosa (condannato a morte dai Giudei e dai Romani), ma proprio perché risorto e vivo, novità assoluta della storia, a costituire in poco tempo la più grande “rivoluzione” di tutti i tempi, non a livello politico né tanto meno violento, ma proprio a livello esistenziale (il cambiamento del cuore e della vita dell’uomo) e culturale (la visione nuova e vera di tutte le cose)!
Se per i primi due secoli, nonostante l’incredibile diffusione in tutto il mondo allora conosciuto, il cristianesimo fu clandestino ed oggetto delle più crudeli persecuzioni, dopo l’imperatore Costantino (editto del 313) la fede cristiana e la Chiesa Cattolica divennero la nuova linfa vitale non solo dei singoli ma della società e pian piano dell’intera civiltà occidentale (basti pensare all’incoronazione di Carlo Magno, da parte di papa Leone III nell’antica basilica di S. Pietro in Vaticano, la notte di Natale dell’800*, e al Sacro Romano Impero; per giungere appunto a tutta la civiltà medievale, trionfo della cristianità, durata fino al XVI secolo).
* Non a caso Giovanni Paolo II, in occasione del 1200° anniversario di tale incoronazione, volle sottolineare l’importanza di tale evento in un apposito messaggio (14.12.2000, leggi), con particolare riferimento alle radici cristiane dell’Europa; in esso si ricorda che il Medioevo, “nonostante i limiti umani sempre presenti, fu caratterizzata da un’imponente fioritura culturale in quasi tutti i campi dell’esperienza”. “È la grandiosa sintesi tra la cultura dell’antichità classica, prevalentemente romana, e le culture dei popoli germanici e celtici, sintesi operata sulla base del Vangelo di Gesù Cristo, ciò che caratterizza il poderoso contributo offerto da Carlo Magno al formarsi del Continente. Infatti, l’Europa, che non costituiva una unità definita dal punto di vista geografico, soltanto attraverso l’accettazione della fede cristiana divenne un continente, che lungo i secoli riuscì a diffondere quei suoi valori in quasi tutte le altre parti della terra, per il bene dell’umanità. Al tempo stesso, non si può non rilevare come le ideologie, che hanno causato fiumi di lacrime e di sangue nel corso del XX secolo, siano uscite da un’Europa che aveva voluto dimenticare le sue fondamenta cristiane”.
[Tale sottolineatura di Giovanni Paolo II è stata ricordata di recente, anche in riferimento alle attuali tragiche esperienze che l’Europa sta attraversando e in cui rischia di precipitare leggi]
Gesù Cristo, è il “Logos (Verbo) fatto carne” (Gv 1,14), è la “Via, Verità e Vita” (Gv 14, 6; Gv 18,36-38). In Lui trova compimento e perfezione non solo tutta la Rivelazione divina dell’Antico Testamento (cfr. Mt 5,17), ma anche tutto ciò che di vero, di bene e di bello può già albergare non solo in ogni uomo ma in tutte le più alte espressioni delle culture, religioni e filosofie dell’umanità (come una prima traccia del divino e della verità: Logos spermatikos, Semina Verbi, come dicevano già i Padri della Chiesa).
La religione cristiana, e in particolare la fede cattolica (perché invece il Protestantesimo lo negherà come un “prostituirsi” della fede, come dirà Lutero, pensando ereticamente quasi ad una fede cieca e ottenuta per “sola grazia”), è quella in cui è avvenuto e avviene sempre il più grande e fecondo incontro tra ragione e fede (come ha sottolineato anche Giovanni Paolo II nella sua celebre Enciclica Fides et ratio), come due livelli, non contraddittori (né potrebbe esserlo, per la caratteristica stessa della verità, vedi) ma complementari nella ricerca e scoperta della verità.
Non a caso fin dai primi secoli il cristianesimo ha attuato un fecondo dialogo, più che con le religioni pagane (ancora intrise di antropomorfismi inaccettabili) con i vertici della filosofia classica greca, in un primo tempo più con Platone (nella Patristica), poi in seguito ancor più con Aristotele (nella scolastica e in particolare col pensiero tomista).
Nei monasteri, nelle loro biblioteche (dove venivano pure ricopiate e conservate tutte le gloriose opere dell’antichità greca e latina, così che se non sono andate distrutte e ancor oggi le possediamo, è dovuto proprio ai monaci medievali) e nelle scuole che da essi sono nate, così come quelle sorte attorno alle cattedrali, fino alla nascita delle Università (invenzione della Chiesa, che le ha fondate), vere “cattedrali del pensiero”, questo fecondo dialogo tra fede e ragione, tra filosofia e teologia, fino alla promozione di tutto il sapere umano, ha trovato il proprio centro propulsore. Proprio nel Medioevo (a dispetto di quanto l’Illuminismo pensa, credendosi scopritore della ragione) si manifesta una capacità di dialogo – non nel senso psicologico ed emotivo quanto inconcludente come oggi spesso lo si intende (anche negli ambienti ecclesiali!), ma nel senso platonico e tomista del termine, cioè come capacità di porre e sviscerare le questioni, con prove e controprove, fino ad una conclusione certa – che permetteva di confrontare la novità cristiana e dell’altissimo pensiero che ne scaturiva con le più alte vette della cultura greca e latina e persino con ciò che poteva essere accolto, purificato e innalzato addirittura dalle tradizioni dei popoli barbari, così da raggiungere vere sintesi che, pur nel rispetto delle diverse identità, permettevano appunto di formare un’identità culturale unitaria, che fu appunto base dell’unità stessa dell’Europa e poi dell’intera civiltà occidentale.
In un certo periodo (spec. nel sec. XIII, cfr. S. Tommaso d’Aquino, ma lo ricorda pure Dante Alighieri, D. C. Inferno, IV, 132) ci fu persino una possibilità di confronto culturale con due rari esempi di filosofi musulmani, Averroè e il suo precursore Avicenna, che poterono incontrare e commentare il pensiero di Aristotele (e per questo tenuti in considerazione appunto anche da S. Tommaso d’Aquino). Purtroppo furono casi più unici che rari, in quanto la religione musulmana aborrisce l’approfondimento razionale in quanto considerata rivelazione assoluta e indiscutibile di Dio stesso a Maometto (persino se fosse irrazionale), a tal punto da rigettare inizialmente persino traduzioni dall’arabo in altre lingue.
Comunque, con tutto il nostro vantato progresso, dialogo e interculturalità (più detti che attuati, tanto meno da parte musulmana), ci sogniamo oggi quei rapporti culturali e quelle sintesi raggiunti nel Medioevo, tanto era feconda allora la fiducia nella ragione e nella capacità di confronto culturale che essa permette.
Inoltre, proprio nell’idea della natura come “creazione”, cioè come opera intelligente del Creatore (Logos) e nella fiducia accordata alla ragione, supremo dono naturale dato da Dio all’uomo, che lo eleva al di sopra di tutte le creature terrene e lo rende perfino capace di Dio (“capax Dei”; così inizia significativamente anche il Catechismo della Chiesa Cattolica vedi) ma anche di investigare quella sapienza che il creatore ha inscritto in tutte le cose, ha fornito anche la base culturale, assente in tutte le altre civiltà, per il sorgere stesso della scienza, anche di quella sperimentale, non a caso infatti nata nell’area culturale cattolica (inizialmente specie proprio in Italia e comunque in Europa).
Il rapporto tra fede cristiana e ragione si manifesta in modo elevato ovviamente nella teologia, che è proprio una articolata riflessione razionale su ciò che Cristo (Dio fatto uomo) ci ha rivelato. Gesù è la Verità suprema e dona la risposta anche alla domande più decisive che l’uomo si pone, specie sul senso della sua vita. Però questo ha permesso sempre un fecondo rapporto tra teologia e filosofia (che indaga appunto sui perché, le cause e i fini, più profondi). Non solo, ma anche ogni ramo del sapere, pur autonomo all’interno del proprio ambito di ricerca, inerisce con le grandi questioni dell’uomo e con la visione stessa della realtà intera; e per questo entra in contatto con la fede cristiana. Non a caso proprio il cristianesimo ha costituito appunto l’ambito culturale da cui è nata non a caso anche la scienza moderna (vedi documento su Galileo, domanda 1).
2) Il monachesimo
Seconda parte
Un ruolo del tutto particolare nell’evangelizzazione dell’Europa, nell’armonizzazione ed elevazione delle diverse etnie e culture che costituivano il continente europeo (compresi popoli “barbari”) con l’assoluta novità cristiana (Incarnazione di Dio e Redenzione dell’uomo), nell’unità di popoli tanto diversi nell’unica famiglia cristiana, nella costruzione dell’Europa e nella costituzione della civiltà occidentale, così come nella trasmissione del patrimonio culturale dell’antichità greca e latina, è rappresentato dal monachesimo.
Non a caso S. Benedetto da Norcia (480-547 vedi catechesi di Benedetto XVI) – il padre del monachesimo occidentale, la cui Regola, pur personalmente non essendosi mai spostato da Montecassino, s’è diffusa nella fondazione di innumerevoli monasteri, nati e moltiplicatesi in tutta Europa, costituendo per così dire il tessuto connettivo specie della parte occidentale del continente – è il principale “Patrono d’Europa” (proclamato tale da Paolo VI il 24.10.1964 leggi) (leggi la riflessione tenuta da Benedetto XVI a Montecassino il 24.05.2009).
Il monachesimo – monaco significa “da solo” – è presente persino in altre spiritualità e religioni, ma con caratteristiche teologiche e pratiche assai diverse dal monachesimo cristiano, ovviamente tutto centrato su Cristo e sulla Sua divina Rivelazione.
All’inizio, specie in Egitto, già fiorente di comunità cristiane (saranno detti cristiani “copti”, tuttora presenti anche se in numero ridotto e spesso avversati dai musulmani), il monachesimo assunse caratteristiche “anacoretiche” , cioè eremitiche (i famosi “monaci del deserto”, di cui conserviamo alcuni detti; il più noto è S. Antonio abate).
Poi (ma già dal IV sec. e specialmente in Cappadocia, oggi Turchia) nacque un monachesimo cristiano più “cenobitico”, cioè comunitario (detto anche “basiliano”, dal grande Padre S. Basilio, vedi): si trattava di monaci che, pur nella solitudine e nella preghiera personale, condividevano anche una vita comunitaria con i monaci vicini.
Il monachesimo occidentale, che ha appunto in S. Benedetto da Norcia il Padre fondatore, rimasto punto di riferimento nel corso della storia, ha un aspetto ancor più cenobitico, appunto comunitario e con il costituirsi di “monasteri” dove poter condividere pienamente la propria vocazione monastica, in povertà, castità e obbedienza, nella vita comune e nell’assoluta obbedienza alla Regola.
Accanto al ramo maschile dell’ordine benedettino, nacque subito anche quello femminile: la stessa sorella di S. Benedetto, S. Scolastica, seguì il carisma del fratello e fondò non lontano da lui un primo monastero con alcune altre vergini consacrate, seguendone le stessa Regola.
Potrebbe sembrare strano che uomini e donne che si ritiravano dal mondo, per vivere in preghiera, silenzio e solitudine e in comunità monastiche (monasteri di clausura), per dedicarsi totalmente a Dio e alla sua lode, possano avere avuto una tale fecondità spirituale ed una incidenza sociale talmente grande e profonda da costituire appunto una pietra miliare per la formazione dell’intera civiltà europea ed occidentale. Invece è stato storicamente proprio così!
Perché l’anima che appartiene totalmente a Cristo (come avviene nei Santi) viene talmente rinnovata da divenire capace di una visione nuova della vita e di tutte le cose, di una novità di vita che sorprende e nello stesso tempo attira; per questo diventa prima o poi un punto di riferimento anche per altri; e spesso crea comunità capaci di divenire col tempo persino costruttrici di un’intera nuova civiltà. Com’è stato appunto col monachesimo occidentale.
All’apice del suo splendore (XI sec.), l’Ordine benedettino contava infatti in Europa ben 37.000 monasteri!
La più grande comunità monastica benedettina fu quella di Cluny (in Borgogna, F). Fondato nel X sec., già un secolo dopo il monastero godeva della presenza di quasi 1000 monaci (!), il più grande della storia, la cui abbazia fu superata poi per grandezza solo dalla costruzione della nuova basilica di S. Pietro in Vaticano. La Rivoluzione francese, che abolì gli ordini religiosi ed incamerò tutti i beni della Chiesa, rase praticamente al suolo l’immensa abbazia (ne rimase solo il transetto sinistro, i cui ruderi sono tuttora visibili) e i locali attigui al monastero furono sarcasticamente adibiti a stalle per i cavalli della Repubblica (tuttora ci sono le stalle dei cavalli di razza dello Stato)!
I monasteri benedettini erano talmente il punto di riferimento e il centro propulsore della vita cristiana, che all’inizio del XIV sec. avevano tra l’altro già dato alla Chiesa 24 Papi, 200 cardinali, 7.000 arcivescovi, 15.000 vescovi e 1.500 santi canonizzati. Avevano poi deciso di vivere in monastero i rimanenti anni della loro vita terrena ben 20 imperatori e 10 imperatrici, 47 re e 5 regine!
Dall’albero benedettino nacquero nel corso dei secoli, ma quasi tutti durante il Medioevo, molteplici rami della famiglia monastica, ordini tuttora esistenti e talora anche molto fecondi. Molti di questi, fondati da Santi, nacquero in Francia e presero il nome dal primo monastero del nuovo (o riformato) Ordine: dai Cluniacensi (appunto da Cluny) ai Cistercensi (da Cistercium/Citeaux), dai Certosini (da Chartreuse) fino ai più recenti Trappisti (da La Trappe).
Se ci limitassimo solo ai Cistercensi, potremmo osservare che, nati solo nel 1098 (appunto a Citeaux), dopo neppure un secolo contavano in tutta Europa già 742 monasteri! Di particolare rilievo, com’è noto, fu la figura del grande abate San Bernardo (1090-1153, vedi catechesi di Benedetto XVI): dopo il primo monastero (Clairvaux/Chiaravalle; è infatti detto S. Bernardo di Chiaravalle) fondò decine e decine di monasteri in tutta Europa (compreso il Chiaravalle alla periferia sud-est di Milano ed il Chiaravalle “della Colomba” a Fiorenzuola d’Arda, PC, tuttora monasteri “vivi”, cioè con una comunità monastica). Personalità certamente di grande carisma, santità e cultura, Bernardo fu non solo abate e fondatore di numerosissimi monasteri, ma insigne ed attraente predicatore: oltre ad attirare dietro a se fratelli ed emici, pare che laddove andasse a predicare i genitori temevano che i propri figli maschi lo andassero ad ascoltare, perché spesso poi lo seguivano anch’essi nella vita monastica! S. Bernardo, trascinatore di folle, predicò pure, a nome del Papa, la 2^ Crociata (vedi). Considerato uno dei principali teologi medievali e cronologicamente l’ultimo dei “Padri della Chiesa”, S. Bernardo fu pure il cantore sublime della B. V. Maria: a lui dobbiamo pure celebri preghiere; e non a caso Dante (nel Canto XXXI del Paradiso), affida a lui il compito di accompagnarlo nell’ultimo tratto del cammino al vertice della contemplazione divina e di presentare Maria Santissima, con le celebri lodi “Vergine madre, figlia del tuo Figlio…” (vedi)!
La vita monastica
La preghiera
Forse molti sanno che il motto principale della Regola benedettina è Ora et labora (prega e lavora). Effettivamente la giornata del monaco ruota armoniosamente attorno ad un terzo del tempo dedicato alla preghiera, quasi un terzo dedicato al lavoro (secondo le diverse mansioni all’interno della comunità monastica) e il rimanente al riposo notturno, ai pasti ed a qualche breve pausa o ricreazione.
Tutto ruota attorno alla lode di Dio (Santissima Trinità) e compiuto per la Sua gloria!
La priorità è ovviamente data alla preghiera, cioè al rapporto con Dio, come dimensione costante della vita e della giornata.
La preghiera liturgica (specie la Liturgia della ore* e la S. Messa) ha però nel monachesimo un rilievo fondamentale e ritma la giornata della comunità monastica.
* Si tratta delle 7 “Ore liturgiche”: Notturno (detto anche Vigilie o Ufficio delle Letture), Lodi, Terza, Sesta, Nona, Vespri e Compieta.
Ciò ha generato pure ambienti liturgici (storiche abbazie) di straordinaria bellezza, armonia e sacralità (pur secondo le diverse sensibilità: ad esempio quella “cistercense” lascia l’interno dell’abbazia più essenziale e spoglio, anche se sempre di stupefacente bellezza; altre abbazie sono invece impreziosite di quadri, affreschi, statue e perfino vetrate di struggente bellezza). Inoltre la preghiera liturgica ha saputo creare pure melodie tali da costituire addirittura il fondamento stesso della storia della musica, soprattutto col canto gregoriano.
Circa l’importanza del monachesimo nella storia della musica si pensi al ruolo assolutamente da protagonista che nella liturgia ha rivestito appunto il canto “gregoriano” (nome derivante dal santo Papa Gregorio Magno, già monaco benedettino, vedi), per tutto il Medioevo e in fondo fino a pochi decenni orsono [si sappia comunque che, nonostante il suo drastico e repentino abbandono da parte di quasi tutte le comunità cristiane nel dopo-Concilio, il canto gregoriano fu in realtà caldamente incoraggiato dal Concilio Vaticano II (vedi SC, 116) come “canto liturgico privilegiato”!]. Esso tra l’altro ha costituito nel Medioevo un aspetto plurisecolare e decisivo nella stessa “storia della musica”, oltre a divenire la base stessa della prima polifonia e degli sviluppi successivi della musica sacra e religiosa (impossibile peraltro censurare l’enorme incidenza che la fede cristiana ha rappresentato in tutta la storia della musica!). Circa l’importanza del monachesimo e del canto gregoriano nella storia della musica, si ricordi ad esempio che persino il nome stesso delle note musicali deriva dalle prime sillabe dell’inno gregoriano dei Primi Vespri di S. Giovanni, che salivano di un tono ogni riga (vedi; “ut” fu poi detto “do”, così come si aggiunse in seguito il “si”), secondo l’intuizione del monaco medievale Guido d’Arezzo (vedi).
Se sono molti i monasteri che utilizzano ancor oggi integralmente il canto gregoriano (si vedano e si ascoltino ad esempio i monasteri francesi citati al termine di questo capitolo sul monachesimo, comunità peraltro assai ricche di vocazioni, anche maschili), si dovrebbe sapere quanto esso sia apprezzato dagli stessi cultori (persino non cristiani) della storia della musica e quanto il “gregoriano” sia richiesto ed amato anche su cd, video e internet.
La meditazione e la lettura
La vera spiritualità cristiana, se è alimentata necessariamente da una intensa vita di preghiera e dalla “grazia” proveniente dai Sacramenti (Confessione frequente ed Eucaristia possibilmente quotidiana o comunque domenicale, adorata, celebrata e, se si è ‘in grazia di Dio’, ricevuta), non può fare a meno non solo della conoscenza della Sacra Scrittura ma della lettura e meditazione di autentici testi che l’immenso patrimonio della bimillenaria spiritualità cristiana ci offre.
Quando ciò non era ancora possibile a causa dell’analfabetismo, il compito era affidato alla predicazione, ma anche alla stessa arte, specie pittorica, considerata non a caso Biblia pauperum (la Bibbia dei poveri), una sorta di Sacra Scrittura per immagini, che anche gli analfabeti ed i più poveri potevano avere gratuitamente a disposizione anche solo entrando in una cattedrale e contemplandone gli affreschi, le pitture e le vetrate; un patrimonio artistico di straordinario valore, offerto gratuitamente alla fruizione di tutti!
Evidentemente soprattutto la vita spirituale dei monaci ruota non solo attorno alla preghiera, ma anche alla meditazione.
Oltre alla personale meditazione prolungata (Lectio) della Sacra Scrittura, una grande importanza è infatti data nel monastero anche allo studio della Teologia e dei testi dei grandi maestri della spiritualità e scritti di grandi santi; per poi allargarsi pure al più alto patrimonio letterario e culturale proveniente dalla storia (veniva detto che “senza libri e senza studio anche la vita del monaco impoverisce e si svuota”).
Le Biblioteche
Da qui nasce anche l’importanza data nei monasteri alla biblioteca, di cui in genere ogni monastero era provvisto e che in molti casi ha rappresentato (e talora ancora rappresenta) un patrimonio culturale di straordinario spessore e valore. Ogni abate/badessa aveva ben a cuore che il proprio monastero fosse dotato di una fornita e qualificata biblioteca, possibilmente da arricchire continuamente, cercando di ottenere ovunque testi di grande valore spirituale e culturale.
In riferimento al valore dato dal monachesimo ai libri, tenendo presente che in Occidente fino al XV secolo non esisteva la stampa (e ricordiamo che il primo testo stampato, da Gutenberg nel 1455, fu significativamente la Bibbia, che peraltro tuttora è il testo più stampato del mondo!) è sorta anche quella che forse è l’attività più nota dei monaci medievali: l’arte amanuense, cioè la copiatura dei testi. Si trattava di un immenso e faticoso lavoro (vista la precisione con cui veniva svolto, tanto che certi manoscritti costituiscono essi stessi un valore artistico di straordinario valore, basti pensare a certe miniature), che se all’inizio si occupò soprattutto di testi biblici, dei Padri della Chiesa e di autori di spiritualità cristiana (tuttora infatti sono i più diffusi testi medievali di cui siamo in possesso, e quindi di minor valore economico in quanto appunto assai numerosi), ben presto raggiunse tutto il patrimonio della letteratura classica greca e latina (e persino mediorientale), che tra l’altro, con le incursioni barbariche e la caduta di tutte le istituzioni dell’Impero Romano, sarebbe altrimenti andato irrimediabilmente perduto!
“L’ammirazione che la civiltà occidentale nutre per la parola scritta e per i classici viene dalla Chiesa Cattolica, che durante le invasioni barbariche preservò l’una e gli altri” (Woods, op. cit., p. 51).
Così i monasteri divennero non solo centri fondamentali e imprescindibili di spiritualità, ma anche di cultura; e con un orizzonte culturale che spaziava sempre più su tutto lo scibile allora a disposizione.
Ecco perché ben presto attorno ai monasteri non solo si coagulò la stessa società – talora basterebbe osservare la topografia di certi centri medievali per accorgersi che tutto, anche geometricamente, ruotava attorno al monastero (oltre al fatto che, crescendo di proporzioni e di possedimenti, come vedremo, i monasteri divennero anche dispensatori di lavoro per la necessaria collaborazione di molti laici) – ma si formarono veri e propri centri culturali, nel senso proprio di cultura accademica, che assumevano via via una qualità ed un’importanza sempre più insigni ed incidenti sulla stessa vita sociale.
Le scuole
Fu così che nei monasteri, come sarà poi attorno alle cattedrali, sorsero delle scuole, anche di notevole importanza (già lo stesso Carlo Magno le incoraggiava).
Nelle scuole dei monasteri poterono poi accedere anche i giovani laici, non solo per ottenere, guidati dai monaci docenti, una prima più completa formazione umana, spirituale e culturale, ma per poter accedere anche ad una formazione superiore nelle diverse discipline, non solo umanistiche e nel campo della giurisprudenza, ma persino in riferimento pure alle loro future competenze e professioni tecniche. Vi si studiavano infatti molte discipline; e persino molte lingue (oltre ovviamente il latino*, la lingua colta comune per tutta l’Europa e quella propria della Chiesa, anche il greco e in certi casi pure l’ebraico e talora persino l’arabo).
* Si ricordi che la lingua latina, oltre ad essere quella propria della Chiesa cattolica e della liturgia, permetteva nel Medioevo di comunicare, a livello non solo ecclesiale ma culturale, in tutta Europa e persino di assistere o tenere lezioni in tutte le scuole e università del continente.
[Tra l’altro si deve proprio al latino medievale, per merito della Chiesa, l’uso della minuscola (carolina) e la spaziatura tra le parole].
Oltre alla teologia e alla filosofia, nei monasteri si poteva imparare anche l’arte (pittura, scultura, incisione) e persino la medicina e la farmacia. Immense e fornite farmacie sorgevano spesso accanto ai monasteri, come nel monastero di Camaldoli, dove l’arte speziale è conosciuta fin dal 1331 e dove sorge tuttora un’importante storica farmacia (come ricorderemo anche in seguito).
Era un onore e un sentito desiderio poter mandare i propri figli a studiare dai monaci. Già S. Benedetto aveva insegnato ai figli dei nobili romani. San Bonifacio (evangelizzatore e patrono dei popoli germanici, vedi) stabilì una scuola in ogni monastero da lui fondato in Germania. Così S. Agostino di Canterbury (inizi VII sec.; monaco, evangelizzatore degli Anglo-Sassoni e primo vescovo di Canterbury) e i suoi monaci aprirono in Inghilterra scuole ovunque si recassero e fondassero comunità cristiane.
Tuttora molti monasteri in Europa posseggono rinomate e ricercate scuole (aperte a studenti laici).
Molte di queste importanti scuole medievali, sorte attorno ai monasteri e più ancora presso le cattedrali, diverranno, come poi ancora vedremo, le prime celebri università della storia!
Il lavoro
Abbiamo già ricordato come la Regola benedettina, di straordinario equilibrio umano e cristiano, riservi grande importanza al lavoro (appunto: “ora et labora”).
Ciò non è motivato solo dalla necessità economica (i monasteri si mantengono in genere con la propria attività e la vendita dei propri prodotti) o dall’importanza che tale fattore riveste nella vita umana, ma ha pure un importante fondamento teologico.
Ricordiamo come invece nell’antichità il lavoro (detto infatti “servile”) venisse in genere avvertito come una triste necessità delle classe più povere, mentre le classi più elevate e benestanti potevano permettersi un fecondo otium, cioè un tempo che può offrire certo molteplici opportunità di fare letture o svolgere attività in grado di innalzare non solo la propria cultura e ma anche la propria spiritualità, però può pure degenerare nella proverbiale “fonte di tutti i vizi” (come spesso accade e come infatti successe anche per le classi più elevate della ricca Roma imperiale).
La novità cristiana anche circa il lavoro è dato dal significato teologico che esso assume, in riferimento alla Creazione e alla Redenzione.
Se già nell’Antico Testamento biblico tutta la Creazione (quindi anche la realtà materiale) era “cosa buona” in quanto opera di Dio (cfr. Gn 1), che chiama l’uomo ad esserne il signore e amministratore e col suo lavoro a collaborare col Creatore stesso (mentre la “fatica” del lavoro ed una certa “resistenza” della natura stessa sono invece una conseguenza del “peccato originale”, cfr. Gn 3), nel mistero dell’Incarnazione e nella vita stessa di Gesù si rivela un dato nuovo e di straordinario valore, in quanto Egli, prima di iniziare la Sua breve missione pubblica, pur essendo Figlio di Dio (!), per quasi 20 anni ha voluto lavorare come falegname a Nazaret, insieme a S. Giuseppe, che gli ha fatto da padre e maestro anche in questo.
Inoltre, nella stessa fatica del lavoro (come pure in ogni sofferenza fisica, psicologica o morale) l’uomo può associarsi alla Croce stessa di Gesù, quindi al suo infinito valore salvifico e redentivo (vedi e vedi in Giovanni Paolo II).
Per questo, nella fede e vita cristiana, una decisa dedizione a compiere bene il proprio lavoro, anche laddove non fosse visto ed apprezzato dagli altri e al di là del suo valore economico, rappresenta un vero esercizio di lode ed obbedienza a Dio e cooperazione (anche con l’offerta del sacrificio che comporta, se unito al mistero della Croce di Cristo) alla Sua opera di salvezza.
Non era quindi disdicevole ma anzi segno di vera dedizione a Dio, che il monaco passasse dalle ore di preghiera corale o personale (un terzo dell’intera giornata) alle quasi altrettante ore di lavoro, dedicate pure alla coltivazione dei campi, all’allevamento del bestiame, all’irrigazione e alla bonifica dei terreni, alle produzioni alimentari e di prestigiosi vini e nuove bevande, alle conciature di pelli, dai più umili servizi ai più raffinati lavori artistici (oltre alla faticosa e meticolosa copiatura di testi, come ricordato).
Si veda in tal senso un flash, che riporteremo pure al termine di questa parte, sull’attuale comunità monastica maschile francese di Fontgombault, peraltro legata alla più antica tradizione benedettina ed assai ricca di vocazioni.
Ecco perché la Regola di S. Benedetto si fa così attenta anche al lavoro e persino al lavoro manuale (in genere invece denigrato nelle civiltà e religioni pagane).
Tra l’altro il monastero gode in genere di una propria autonomia economica, cioè vive di ciò che produce o vende; semmai c’è una condivisione fraterna tra i monasteri dello stesso ordine religioso.
Col tempo, come vedremo più sotto, alcuni monasteri, a motivo soprattutto di lasciti, donazioni ed eredità, divennero beneficiari pure di immense proprietà, che richiedevano l’aiuto anche dei laici, regolarmente ed equamente retribuiti o con proprietà date loro in locazione o addirittura gratuitamente, in base a contratti (in genere stabili o perfino vitalizi) che introdussero per questo anche grandi novità nella storia del diritto e dell’economia.
Inoltre, i numerosissimi monasteri che crescevano in modo talora davvero sorprendente in tutta Europa, erano tra loro collegati, specie quelli della stessa famiglia monastica. Tale comunione spirituale, teologica e liturgica, permetteva pure di mantenere una fattiva rete di rapporti, tale da garantire non solo una condivisione di beni, ma, oltre alla diffusione e al commercio di particolari prodotti monastici, rendeva possibile pure una straordinaria circolarità di esperienze anche sul piano tecnico e lavorativo (anche per l’agricoltura, per i talora geniali metodi di irrigazione, come per l’allevamento del bestiame, fino agli innovativi strumenti “meccanici” per la lavorazione dei prodotti), come pure la condivisione e diffusione delle varie scoperte ed invenzioni.
Si trattava della circolarità in tutta Europa di un immenso patrimonio non solo culturale ma di arti pratiche, che non aveva precedenti e che avrà un’incidenza enorme per la costruzione della civiltà europea.
“Questi monasteri furono le unità economicamente più efficaci mai esistite in Europa e forse nel mondo. Ovunque arrivassero, i monaci portavano innovazioni agricole, abilità tecniche e metodi di produzione che nessuno aveva mai visto prima”! (Woods, op. cit., p. 41)
Bonifiche di terreni
Persino oggigiorno si può talora osservare come la presenza di uno o più monasteri abbia storicamente permesso la bonifica di interi territori prima incolti, spesso paludosi e insani (1), l’irrigazione di interi territori (2), il disboscamento di selve inospitali o al contrario l’incremento di enormi foreste ben ordinate (3). Spesso i monaci arrivavano addirittura a costruire strade, edificare o riparare ponti, garantire i collegamenti tra i territori (c’è, tra gli storici contemporanei, chi riconosce che i monaci furono tra i principali artefici delle infrastrutture europee).
(1) “I Benedettini trasformarono ad esempio immensi territori inglesi da zone incolte e paludose a veri paradisi terrestri” [v. ad es. nella zona di Southampton (Woods, op. cit., pp. 38-39); si tenga presente che nel Medioevo i Benedettini giunsero a possedere 1/5 dell’intero territorio inglese! (presenza ovviamente distrutta e beni incamerati dalla riforma anglicana e dai sovrani da Enrico VIII in poi)]. Anche le terre della Beauce (in Normandia, F) furono fertilizzate dai monaci dell’Abbazia di Morigny. Persino la prima bonifica dell’Agro Pontino nel basso Lazio fu attuata dalle straordinarie abbazie di Fossanova (dove peraltro morì S. Tommaso d’Aquino) e di Valvisciolo [l’Agro Pontino fu poi ancora bonificato dai Papi Sisto V (nel XVI sec.) e Pio VI (alla fine del XVIII sec.) e infine dalla grande opera di bonifica attuata dal fascismo]
(2) L’immensa rete di irrigazione della Lombardia, che ne ha fatto uno dei territori più fertili e ricchi d’Europa, e dell’intera Val Padana, trova le proprie origini già nell’opera dei monaci: dalle già citate abbazie fondate dallo stesso S. Bernardo [Chiaravalle (MI) e Chiaravalle della Colomba (PC)], alle altre sorte ancora attorno a Milano (Viboldone, Morimondo e Mirasole), e poi quelle disseminate in tutta la Pianura Padana, come Polirone (MN), S. Nicola (BS), per non parlare di quella “imperiale” (da Carlo Magno) di Nonantola (MO), fino alla celebre abbazia di Pomposa (FE), già presso l’Adriatico (tanto per citarne solo alcune).
(3) Un esempio sublime di incremento monacale del patrimonio forestale, che ancor oggi possiamo constatare ad es. in Italia, è dato dal monastero di Camaldoli (AR, nell’Appennino tosco-romagnolo). Si trattava infatti (e si tratta ancora) di 1500 ettari di abeti, faggi, alberi di alto fusto! Tra l’altro proprio ai monaci camaldolesi si deve la stesura del primo Codice forestale italiano.
Per questa insopprimibile imponenza di tale patrimonio forestale, mentre dove arrivava la risorgimentale cosiddetta “unità d’Italia” non si faceva scrupolo, nella soppressione degli Ordini religiosi e relativo incameramento di tutti i loro beni, di operare anche ingenti disboscamenti (oggi si griderebbe allo scandalo ecologico!), l’immensa foresta dei monaci di Camaldoli fu eccezionalmente risparmiata (cfr. V. Messori, Pensare la storia, 1992, pp. 227-228).
Agricoltura e allevamenti
Furono i monaci medievali a salvare e incrementare l’agricoltura dell’intero continente (Woods, op. cit., 40). A loro si deve l’incremento della frutticoltura (“furono i Benedettini a trasformare la Germania in una terra fruttifera”) (ibidem).
“Furono i Benedettini a salvare l’agricoltura; a loro dobbiamo la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa” [F. Agnoli, Scienziati, dunque credenti (come la Bibbia e la Chiesa hanno creato la scienza sperimentale), Siena 2012, p. 25]
Da questa esperienza secolare nasce, e si nota ancor oggi, la produzione di particolari e prelibate confetture e marmellate, come anche una particolare attenzione alle erbe, non solo per la produzione di prodotti gastronomici e persino cosmetici, ma addirittura a livello terapeutico, così che i monaci furono anche pionieri nel campo della farmacia (anche in questo la comunità monastica di Camaldoli occupa un posto di particolare rilievo storico, su cui più sotto torneremo).
Ai monaci medievali si deve pure uno straordinario incremento della tecnologia agraria.
Dai monasteri medievali nasce ad esempio la produzione e il commercio del grano in Svezia, del celebre formaggio padano (grana padano) e di Parma (parmigiano-reggiano), come del suo rinomato prosciutto. A loro si deve in Europa l’invenzione e la produzione della birra*, nei suoi diversi e rinomati tipi. I monaci medievali manifestarono poi una particolare attenzione e perizia nella coltivazione delle vigne e nella preparazione di diverse tipologie di vini, che talora rimangono nei secoli come famosi e pregiati** (visto tra l’altro che l’equilibrio umano e cristiano della Regola benedettina consentiva l’uso del vino non solamente per la S. Messa, com’è ovvio, ma anche per la mensa dei monaci, oltre che appunto per la vendita).
* Furono i benedettini fiamminghi ad inventare già alla fine del X sec. la “birra” (cervesia lupulina, diversa dalla cervogia che non era ancora chiarificata e col luppolo)
** Ad un monaco benedettino dell’abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna, poco a sud di Reims (F), un certo Dom Perignon (nome che evoca certo ancor oggi qualcosa… e non solo tra i migliori intenditori di vini!), si dovrà ad esempio, sia pur a Medioevo terminato (1688), la scoperta dello champagne, ottenuto non solo dalla meticolosa mescolanza di particolari vini, ma dal particolare metodo da lui usato per la fermentazione e produzione del celebre spumante (come lo chiamiamo noi italiani) (Woods, op. cit., p. 40).
Inutile ricordare come tutto ciò sarebbe invece impossibile e proibito nella religione e cultura islamica! Non a caso, quando l’Islam invase tutta la costa mediterranea dell’Africa, che i cristiani avevano già un poco fertilizzato impiantando le vigne, il deserto riprese subito il sopravvento.
I monaci furono anche innovativi e maestri negli allevamenti degli animali. Seppero persino ottenere miglioramenti nelle razze bovine ed equine, mediante incroci sottratti alla pura casualità ma in base a determinati criteri di riproduzione. A loro, com’è noto ancor oggi, si deve poi una grande attenzione all’apicoltura e alla produzione di diversi tipi di miele. Ai monaci risalgono pure i primi vivai di salmone, in Irlanda.
Altri esempi, tra gli innumerevoli possibili (v. Francesco Agnoli, op. cit., pp. 24-25):
Il più antico (1144) regolamento forestale al mondo fu quello dell’Abbazia di Marmoutier, nei pressi di Strasburgo. La prima serra sperimentale fu attuata nel monastero austriaco di Doberland nel 1273. Furono i Benedettini ad introdurre in Veneto il gelso e il baco da seta. A Parigi i Certosini riuscirono a fare un vivaio con 88 specie di pere. I cistercensi trasportarono in Inghilterra il melo (e tecniche per fare la sicera).
Anche la nota ed eccellente produzione della lana in Inghilterra (tuttora, però più in Scozia) deriva dai monaci: le grandi abbazie cistercensi di Fountains e Rievaulx (a nord di York; saccheggiate poi dagli anglicani) riuscivano a produrre 10-13 tonnellate annue di lana (ma talora anche il doppio). I monaci di Einsiedeln (tuttora la più grande e viva abbazia benedettina del centro Europa, in Svizzera) allevavano cavalli prestigiosi (tuttora noti). Il celebre monastero di Bobbio (fondato nel 614 dal monaco irlandese S. Colombano nell’Appennino piacentino) aveva un allevamento di 5000 maiali.
Sviluppo della tecnica
I monaci, nella loro religiosa attenzione al lavoro anche manuale, seppero sviluppare anche nuovi mezzi “tecnici” di straordinaria efficacia; e, come abbiamo ricordato, le scoperte di un monastero passavano poi rapidamente agli altri monasteri, con una rete europea di conoscenze reciproche da far invidia, nonostante i mezzi di allora, allo sviluppo industriale della modernità.
“Il Medioevo introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora sconosciuta anche ad altre civiltà”. Nell’antichità era pressoché assente questo uso tecnologico industriale (Woods, op. cit., p. 43).
Nacque dal monachesimo medievale il primo ingente sviluppo della metallurgia, l’escavazione del marmo, la produzione del ferro, del piombo, del gesso, del vetro e la fabbrica di piastrelle di metallo.
I monaci cistercensi manifestarono una particolare abilità metallurgica, nella produzione del ferro (e le scorie delle fornaci venivano usate come fertilizzante), esprimendo una grande esperienza nell’uso, persino artistico, del ferro battuto.
Se, come abbiamo sopra ricordato, i monaci furono pionieri e maestri nell’uso della tecnologia in agricoltura, una particolare genialità fu da loro espressa, nei monasteri medievali, nell’utilizzo dell’energia idrica, non solo per bonificare immensi territori, trasformandoli spesso da malsani acquitrini e paludi in fertili pianure, come pure per conservare immense riserve d’acqua in vista di periodi di siccità, ma proprio per un utilizzo geniale della forza dell’acqua canalizzata (in certi monasteri medievali lo si può osservare ancor oggi, con grande stupore).
La canalizzazione dell’acqua e la sua forza (energia idraulica) veniva più volte utilizzata, nello stesso corso d’acqua, non solo per irrigare i campi o per muovere le pale dei numerosi mulini attigui al monastero, ma spesso per i molteplici usi all’interno stesso del monastero, permettendo così non solo un utilizzo dell’acqua per lavarsi, dissetarsi e per cucinare, ma per lavare e follare i panni e persino per muovere macchine atte a cucire, per conciare pelli, oltre che per macinare frumento e sale, setacciare la farina, fare il pane e persino la birra.
E proprio perché nessuna forma di sapere, anche sul piano tecnico, veniva trascurata ….
I monaci medievali furono persino abili orologiai. Il primo orologio di cui abbiamo notizia fu costruito da un monaco (futuro Papa Silvestro II) a Magdeburgo nel 996. Orologi molto più sofisticati furono costruiti in seguito sempre dai monaci. Nel ‘300 Peter Loghtfoot, un monaco di Glastonbury (uno dei primi monasteri dell’Inghilterra meridionale), costruì uno degli orologi più antichi ancora esistenti (conservato al Museo della Scienza di Londra).
L’abate di Saint Albans (poco a nord di Londra) Riccardo di Wallingford (XIV sec.), oltre ad essere uno degli iniziatori della trigonometria occidentale, costruì il grande orologio astronomico del suo monastero: niente di così preciso fu visto per altri due secoli (registrava anche le eclissi lunari); andò distrutto nella furia delle confische della persecuzione anticattolica già attuata da Enrico VIII.
Per completare il quadro, tanto ricco quanto variegato, attorno al 1000 ci fu addirittura un monaco (Eilmer) che fu il primo uomo a volare per più di m. 180 con una specie di aliante (impresa ben ricordata nei 3 secoli seguenti).
Proprietà
I numerosissimi monasteri medievali, che costituirono, insieme a tutte le aggregazioni e strutture della Chiesa Cattolica, uno degli elementi più decisivi per la formazione della civiltà e unità del continente europeo, erano vere e proprie oasi e fari di vita nuova, centri imprescindibili di vita spirituale, culturale e sociale.
I regnanti, dagli imperatori (a cominciare da Carlo Magno) ai sovrani locali, oltre che per fede (alcuni di loro, abbiamo osservato, si ritirarono persino nei monasteri per vivere nella preghiera gli ultimi anni o decenni della propria vita), desideravano e promuovevano i monasteri come garanzia dell’autentica cultura, identità e unità dei loro popoli, come dell’intera Europa. Provvedevano per questo a fornirli talora di risorse e proprietà. Molti però non tardarono in seguito a voler esercitare la propria supremazia all’interno stesso della vita dei monasteri, come delle diocesi e perfino del papato (pretesa cui la Chiesa, come doveroso, si oppose strenuamente), fino a scatenare tra il XII e XIII sec. la cosiddetta “lotta per le investiture”.
Soprattutto il popolo stesso sentiva il monastero come il “punto di riferimento” per la propria vita personale, familiare e sociale; tanto più che dopo il crollo dell’Impero romano, come abbiamo osservato, mancava una struttura sociale in grado di coagulare e gestire la vita pubblica. Per questo amava non solo frequentarli, come spesso ancor oggi accade laddove c’è una sorgente di vera fede e santità cristiana, ma spesso donava ai monaci anche le loro povere cose (come l’evangelico obolo della vedova, tanto apprezzato da Gesù, cfr. Mc 12,41-44), oltre a lasciarli talora eredi delle loro proprietà.
Anche se, come abbiamo già ricordato, i monasteri erano economicamente autonomi (vivevano di ciò che producevano o ricevevano), la sobrietà della vita monastica faceva sì che anche alla mensa, oltre ai periodi di rinunce e digiuni (dette “quaresime”), si garantisse soprattutto un piatto unico. Al resto pensava semmai la generosità del popolo (da cui la parola pietanza, dalla parola “pietà”, termine ancor oggi in uso per indicare la seconda portata del pranzo).
Se dunque il singolo monaco vive i “voti” di povertà, castità e obbedienza, i monasteri nella storia sono divenuti talora proprietari anche di immensi territori, a motivo appunto di generose donazioni, lasciti, eredità, tanto da parte di singole persone e famiglie (ciò avveniva anche per le parrocchie e talora ancora avviene), come segno di gratitudine per le loro incessanti preghiere elevate a Dio per il bene di tutti e in suffragio delle stesse anime del Purgatorio, ma soprattutto da parte dei sovrani (imperatori, re, principi), per grata carità e a sostegno dell’immensa opera dei monaci, così fondamentale per la promozione della formazione e unità dei popoli, dell’intero continente e della stessa civiltà occidentale.
Ciò talora non solo è venuto a scapito dell’indipendenza e autonomia dei monasteri stessi, come abbiamo ricordato, ma ha influito negativamente sull’autenticità e limpidezza della stessa vita monastica.
A motivo appunto della crescita talora enorme di tali possedimenti monastici, si rendeva spesso necessario, come abbiamo già osservato, l’intervento ed il lavoro anche di numerosi fedeli laici. Però ciò veniva attuato con regole eque, chiare e persino innovative sul piano giuridico (come osservano molti storici e giuristi). Si trattava di regolari contratti, equi e stabili, talora addirittura vitalizi, con possibilità di godere di abitazioni in loco, a titolo gratuito o con ridotte compensazioni, così come la possibilità di trattenere percentuali anche notevoli del raccolto.
Anche questo spiega perché attorno ai monasteri ruotavano (talora lo si può osservare ancor oggi) abitazioni e attività legate al lavoro e alla vita del monastero stesso, divenuto per questo un centro vitale della stessa società medievale.
Carità
Se il monastero godeva pure della carità del popolo di Dio, a sua volta era dispensatore non solo di lavoro, ma anche di attenta e solerte carità. Si provvedeva ad esempio a distribuire gratuitamente pasti e vivande ai poveri (come è sempre stato ed ancor oggi è nella tradizione della Chiesa cattolica, basti pensare all’uso ancor oggi presente in certi conventi, parrocchie o alle mense Caritas).
Ogni bisognoso, locale o di passaggio, sapeva che poteva trovare nel monastero un pasto, laute elemosine e persino gratuita ospitalità.
Forse è noto che, secondo la Regola di S. Benedetto, l’ospite o il pellegrino di passaggio doveva essere considerato come un segno di Cristo stesso (“Tutti gli ospiti devono essere ricevuti come fosse Cristo stesso”, veniva detto; del resto lo indica Gesù stesso, cfr. Mt 25, 35.38) e la loro accoglienza (vitto e alloggio) era onorata ed offerta a titolo gratuito (o, semmai, con libera offerta).
Tale ospitalità monastica è in genere praticata ancor oggi. Per questo i monasteri di clausura sono in genere dotati di un’essenziale ma confortevole “foresteria”, dove poter ospitare (normalmente gratuitamente o con libera offerta) familiari, pellegrini e chiunque desideri condividere per qualche giorno l’esperienza della vita del monastero o fruire di momenti di pace, di preghiera o di ritiro spirituale.
Questa ospitalità del pellegrino, come del povero, era tra l’altro d’uso fino a non molto tempo fa anche tra il popolo (talora lo si vede ancora in certe terre o in certi percorsi di storici pellegrinaggi).
I monasteri provvedevano in genere, laddove necessario, anche alle prime cure mediche dei pellegrini, ospiti e vicini. Costituirono per questo anche attente infermerie, oltre ad essere riforniti e fornitori di importanti e storiche farmacie (abbiamo già visto il celebre caso della farmacia del monastero di Camaldoli vedi).
“I monasteri divennero punti di riferimento anche per le cure mediche, non disponibili altrove in Europa dopo il crollo dell’Impero Romano”. Del resto, nel patrimonio delle fornitissime biblioteche dei monasteri, “non mancava la raccolta sistematica anche di tutta la produzione antica e contemporanea della dottrina medica” (Woods, op. cit.).
Vedremo poi come da questa attenzione (ospitalità) nasce l’idea stessa di “ospedale” (appunto, da “ospitare”; in Francia addirittura “Hôtel-Dieu”, cioè “casa di Dio”*)! Appunto perché anche nell’ammalato, come nel pellegrino o comunque nel bisognoso, secondo la parola stessa di Gesù (cfr. Mt 25,31-46), si manifesta una Sua particolare presenza!
Ed anche questo rappresenta una grande novità cristiana, visto quanto l’ammalato, il povero o l’anziano non autosufficiente, comunque il bisognoso, venivano invece poco considerati se non esclusi dalle precedenti società e civiltà pagane.
* Fin dal VII secolo Hôtel-Dieu è il nome dato in Francia a strutture edilizie assistenziali situate in genere nei pressi delle cattedrali e posti alle dipendenze del vescovo. Inizialmente destinate quali alloggi per i pellegrini e viaggiatori, assunsero pian piano funzioni più generali di assistenza medica, fungendo dapprima come “ricovero” (si dice infatti ancor oggi così) per anziani e ammalati, per poi trasformarsi nel tempo in ospedali veri e propri (e lo Spirito santo farà rifiorire nella Chiesa Cattolica, specie dal XVI sec., veri e propri Ordini ospedalieri)!
L’Hôtel-Dieu di Parigi, ad esempio, fu fondato nel 651 da san Landerico, vescovo di Parigi: è il più antico ospedale della capitale francese e uno dei più antichi ancora in attività. Simbolo della carità e dell’ospitalità cristiana della città medievale, rimase il solo ospedale di Parigi fino al Rinascimento. Tuttora si trova di fronte alla cattedrale di Notre Dame, sull’Île de la Cité (isola della Senna, cuore storico della città), come grande e rinomato ospedale ed chiamato ancora Hôtel-Dieu.
Ecco perché le foresterie dei monasteri (la parte occupata dai monaci era ed è ovviamente invalicabile “clausura”) fungevano appunto anche da locande gratuite e offrivano un riposo sicuro per forestieri, pellegrini e poveri.
Molti monasteri erano pure attenti che, al sopraggiungere della notte (o nella nebbia), pellegrini e viandanti non rimanessero smarriti. Si provvedeva per questo a richiamarli ed orientarli anche con un’apposita campana (detta spesso “campana dei girovaghi”) e talora i monaci stessi, all’avvicinarsi della notte, soprattutto nelle corte giornate d’inverno, andavano attorno al monastero in cerca di eventuali dispersi, da ospitare.
Abbiamo in questo senso esempi celebri, persino nei monasteri sulle rive del mare, per richiamare sperduti e naufraghi. In tal caso i monasteri costieri svolgevano pure il servizio di orientamento per i naviganti, provvedendo di notte ad accendere fuochi (servizio che poi svolgeranno i “fari”) o appunto suonare campane (ancora più efficaci nelle zone di pericolose nebbie). Celebre è ad esempio il caso di Forfarshire (Scozia), dove una campana del monastero segnalava ai naviganti pericolosi scogli poco emergenti dall’acqua (tuttora chiamati per questo “gli scogli della campana”) (op. cit., p. 47).
Famoso, almeno in Italia, il caso del monaco ed eremita S. Venerio, che visse a cavallo tra il VI e VII sec. Dopo aver già vissuto nel monastero della ligure isola della Palmaria, si trasferì nell’attigua piccola isola del Tino, che delimita l’ingresso del profondo e incantevole Golfo della Spezia (che poi i Piemontesi e il Regno d’Italia trasformarono in gran parte in porto militare e mercantile), fondandovi un altro eremo-monastero. Ebbene, specie nelle notti senza luna, S. Venerio provvedeva ad accendere grandi fuochi che indicassero ai naviganti il luogo e quindi l’ingresso nel riparato golfo (punto tuttora segnalato da un potente faro). Non a caso, oltre ad essere Patrono del Golfo della Spezia, proprio per questo suo prezioso servizio, S. Venerio è stato proclamato anche “Patrono dei fanalisti d’Italia”.
Significativo in tal senso, anche se si tratta della grande città di Roma, il serale rintocco (tuttora ogni sera alle 21) del campanile di S. Maria Maggiore, che svetta sul colle più alto della città (Esquilino): tale campana è chiamata “la Sperduta”, in quanto serviva appunto da richiamo a coloro, specie i numerosissimi pellegrini che giungevano da tutta Europa al centro della cristianità, che si fossero sperduti fuori dalla città (tenendo presente che nel Medioevo le porte dei paesi e delle città venivano normalmente chiuse al tramonto); mancando poi ovviamente il rumore delle auto, il suono della campana poteva essere sentito anche da notevole distanza.
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A conclusione di questa parte dedicata al ruolo che il monachesimo medievale ha costituito per l’Europa e per la stessa civiltà occidentale (e di conseguenza mondiale), ricordiamo che, se certo i monasteri come lo sono stati per numero, qualità e incidenza sociale e culturale nel Medioevo sono purtroppo un sogno ormai da tempo tramontato, non dobbiamo credere – come forse molti studenti e giovani (e non solo) potrebbero pensare – a realtà relegate nei libri di storia (peraltro appunto censurata) o ridotte a materiale da “museo”, ma si tratta di realtà talora tuttora vive e che miracolosamente (è un segno dell’eterna giovinezza del Vangelo e della Chiesa!) in certi casi conoscono addirittura una nuova primavera, con un numero insospettato e davvero sorprendente anche di giovani monaci o monache.
Assai significativo è stato peraltro, qualche anno fa, il successo ottenuto dal film-documentario “Il grande silenzio” (Die grosse Stille, 2005)(vedi), girato da Philip Gröning nella Grande Chartreuse (ne ebbe il permesso, se avesse accettato, come fece, di abitarvi almeno 6 mesi), cioè nel celebre monastero (della più stretta clausura) fondato da San Bruno nell’XI sec. tra le montagne nei pressi di Grenoble (F), che fece da prototipo del nuovo ordine monastico e di tutti i monasteri che lo seguirono e che da questo prendono il nome (appunto, le “Certose”). Le Certose erano diffuse ovunque, anche in Italia, e talora di immenso valore anche artistico (v. quella di Firenze, di Pisa e soprattutto quella nei pressi di Pavia); attualmente in Italia ne rimangono attive (cioè coi monaci “Certosini”) solo 3, tra cui quella dove si ritirò ed è sepolto lo stesso S. Bruno, nel paese che da lui prende il nome (Serra S. Bruno, in Calabria – vedi omelia tenutavi da Benedetto XVI il 9.10.2011).
Del resto, già decenni fa soprese l’immensa eco di pubblico (e persino di vocazioni monastiche!) che suscitò una delle primissime interviste [prima solo audio, per la radio (1958), poi anche video, per la tv (1988)] compiute in una clausura monastica e realizzata magistralmente quanto rispettosamente da Sergio Zavoli (vedi).
Colpisce poi la recente fioritura di monasteri, ricchi di giovani vocazioni, anche maschili, persino nella pur laicissima Francia: si pensi ad esempio ai monasteri di Le Barroux (presso Avignone; vedi; qui si può pure ascoltare, in diretta o differita, il canto delle loro liturgie) o di Fontgombault (nella zona di Poitiers) (vedi un breve ed avvincente filmato di presentazione), monasteri peraltro legati alla più pura tradizione benedettina e persino alla liturgia celebrata secondo il perenne rito tradizionale della Chiesa Cattolica (Vetus Ordo).
In Italia, invece, particolarmente significativa ormai da decenni, è la continua fioritura di vocazioni della comunità monastica femminile della Trappa (Cistercensi della stretta osservanza) di Vitorchiano (VT) (vedi), tanto da aver fondato già altri 8 monasteri (e sostenendone altri).
Che sia il segno di una nuova aurora, di una nuova futura primavera dello spirito, anche in questo nostro tempo, che mostra invece con sempre maggior evidenza le tracce e le ferite di un crollo di civiltà simile ma forse ancor più grave di quello seguìto al crollo dell’Impero romano, e con nuovi e ben più insidiosi “barbari” pronti a distruggere, a seguito dell’apostasia dalla vera fede, il tessuto umano e sociale e ciò che rimane, per questa Europa occidentale, di un’ormai decadente “civiltà di fine impero”?
3) Fede e ragione
Terza parte
La missione della Chiesa
Il cristianesimo nasce 2000 anni fa non semplicemente come una nuova religione, ma come la venuta (Incarnazione) di Dio stesso, ovviamente dell’unico vero Dio (per definizione stessa non ci possono essere più “dèi”). Per questo tutti gli uomini trovano salvezza in Cristo (cfr. At 4,12 – vedi); hanno quindi il diritto e il dovere di conoscerLo, seguirLo, amarLo in questa vita, per poter sfuggire così al potere di Satana e alla dannazione eterna (inferno) ed entrare invece per sempre nella beatitudine eterna (paradiso), cioè nella vita stessa della Santissima Trinità.
Dopo che il Risorto si è a molti concretamente mostrato (‘in primis’ agli Apostoli) ed è poi asceso al Padre, pur continuando la Sua presenza tra noi fino alla fine del mondo (v. Mt 28,18-20), secondo il Suo stesso comando, questo annuncio (Vangelo) e la stessa vita divina (donata attraverso il Battesimo ed i Sacramenti vedi e vedi), hanno raggiunto repentinamente e progressivamente tutto il mondo e tutta la storia.
L’evento della Pentecoste (cfr. At 2), che a 50 giorni dalla Risurrezione di Cristo ha donato agli Apostoli riuniti in preghiera con Maria Santissima una particolare ed esplosiva effusione dello Spirito Santo, ha segnato non solo l’inizio della Chiesa ma della sua missione (di salvezza eterna delle anime) per tutti i popoli. Essa si è infatti subito attuata e non si è mai più fermata; e proseguirà fino alla fine del mondo!
In pochissimi decenni, nonostante le atroci persecuzioni subite dai cristiani, la vera fede (cristiana) si è diffusa in tutto il mondo allora conosciuto, cioè in tutto il bacino del Mediterraneo ed in altre regioni dell’Impero romano e persino al di fuori di esso, raggiungendo addirittura l’India (secondo la tradizione, ben sentita ancor oggi in quelle regioni, è stata evangelizzata dallo stesso apostolo S. Tommaso)! E naturalmente è giunta a Roma, dove fu primo vescovo S. Pietro (il Papa), che fu e rimane per questo il centro vivo della Chiesa Cattolica, nel mondo e nella storia.
[Sulla testimonianza dei Protomartiri romani leggi]
Durante i primi secoli del Medioevo, mentre andava sempre più consolidandosi nei popoli già raggiunti dal Vangelo una vera e propria civiltà cristiana, ricca di copiosi frutti spirituali, sociali, culturali e artistici (come abbiamo già un poco osservato), la Chiesa continuava con frutto la missione affidatale da Cristo stesso, anche se sempre segnata dal mistero della Croce e certo pure da umane debolezze e infedeltà; ha raggiunto così presto l’Europa orientale (i popoli slavi*) e settentrionale (i popoli celtici di Irlanda e Gran Bretagna fino a quelli scandinavi).
* Assai significativa, per la costituzione dell’identità e unità europea fu l’evangelizzazione degli slavi (VIII-IX sec.), a cominciare dalla straordinaria missione dei fratelli Cirillo e Metodio (vedi) (non a caso Giovanni Paolo II, primo Papa slavo della storia, dedicò loro un’importante enciclica, la Slavorum Apostoli e li proclamò compatroni d’Europa, proprio per significare l’unità spirituale del continente). Essi, mentre introdussero l’uso della lingua slava nella stessa Liturgia della Chiesa (riti cattolici orientali), fornirono alla cultura e persino alla scrittura dei popoli più orientali i caratteri dell’alfabeto (ancor oggi detti infatti per questo “cirillici”, usati da molte lingue slave come il russo, ucraino, bielorusso, bulgaro, macedone, serbo, ruteno, bosniaco e montenegrino e persino da altre lingue non slave dell’Europa orientale).
Anche per questo si può certo riconoscere – come oggi finalmente molti storici seri fanno – che la Chiesa cattolica è stata l’educatrice e formatrice dell’Europa, persino appunto a livello di alfabetismo dei popoli che la compongono, e che “a nulla la civiltà occidentale è debitrice quanto che alla Chiesa Cattolica” (Woods, op. cit.).
Una dolorosa osservazione va invece riservata per le sorti delle fiorenti comunità cristiane sorte fin dall’inizio sulle coste mediterranee dell’Africa, allora parte dell’Impero Romano. Come abbiamo già ricordato, non solo l’Egitto (basti pensare ai “monaci del deserto”, come S. Antonio abate, ma anche alle feconde comunità, ricche anche di santi pastori e straordinari maestri della fede, a cominciare da quella di Alessandria) ma tutti i paesi dell’Africa mediterranea godevano della presenza di fervorose comunità cristiane e di santi e maestri della fede di superlativo valore (basti pensare a S. Agostino, nato a Tagaste e poi vescovo di Ippona, oggi in Algeria).
Purtroppo, quando nel VII secolo apparve nel panorama mondiale l’Islam (unica grande religione nata dopo Cristo), subito i musulmani passarono con forza militare alla conquista dei popoli (lo stesso Maometto conquistò con le armi la penisola arabica), occupando non solo il Medio Oriente (il successore di Maometto, il califfo Omar, occupò Gerusalemme e la Terra Santa, dove visse Gesù e nacque la Chiesa apostolica), ma anche appunto l’Africa settentrionale; si spinsero poi alla conquista non solo della Turchia ma dell’Europa, attaccandola ‘a tenaglia’ da est e da ovest, oltre a rappresentare per secoli l’incubo del Mediterraneo (i Saraceni), anche per l’Italia.
Per secoli e secoli l’Islam ha tentato di occupare militarmente l’Europa. Ad occidente, la Spagna sarà occupata quasi totalmente dai musulmani (divenne Califfato di Cordoba) fino al XV secolo. Ad oriente si cominciò con l’occupazione della Turchia, fino a conquistare Costantinopoli nel 1453 (la Turchia, tuttora musulmana, è rimasta califfato fino al 1924 quando il presidente Ataturk creò ufficialmente uno Stato laico; ma le attuali mire di tornare a costituirsi come califfato e di diffondersi in Europa sono abbastanza evidenti, cfr. News del 2.10.2018, 5.12.2019, 5.03.2019 e 24.10.2021), per poi spingersi fin oltre i Balcani. Per bloccare la loro avanzata alla conquista dell’Europa (e di Roma, principale obiettivo, in quanto centro della cristianità), furono decisive soprattutto la battaglia navale di Lepanto (7.10.1571) e quella di Vienna del 1683 (entrambe vinte dalle forze cattoliche, peraltro sotto la protezione di Maria Santissima; per quella di Lepanto, incoraggiata e sostenuta dal Papa S. Pio V, l’intercessione di Maria Santissima per ottenere la vittoria, umanamente impossibile, fu così evidente che lo stesso Pontefice istituì per quel giorno, 7 ottobre, la festa di S. Maria delle Vittorie, poi chiamata Madonna del Rosario, com’è celebrata tuttora in questa data).
Le fiorenti comunità cristiane nate e cresciute nell’Africa settentrionale furono così immediatamente e definitivamente distrutte (ancor oggi praticamente inesistenti, se non una sofferta presenza cristiana dei copti in Egitto).
[Sull’invasione musulmana e la resistenza delle Crociate, vedi Dossier e Documento (37 domande)]
Sulla bellezza, fecondità e necessità del rapporto tra fede e ragione, si veda ovviamente l’importantissima Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (vedi), del 14.09.1998
Evangelizzazione medievale: violenta imposizione da parte della Chiesa?
I pregiudizi illuministi, tuttora purtroppo imperanti, di fronte all’evidenza dell’immensa opera evangelizzatrice e della promozione della cultura posta in atto dalla Chiesa Cattolica nel Medioevo, quando non riesce proprio a censurarla, si rifugia allora nel mito di una Chiesa violenta che avrebbe imposto la religione e la cultura cristiana e il suo stesso potere con la forza, cioè in modo coercitivo.
Se da quasi un secolo, come abbiamo all’inizio osservato, certi miti (come quelli appunto sul Medioevo) propri dell’Illuminismo, della propaganda anticlericale ottocentesca e del più bieco laicismo, sono già stati ben smentiti da una più seria ed obiettiva storiografia, così che appunto a livello di “alta cultura” non c’è più nessuno che osi ripeterli acriticamente, invece purtroppo a livello di pubblicistica di massa (per non dire di divulgazione nelle scuole e persino nel mondo dello spettacolo), una ristretta ma potente oligarchia culturale (di stampo massonico) riesce ancora a divulgarli come “libero pensiero” e ad imporli acriticamente alle masse, talora persino in modo ossessivo; così che gli stessi cristiani sono spesso paradossalmente plasmati da pregiudizi storici anticristiani.
Com’è noto, ad esempio, passiamo dai romanzi (per sé di scarso valore storico, anche se talora ben scritti e talmente divulgati dalla propaganda anticlericale di massa da essere letti da milioni e milioni di persone) di Dan Brown (Il codice da Vinci, 2003) a quelli culturalmente più dignitosi ma comunque storicamente falsi come quelli di Umberto Eco (Il nome della rosa, 1980/2018; Il pendolo di Foucault, 1988/2014). Si vedano al riguardo le forti critiche rivolte a queste opere da parte del grande storico del Medioevo Franco Cardini (cfr. ad es. Processi alla Chiesa, Piemme 1994, pp. 221/228) o gli articoli di Vittorio Messori riportati nel suo Le cose della vita, Ed. S. Paolo, 1995, pp. 371-377). Nel mondo del teatro, potremmo passare dalle solenne menzogne storiche della Vita di Galileo di Bertolt Brecht (di stampo marxista e da decenni ossessivamente riproposto anche al pubblico studentesco – sulla verità storica della questione Galileo, anche se non si tratta più del Medioevo ma comunque dei miti ottocenteschi anticlericali, vedi e vedi), agli attacchi blasfemi di Dario Fo (sia pur insignito, ma forse proprio per questo, del premio Nobel per la Letteratura) ad esempio col suo Mistero buffo (1969).
Purtroppo anche più recentemente (2001) c’è chi in Francia (A. Benoist di Grece e L. Pauwels de le Figaro) ha ripetuto che l’evangelizzazione dell’Europa sarebbe stata imposta dalla Chiesa Cattolica; sono però stati immediatamente smentiti dallo storico francese Jean Dumont (trad. it. La Chiesa ha ucciso l’Impero romano e la cultura antica?, Effedieffe 2001).
Circa le menzogne storiche, continuamente ripetute e credute, sull’Inquisizione si veda l’apposito Dossier, come il documento (a domande e risposte) nella sezione Fede & cultura, così come un’ancor più sintetica News-presentazione (vedi). A parte tutti i falsi miti creati attorno ai processi del cosiddetto S. Uffizio – si veda ad esempio quanto in genere divulgato e creduto sulle torture, credenze persino apparentemente avvalorate addirittura da falsi appositi Musei* – basti ricordare che esso non aveva alcun potere su coloro che si fossero dichiarati non-cattolici e che anche per gli inquisiti cattolici (in genere falsi predicatori) il processo si scioglieva immediatamente qualora avessero riconosciuto di essere incorsi in false dottrine (eresie) non conformi al vangelo (semmai venivano puniti i falsi accusatori).
* Così ancora l’autorevole storico medievale F. Cardini: “I cosiddetti Musei della tortura (o dell’Inquisizione), presenti in molte città, sono in realtà dei baracconi antistorici, così come è antistorica la leggenda sugli “orrori dell’Inquisizione”, scritta ad esempio da C. Invernizzi o da Bagent e Leight (The Inquisition), che spesso si rifanno alla polemica anticattolica e antistorica di Lea (History of Inquisition)”.
Su alcune questioni specifiche, in genere ‘cavalli di battaglia’ della polemica anticlericale, oltre a quelle riportate nel Dossier sull’Inquisizione (vedi, parte 6: La caccia alle streghe, S. Giovanna d’Arco, Giordano Bruno, Galileo Galilei), si può raccogliere qualche spunto ad esempio sul caso del domenicano Girolamo Savonarola (1452-1498 – cfr. V. Messori, Le cose della vita, Ed. S. Paolo, 1995, pp. 116-120), così come sui Papi Bonifacio VIII (1230-1303, papa dal 1294; cfr. L. Negri, False accuse alla Chiesa, pp. 29/37 e 89/104) e Alessandro VI Borgia (1431-1503, Papa dal 1492; cfr. ancora V. Messori, Le cose della vita, Ed. S. Paolo, 1995, pp. 135-136). Questioni che qui ovviamente non abbiamo la possibilità di approfondire.
E’ poi sconcertante e persino irritante che certe accuse alla Chiesa Cattolica, peraltro appunto false, vengano mosse dai figli dell’Illuminismo e della modernità, che con le loro false ideologie hanno mostrato una intolleranza e violenza senza pari nella storia (leggi).
Non si capisce poi perché, tutte le volte che un singolo o un popolo abbraccia la fede cristiana, ciò sarebbe dovuto all’imposizione e al potere opprimente e violento della Chiesa, mentre quando vi si oppone sarebbe invece un “libero pensatore”!
La Chiesa (e l’evangelizzazione dell’Europa) non ha vinto, ma ha convinto!
Contrariamente a quello che fa in genere l’Islam* (a parte certe rarissime eccezioni storiche, ripudiate poi dagli stessi musulmani), la fede cristiana ha sempre conosciuto un fecondissimo rapporto tra fede e ragione (cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio); per cui più che vincere (perché quando si impone una religione, oltre ad essere impossibile perché non nascerebbe da convinzione interiore, in genere è segno di debolezza razionale, cioè di incapacità di “convincere” e ciò anche da parte di qualsiasi filosofia o ideologia), la fede cristiana è sempre stata in grado appunto di convincere, di “portare le ragioni” (cfr. 1Pt 3,15).
Fides et ratio
Come abbiamo già osservato, la Rivelazione divina (biblica) e la stessa “Incarnazione” del Logos (Cristo Signore), ha permesso il più grande e fecondo incontro tra fede (religione) e ragione, tra Teologia e Filosofia.
La fede cristiana, ragionevole anche se superiore alla sola ragione (in quanto appunto di origine divina), ha infatti subito attuato, seppur con discernimento, un fecondissimo rapporto con la filosofia (specie greca), mentre ha preso fermamente le distanze dalle religioni e dai miti pagani.
Significativa in tal senso la posizione del primo filosofo cristiano Giustino (100-163/167), santo e martire, Padre della Chiesa (tra i cosiddetti Padri “Apologisti”) (vedi la catechesi di Benedetto XVI).
Ecco perché la fede cristiana ha coltivato assai presto un fecondo rapporto con la ragione, così come la Teologia con la più autentica filosofia greca, vertice della sapienza antica.
Nei primi secoli, anche da parte dei cosiddetti “Padri della Chiesa” (Patristica), il rapporto tra Teologia e Filosofia è stato particolarmente fecondo specie in rapporto col più elevato pensiero di Platone (428-348 a.C.), e l’esempio forse più sublime è stato S. Agostino (354-430, vedi); mentre nel secondo Medioevo, i nuovi sublimi maestri (dottori) della Teologia e Filosofia cristiana (Scolastica) hanno soprattutto sviluppato uno straordinario rapporto col pensiero di Aristotele (384-322 a.C.), e di questo connubio, sottoposto a serio discernimento e fecondo sviluppo, l’esempio certamente più elevato è rappresentato da S. Tommaso d’Aquino (1224/1225-1274, vedi).
Anche quando interi popoli, in molte zone d’Europa, si convertirono alla fede cristiana, a partire spesso dalla conversione del loro sovrano – e spesso allora così accadeva; come del resto anche oggi la gran parte della popolazione segue non più le direttive di un sovrano ma di un potere culturale ed economico che ha in mano gli strumenti mediatici per farlo! – di fatto ciascuno poteva, se ne aveva le capacità, scoprire ed approfondire la “verità” dei contenuti della fede cristiana, rivelata pienamente in Cristo, oltre ovviamente a farne esperienza a livello personale e sociale. Infatti anche questi popoli si mostrarono ben lieti di abbracciare la bellezza della nuova vera fede e di conoscere ed accedere alla vita stessa di Dio-Amore, sfuggendo così pure al potere del demonio e persino alle terribili pratiche talora presenti in molte delle loro arcaiche religioni ed usanze pagane. Il proliferare non solo delle comunità cristiane ma dagli stessi innumerevoli monasteri, come abbiamo visto, è prova evidente del fascino che esercitava sui singoli e sui popoli la sequela di Cristo e la bellezza della vita cristiana. Inoltre, tutto ciò che di bello, di buono e di autenticamente umano si trovava già nei singoli popoli e culture (come Semina Verbi) veniva invece accolto, valorizzato, purificato ed innalzato nell’incontro con la vera fede cristiana e salvezza eterna della anime. In questo modo, inoltre, popoli e culture diversi trovavano armonia ed unità nell’unica e superiore fede da Dio stesso rivelata e donata.
Nasceva così l’unità del continente europeo, dall’Atlantico agli Urali, dalla Scandinavia alla Grecia.
Se poi qualcuno obiettasse con la solita questione della repressione dell’eresia (cioè di una falsa fede cristiana) da parte del “giudizio” della Chiesa (Inquisizione) e talora dell’intervento esecutivo del cosiddetto “braccio secolare” – al di là delle esagerazioni, miti e leggende divulgate dalla propaganda anticattolica, come abbiamo visto – si ricordi intanto ancora che tali indagini, peraltro secondo innovative norme del Diritto (come gli studiosi della storia della Giurisprudenza riconoscono), potevano riguardare solo chi si proclamava “cattolico”, mentre nessuno era obbligato ad esserlo, o addirittura predicava (persino come frate, sacerdote o sedicente teologo cattolico) una falsa fede, ingannando così il popolo, col tragico pericolo di portare le anime a dannarsi eternamente. Si trattava di “inquisire”, cioè di indagare con serie argomentazioni e con regolari processi, se ciò che veniva predicato come cattolico lo fosse realmente e non fosse invece falsità o inganno e come tale non solo disonesto dal punto di vista intellettuale (vediamo purtroppo bene oggi come spesso venga propagandata come cattolica una dottrina o una morale che di cattolico ha talora in realtà ben poco), ma pericoloso per la salvezza eterna della anime. Tra l’altro certe perniciose eresie creavano talora anche gravissimi danni alla stessa compagine sociale (come nel caso ad esempio dei Catari, vedi (3) e cap. 4a), per cui i sovrani e il popolo stesso sarebbero passati, per reprimerle, a metodi ben più sbrigativi e violenti, invece di produrre, come fece invece l’Inquisizione, regolari “processi”, con tanto di verbali, discussioni e assicurata possibilità di difesa dell’imputato (vedi dossier, documento e News sull’Inquisizione).
Proprio l’importanza data alla ragione, alla possibilità di fornire le ragioni, di confrontarle, di poter discernere la verità dall’errore, permetteva invece una vera capacità non solo di conoscere e di convincere, ma appunto pure di dialogo con chiunque volesse ragionare.
In questo senso, proprio l’invenzione, il sorgere e lo sviluppo, a partire dalla Chiesa cattolica medievale, dell’istituto prima delle scuole e poi appunto delle vere e proprie Università, rappresenta appunto una prova esemplare dell’incredibile valore razionale e culturale delle vera fede cattolica e dell’amore per la verità e persino di ogni forma di sapere che essa produceva e può ancora produrre.
La fiducia nella ragione, la passione per la verità
Questa consapevolezza della razionalità inscritta nella realtà dal Creatore/ Logos e questa fiducia nella ragione, come capacità di investigare razionalmente tale realtà, ha permesso un esemplare “realismo”*, non ingenuo o privo di analisi critica ma neppure così esasperato da abbandonare in un radicale scetticismo e nichilismo, come sarà invece l’esito del pensiero moderno (quello del tomismo, cioè del pensiero filosofico e teologico che si rifà a S. Tommaso d’Aquino, è infatti definito un “realismo moderato”).
* Si dice che S. Tommaso d’Aquino, forse il più grande teologo e filosofo di tutti i tempi (vedi), iniziasse la sua prima lezione ponendo sulla cattedra un oggetto, ad esempio una mela, e chiedesse agli studenti cosa fosse (chi l’avesse negato era invitato a cogliere questa prima evidenza o abbandonare da subito il corso perché sarebbe stato inutile proseguire): non era un punto di partenza banale, ma il fondamento del sapere. Persino le cosiddette “5 vie” (cosmologiche, appunto “a posteriori” vedi), con cui faceva raggiungere con certezza l’esistenza di Dio, si muovevano infatti da una constatazione reale, cioè dall’esperienza (non sarà il fondamento della stessa scienza moderna sperimentale?).
Quando invece da Cartesio in poi il pensiero moderno vorrà anzitutto partire dal pensiero (“cogito ergo sum”), si condannò a non poter più uscire da se stesso, oscillando tra idealismo e materialismo, schiavo di presunte “forme a priori” e poi di ideologie anche sociali tanto astratte dalla realtà quanto violente (vedi), fino ad approdare all’agnosticismo, relativismo e nichilismo contemporaneo. Quando l’uomo vuol partire da sé, prima o poi non riesce più ad uscire da sé, si trova solo, incapace di conoscere se stesso, gli altri e la realtà: un suicidio intellettuale e poi pure esistenziale!
In fondo si tratta di concepire correttamente l’unione in noi di corpo e anima, di “sensibilità” (ciò che i sensi colgono) e “intelligenza”. Senza questa armonia la sensibilità sarebbe “cieca” (incapace di comprendere) e l’inteligenza sarebbe “vuota”, per parafrasare una nota espressione proprio di Kant. Proprio l’intelligenza, che ci caratterizza come esseri umani (creati come superiori agli animali e ad “immagine di Dio”), permette di cogliere la legge assoluta dell’essere, che oppone essere e nulla (da cui il principio di identità, non contraddizione, terzo escluso) ed ogni possibilità di conoscenza e ragionamento, e di conseguenza anche la possibilità di scoprire le cause e la stessa Causa prima di tutte le cose a partire dagli effetti (secondo l’evidenza che il nulla non produce nulla, e che dunque ogni fenomeno o effetto deve avere una causa adeguata o proporzionata; è il principio metafisico di “causalità”, che sta alla base di qualsiasi tipo di scienza).
Rotta questa unione di sensibilità e intelligenza, il pensiero moderno oscillerà continuamente tra empirismo (materialismo: solo materia) e idealismo (sole idee), per poi non uscire più dal labirinto (aporie) del relativismo (è tutto soggettivo e relativo, tranne il relativismo stesso? e ciò fino alla “dittatura del relativismo”, cioè non si potrebbe dissentire dal relativismo? ma allora il relativismo stesso sarebbe un assoluto e non relativo?), dello scetticismo (come conoscere però che non possiamo conoscere? come potremmo accorgerci di sbagliare se sbagliassimo sempre?) e del nichilismo (non c’è l’essere, c’è il nulla? in realtà come si vede il nulla è persino indicibile, se non in riferimento all’essere, essendo un concetto privativo). In realtà l’ultima parola sarebbe appunto quella di un indicibile silenzio!
[Si veda in tal senso la lucida analisi e profezia di F. Nietzsche, che vede in questa inevitabile deriva nichilista il suicidio stesso dell’Europa, per non dire dell’Occidente e perfino dell’uomo in quanto tale, nei miei due testi in merito, ricordati anche in Archivio: A. Cecchini, Oltre il Nulla. Nietzsche, nichilismo e cristianesimo e Il divenire innocente in F. Nietzsche]
Solo questo realismo e questa fiducia nella ragione permette poi un vero “dialogo” (tanto oggi osannato, anche nella Chiesa, quanto inconcludente e vano, in quanto inteso in senso sentimentale e relativista, cioè senza alcuna fiducia di poter trovare, sia pur dialetticamente, la verità, dando per scontato che sia solo soggettiva e ridotta ad opinione personale), cioè un vero confronto, portando appunto le ragioni di ciò che si dice e quindi persino in grado di svelare “maieuticamente” l’errore (portandolo cioè alle estreme assurde conseguenze), e di “convincere” della verità, unica ed oggettiva (vedi). Senza questa fiducia nella verità e nella nostra capacità razionale di coglierla, tutto si riduce ad opinione personale, persino ad accuse e insulti all’avversario, a rifiuti aprioristici (non conta neppure più la questione ma solo chi la porge, da accogliere o rifiutare a priori), senza potere o volere entrare nel merito delle questioni, dei ragionamenti e persino dei fatti!
Però, senza una verità condivisibile e condivisa, è impossibile anche una vera compagnia (persino in un’amicizia o addirittura una famiglia) ed una società che non sia altro che un conflitto di interessi.
Questa comprensione della realtà non come caotica, arbitraria e neppure spirituale – come chi crede alla Madre-Natura (o dea-Gaia), cioè come se fosse un essere vivente, come in fondo fa il panteismo e l’ateismo ma anche il nuovo esasperato ecologismo (vedi): strano che questa visione venga propagandata come moderna, quando invece riporta la cultura e la civiltà indietro di millenni, quando si credeva la Natura abitata da spiriti e divinità capricciose! rendendo peraltro impossibile la scienza – ma come una realtà ordinata, logica e quindi studiabile scientificamente, in quanto opera del Logos, e questa fiducia nella capacità della ragione, di cui Dio ci ha dotato creandoci a Sua immagine e superiori agli animali e alla stessa natura e che persino il “peccato originale” ha offuscato ma non distrutto*, ha permesso nel Medioevo una grande passione per investigare tutta le realtà e quindi per la teologia e la filosofia, come per ogni ramo del sapere, fornendo le basi epistemologiche per la nascita della stessa scienza moderna.
* Mentre l’Illuminismo dimentica il “peccato originale” – credendo che l’uomo sia naturalmente buono (v. l’Émile di Rousseau, il mito del “buon selvaggio” e l’elogio moderno della pura spontaneità), per poi non riuscire più a spiegarsi davvero l’origine del male (solo dalla società o dalla psiche? ma allora non c’è più alcuna responsabilità e colpa personale?) – il Protestantesimo lo esaspera, fino ad una radicale pessimismo antropologico, dove la natura umana sarebbe irrimediabilmente corrotta (si giunse con Calvino persino alla terrificante dottrina della “predestinazione”), compresa la stessa ragione e volontà (ritirandosi nella dottrina della “sola grazia”, “sola Scrittura”, sola interiorità, solo sentimento). Ragionare sulla fede sarebbe per Lutero un adulterio (la fede sarebbe tanto più pura quanto più cieca) [oggi anche in questo assistiamo ad una “deriva luterana” pure in ampi settori della Chiesa Cattolica!] Non a caso all’inizio la Riforma protestante, in conseguenza di questo disprezzo per la ragione a favore di una fede cieca e di un biblicismo autoreferenziale (cfr. FeR n. 55), si opporrà anche ad ogni ricerca filosofica e scientifica (vedi, spec. 2.1.1, 4.1, 4.2, 4.3, 5.3.2, 5.4).
Questa armonia tra corpo e spirito, tra sensibilità e intellegibilità, tra natura e grazia, tra ragione e fede, propria dell’autentica fede cattolica, ha gettato le basi anche filosofiche di una sostanziale fiducia nel lume della ragione (altro che “oscurantismo” medievale!), e quindi della fiducia e capacità investigativa dell’uomo, nell’obbedienza al Creatore ed alle leggi che Egli ha posto in tutto il creato ed in noi stessi, in grado di generare la vera filosofia e la vera scienza.
Da questa base teologica (cristiana), filosofica (metafisica), antropologica (vero umanesimo) e gnoseologica (le leggi stesse della conoscenza oggettiva), nasce nel Medioevo tutta la passione del sapere, della ricerca, come appunto pure tutta la capacità di confronto e di autentico dialogo.
Paradossale quindi che l’Illuminismo abbia considerato il Medioevo come oscurantismo, “secoli bui”, tempo di superstizioni e violenze religiose, mentre il pensiero moderno avrebbe acceso finalmente i “lumi” della ragione. Perché in realtà, nonostante il progresso scientifico e tecnico, quei lumi, così vivi nelle trattazioni medievali, si sono con l’Illuminismo invece spenti, smarriti tra terrificanti materialismi e idealismi capaci solo di inventare a priori disumane ideologie da imporre ai popoli (ovviamente per il loro bene!) a suon di rivoluzioni, guerre mondiali e poteri culturali e mediatici in mano a occulte oligarchie. E l’attuale esito relativista e nichilista, dove l’unica parola proibita è “verità”, sta lì a dimostrarlo!
4) La nascita delle Università
Quarta parte
Dopo quanto detto sul rapporto tra fede e ragione nella Chiesa Cattolica, operante fin dai primi secoli ma che conobbe un particolare incremento proprio nel Medioevo, così da produrre quella straordinaria sintesi di fede e cultura che ha fornito le basi della stessa civiltà occidentale, e dopo aver già sottolineato come il “sapere” avesse avuto un fecondo e innovativo motore propulsore persino negli innumerevoli monasteri sorti in quei secoli, con tanto di prestigiose Biblioteche e persino di rinomate Scuole, soffermiamo ora ancora la nostra attenzione sulla nascita e lo sviluppo delle Università, che trovano proprio nella Chiesa Cattolica la propria culla e il proprio primigenio sviluppo e che appunto ebbero tanta importanza nella formazione della stessa civiltà europea ed occidentale.
Quale idea di “sapere”
Ci siamo già soffermati, specie nella Terza parte, sulla fiducia nella ragione e sulla passione per la verità, che hanno sempre caratterizzato l’autentica fede cattolica, e che hanno portato proprio durante il Medioevo al trionfo della “cultura” cristiana, capace di generare la stessa civiltà europea ed occidentale, fino a diventare propulsiva per il progresso del mondo intero.
Proprio per questo la cultura anticattolica illuminista (e tuttora dominante) censura o bolla ideologicamente quel Millennio come “medio-evo” (cioè un infelice tempo “intermedio” tra classicità antica e modernità), come “secoli bui” e dell’“oscurantismo” cattolico.
La fede in Cristo Signore [Dio fatto uomo, Verbum/Logos fatto carne (cfr. Gv 1,14), “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6)] e la conseguente “missione” della Chiesa, voluta ed inviata nella storia da Gesù stesso per questo (cfr. Mt 28,18-20), mentre portava al mondo intero la salvezza eterna delle anime, generava anche un germe di “umanità nuova” (l’inizio del Regno di Dio) ed una cultura nuova, capace di costruire nel tempo anche una nuova fecondissima civiltà.
Questa passione per la cultura non era dovuta ad un “intellettualismo disincarnato”, tanto meno per un progetto “ideologico” sull’umanità (come invece tendenzialmente sarà dall’Illuminismo in poi, vedi), ma dall’incontro stesso con Cristo (Verità suprema), dall’entusiasmo suscitato dalla scoperta del significato autentico dell’esistenza*, dall’amore stesso per l’umanità e per il singolo essere umano, che poteva così non solo salvarsi eternamente ma sbocciare in una visione nuova e superiore della vita e di tutte le cose.
* Si ricordi che “sapere” (sapienza) deriva da “sàpere”, cioè un gustare, sia perché l’uomo gode nella scoperta della verità, sia perché, anche a livello esistenziale, egli ha bisogno di scoprire e vivere il significato pieno (verità) di tutte le cose e soprattutto della sua stessa vita. Quindi “sapere” indica non tanto o non solo un sapere intellettuale ma un vero “saper vivere”. [Del resto è ciò che è implicito pure nella stessa parola “sophia” e nell’amore per tale sapienza, cioè la “philo-sophia”].
Si trattava appunto di una rinnovata fiducia nella ragione (supremo dono “naturale” di Dio all’uomo, così da renderlo superiore a tutti gli animali e perfino “capace” di Dio), che nell’incontro col dono “soprannaturale” della fede e della grazia non viene affatto distrutta o censurata (come vuole invece l’eresia protestante, che disprezza la natura umana e la stessa ragione come definitivamente corrotte dal peccato originale), ma anzi fecondata, accresciuta e resa capace di nuove e superiori sintesi nella conoscenza della verità.
La passione per la verità – che non è un possesso dell’uomo né può essere artificialmente inventata ma può già svelarsi all’intelligenza umana che umilmente e sapientemente la ricerca [questo “svelarsi” già naturale della verità alla ragione umana è nell’etimologia stessa del termine verità, dal greco ἀλήθεια (aletheia)] e la cui progressiva scoperta è già in sé un godimento (come affermava Platone), prima ancora della sua immediata utilità pratica – ha trovato appunto nell’incontro con la fede cristiana un incremento che non ha eguali nella storia dell’umanità.
Da questa fede capace di generare vera “cultura” sono nate anche tutte le opere e istituzioni culturali del Medioevo cristiano, che tanta incidenza hanno avuto per la formazione della cultura europea e della stessa civiltà occidentale, in fondo per il progresso stesso dell’umanità.
Significativo che ad esempio Antonio Gramsci, il celebre pensatore marxista che fu tra i fondatori del Partito Comunista Italiano, nelle sue stesse Lettere dal carcere, si riferì a questa capacità che la Chiesa Cattolica medievale ebbe nell’operare una vera e propria “rivoluzione culturale” (molto più efficace, specie a lunga scadenza ed in profondità, delle rivoluzioni armate), in grado di creare una egemonia (parola chiave del suo pensiero comunista), cioè un reale ed apprezzato pensiero dominante. Da questo metodo e da questa possente capacità che la Chiesa Cattolica seppe attuare nel Medioevo, il comunismo, secondo Gramsci, avrebbe dovuto imparare per raggiungere il vero potere e la guida della società. E così il PCI fece, prendendo infatti le leve della cultura, delle scuole e delle università, dell’editoria e persino dello spettacolo, creando un’egemonia in grado di formare le menti del popolo e delle nuove generazioni, nonostante che il potere ufficiale restasse poi ancora per molti decenni in mano ai Cattolici (DC). Invece, specie nel secondo ‘900, i Cattolici hanno di fatto sempre più abbandonato questo decisivo impegno culturale e la stessa formazione autenticamente cattolica delle nuove generazioni, nonostante il catechismo e le scuole cattoliche ancora esistenti, così da provocare inevitabilmente l’abbandono della fede e della Chiesa nella maggior parte dei giovani (vedi e vedi) o persino la coesistenza di mentalità e pregiudizi anticattolici negli stessi Cattolici, addirittura praticanti!
Dai monasteri, biblioteche, scuole, dibattiti … alle Università
Abbiamo già soffermato la nostra attenzione (cfr. Parte II) sul fatto che il proliferare miracoloso dei monasteri nel primo Medioevo, sia pur nati dal desiderio di ritirarsi dal mondo (un mondo, come quello di fine impero, peraltro ormai in disfacimento) per vivere una particolare dedizione a Dio, avesse rappresentato in realtà un fecondissimo fattore di promozione di cultura e civiltà, in grado sia di raccogliere il meglio di tutta la cultura precedente (basti pensare alle loro fornitissime biblioteche e all’immenso lavoro amanuense dei monaci) e persino di accogliere, purificare ed elevare anche quanto poteva essere riconosciuto come vero e buono nelle diverse identità dei popoli “barbari” circolanti nel continente (che pur evangelizzati potevano mantenere ed offrire all’unità europea le loro specifiche identità culturali), nella straordinaria e non sincretistica sintesi culturale con la novità e superiorità della fede cristiana, da cui sarebbe appunto nata l’unità culturale europea e la stessa civiltà occidentale, che avrà un ruolo di primaria importanza nel progresso dell’umanità intera. Abbiamo inoltre osservato come il lavoro stesso dei monaci della grande famiglia monastica benedettina avesse permesso enormi progressi persino nelle arti tecniche, oltre alla diffusione del sapere attraverso la capillare rete di monasteri diffusi in tutta Europa. Abbiamo infine ricordato come in molti monasteri sorsero delle vere e proprie Scholae (scuole), aperte anche ai giovani laici.
Assai presto, tali scuole, oltre che attorno alla abbazie e tenute dai monaci stessi, sorsero anche attorno alle chiese (gestite dal clero) e specialmente alla cattedrali. Tali Scholae cathedrales, già attive in molte città europee fin dal VI secolo, erano vere e proprie fucine di sapere e di cultura. Molte di loro crebbero enormemente di importanza e dopo il Mille diverranno le prime università.
La fiducia, non ingenua (come accusa il pensiero moderno e contemporaneo), nella capacità della ragione di investigare e scoprire la verità e di distinguerla dall’errore, anche in modo dialettico (cioè confrontando la validità o meno delle premesse da cui muovevano certe asserzioni come analizzando la validità logica dei ragionamenti), generò anche la passione per le cosiddette Quaestiones disputatae.
Si trattava di confronti o dibattiti, orali o scritti, talora persino tenuti in sessioni pubbliche*, basati cioè sulla logica e sull’argomentazione razionale, al fine di raggiungere il “vero”, cioè verità oggettive.
* Si tenga presente che certe pubbliche Quaestiones disputatae erano talmente entusiasmanti, da coinvolgere non solo ristretti ambiti accademici, ma un pubblico persino così vasto che talora si dice che intere città (persino Parigi) si fermassero per ascoltarle!
Il “metodo” delle Questiones disputatae.
Si partiva da una tesi, cioè da un’affermazione (o negazione), che doveva essere dimostrata in modo razionale e messa a confronto con una affermazione o negazione contraria (“sed contra”), per dimostrare (si parlava di “difesa”*) in modo logico e razionale quale delle due fosse quella vera e quale quella falsa (errore).
* Non a caso “difendere (o discutere) una tesi” è ancor oggi la terminologia usata per l’ultima importante prova accademica per conseguire la Laurea.
Non si trattava ovviamente del modo confusionario, inconcludente e persino irritante con cui si conducono oggi certe discussioni e molti dibattiti pubblici – basti pensare a quelli televisivi, dove quasi sempre sono proprio le premesse ad essere sbagliate (per cui è inutile discutere) e dove non c’è mai il tempo e la calma per svolgere un ragionamento, così che al termine l’idea che rimane è quella della confusione – ma persino come sono pensati i programmi scolastici e si svolgono le lezioni e gli studi (ammesso che si compia uno studio serio, l’analisi e il confronto dei diversi pensieri non sono quasi mai mossi dal desiderio della verità, tanto meno dalla fiducia nella ragione di poterla trovare; per questo anche nei migliori studenti la conclusione è normalmente una posizione “scettica”, dove appunto la verità non c’è o non si può conoscere, così che invece di sviluppare il senso critico, come si dice, si alimenta solo la confusione, il soggettivismo ed il relativismo; il che è l’esatto opposto del motivo stesso per cui si studia, che è la scoperta della verità, come indicherebbe ad esempio la parola stessa philo-sophia).
Si trattava in fondo del recupero del metodo “dialogico”, già praticato ai vertici della filosofia classica greca (basti pensare appunto ai Dialoghi di Platone), e che ritroviamo appunto, al servizio di una nuova superiore sintesi tra fede e ragione resa possibile dal cristianesimo, nelle medievali quaestiones disputatae, così come nella Scolastica e quindi nelle stesse Università.
Come vediamo, questo metodo è reso possibile proprio dalla fiducia (fondata) nella ragione (comune ad ogni essere umano) di poter raggiungere, persino in modo dialettico (una dialettica non in senso hegeliano, che si opporrà alla certezza stessa di verità tra loro non contraddittorie), una verità oggettiva e che quindi si impone razionalmente a tutti.
Molte di queste quaestiones disputatae ci sono pervenute (alcune ancora solo in latino, altre tradotte anche nelle lingue moderne) e ci stupiscono per la loro capacità razionale di analisi e di sintesi, come di “convincere” della verità e dell’errore.
Si vedano ad esempio quelle scritte da S. Tommaso d’Aquino: Quaestiones disputatae … De Veritate, De malo, De potentia (Dei), De anima, De spiritualibus creaturis, De virtutibus, De unione Verbi incarnati … ed altre Quodilibetales.
Questa vera e propria “forma mentis”, questo metodo di studio (per tesi contrapposte al fine di meglio individuare la verità e distinguerla dall’errore), sarà applicato particolarmente dalla “Scolastica” (ne è un sublime esempio S. Tommaso D’Aquino e l’intero pensiero “tomista”), e, vedremo tra poco, sarà fatto proprio dalle Università medievali.
Un’altra decisiva concezione del sapere, che caratterizzava la cultura medievale e che sarà alla base dell’idea stessa di Università, fu appunto quella che la verità (e di conseguenza il sapere e gli studi) abbia una sua fondamentale “unità” (da cui il nome “università”), sia pur nella distinzione e persino gerarchia dei suoi rami (facoltà), cioè dei saperi particolari. Si tratta quindi di distinguere (e di riconoscere pure una relativa autonomia dei singoli saperi e metodi per raggiungerli), ma per unire in sintesi superiori e fondanti.
Non si tratta della semplice cosiddetta “interdisciplinarietà”, tanto oggi propagandata nelle scuole quanto inutile e inconcludente (mancando appunto l’idea di verità e di gerarchia dei saperi), né di impedire oggi doverose “specializzazioni” (anche a livello universitario e post-universitario), ma di avere appunto una concezione unitaria e fondata del sapere e della verità stessa. Quando poi l’oggetto dello studio è l’uomo, tale concezione “unitaria” (si potrebbe dire “olistica”) è ancor più necessaria e doverosa, essendo l’essere umano “uno”, oltre che “unico e irripetibile”. Assistiamo invece spesso alla confusione se non allo scavalcamento di alcune discipline sulle altre, ad esempio della medicina sull’antropologia filosofica e teologica o addirittura della psicanalisi sull’etica, per non dire, persino all’interno della medicina stessa, all’incapacità di raccordare le diverse specializzazioni, cosa peraltro doverosa anche proprio dal punto di vista clinico, in quanto appunto l’organismo stesso (corpo/soma) è “uno” e l’essere umano è “uno” anche in rapporto con la sua mente/psiche e il suo spirito/pneuma.
Ce se ne dovrà presto di nuovo convincere!
Nel lavoro culturale medievale, le diverse questioni analizzate, come i diversi rami del sapere, erano invece saggiamente raccordati e fondati su principi superiori (metafisici e teologici, cioè fondati sull’evidenza razionale come sulla stessa infallibile Rivelazione divina), senza di cui ogni discussione sarebbe vanificata in partenza ed ogni sapere particolare ondeggerebbe pericolosamente nel vuoto.
Esiste infatti una complementarietà di verità particolari, così come verità che stanno a fondamento di altre (quelle metafisiche sono quelle fondanti) ed infine una Verità suprema che fonda tutto il sapere (Dio).
La questione del “fondamento” è ovviamente quella decisiva; perché senza questo, come in un edificio, tutto crollerebbe.
F. Nietzsche, nella sua feroce e sarcastica opera demolitrice, sa perfettamente che la questione oggi in crisi è proprio quella del “fondamento” e che senza Dio (“Dio è morto!”) nulla resterà in piedi (“al di là del bene e del male”, come del vero e del falso) e rivelerà il proprio nulla (nichilismo); anche se poi Nietzsche spera, senza peraltro poterlo fondare, che possa nascere da questo nulla qualcosa “oltre”, persino “oltre-l’uomo” (cfr. in Archivio le mie opere Oltre il Nulla e Il “divenire innocente” in F. Nietzsche).
Nacque anche da questa superiore concezione del sapere l’idea medievale di scrivere delle Summae, capaci di una stupefacente analisi, sintesi, visione organica e sistematica del sapere.
Si vedano ad esempio le opere già di S. Anselmo (1033-1109; arcivescovo di Canterbury; teologo e filosofo – celebre il suo “argomento ontologico”, v. poi), di Pietro Abelardo (1079-1142; rinomato docente a Parigi; cfr. ad esempio la sua lista delle apparenti contraddizioni dei Padri della Chiesa), di Pietro Lombardo (1100-1160, che fu anche arcivescovo di Parigi; le sue Sentenze furono per 5 secoli il testo più letto dagli studenti di teologia dopo la Bibbia; raccomandava sempre le due fonti del sapere: la Bibbia e la ragione) (Woods, op. cit., pp. 66-68).
L’esempio in questo senso più straordinario e intellettualmente fecondo, e non solo nell’arco del Medioevo, è quello offerto da S. Tommaso d’Aquino (1225-1274): basti pensare alla sua celeberrima Summa Theologiae (33 volumi, la più importante e imponente opera teologica della cristianità medievale), ma anche alla Summa contra Gentiles (di scopo più direttamente filosofico) e al suo Scriptum super libros Sententiarum, per non dire alle sue molteplici e già sopra citate Quaestiones disputatae.
La produzione teologica e filosofica di S. Tommaso d’Aquino lascia attoniti per la sua immensità, profondità ed ordine intellettuale.
La sua Opera omnia è stata tra l’altro la prima opera digitalizzata della storia (Index Thomisticus): fu infatti il padre gesuita Roberto Busa (cfr. News del 20.08.2011), dopo aver convinto l’IBM della possibilità di utilizzare i computers non per un uso solo matematico, com’era fino ad allora, ma nel campo delle lettere, cioè nel ramo umanistico-letterario, a tradurre in modo informatico appunto tutte le opere di S. Tommaso, con enorme beneficio nell’analisi e catalogazione dei testi.
L’idea stessa di “università”
Da questa profonda concezione unitaria del “sapere”, in grado tanto di distinguere quanto di unire i suoi diversi rami, nacque l’idea stessa di Universitas. Si trattava cioè di insegnare ed attuare uno studio approfondito e specifico dei diversi rami del sapere (le facultates), raccordati in modo non estrinseco e artificiale ma organico, proprio come molteplici rami del multiforme albero del sapere, e ben piantato su solide radici (gli insegnamenti fondamentali).
Cattedrali di pietra e cattedrali del pensiero
Se le cattedrali gotiche rappresentavano (e rappresentano) talora vere e proprie “Teologie in pietra” (basterebbe pensare a quella di Chartres, a sud-ovest di Parigi, considerata la madre e l’esempio più puro di tutte le cattedrali gotiche, che lascia tuttora attoniti nel contemplare la Bibbia e la dottrina della fede trasformata in bassorilievi interni ed esterni!), le Summae, le Quaestiones disputatae e poi soprattutto le Università che la Chiesa Cattolica ha generato nel Medioevo costituivano vere e proprie “cattedrali del pensiero”! E come le cattedrali affascinavano (e affascinano) gli sguardi ed i cuori, costituendo vere e proprie “scuole visive” offerte gratuitamente alla fruizione ed alla preghiera di tutti, anche dei poveri e illetterati (Evangelium pauperum, veniva chiamata questa sublime arte visiva delle chiese e cattedrali), così le Scholae cathedrales e più ancora le Università costituivano vere e proprie cattedrali vive del pensiero, in grado di affascinare i cultori del sapere e di educare le nuove generazioni (i futuri costruttori di civiltà) all’amore del sapere, nella autentica capacità razionale, in grado di rispetto per ogni posizione ma anche di discernere sapientemente la verità dall’errore e quindi di avanzare sempre più, al lume della ragione e della fede, nella scoperta della verità, del sapere e della autentica vita (oltre che nella salvezza eterna)!
L’idea stessa di Università (uni-versitas) nasce dunque non solo dalla consapevolezza della ragione di poter conoscere, sia pur progressivamente e non senza possibilità di errore, la verità, ma anche di come i diversi rami del sapere (verità particolari) siano intrinsecamente “raccordati” tra loro (appunto uni-versitas), secondo una gerarchia che permette ai livelli superiori del sapere (specie la metafisica) di “fondare” quelli inferiori*.
* Ad esempio: studiare il “principio di causalità” per coglierne la sua evidenza (metafisica), permette poi di fondare e indagare i singoli rapporti causa-effetto, studiati dalla scienza sperimentale [le scienze particolari, come quelle moderne, sono peraltro meno sicure della metafisica (contrariamente a quel che pensava Kant), proprio in quanto “sperimentali”, cioè basate giustamente sull’esperienza, ma in questo senso mai davvero universali e assolute, che non può per principio mai essere totale ma permette solo di indurre (cioè in fondo generalizzare, ripetendo esperienze che danno lo stesso risultato) delle “leggi” stabili; in altri termini, che questo effetto sia determinato da questa causa (livello di scienza sperimentale), cioè che ci sia questa “legge”, è sicuro (se riproducibile sperimentalmente innumerevoli volte) ma non è assoluto (il “tutto” e il “sempre” non sono infatti per definizione “sperimentabili” – vedi Introduzione del dossier “Miracoli”), mentre è assoluto che ci debba essere una causa adeguata (altrimenti non ci si metterebbe neppure a cercarla!), perché “il nulla non fa nulla” (principio metafisico di “causalità”)].
Si trattava di non confondere i diversi livelli del sapere – anche se talora è avvenuto: come quando alcuni pensarono, al termine del Medioevo e con la nascita della scienza moderna, che la fondatezza della Metafisica di Aristotele dovesse coinvolgere anche la sua Fisica, oppure quando il pensiero moderno penserà spesso (v. il positivismo) che la metafisica fosse superata, resa inutile ed annientata dalla scienza (pregiudizio falso e assai diffuso ancor oggi) – ma neppure di dividerli, raccordandoli invece in una complementarietà e “gerarchia” di livelli di conoscenze, di saperi.
Era in questo senso in genere assai chiaro che l’incontro più fecondo tra fede e ragione, tra Teologia e Filosofia, fosse da ricercarsi appunto a livello metafisico, cioè appunto a livello di studio della Causa Prima (oltre che dei fondamenti stessi del sapere), non a quello di ricerca delle cause seconde (oggetto delle diverse scienze particolari o sperimentali, come si chiameranno quelle post-galileiane).
Per questo, come abbiamo già sottolineato, il cristianesimo operò prestissimo un fecondo rapporto con i vertici del pensiero classico greco (Platone e Aristotele) e non certo con i vaneggiamenti mitici della religioni pagane (che infatti non permettevano alcuno studio razionale).
Se già nei monasteri, nelle loro biblioteche e nelle scuole che talora vi sorgevano, si prestava come abbiamo visto grande attenzione pure a tutta la cultura del “passato” – “passato” (e “tradizione”) che sarà sempre visto invece con sospetto e persino odio dalla “modernità” e dalla “rivoluzioni” che ha prodotto (vedi), come se il mondo e la storia dovessero sempre partire daccapo, a partire dalla proprie e assai spesso farneticanti analisi e aprioristiche letture o ideologie – e la nuova e superiore sapienza cristiana si mostrava capace di promuovere e valorizzare ogni apporto culturale e raggiungere nuove conoscenze e sintesi culturali, tale passione per la verità e per la cultura si manifesta nelle Scholae cathedrales e raggiunge il suo culmine proprio nelle Università.
“Le università medievali furono l’unica istituzione europea che mostrò un interesse costante per la conservazione e coltivazione del sapere, da qualunque parte venisse” (Woods, op. cit., p. 55).
“La fondazione e lo sviluppo delle Università costituisce uno dei maggiori contributi intellettuali che la Chiesa Cattolica ha fornito nel Medioevo all’intera civiltà occidentale. Si trattò di un fenomeno nuovo nella storia. Neppure la sapienza e civiltà greca, nonostante le sue accademie, o latina, nonostante le scuole di autorevoli maestri, avevano conosciuto qualcosa di simile. Si trattava non solo di istituzioni accademiche di prestigio, che spaziavano sull’intero sapere umano, ma di un vero “sistema universitario”, con intensi e fecondi rapporti tra loro, come una sorta di primigenia “comunità scientifica internazionale” (ibidem).
Educazione (unitaria) della persona
Abbiamo già sopra osservato come lo stesso autentico concetto di “sapere”, come del resto è già evidente nella stessa parola “philo-sophia”, implichi un lavoro intellettuale che non sia disarticolato dall’unità della persona, ma porti appunto ad un “saper vivere”.
L’Illuminismo ha creato invece un’idea di “sapere” intellettualistico, spesso ideologico, talmente lontano dall’esistere concreto della persona da giungere persino ad inventare, appunto ideologicamente, tipi di società artificiali (da cui le rivoluzioni della modernità, vedi).
Da decenni abbiamo intere generazioni di giovani che, pur stando 13 anni (escluso l’asilo) nei banchi di scuola, per poi accedere a 4-5-6 anni di studi universitari, non solo non conoscono il patrimonio culturale della tradizione cristiana, che pur ha plasmato la nostra civiltà (uno può perfino laurearsi in “Lettere antiche” senza aver mai aperto la Bibbia, che, al di là della valenza religiosa e della salvezza dell’anima, è comunque l’opera almeno letteraria che più ha inciso nella civiltà non solo occidentale ma mondiale!) e sono invece spesso indottrinate alle ideologie della modernità (vedi), ma mai hanno affrontato negli studi questioni di fondamentale importanza per la vita (ad esempio: la questione di Dio, dell’anima, dell’Aldilà, l’oggettività della morale, il discernimento di vizi e virtù, il significato della sessualità, dell’amore, della famiglia, con quali criteri impostarla, come educare i figli, il significato del dolore, della morte, della vita stessa).
L’idea di “uni-versità” implica quindi non solo quella dell’unità del sapere, ma dell’unità della stessa persona e vita umana.
Nel Medioevo, invece, il lettore, lo studioso e il giovane studente venivano accompagnati non solo a riconoscere la verità e, al di là delle diverse competenze pian piano acquisite, l’unità organica del sapere, ma appunto a raccordare tutto ciò con la propria stessa persona.
La “persona” è in sé stessa “una”, seppur con diverse facoltà; ed educare significa pure condurre in unità i diversi aspetti dell’esistenza (non a caso definiamo “dissociata” o addirittura “schizofrenica” una personalità o persino una psiche disturbata o patologica; ma non è al fondo oggi un pericolo assai diffuso e delirante, anche se non sempre ovviamente a livello clinico ma esistenziale?)
Il quadro organico del sapere
La sostanziale e non ingenua, tanto meno scettica, fiducia nella ragione di poter conoscere la verità e distinguerla dall’errore, così come la consapevolezza, già platonica ed aristotelica ma assai elevata dalla Rivelazione ebraico-cristiana (la Creazione come opera del Logos, che si è poi fatto carne in Cristo), che la realtà fosse non caotica ma regolata da leggi e quindi studiabile, fondava tutta la ricerca ed il sapere intellettuale.
Se già le Summae presentavano un quadro unitario del sapere, proprio il sorgere delle Università offriva questa viva testimonianza: appunto di un quadro unitario del sapere (uni-versitas) nella distinzione e raccordo intrinseco dei diversi suoi rami (facultates). Come appunto un albero (del sapere) che ha molteplici suoi rami ed è piantato su solide radici (metafisica e Rivelazione biblica), alimentato dall’unica linfa (amore per la verità e fiducia nella ragione).
Vediamo ora il quadro universitario in modo un poco più analitico …
Intanto, già nelle Quaestiones disputatae, si cominciava, saggiamente, con la precisazione del significato delle parole usate (explicatio terminorum), perché evidentemente un equivoco a questo livello comprometterebbe fin dall’inizio tutto il proseguo del ragionamento, della ricerca e del dialogo tra le diverse possibili posizioni (quanto dovremmo impararlo anche oggi, in ogni discussione!).
Poi si aveva cura di seguire correttamente le leggi che permettono un vero ragionamento, cioè la Logica, che poggia sull’evidenza stessa del “principio di non-contraddizione” (senza il quale ogni parola ed ogni ragionamento perderebbe di significato), per cui da premesse vere (e se non sono chiaramente tali vanno giustificate con ragionamenti precedenti che hanno concluso ad esse) e ben collegate (uno stesso “termine medio” che faccia da corretta congiunzione), si possa anzi si debba necessariamente concludere (dedurre) una nuova verità (sillogismo, cioè: A=B; B=C; dunque: A=C).
Questa analisi intrinseca del ragionamento si chiama Logica minor.(cioè come ben ragionare, addirittura indipendentemente dai contenuti).
Non a caso si dava molta importanza allo studio della Logica di Aristotele; ma per 400 anni tra i trattati di logica faceva da riferimento pure la “Summulae logicales” (166 edizioni fino al ‘700) di Pietro di Spagna (futuro Papa Giovanni XXI).
La Logica maior (andata sostanzialmente perduta col pensiero moderno, per questo fin dall’inizio destinato al nichilismo) è invece l’analisi di come in noi sia possibile la “conoscenza”.
Si tratta, con non ingenuo “realismo” (cfr. quando sottolineato in merito nella III Parte), di vedere come in noi, dotati di sensibilità e intelligenza, si possa procedere con fondata sicurezza – anche se certo non con assoluta infallibilità come per l’Intelletto divino (che non ha certo bisogno di ragionamenti per cogliere il vero) e neppure come l’intelligenza angelica (che, sia pur creata e quindi comunque limitata, non ha comunque bisogno di passare dai sensi) – dall’esperienza sensibile alla formazione dei “concetti” [l’intelligenza “concepisce” l’idea (ad esempio “tavolo”), “astraendola” (non “costruendola” in base a degli a-priori, come vorrebbe Kant, ficcandosi in un vicolo cieco che costringe inesorabilmente al silenzio!) dalla realtà e formulando appunto l’idea (gli “universali”)], per poi formulare i “giudizi” (in rapporto all’essere, cioè “verità”, oppure al nulla, cioè “falsità”; infatti diciamo ad esempio “questo è un tavolo, cioè è vero che è un tavolo, oppure non è un tavolo, cioè è falso che sia un tavolo); unendo poi correttamente (come visto) i giudizi compiamo un corretto ragionamento e in questo modo raggiungiamo nuove verità, cioè progrediamo nella conoscenza persino al di là dell’esperienza (che pur deve essere il punto di partenza, per non scadere in vuoti idealismi).
Ecco perché con l’apparire dell’essere umano (dotato di intelligenza, cioè di spirito, in quanto creato “ad immagine e somiglianza di Dio”) l’evoluzione, che è al suo culmine, non è più biologica (gli animali fanno da sempre e sempre le stesse cose, cioè la loro conoscenza è solo sensibile, semmai imparano cose nuove solo perché fanno nuove esperienze sensibili), ma culturale (vedi Dossier sull’evoluzionismo, parte 4, o vedi documento più sintetico), inizia cioè una scoperta ed un utilizzo della realtà in base appunto a ragionamenti (conoscenza intellettuale) che non termina mai; ed ha fatto sì che l’uomo, pur meno dotato degli animali dal punto di vista sensoriale, sia diventato “il signore” del pianeta (ha già navicelle spaziali che sono oltre il sistema solare vedi) e possa e debba addirittura conoscere Dio ed entrare, per grazia (in Cristo), nella vita stessa (eterna) di Dio (o dannarsi eternamente, in quanto la volontà rimane libera di negare la verità).
La matematica stessa poggia su questa capacità di astrazione [l’aritmetica poggia sul “numero” (ma il numero è un’astrazione, tratta dai sassolini, in latino significativamente “calculi”) e sul collegamento logico (cioè in base al principio di non-contraddizione) dei numeri; e la geometria poggia su figure astratte (in sé non esiste ad esempio un “rettangolo”, cioè una figura a due dimensioni, ma solo oggetti a tre dimensioni, cioè esiste una superficie rettangolare, che possiamo “astrarre”, è non è costruzione arbitraria e aprioristica della mente, e su cui è possibile ragionare, ad esempio vedendone le proprietà dei lati e degli angoli, ed applicare a nuove realtà, ad esempio con un progetto di un geometra o di un ingegnere). E che il risultato sia concreto, reale e non solo ideale (come invece credeva Kant), è dato dal fatto che se ho fatto bene i “calcoli” devo sapere “a priori” se ad esempio tale costruzione reggerà o crollerà, senza aspettare la verifica sperimentale “a posteriori”). Appunto, basta che le premesse siano vere e poi ben collegate (un progetto, che parta certo dalla realtà) per ottenere il risultato (il pro-getto è infatti un ragionamento della mente, che si getta avanti, che precede la realtà, ma se è corretto non è vano)!
La Metafisica, partendo dall’esperienza, studia però la realtà nel suo stesso fondamento (“l’essere in quanto essere”, diceva già Aristotele, e non questo o quell’essere) e raggiunge le prime evidenze: che l’essere si oppone al nulla [appunto il “principio di identità” (l’essere è essere) o del “terzo escluso” (cioè che non c’è una terza possibilità tra essere e nulla), che in logica diventa “principio di non contraddizione” (non si può affermare e negare contemporaneamente la stessa cosa sotto lo stesso aspetto); mentre, se applicato alle realtà mutevoli, diventa “principio di causalità” (cioè ogni essere o effetto ha una “causa” proporzionata o adeguata, non potendo scaturire dal nulla)]. La metafisica raggiunge così l’Essere stesso (senza limite e divenire), che è Dio.
Per questo esiste già una Teologia razionale (o filosofica o naturale, poi detta anche Teodicea), nel senso che la ragione umana, a partire dalla realtà, può già scoprire che Dio c’è (esistenza) e persino qualche suo attributo (essenza), se non altro per i riflessi che si riscontrano nella Sua opera (Creato, Natura), oltre che analizzando poi ciò che è implicito nell’Essere stesso supremo (come la Sua infinitezza, eternità, onnipotenza, cioè escludendo tutto ciò che negli altri esseri è segnato invece dal limite e dal tempo) (vedi).
Il cosiddetto “argomento “ontologico” (a priori) di S. Anselmo indica infatti come sia assurdo che Dio, Essere perfetto, non abbia addirittura l’esistenza, visto che ce l’ha anche un sassolino, e dunque è assurda in sé la frase “Dio non c’è” (perché anche per negare un concetto devo sapere cosa implica quel concetto, ma il concetto “Dio” è appunto l’unico che implica necessariamente l’esistenza, in quanto è appunto l’Essere perfetto, dotato cioè di ogni perfezione, compreso ovviamente l’esistenza.
Ecco perché proprio a livello di metafisica, che culmina con la Teologia (naturale), avviene il contatto ed il rapporto più normale con la Teologia soprannaturale, cioè la riflessione razionale su ciò che Dio stesso ci ha rivelato, soprattutto nell’Incarnazione del Verbo (Logos).
Da cui l’idea, corretta e diffusa nel Medioevo, di “philosophia ancilla theologiae”, non nel senso di asservire il ragionamento filosofico (che deve essere dimostrato già vero in sé, in base appunto alla correttezza dei ragionamenti, come sopra ricordato, cioè con una propria autonomia) ma in quello che proprio al culmine del sapere umano può e deve avvenire il più fecondo incontro con ciò che Dio stesso ha rivelato! Ciò ovviamente perché non ci possono essere verità tra loro contraddittorie (semmai complementari), né ovviamente Dio può sbagliarsi (in quanto Intelligenza e verità suprema, per definizione stessa) né vuole ingannarci (in quanto Amore). Semmai la Rivelazione divina (Cristo), mentre ci rivela e ci dona “Verità” (che è Egli stesso, cfr. Gv 14,6) che sono “Via al Cielo”, cioè che ci donano la vita eterna (cfr. Gv 6,68), e come tali superano certamente ciò che possiamo conoscere solo con la nostra ragione – ad esempio che Dio è Santissima Trinità, pur essendo Uno, e che l’uomo è chiamato in Cristo ad entrare nella Sua stessa vita eterna non sarebbe mai stata una verità scopribile con la sola ragione o filosoficamente; anche se poi la ragione, illuminata dalla fede, può riflettere infinitamente su questa verità, ed è proprio il compito della Teologia – può anche confermare quello (verità) che la mente umana può, potrebbe o potrà, già autonomamente scoprire (tra l’altro il pensiero moderno, che non sa più uscire dal labirinto di se stesso, ponendo appunto sul nostro intelletto un sospetto esagerato, sembra auspicare una rivelazione non-umana in grado di offrirci garanzie: in Cristo c’è la Rivelazione divina!).
[A chi obietta che il filosofo cristiano è condizionato dal fatto che sa già dalla Rivelazione divina molte verità su cui vuole indagare e quindi non sarebbe autonomo nel ragionamento, si potrebbe rispondere che pure in matematica, come spesso si fa anche con gli studenti, la rivelazione anticipata del risultato del problema non toglie le possibilità e il dovere di svolgerlo correttamente, cioè di passare dalle premesse (il testo) alla conclusione (il risultato) in modo razionale e autonomo].
Con questi fondamenti, senza nulla togliere alla fatica e alla relativa autonomia di indagini razionali settoriali, e certo ancora con la possibilità di errare o di raggiungere conoscenze passibili di sviluppi e correzioni future, si poteva con più sicurezza e passione (perché poi l’uomo desidera conoscere il vero e non conoscere per il gusto di fare elucubrazioni mentali!) passare ad indagare i diversi rami del sapere (facultates) e di conoscerne persino di nuovi.
La stessa filosofia – ed ancor oggi quando è profondamente studiata (mentre in Italia il progetto scolastico di stampo hegeliano che si rifà sostanzialmente ancora a Gentile prevede solo uno studio “storico” della filosofia, e persino una sola cattedra tra storia e filosofia, secondo appunto il pregiudizio storicistico della dialettica hegeliana) – dopo la Logica (e gnoseologia o epistemologia, nel senso del fondamento della conoscenza, fino a livelli secondari, come la retorica) e la Metafisica (che culmina nella Teologia filosofica, detta poi anche Teodicea), indaga poi sulla natura o cosmo [filosofia naturale o cosmologia, in senso filosofico cioè a fondamento delle stesse discipline che lo studiano (fisica, chimica, astronomia, biologia)] e soprattutto sull’uomo [antropologia filosofica, quindi a fondamento delle diverse discipline che studiano il suo corpo (medicina e i suoi diversi rami: anatomia, fisiologia, patologia, …) o la sua psiche (psichiatria, psicologia, psicanalisi) o ancora le sue relazioni sociali (sociologia)], cioè sulla sua capacità di conoscere (come abbiamo già ricordato, gnoseologia, logica, epistemologia, nel senso di fondamento non solo della scienza moderna ma della scienza in genere, cioè appunto del conoscere) e di volere in modo libero (da cui la morale o etica, che non si riduce a quella dei rapporti sociali o del diritto ma appunto sulla questione del bene e del male in senso fondamentale e totale).
Tutto ciò provocava e permetteva (e permette) una visione “unitaria” del sapere, sia pur nella distinzione e nella relativa autonomia delle diverse discipline e nella possibilità di conoscere sempre nuovi sviluppi.
Una nota (sull’autonomia dei saperi)
Non è vero, come qualcuno accusa, che il sapere delle università medievali fosse riferito solo alla Teologia o che questa condizionasse tutte le altre forme di sapere. C’era semmai la corretta consapevolezza anzitutto che non ci possono ovviamente essere verità tra loro contraddittorie (e proprio su questa evidenza si basavano le quaestiones o discussioni, scritte od orali, e le stesse lezioni universitarie), ma semmai complementari e comunque nel rispetto anche della relativa autonomia e metodi investigativi delle diverse discipline o saperi, che potevano però appunto essere raccordati in unità (un sogno vago e in genere inutile inseguito oggi dalla cosiddetta interdisciplinarietà). Questo, ovviamente e com’è corretto pensare, anche nella consapevolezza di una gerarchia di saperi, poiché una disciplina è tanto più alta quanto più affronta i fondamenti e i “primi perché” di tutte le cose, raccordando così e giustamente posizionando tutti gli altri saperi, pur autonomi nella propria ricerca, nella giusta dimensione. Abbiamo sopra delineato il quadro.
In questo senso è evidente che la metafisica (come studio dell’essere “in quanto essere”) e la Teologia naturale (come studio dell’Essere stesso sussistente, cioè Dio) costituiscano i vertici ed i fondamenti stessi del sapere; e proprio per questo, a quel livello si può e si deve registrare l’incontro più fecondo con la Teologia soprannaturale, cioè con i contenuti (anche questi affrontati con la ragione ma pure con il sostegno della “grazia”) propri della Rivelazione divina.
Questo fecondo incontro tra la progressiva investigazione umana e razionale della realtà e la scoperta sempre più profonda della pur definitiva e superiore Rivelazione divina (che trova ovviamente il suo culmine insuperabile in Cristo, Logos–Verbum fatto carne), laddove era autentico e profondo, armonizzava ma non confondeva i piani di investigazione della realtà. Non si doveva (anche se il pericolo spesso si ripresentava) né trarre dalla Teologia e dalla Filosofia (metafisica) conclusioni a livello di investigazione fisica (oggi si direbbe scientifica) della realtà (che doveva godere di autonomia nella propria investigazione razionale della realtà), né pretendere che lo studio della realtà fisica elidesse la necessità razionale di cercarne i fondamenti ultimi (metafisica e teologia), come invece purtroppo farà ampiamente il pensiero moderno e contemporaneo.
Questa distinzione, autonomia ma anche armonia del sapere, che permette appunto sintesi superiori e non contraddittorie, era già chiara ad esempio in S. Alberto Magno [Woods, op. cit., p. 64: “Non è assolutamente vero che non c’era distinzione tra teologia, filosofia e filosofia naturale (scienze). L’autonomia di quest’ultima disciplina era garantita solo dalla ragione, cioè dando spiegazioni naturali ai fenomeni naturali (ci si doveva cioè trattenere dall’introdurre nella filosofia naturale questioni teologiche o di fede)”].
“Nelle università medievali si studiava, oltre alle discipline umanistiche (Teologia, Filosofia, Diritto), ad esempio anche geometria (specie dopo la scoperta delle opera di Euclide) e medicina (di Galieno). (ibidem)
La nascita delle Università
È appunto da questa concezione unitaria del sapere, e prima ancora della “verità”, che è nata quella nuova e straordinaria istituzione accademica superiore che è l’Università.
Generatrice, culla e promotrice di queste straordinarie istituzioni accademiche, che tanta importanza hanno avuto per la formazione dell’unità europea, della civiltà occidentale e mondiale, è stata proprio la Chiesa Cattolica.
Nel corso della storia, la Chiesa Cattolica, solo in Europa, ha creato ben 108 Università!
Se la prima università del mondo, in senso stretto, è nata a Bologna nel 1088 , subito il secolo successivo (XII) segnerà una tale fioritura di queste auguste istituzioni accademiche (in genere tuttora esistenti e prestigiose) da essere considerato una vera e propria “rinascita culturale” dell’Europa.
Vediamone alcune …
La prima Università del mondo (1088), nata sotto gli auspici e la protezione della Chiesa Cattolica e del Papato (già come “scuola” nel 1067) fu quella di Bologna.
Il concetto stesso di “università” è nato a Bologna nel 1088 con Irnerio attorno alla neonata facoltà di Giurisprudenza, così che l’Università di Bologna si fregia del motto Alma mater studiorum (Madre, feconda, degli studi). L’Università di Bologna ha creato infatti fin dall’inizio un metodo che si è imposto come modello per tutta l’Europa come poi per le università del mondo intero. Quale novità e caratteristiche aveva questo modello? Si trattava anzitutto di un insegnamento “libero”, vale a dire completamente indipendente dal potere politico e persino autonomo da ingerenze religiose. L’Università di Bologna era infatti governata dagli stessi docenti, persino in unità con gli studenti. Gli insegnamenti (facoltà) erano molteplici, aperti a tutti (non solo ecclesiastici o aristocratici), anche a studenti provenienti da varie città e Paesi (la lingua della cultura era intanto unica: il latino).
L’Università di Bologna ebbe però una particolare rinomanza europea per lo studio del Diritto (vi si scoprì tra l’altro e vi si insegnava il Digestum, cioè la parte principale del Corpus juris civilis di Giustiniano, del VI sec., ancor oggi ammirato compendio del celebre “diritto romano”).
[Significativamente anche l’attuale processo per giungere al riconoscimento e circolarità dei titoli accademici delle università europee si è voluto chiamare per questo “processo di Bologna”]
A Parigi, come abbiamo osservato, era già attiva da tempo una celebre “scuola”, ubicata nel cuore stesso della città (Île de la Cité), a ridosso e sotto la protezione della sede arcivescovile. Mentre cominciava la costruzione della celebre cattedrale gotica di Notre Dame (1163-1345), già tale importante scuola nel 1170 divenne Università. Fu non solo una delle prime, ma anche una delle più importanti d’Europa. Fu subito punto di riferimento per l’alta formazione culturale dei giovani di tutta Europa. Vi studiarono e insegnarono anche S. Alberto Magno (1205-1280, vedi, vescovo e considerato l’uomo più dotto del suo tempo e non a caso dichiarato “patrono della scienza”), che ebbe come allievo nientemeno che S. Tommaso d’Aquino (1225-1274, vedi, il più grande teologo e filosofo cristiano di tutti i tempi).
Come noto, tale Università di Parigi prenderà poi il nome (che tuttora conserva) di “Sorbonne” (la Sorbona), dal sacerdote Robert de Sorbon (1201-1274), che, pur di umili origini, fu non solo rinomato teologo ma cappellano e confessore del re (san) Luigi IX, e che nel 1257 fondò il collegio dell’università (inizialmente pensato per 20 studenti poveri di Teologia e sorto nel cortile stesso della cattedrale), finanziato dal re ed approvato dal Papa Alessandro IV nel 1259. Egli fu poi docente (di “Teologia morale”, dal 1258 alla morte) e persino Rettore dell’Università, che prenderà poi appunto da lui il nome (oggi l’intero adiacente quartiere parigino porta questo nome).
Da augusto centro culturale ed accademico nato dalla Chiesa Cattolica, l’Illuminismo trasformerà la Sorbona in uno dei maggiori templi del pregiudizio anticattolico (appunto i miti sul Medioevo oscurantista, sull’opposizione scienza-fede, ecc. vedi); ma, come sappiamo (vedi), la Rivoluzione, oltre ad annientare crudelmente chiunque vi si opponesse, e alla fine persino i suoi stessi fautori, aborrì la ricerca accademica e mandò sotto la ghigliottina il fior fiore dei filosofi e degli scienziati! A tal punto che già nel 1793 soppresse l’Università. Rifondata solo dopo oltre un secolo (1896), abbiamo già ricordato (cfr. Prima parte) come paradossalmente (difficile opporsi ai disegni se non scherzi della Provvidenza!) proprio alla Sorbona, anche se non mancano certo nell’élite culturale (bancaria, politica) francese rigurgiti anticlericali, attorno agli anni ‘30 del secolo scorso si manifestò persino un rifiorire di studi entusiasti del “tomismo” e della teologia e filosofia medievale (ricordati appunto all’inizio di questo Dossier).
Parigi venne considerata nel Medioevo, a motivo della sua prestigiosa Università, una “nuova Atene”.
Sempre in Francia nasceranno nel Medioevo numerose università, tra cui quella di Poitiers nel 1431.
In Inghilterra nel 1167 (ma già dal 1096 operava come autorevole “scuola”) la Chiesa Cattolica fondò la celebre università di Oxford, seguita nel 1209 da quella, di altrettanto e perfino più elevata dignità accademica, di Cambridge. All’inizio, prima come scuole e poi come università, queste due celebri sedi accademiche nacquero come riunioni, talora persino informali, di autorevoli docenti e studenti appassionati della ricerca del vero.
Sappiamo che tuttora il sistema universitario che le contraddistingue, più che come singole Facoltà, è organizzato come coordinamento di singoli autorevolissimi Colleges.
Che si trattasse di università legate fortemente alla vita della Chiesa Cattolica (perché ovviamente siamo in secoli precedenti alla dolorosa separazione degli Anglicani*) ne sono ad esempio prova inequivocabile (perché “di pietra”) le celebri Cappelle di alcuni storici Collegi, simili per armonica grandiosità e bellezza artistica a vere e proprie cattedrali gotiche, che ancor oggi lasciano a bocca aperta anche il visitatore e turista più affrettato e inconsapevole delle radici storiche e di fede di quelle autorevoli strutture accademiche.
* Ovviamente, dopo Enrico VIII, tutto ciò fu confiscato dal Regno, e queste celebri Università divennero “anglicane”, espellendo a suon di terribili e violente persecuzioni (vedi documento, n. 18; Dossier, 4.11), ogni traccia di Chiesa cattolica o di “papisti” (come ancor oggi gli Anglicani chiamano con tono dispregiativo i Cattolici)! Il destino della modernità ha portato infine queste prestigiose Università, tuttora strutturate come Colleges, ad essere puramente “laiche” e statali (del Regno).
Sempre nell’isola britannica, ma nella Scozia, nacquero più tardi (XV sec.) le Università di St. Andrews (1410), di Glasgow (1450) e di Aberdeen (1495).
Anche nella penisola iberica sorsero nel Medioevo autorevolissime università [Lisbona (1288), Valladolid e Madrid (1293), poi a Barcellona (1450), Santiago di Compostela (1495) e Valencia (1499)], tra cui eccelle quella di Salamanca, che nel 1134 fu la prima al mondo a godere ufficialmente di tale titolo accademico.
In Boemia nel 1348 nacque la celebre Università Carolina, come in Polonia (a Cracovia) nel 1364 sorse la rinomata Università Jagellonica.
Nell’attuale Germania nacquero le celebri università di Heidelberg (1386), Lipsia (1409), Rostock (1419), Greifswald (1436/1456, soppressa poi dai Protestanti), Monaco di Baviera (1459) e nel 1477 la celebre università (anche per la rinomata facoltà di Teologia, tuttora esistente) di Tubinga.
A Vienna l’università nacque nel 1365.
In Svizzera nacquero nel 1457 la celebre università di Friburgo (tuttora con una prestigiosa facoltà di Teologia) e nel 1460 quella di Basilea.
Nei Paesi Scandinavi [ricordiamo che nel Medioevo anche questa zona dell’Europa settentrionale era tutta cattolica, prima cioè di diventare luterana con la Riforma/Rivoluzione protestante (vedi); ricordiamo che la Svezia ci ha dato nel XIV secolo una compatrona d’Europa (S. Brigida – vedi)] nel 1477 nacque l’università di Uppsala (le storica città svedese poco a nord di Stoccolma, appartenente all’unione di Kalmar) come nel 1479 quella di Copenaghen (allora appartenente alla stessa Unione di Kalmar).
Questa rete accademica, insieme alla diffusione dei monasteri e delle cattedrali, costituirà appunto non solo la base culturale della fede cattolica e della stessa civiltà cristiana occidentale, ma un decisivo fattore del tessuto connettivo della stessa unità culturale del continente europeo.
Ponendo ora la nostra attenzione sull’Italia, dopo aver già citato quella di Bologna come la prima Università del mondo (1088), nel 1222, quasi una sua ‘dependance’, nacque la celebre università di Padova. Due anni dopo (1224) nacque quella, ugualmente importante, di Napoli; e nel 1240 quella di Siena. Quelle di Macerata e di Perugia, alle dirette dipendenze pontificie (pur essendo liberissimi centri di investigazione accademica), sorsero rispettivamente nel 1290 e nel 1308. L’Università di Firenze sorse nel 1321. L’autorevole Università di Pisa, già nata come “scuola” nel XI secolo, viene creata nel 1343. A Pavia esisteva già un’importante “scuola” addirittura nell’825, che divenne un’importante Università nel 1361. Poi, sempre in ordine cronologico, nacquero le Università di Ferrara (nel 1391), di Torino (nel 1404), di Parma (già “scuola” nel 962, fu eretta come Università nel 1412), di Catania (nel 1434) e di Genova (nel 1481). Evidentemente si tratta di fecondi frutti culturali ed accademici sorti ancora nei cosiddetti “secoli bui” del Medioevo e nel Paese centro della cristianità, dove c’è il Papato, e fino al Risorgimento centro culturale di primaria importanza mondiale!
Soffermiamo però ora brevemente la nostra attenzione su Roma, la città dei Papi, il centro della cristianità. Ebbene, nel 1303 il Papa Bonifacio VIII fonda a Roma una celebre Università, denominata dapprima Studium Urbis poi “La Sapienza divina”, quindi semplicemente “La Sapienza” (come ancor oggi è chiamata).
Ovviamente, con la presa risorgimentale di Roma (vedi dossier e documento) da parte dei Piemontesi (20 settembre 1870), mentre si provvide subito (1873) ad abolire le Facoltà di Teologia in tutte le Università del Regno d’Italia (perfino a Roma!) – e tuttora è così: cioè nelle Università statali italiane non può esistere la Facoltà di Teologia! Cosa che fa sorridere la stessa laicissima Germania, che invece le possiede, e lascia nell’immaginario collettivo italiano, persino cattolico, l’impressione che Teologia non sia una disciplina di rigore accademico! (così che tutti si sentano autorizzati a parlare di fede e morale cristiana senza magari neppure aver aperto un libro serio di Teologia o sapere nulla del bimillenario ed oceanico patrimonio teologico cattolico) – l’università La Sapienza divenne ovviamente non solo di proprietà del Regno (e ancor oggi è dello Stato) ma uno strumento privilegiato per la diffusione della nuova cultura massonica che doveva sostituire quella cattolica (da cui invece era appunto nata quasi 6 secoli prima!). Tutti i poteri anticristiani (dopo il potere culturale liberal-massonico lo farà poi anche quello marxista-comunista) sapevano bene che avere in mano le cattedre universitarie voleva dire plasmare le menti della futura classe dirigente del Paese; e questa “rivoluzione culturale” avrebbe inciso nella società più di quella fatta coi fucili (qualcuno aveva infatti riconosciuto apertamente che “fatta l’Italia, bisognasse poi fare gli Italiani”, Massimo d’Azeglio)!
Tra i recenti rigurgiti anticlericali e paradossi antistorici e anticulturali dell’Università La Sapienza di Roma c’è stato l’increscioso episodio del 17.01.2008 (vedi News 24.10.2021): le vivaci e pubbliche proteste non solo di studenti ma di 67 docenti (tra cui il prof. Giorgio Parisi, poi insignito del Premio Nobel per la Fisica) costrinse il Papa Benedetto XVI (*) a declinare due giorni prima l’invito del Rettore a presenziare l’inaugurazione ufficiale dell’anno accademico 2007/2008 (fece però pervenire lo stupendo discorso magistrale che vi avrebbe pronunciato, leggi).
(*) Ricordiamo che Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), tra i più colti uomini contemporanei, fu docente in alcune delle più prestigiose università tedesche (Bonn, Regensburg, Tübingen) ed anche da Papa poté visitare molte prestigiose università del mondo e incontrare diverse realtà accademiche:
Ratisbona (12.09.2006, leggi il celebre e stupendo discorso, immediatamente strumentalizzato e criticato in chiave anti-islamica), Tubinga (21.03.2007), Praga (27.09.2009), Madrid (19.08.2011), Washington (17.04.2008), Pavia (22.07.2007), Parma (incontrata in Vaticano, 1.12.2008), ed altre, oltre ovviamente ai molteplici incontri con le prestigiose Università Pontificie con sede in Roma ed altre Università cattoliche, a Roma (Lumsa, 12.11.2009; Cattolica, 3.05.2012) e nel mondo]. In tali occasioni, incontrando il mondo accademico (docenti e studenti) Benedetto XVI ha sempre tenuto discorsi di altissimo profilo culturale (come egli sapeva fare), così come quando ha incontrato le realtà culturali più prestigiose del mondo (cfr. ad esempio l’incontro col mondo della cultura al Collège des Bernardins a Parigi, il 12.09.2008 vedi).
Paradossale quindi che non abbia potuto visitare proprio l’università di Roma, peraltro fondata dal suo predecessore Bonifacio VIII.
Ironia e beffe della storia e della mentalità laicista italiana: la stessa Università romana (La Sapienza), l’anno dopo (11.06.2009) accolse invece con tutti gli onori il leader libico colonnello Muammar Gheddafi, che poté incontrare gli studenti e il mondo accademico nell’aula magna e tenervi addirittura un discorso di elogio dell’Islam!
Ricordiamo che solo 2 anni dopo (il 20.10.2011) il leader libico fu ucciso dalle forze dell’ONU, USA (Obama) e francesi, che volevano cavalcare le cosiddette “primavere arabe”, da loro promosse, ma hanno invece gettato la Libia nel caos, pericolosissimo per l’Italia, sia per le risorse energetiche (metano e petrolio) che ci fornisce, sia per la questione dell’immigrazione clandestina proveniente dalle coste libiche.
Il ruolo dei Papi
I Papi consideravano le università tra i “gioielli” della civiltà occidentale. Innocenzo IV (1243-1254) definì le università “fiumi di scienza che irrorano e rendono fertile il suolo della Chiesa universale”; Alessandro IV (1254-1261) le chiamò “le lanterne risplendenti nella casa di Dio”.
Ecco perché i Papi svolsero un ruolo centrale, nel Medioevo, per creare, promuovere e difendere le Università e perfino per garantirne l’autonomia (Gregorio IX garantì ad esempio all’università di Parigi il diritto all’autogoverno). All’università di Oxford, che eccelleva già allora per importanza, era il Papa (da Innocenzo IV) a conferire il titolo di Laurea.
Ricorrere al Papa era il percorso più ovvio e sicuro per far valere persino i propri diritti all’interno degli atenei; e non solo da parte dei docenti ma degli stessi studenti! Il Papa garantì agli studenti persino il diritto di sciopero (“cessatio”)!
La Chiesa Cattolica assicurava infatti agli stessi studenti particolari garanzie, assicurazioni e protezioni durante il loro percorso accademico.
Il Papa Gregorio IX stabilì infatti che alcune lagnanze degli studenti potevano essere fatte conoscere direttamente allo stesso Pontefice, che sarebbe intervenuto d’autorità per risolvere le questioni. Così Onorio III nel 1220 prese le parti degli studenti per difenderli da certi loro diritti non rispettati nella stessa Università di Bologna.
Venne addirittura riconosciuto anche agli studenti “laici” (cioè non chierici) il cosiddetto “beneficio clericale”, che li rendeva quasi intoccabili anche fisicamente (sotto pena di sacrilegio),
Anche i docenti sapevano che potevano contare sul Papa per far valere i propri diritti. Ad esempio Bonifacio VIII, Clemente V, Clemente VI e Gregorio IX obbligarono le università a retribuire degnamente i professori.
Il metodo di studio
Come abbiamo osservato, alcune di quelle che poi divennero nel Medioevo importantissime Università erano già sorte, promosse e spesso tenute dalla Chiesa (monasteri, cattedrali, clero), come “Scuole”.
Talora all’inizio anche le Università non erano neppure luoghi specifici, ma ambiti di lavoro culturale, accademico, intellettuale, sorti liberamente e quasi spontaneamente tra docenti e studenti.
Inizialmente le lezioni potevano tenersi ovunque, anche appunto nei monasteri o nelle cattedrali.
Questo avveniva già nell’antichità, nelle realtà di insegnamento del mondo greco e latino. Validi maestri e docenti attiravano naturalmente dietro di sé sciami di studenti desiderosi di apprendere; e gli studenti, riconoscendo l’autorevolezza e competenza del “maestro”, sceglievano da sé il professore da seguire per meglio imparare.
L’idea moderna e statalista di sorbirsi professori, talora persino impreparati, e programmi imposti dallo Stato, a ben pensare, è una sciocca violenza derivante ancora dall’assolutismo statale di matrice illuminista, antitetico ai principi di “solidarietà” e “sussidiarietà” propri della Dottrina sociale della Chiesa (vedi, spec. 14-15).
Nelle Università del Medioevo, alle lezioni potevano accedere studenti in genere dai 14 ai 20 anni; potevano essere chierici o laici, di famiglie benestanti e nobili quanto di umili condizioni.
I docenti erano retribuiti dall’Università. I libri, non essendoci ancora la stampa, venivano solo concessi in prestito dalle rinomate e fornite biblioteche (abbiamo visto ad esempio quanto fossero importanti e fornitissime già quelle dei monasteri).
Il corso di Laurea prevedeva 4 o 5 anni di studi, la partecipazione alle lezioni (con la possibilità di interloquire col docente), lo studio di testi fondamentali (dati appunto in prestito), programmi organici e in genere comuni a tutte le università, persino europee, (nonostante la garantita libertà di insegnamento e di apprendimento) e il superamento di prove che dimostrassero quanto lo studente avesse acquisito circa le proprie scelte competenze.
Il percorso accademico si snodava proprio a partire da quella fiducia nella ragione di scoprire la verità e da quella concezione unitaria (e formativa) del sapere che abbiamo sopra evidenziato.
Oltre alla frequentazione delle lezioni (in genere già ruotanti attorno a testi fondamentali dell’universale patrimonio culturale allora noto, a guisa di commentari), lo studente doveva dar prova di studio e comprensione di tali testi. Però l’indagine razionale era stimolata e vivacizzata dalla partecipazione, il più possibile attiva e talora da protagonista, a delle “dispute”, anche tra studenti di una stessa classe. Sulla scia poi del metodo usato dalle Quaestiones disputatae, abbiamo visto, le questioni erano poste in modo dialettico, cioè che proposizioni anche tra loro opposte, che dovevano essere razionalmente fondate e confrontate, così da far emergere non solo la correttezza delle premesse e dei ragionamenti che avevano condotto a tali affermazioni (o negazioni) ma soprattutto quale fosse quella vera e quale invece quella erronea (falsa) (secondo appunto il chiaro ed efficace metodo della “scolastica”, che riscontriamo ad es. in S. Tommaso d’Aquino e nel “tomismo”). Quando poi si tenevano pubbliche ed importanti dispute accademiche (quaestiones), allora anche gli studenti erano inviati a parteciparvi (abbiamo visto quanto interesse persino pubblico suscitassero certe dispute accademiche)!
La disputa ordinaria delle quaestiones prevedeva questa procedura.
Il maestro assegnava agli studenti il compito di sostenere l’uno o l’altro aspetto (tesi) di una questione. Lo studente doveva documentare e difendere la propria posizione (tesi), cercando di condurre l’altro alla conclusione vera. Alla fine il maestro, se non fossero riusciti gli studenti stessi, con la distinzione della posizione vera e dell’errore, aiutava a risolvere (“determinare”) la questione.
Per ottenere il diploma di laurea, lo studente (dopo aver dato prova di aver letto i testi e di avere un’adeguata preparazione), doveva risolvere una “quaestio” da solo, persuadendo gli insegnanti, che magari cercavano di contraddirlo per saggiarne il sapere e la preparazione, attraverso ovviamente strumenti razionali, cioè convincendo attraverso un procedimento logico-razionale [ancor oggi si dice infatti “difendere la tesi”, con tanto di “controrelatore” che cerca di controbattere le affermazioni dello studente, o almeno così dovrebbe essere].
Al termine del percorso accademico, superate tutte le prove, lo studente riceva il titolo di Laurea (secondo le facoltà, cioè il percorso accademico scelto), godeva del titolo di “maestro in …”*. I chierici potevano quindi accedere agli Ordini sacri ed iniziare la loro missione; mentre gli studenti laici potevano accedere invece alle loro rispettive professioni; per ottenere invece l’abilitazione all’insegnamento il neo-laureato doveva superare ancora qualche prova**.
* La Laurea veniva conferita (il candidato in ginocchio davanti al vice-cancelliere) “in nome dell’autorità a me conferita dagli Apostoli Pietro e Paolo … nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
** Dopo aver ottenuto la Laurea, per avere l’abilitazione all’insegnamento, il Maestro doveva dar prova (occorrevano ancora dai 6 mesi ai 3 anni) di conoscere almeno (a seconda del tipo di Laurea e di insegnamento) i principali libri di Aristotele, Boezio, Prisciano (grammatica), Cicerone, Ovidio, Euclide (vedi elenchi per il diploma a Parigi o ad Oxford, in Woods, op. cit., p. 63). Una volta ottenuta l’abilitazione all’insegnamento, esso poteva essere esercitato ovunque, persino in Europa (intanto la lingua, il latino, era la medesima e d anche i programmi erano in genere analoghi).
Il Maestro laureato in qualsiasi università europea, avrebbe goduto di rispetto e autorevolezza in tutta la cristianità. Così, ad esempio una laurea ottenuta a Bologna, Parigi o Oxford autorizzava ad insegnare ovunque (ius ubique docendi) [Papa Gregorio IX concesse ad es. nel 1233 tale diritto anche ai laureati di Tolosa]
Tutte le Università europee, in quanto nate e garantite appunto in tutto il continente dalla Chiesa Cattolica, con studi pressocché analoghi (nonostante le rispettate autonomie) e con un’unica lingua (il latino) che permetteva di comprendere e farsi comprendere ovunque, costituivano così una sorta di “rete” accademica unitaria di eccezionale valore e importanza; e ciò risulta molto impressionante, considerato anche quanto fosse allora difficile comunicare e viaggiare. (Abbiamo peraltro già visto quante conoscenze ed esperienze passassero anche attraversi la straordinaria rete degli innumerevoli monasteri sorti in poco tempo in Europa, come del resto la comunione esistente nell’unica Chiesa Cattolica e le sue innumerevoli chiese e cattedrali].
Questo permise un’incredibile diffusione del sapere, mai vista prima nella storia dell’umanità [“nessun’altra istituzione fece più della Chiesa Cattolica per promuovere la diffusione del sapere” (Woods, op. cit., pp. 59-60)].
Questo era il rigore razionale, filosofico, caratterizzò la vita intellettuale delle prime università.
Questa raffinata e autonoma (essenzialmente libera) ricerca e fondazione razionale della verità, nei suoi diversi rami, promossa dal sistema universitario, questa fiducia alla ragione come capacità di scoperta del vero, questo sistema di argomentazione logica (Quaestio) e persino di disputa pubblica (su base razionale, senza animosità), fu a fondamento non solo del metodo accademico delle università o della cultura, ma dell’intero sapere critico occidentale.
Persino la nascita della scienza moderna sarebbe stata inconcepibile senza questa fiducia nella ragione e questa passione per la verità oggettiva raggiungibile con un dimostrato e non ideologico o aprioristico procedimento razionale.
“A parte le Verità rivelate (che hanno un’autorità divina e quindi infallibile, ma che ugualmente mostrano la propria ragionevolezza e la possibilità di essere indagate, come dimostra la Teologia), nelle università medievali la ragione fu incoronata come arbitro più alto degli argomenti e delle controversie intellettuali, permettendo il progresso delle conoscenze, il vero dialogo tra le diverse posizioni, la soluzione dei principali problemi teoretici, il discernimento tra verità ed errore, persino la scoperta di nuovi campi del sapere … La stessa scienza moderna sarebbe stata inconcepibile senza questo retroterra culturale … Tutto ciò permise infatti alla civiltà occidentale di sviluppare le scienze in un modo che nessun’altra civiltà arrivò a concepire!”
(E. Grant, in Woods, op. cit., pp. 73-74).
Questo era il Medioevo. “Secoli bui e dell’oscurantismo cattolico”?!
5) La base della scienza
Quinta parte
[anche come documento separato]
Abbiamo già osservato abbondantemente quanto sia stato decisivo il ruolo della fede cristiana e della Chiesa Cattolica, durante i mille anni che vanno purtroppo sotto il nome di Medioevo, per la formazione della cultura, società ed unità europea e per l’intera civiltà occidentale.
Ci siamo riferiti spesso, ad esempio, al testo dello studioso americano T. E. Woods Jr., How the Catholic Church built western civilization, Washington D.C., 2001 (trad. it., Cantagalli SI, 2007: “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale”).
Non solo quindi ai fini specifici dell’evangelizzazione, cioè della salvezza eterna delle anime, ma per la conservazione e trasmissione del sapere, per l’educazione ed unità dei diversi popoli che componevano l’Europa in una più profonda identità culturale, per lo stesso benessere materiale ed economico del continente, con un proliferare di opere (ad es. quelle dei monaci) che hanno migliorato le condizioni di vita di interi territori e popolazioni.
Ora poniamo brevemente l’accento sul perché, di fatto, anche la scienza abbia conosciuto in Italia e in Europa, a motivo della fede cristiana, la sua culla e il suo fondamentale sviluppo. Ed anche se comunemente pensiamo che la scienza moderna sia nata agli inizi del XVII secolo (con Galileo), vediamo come invece trovi le sue basi ancora nella fede cristiana già nel Medioevo.
Ci riferiamo per questo soprattutto al documentato testo di Francesco Agnoli, Scienziati, dunque credenti (come la Bibbia e la Chiesa hanno creato la scienza sperimentale), Cantagalli (SI), 2012.
Dobbiamo anzitutto chiarire cosa si intenda correttamente per “scienza”, senza ridurla immediatamente a quella “sperimentale” (moderna, galileiana), come normalmente si intende.
Cosa si intende per “scienza”?
Il termine “scienza” deriva da “scire”, cioè sapere, capire, comprendere.
C’è dunque una scienza che deriva da un’evidenza (immediata o mediata da ragionamenti), dal buonsenso (o senso comune), dall’esperienza (propria o altrui), dagli studi, dalla fede cristiana (ciò che Dio stesso ci ha rivelato) e talora persino “infusa” (per cause o intuizioni naturali, paranormali o soprannaturali).
In questo senso può esserci una vera sapienza e scienza anche in una persona che non ha studiato.
In senso più proprio, più approfondito, “scienza” è la “conoscenza delle cause” (come sottolinea già Platone): conosce di più e meglio chi sa “il perché” (causa e fine) di una cosa.
Infatti l’essere umano, fin dal suo apparire ed ancor oggi in un bambino che cresce, a differenza di tutti gli animali (in quanto dotato di spirito e quindi di intelligenza), chiede sempre il “perché”!
E poiché, come abbiamo già ricordato, sapienza, anche etimologicamente, è un “gustare” il senso delle cose, il vero sapiente è colui che conosce il significato vero della vita.
In questo senso, come abbiamo visto nella parte precedente, nella “gerarchia” dei saperi, la “scienza” più importante è la metafisica (in quanto “studio dell’essere in quanto essere” e dei suoi primi assoluti e universali principi, come sottolinea bene Aristotele), che trova il suo culmine nella teologia (filosofica), in quanto studio di Dio (Theos-logia), cioè della Causa prima e Fine ultimo di tutte le cose ed Essere stesso sussistente (Esse Ipsum Subsistens).
È specialmente a questo livello di conoscenza, abbiamo sottolineato, che avviene il più fecondo incontro con la Teologia soprannaturale, cioè quella “scienza” che riflette su ciò che Dio stesso ha rivelato (Bibbia) e che trova il suo culmine in Cristo (Logos fatto carne, pienezza della Verità).
Non era quindi semplicemente un ossequio al cristianesimo o alla Chiesa, come qualcuno vorrebbe, che la Teologia nel Medioevo fosse la “regina” del sapere, ma è così proprio a motivo della gerarchia dei saperi, in quanto appunto culmine della “scienza”.
Normalmente invece, per “scienza” si intende oggi quella moderna, sperimentale, galileiana (che tra l’altro, come qui vedremo, c’era anche prima di Galileo): essa si occupa solo (anche se è ovviamente decisivo per il progresso, specie tecnico, dell’umanità) delle “cause seconde”, cercando cioè di scoprire, in base a ipotesi poi avvalorate appunto da esperimenti, quali cause specifiche (leggi, forze) provochino certi singoli fenomeni.
Il successo ottenuto in questi ultimi secoli da tale scienza e l’enorme progresso (materiale) che le sue applicazioni (la tecnica) hanno permesso all’umanità hanno portato a considerarla l’unica vera “scienza”; e così è ancora nella mentalità dominante.
Già in Immanuel Kant (XVIII sec.) si scorge invece una sorta di “complesso di inferiorità” della metafisica nei confronti della scienza. È infatti paradossale che, fin dall’inizio della sua Critica della ragion pura, Kant si proponga di vedere se si possa costituire (senza riuscirci, in base però alle sue erronee premesse, dovute, come da Cartesio e in tutta la modernità, alla priorità data al pensiero sull’essere, cioè sulla realtà) una metafisica con lo stesso grado di certezza della fisica, quando la metafisica è assai più certa e assoluta della fisica! Da allora in poi, si crederà che la metafisica sia fondamentalmente inutile e tramontata (al massimo tenuta solo come logica); ed ancor oggi è così nella mentalità dominante (addirittura ora persino nella Chiesa, con la conseguente avversione per tutto ciò che è “dottrina”, a favore della prassi, cioè della “pastorale”)!
A proposito di Kant, si dovrebbe persino osservare come tale sua erronea impostazione, fondamentalmente soggettivistica (cioè tutta centrata sull'<io penso>, come da Cartesio in poi), sia paradossalmente smentita proprio dalla scienza moderna. Secondo lui, infatti, la nostra conoscenza muoverebbe i suoi passi da degli “a priori” (forme) dei sensi e persino della mente. In realtà il suo ragionamento, poi geniale, si muove da queste premesse erronee; e appunto con esse crolla. Non c’è infatti alcuna “forma a priori”, perché l’astrazione non è una costruzione mentale: è certo vero, ad esempio, che nella realtà non c’è il “numero” (come concetto astratto) o un “rettangolo” (realtà a sole 2 dimensioni), ma il numero (aritmetica) o la figura geometrica del rettangolo (con tutte le sue proprietà) non sono “costruiti” ma “astratti” dalla mente, cioè a partire dalla realtà (1-2-3… cose o una realtà la cui superficie è effettivamente rettangolare)! È vero che non esiste lo “spazio” e il “tempo” in sé (lo diceva già S. Agostino), ma è altrettanto vero che esistono però “esseri” spazio-temporali reali, da cui la nostra mente astrae (cioè trae) il concetto di spazio e di tempo. Così Kant pensa quindi che anche l’ordine che noi osserviamo nei fenomeni naturali e nell’universo (le leggi naturali, che sono persino esprimibili matematicamente, con equazioni, come fa appunto la scienza moderna) non sia “reale” ma solo “ideale”, cioè sarebbe solo il modo (soggettivo) con cui la nostra mente legge la realtà (oggettiva, ma inconoscibile in sé).
A parte che Kant, e dietro a lui gran parte del pensiero moderno e contemporaneo, si getta così in un “labirinto” da cui non potrà più uscire, come gli fa sarcasticamente osservare persino Nietzsche. Non sarebbe soggettiva e in base a degli ‘a priori’ anche la stessa critica kantiana? Come potremmo accorgerci di sbagliare se ci sbagliassimo sempre e dunque anche in questa analisi? Già Platone e Aristotele si erano accorti che non si possono discutere le prime evidenze (ad esempio “il principio di non contraddizione”, conseguenza della legge assoluta dell’essere, che si oppone al nulla). Paradossalmente la critica (kantiana) al modo di pensare dell’essere umano dovrebbe allora essere fatta, per essere oggettiva, da una mente non-umana, altrimenti si ritorcerebbe contro di essa e costringerebbe al silenzio. [Peraltro ad indicarci le verità supreme è venuto non un semplice extra-terrestre, ma Dio stesso (massima infallibile garanzia)!]
La scienza stessa smentisce questa erronea posizione di Kant. Infatti, se l’ipotesi fatta da uno scienziato fosse solo soggettiva (cioè un prodotto della sua mente) non avrebbe poi alcun riscontro oggettivo in un “esperimento” (cardine appunto della scienza “sperimentale”); oppure, volendo spingere all’estremo il pensiero di Kant quasi una fede cieca nei suoi principi, l’esperimento confermerebbe sempre le ipotesi (perché sarebbe appunto solo una coerenza del pensiero con se stesso!). Invece un “esperimento” conferma o smentisce un’ipotesi (in genere addirittura matematica: un’equazione per esprimere una legge), a seconda che questa si mostri vera (oggettiva, cioè presente nel fenomeno stesso) o falsa (solo appunto una costruzione mentale non corrispondente alla realtà).
In altri termini, proprio la riuscita o meno di un esperimento scientifico dimostra che la “legge” e persino la “matematica” pensata da una mente umana per spiegare il fenomeno è vera (è cioè presente nella realtà) o è falsa (era solo una falsa ipotesi mentale).
Dunque l’ordine che la mente umana e la scienza moderna scoprono nella natura non è prodotto ma solo “scoperto” dalla ragione (si chiama infatti una “scoperta” scientifica) ed è quindi reale (è nella realtà e non solo nella mente)!
Tra l’altro, la Natura (che è la somma e non la causa dei fenomeni) è ordinata ma non è intelligente essa stessa (tanto meno il “caso”!) e non è quindi in grado di darsi l’ordine (come deve invece ciecamente credere il materialismo ateo) e rimanda per questo ad una Mente trascendente (oltre l’universo stesso) e creatrice, cioè a Dio (Logos)!
Nello “scientismo” e “positivismo”, ottocentesco (v.. ad es. A. Comte) ma purtroppo talmente divulgato ancor oggi dalla cultura dominante da essere considerato dai più, anche nelle scuole, come attuale e certo, si crede addirittura che la scienza moderna sia l’unica conoscenza vera; e che metafisica, teologia e religione devono tramontare come i miti e le superstizioni del passato.
In realtà anche la stessa scienza moderna, magari senza saperlo, si basa sulla metafisica, in quanto si muove ed applica nella propria ricerca (quale causa ha questo fenomeno, cioè questo effetto?), il principio metafisico di “causalità” (ogni effetto ha una causa adeguata, perché “nulla viene dal nulla”, che è un principio di assoluta evidenza). Se la metafisica cioè non fosse vera, l’intera scienza cadrebbe in blocco; e certo nessuno scienziato inizierebbe neppure il proprio lavoro di ricerca se ipotizzasse che un fenomeno potrebbe non avere una causa, venisse cioè dal nulla!
Inoltre è evidente che per l’utilizzo stesso della scienza occorrono dei principi morali (che non sono scientifici ma filosofici e teologici), altrimenti le stesse scoperte scientifiche potrebbero (e già l’hanno fatto più volte) ritorcersi contro l’uomo e perfino contro l’umanità intera (come anche le bombe nucleari stanno lì a dimostrare).
La scienza non scopre poi il significato esistenziale dei fenomeni (che senso ha quanto mi accade? come devo viverlo?), che è invece essenziale per la vita umana e per lo stesso destino eterno dell’uomo (è evidente che non basta la spiegazione scientifica per capire il significato del dolore, del male, della morte, come pure dell’amore, dell’amicizia, della sessualità, dell’amicizia, della vita affettiva, sociale, dell’arte e della stessa vita umana)! È evidente che occorra ancora la filosofia, la religione e più ancora la fede cristiana (solo in Cristo si svela pienamente il senso di tutte le cose).
Anche da un punto di vista esclusivamente epistemologico (fondamento della scienza, che è ancora un ramo della filosofia!) dovrebbe essere evidente che proprio l’esperimento, se è condizione del successo della scienza moderna, ne è anche il limite. Perché? Perché anche se ripetuto innumerevoli volte (metodo necessario per convalidare un’ipotesi scientifica) esso non permette mai conclusioni assolute ma solo altissimamente probabili (nella migliore delle ipotesi).
Quello della scienza sperimentale è infatti un ragionamento induttivo, cioè una generalizzazione di casi comunque particolari, che, anche se osservati e ripetuti innumerevoli volte non diventano mai “assoluti”. La scienza sperimentale non può avere infatti in senso assoluto la categoria del “sempre”, del “mai” e persino dell’impossibile. Al massimo infatti può dire “fino ad oggi osserviamo questo, conosciamo questo”, nelle “normali condizioni avviene così e non può avvenire diversamente”. Tant’è vero che normalmente il ragionamento scientifico si conclude con un “fino a prova contraria”. Infatti, proprio in quanto “sperimentale”, la scienza moderna non può essere assoluta, cioè non può essere “assolutamente” certa che non possa accadere un fenomeno finora ignoto o esserci cause prima persino inimmaginabili! Nessuno, tranne Dio, può conoscere tutte le cause possibili! Tra l’altro, lo stesso progresso scientifico ci mostra che ciò che fino a pochi anni prima non era magari neppure ipotizzabile invece esiste ed è la causa vera di un fenomeno. Il livello di “certezza fisica” (questo fenomeno ha questa causa), anche se sembra più concreto, non è infatti mai assoluto, come lo è invece quello di “certezza metafisica” (una causa comunque c’è, perché è assolutamente evidente che “il nulla non fa nulla”; senza questa certezza metafisica iniziale, la scienza non inizierebbe neppure la propria ricerca)!
La scienza si trova talora persino di fronte a fenomeni che esulano dalle sue stesse competenze: non può negarli (gli effetti sono infatti osservabili), ma non solo mancano di una spiegazione ma sembrano contraddire le leggi stesse della natura. Quale ne è allora la causa (visto che una causa comunque deve esserci)? Ancora solo ignota? o paranormale? o soprannaturale, divina? La scienza sperimentale, anche se esula dalla proprie competenze, non può escludere a priori un intervento stesso di Dio (che per definizione è onnipotente e libero, e quindi può tutto e può intervenire come e quando vuole).
Se poi uno credesse, come si sente dire spesso, che “la scienza non spiega oggi certi fenomeni ma li spiegherà un domani” (ipotesi magari probabile, visto appunto il progresso scientifico), dovrebbe intanto riconoscere che sta compiendo un puro “atto di fede” nella scienza (che può realizzarsi come no). Esistono però dei fenomeni che esulano dagli stessi principi della scienza (ad esempio “un apparire dal nulla”) e che richiedono (visto appunto che è assoluto che “il nulla non produce nulla”) un intervento divino: si tratta del miracolo, fenomeno che la scienza non deve rifiutarsi di osservare (non è atteggiamento scientifico il rifiuto dell’osservazione, che è appunto il punto di partenza della scienza stessa), che può certo cercare di spigare in termini naturali, ma in molti casi deve poi anche arrendersi a riconoscere almeno la possibilità di un intervento anche divino (che non può appunto escludere a priori, in quanto non sarebbe razionale, visto appunto che la scienza non ha in assoluto la categoria dell’impossibile, e di cui constata comunque gli effetti).
Circa la possibilità del miracolo, che è comunque un eccezionale intervento fisico diretto di Dio (anche sospinto dalla fede e preghiera di un fedele e pure per intercessione di Maria SS.ma o di un Santo), si veda nel sito il dossier Miracoli [specie l’Introduzione (punti 1-2).
Un particolare esempio di miracolo come un “apparire dal nulla” [cosa che può fare solo Dio, che è l’Essere stesso infinito e può, se vuole, donare essere a ciò che ancora non è (come del resto ha fatto creando gli angeli, l’universo stesso ed ogni nostra singola anima, che non deriva certo dai genitori)] è dato dallo straordinario e documentatissimo “miracolo di Calanda” (“El milagro”, come lo chiamano in Spagna, dove è avvenuto ed è notissimo). Se ne è occupato a lungo anche Vittorio Messori, Il Miracolo, Rizzoli 1998 (cfr. nel dossier, cfr. punto 14).
In senso lato tutto è un “miracolo”, perché tutto è stato creato da Dio in modo stupefacente (come la scienza stessa progressivamente mostra) (cfr. nel dossier al punto 1).
Però normalmente Dio stesso, pur potendolo fare, non muta le leggi naturali che Egli stesso ha creato e immesso in tutte le cose; così come rispetta la libertà che ha creato negli esseri spirituali (gli angeli e gli uomini), da cui la conseguente possibilità del male (dossier punto 1.4; cfr. anche il documento su Dio al punto 2.14).
Nei tre anni della vita pubblica Gesù, che è Dio stesso fatto uomo, ha compiuto anche numerosi e straordinari miracoli (dossier punto 5), in genere legati alla fede.
È dunque lecito (dossier, punto 1.6), per chi vuole seguire Gesù e vivere con fede (non invece utilizzando Dio come un “portafortuna”), chiedere, anche per intercessione di Maria SS.ma o di un Santo, un miracoloso intervento “fisico” di Dio (per una guarigione, per scampare un pericolo, in riferimento ad una particolare necessità, come del resto per tutte le cose della vita, anche per il “pane quotidiano”, come ci ha insegnato Gesù, v. Mt 6,11). Normalmente però non si sostituisce a noi, ma sostiene, se vogliamo, la nostra intelligenza e volontà nel trovare da noi stessi le risposte. Rimane invece garantito, per chi vuole, che Gesù ci insegna e lo Spirito Santo ci dona di vivere ogni cosa della vita, perfino gli eventi avversi (conseguenza peraltro del “peccato originale” e talora persino di molti nostri o altrui peccati), secondo il loro vero significato (la santa volontà del Padre); e in questo modo tutto, prima o poi, si volge verso il nostro autentico “bene”, sia nella vita terrena e soprattutto per la vita eterna (cioè tutto può contribuire alla nostra santificazione e quindi alla felicità eterna); e può perfino influire positivamente anche sulla vita degli altri e addirittura sulle anime dei defunti (se ancora bisognose di purificazione).
Se Dio facesse invece sempre interventi fisici miracolosi, cambiasse cioè continuamente le leggi della natura, persino ogni scienza sarebbe impossibile, perché mancherebbe appunto quella regolarità, quella costanza nei rapporti causa-effetto che permette appunto di studiarli e capirli (ed anche per intervenire a risolvere pian piano molti problemi).
Così, se Dio, per impedire il male morale, abolisse la libertà, toglierebbe all’essere umano anche la possibilità di un “merito” nel fare il bene.
Sul rapporto tra Metafisica e Fisica (anche in Aristotele)
in riferimento alla Teologia, Filosofia e Fisica medievale
Come abbiamo osservato, la Metafisica si occupa dell’essere “in quanto” essere, dei suoi principi assoluti (di identità, di causalità) e culmina con lo studio dell’Essere supremo (Dio) cioè con la Teologia (filosofica, naturale, razionale o Teodicea, come talora si chiama).
La Fisica (la scienza) si occupa invece della “cause seconde” dei fenomeni; risente quindi del progresso delle conoscenze, delle visioni del tempo, oltre ad essere passibile di aggiornamenti e correzioni.
Anche nella riscoperta, specie nella Scolastica medievale, del pensiero aristotelico, si doveva quindi prestare molta attenzione a non far coincidere la Fisica di Aristotele, certamente superata in moltissimi suoi aspetti, con la sua Metafisica, che, specialmente quando è stata purificata, innalzata e perfezionata dal pensiero cristiano (v. ad es. in S. Tommaso d’Aquino), aveva un valore perenne.
Se c’è stato qualcuno, anche tra i teologi, che non comprese questa decisiva distinzione, col timore che il superamento della Fisica aristotelica trascinasse con sé quello della Metafisica e persino della Teologia, è però vero che proprio il trionfo della scienza moderna ha condizionato poi non poco anche il pensiero filosofico moderno ed ha fatto credere a molti (fino ad oggi) che esso coincidesse non solo col tramonto della metafisica ma pure della teologia e della fede stessa!
In realtà abbiamo invece già osservato come questa “distinzione” (non “separazione”) tra Fisica e Metafisica durante il Medioevo fosse invece promossa con attenzione, specie nelle sfere più alte della cultura. Infatti, abbiamo sottolineato quanto nelle Scholae cathedrales come nelle Quaestiones disputatae e nelle Summae e soprattutto nelle Università, si prestasse particolare attenzione a garantire sia l’unità e organicità del sapere sia l’autonomia delle singole discipline o rami del sapere stesso. Si garantiva infatti allo studio delle realtà fisica e del cosmo la propria autonomia e il proprio metodo.
Questo è chiaramente rimarcato, ad esempio, da S. Alberto Magno, sia in qualità di docente, di teologo, filosofo, scienziato (e “Dottore della Chiesa”), che come vescovo santo (vedi).
In merito, è interessante notare come nel 1277 il vescovo di Parigi Etienne Tempier condanni alcune proposizioni (rinascenti) della Fisica aristotelica!
Non si doveva quindi cercare né nella Metafisica né nella Bibbia la risposta alle questioni prettamente scientifiche (cioè l’indagine sulle “cause seconde”); allo stesso modo non si doveva pensare (come invece farà appunto la modernità, specie lo scientismo ottocentesco) che il progresso scientifico demolisse e superasse le verità fondamentali della Metafisica e della Bibbia!
Si tenga presente che Galileo stesso (cfr. Dossier e documento) parlerà di due libri scritti da Dio (la Natura e la Bibbia), e che quindi non ci poteva essere contraddizione tra lo studio scientifico della Natura e la Parola di Dio rivelata (l’autentica fede).
Però, se è vero che qualcuno tra coloro che sostenevano il sistema aristotelico-tolemaico (geocentrico) temeva (falsamente) che il crollo di questo sistema avesse posto in dubbio la Bibbia e la centralità stessa dell’uomo nel cosmo, è altrettanto vero che anche Galileo (gli è stato rimproverato anche nel Processo del 1633 ma oggi lo rimprovererebbe qualsiasi scienziato) citava la Bibbia a vantaggio dell’ipotesi copernicana (eliocentrica), senza portare prove sperimentali (quelle che presentò, come le maree, erano false) e ritenendo già certezza scientifica quella che invece era ancora solo un’ipotesi (sia pur la più plausibile e già insegnata nelle Università, oltre ad essere Copernico stesso un ecclesiastico di Cracovia) e lo resterà per altri più di 2 secoli, cioè fino a quando, nel 1851, la prova sperimentale sarà fornita solo col “pendolo” di Foucault (un altro errore o pretesa che oggi gli rimprovererebbe qualsiasi scienziato) (vedi dossier, spec. punto 7).
Che l’ipotesi geocentrica (aristotelico-tolemaica) fosse ancora più che legittima è dimostrato ad esempio dal fatto che illustri astronomi del tempo, come il danese Tycho Brahe (1546-1601), fossero ancora assertori di tale visione cosmologica.
A proposito di “rivoluzione copernicana” …
Non ci occupiamo qui della questione copernicana (eliocentrismo), in quanto Copernico per molti non appartiene più al Medioevo ma viene posto già all’inizio dell’era moderna, insieme a Galileo. Ce ne siamo occupati molte volte, specie nel dossier e nel documento su Galileo (v. domanda 6).
Ricordiamo solo che …
Nicolò Copernico (1473-1543) era un ecclesiastico polacco (Canonico, con tutta probabilità sacerdote, persino candidato all’episcopato). Studiò in Italia nelle prestigiose università (della Chiesa) di Bologna, Padova, Ferrara e nella stessa Roma, dove conobbe molti, anche tra illustri ecclesiastici, che simpatizzavano per il sistema eliocentrico.
In realtà più matematico che astronomo, Copernico, proprio a motivo della sua profonda fede cattolica, era certo che Dio (che chiamava anche “Divino Artefice” e “Sublime Architetto”) avesse creato l’universo con un ordine “geometrico”.
Era un convinto assertore del sistema eliocentrico (che prenderà addirittura da lui il nome). Fu incoraggiato a compiere le proprie ricerche in questo senso da sacerdoti (come Celio Calcagnini, docente all’università di Ferrara, dove appunto Copernico studiò), vescovi [come Tiedemann Giese (1480 – 1550), principe-vescovo polacco, teologo e cultore di matematica e astronomia] e cardinali [come Nikolaus von Schönberg (1472-1537), di origine tedesca e detto anche “il Capuano”].
Pare che Copernico abbia insegnato il sistema eliocentrico anche a Roma, nel 1500, e che tra i suoi alunni ci fosse nientemeno che Alessandro Farnese (il futuro Papa Paolo III, 1534-1549). Anche per questo, quando nel 1543 pubblicò, con l’Imprimatur, il suo celebre De revolutionbus orbium coelestium, lo volle significativamente dedicare proprio al Papa Paolo III, suo ex-alunno.
Fu consultato durante il V Concilio Lateranense (1512-1517) a proposito della riforma del calendario. Anche il Papa Clemente VII (1523-1534) si mostrò molto interessato e favorevole alla sua ipotesi eliocentrica del sistema solare.
Già questo dimostra come da parte della Chiesa Cattolica, e persino nella stessa Roma papale, non ci fosse alcuna difficoltà o chiusura nei confronti della teoria copernicana, intesa come ipotesi astronomica plausibile e persino da incoraggiare.
Tale ipotesi eliocentrica fu invece subito criticata e condannata dalla Riforma protestante (appena iniziata, nel 1517). Lutero diede a Copernico il titolo di “astrologo improvvisato”, qualificando l’idea stessa del sistema eliocentrico una vera “follia”, oltre che eretica in quanto non fedele alla Sacra Scrittura (intesa in senso letterale, secondo appunto i principi luterani)! Melantone giunse a riconoscere che “simili fantasie da loro (Protestanti) non sarebbero state tollerate”. E si opporranno anche a Galileo. Paradossale quindi che poi proprio i Protestanti cavalcarono il “caso Galileo” (vedi), creato in chiave anticattolica due secoli dopo (nel XIX sec.) dai pensatori atei (solo per questo livore anticattolico i Protestanti potevano essere d’accordo!) e ancor oggi creduto dai più (v. pure il dossier).
Interessante, in proposito, anche il sintomatico caso dello scienziato tedesco Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630), che mostra, contrariamente alle infamanti leggende sulla Chiesa Cattolica continuamente divulgate, quanta apertura mentale e sincera ricerca della verità fossero presenti negli ambienti culturali cattolici, a differenza appunto di quelli protestanti (cfr. dossier al n. 4.3).
Praticamente contemporaneo di Galileo, Keplero conobbe infatti le tesi di Copernico studiando Teologia presso la celebre università cattolica tedesca di Tubinga (il che dimostra appunto che nelle università cattoliche la visione copernicana non era affatto censurata o avversata). Quando tale università fu conquistata dalla Riforma protestante, anch’egli si fece protestante, ma lasciò gli studi teologici per quelli matematici e di astronomia. Quando pubblicò la sua opera De revolutionibus, favorevole alla visione copernicana, fu però subito avversato dai Protestanti ed espulso dall’università! Fu invece accolto come docente proprio nella università di Bologna (del Papa): e ciò dimostra appunto come nelle università nate e gestite dalla Chiesa Cattolica ci fosse una vera apertura della ragione a ogni sincera ricerca della verità, anche qualora fosse diretta a nuove ipotesi astronomiche e queste fossero insegnate perfino da professori, come nel caso appunto di Keplero, che alla stessa Chiesa Cattolica si erano ufficialmente ribellati (facendosi Protestanti).
Keplero, che chiamava Dio “Supremo Geometra” dell’universo, può essere considerato un padre della moderna astronomia. A lui si deve infatti la scoperta (1596) delle orbite ellittiche dei pianeti, cui Galileo si oppose, con atteggiamento peraltro assai poco scientifico. Galileo si oppose a questa scoperta perché pensava che l’orbita circolare fosse più perfetta di quella ellittica (cosa vera nel piano ma non nello spazio) e Dio aveva invece creato l’universo in modo perfetto.
Per Keplero era chiaro come l’ipotesi copernicana non fosse ancora sicura, cioè scientificamente provata, e lo scrisse personalmente a Galileo (in una lettera del 3.01.1611), facendogli pure osservare che sbagliava nel considerare le maree come prova del sistema copernicano (Galileo ne parlò invece ancora nel Processo del 1633), mentre secondo lui erano causate dalla luna (come infatti sono e come dicevano allora anche i Gesuiti).
A proposito di Chiesa e astronomia …
[vedi Dossier Galileo Galilei, punto 3: la Chiesa cattolica e in particolare la città papale di Roma, all’avanguardia in astronomia, assai prima di Galileo – vedi la Specola vaticana (primo osservatorio astronomico della storia, tuttora in funzione), il Calendario gregoriano (quello che ora tutto il mondo usa), il Collegio Romano dei Gesuiti (una vera fucina di scienziati e astronomi), …)]
[vedi documento su “Il caso Galileo”, specie domanda 4]
[cfr. anche il documento sullo “Spazio (astronomia e fede)” e le News del 20.11.2020 e 16.04.2021]
Così afferma ad es. il prof. J. I. Heilbron, dell’University of California (USA):
“la Chiesa Cattolica romana, più di ogni altra istituzione – probabilmente più di tutte le altre insieme – ha protetto e sostenuto economicamente lo studio dell’astronomia per oltre 6 secoli (dal tardo medioevo all’Illuminismo)”.
Le cattedrali come osservatori astronomici
La Chiesa Cattolica ha avuto sempre una particolare attenzione per l’astronomia, non solo perché “i cieli narrano la gloria di Dio” (Salmo 18) ma addirittura per motivi liturgici (si pensi ad esempio alla questione della data della Pasqua, che non è fissa ma cade la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera e varia quindi ogni anno in base al movimento della Luna attorno alla Terra e della Terra attorno al Sole).
Le chiese antiche erano poi in genere rivolte con l’abside verso oriente (e conseguentemente con la facciata ad occidente), cioè verso la luce che sorge, simbolo del ritorno di Cristo (luce del mondo); in tal modo, visto che gli altari erano rivolti verso l’abside, il sacerdote stesso celebrava rivolto verso oriente (verso Dio stesso, non “coram populi” come in questi ultimi anni).
Una particolare attenzione veniva in genere riservata anche ai giochi di luce solare, che dalle vetrate (pensiamo alle incantevoli e policrome vetrate gotiche, ma anche al “rosone” della facciata e dei transetti) raggiungendo le pareti o il pavimento, durante i diversi periodi dell’anno potevano anche indicare bene il flusso del tempo e dei movimenti astronomici.
Persino quando Michelangelo progettò la cupola della rinascimentale basilica di S. Pietro in Vaticano (tuttora la più grande e alta del mondo) fece attenzione pure ad un particolare gioco di luce dovuto ad un motivo astronomico. Essendo la basilica (poi attuata a croce latina) volta invece con la facciata ad oriente e l’abside ad occidente – perché all’altare della Confessione il Papa celebrava, sia pur col diaframma dei candelieri, volto verso la navata, la facciata e quindi verso oriente – il genio michelangiolesco pensò persino i finestroni della cupola in modo tale che esattamente negli equinozi di primavera e di autunno (21 marzo e 21 settembre) al tramonto i raggi solari attraversassero esattamente da parte a parte la cupola e raggiungessero addirittura la piazza S. Pietro (cosa che si può ovviamente verificare tuttora in quelle due date astronomiche dell’anno)!
L’uso frequente, anche nelle cattedrali, delle meridiane permetteva poi di compiere precisi calcoli astronomici, in base a tali giochi di luce nei diversi giorni e periodi dell’anno.
Fino al 1750 furono poi ancora le cattedrali a fungere persino da primi osservatori astronomici.
Importante fu in tal senso il caso della basilica di S. Petronio a Bologna. In riferimento anche alla famosa prima università della storia, sorta appunto a Bologna (città sotto la giurisdizione papale!), S. Petronio fu sede pure del primo osservatorio astronomico della storia – dopo la Specola vaticana (inaugurata già nel 1583 nei giardini vaticani, poi trasferita nel palazzo papale di Castel Gandolfo e tuttora operante tra le montagne di Tucson, in Arizona, USA – vedi dossier punto 3.4) – promosso e finanziato dal Papa stesso. Si pensi che solo tra il 1655 e il 1736 furono compiute in S. Petronio 4.500 osservazioni astronomiche (se ne avvalse anche l’astronomo Giovanni Cassini).
Anche la cattedrale di Firenze, come alcune basiliche romane e perfino la cattedrale di Notre Dame a Parigi, con le loro meridiane e i giochi dei raggi solari al loro interno, funsero come osservatori astronomici persino ancora nel XVIII e XIX secolo.
Tornando alla questione copernicana, dobbiamo sottolineare che Copernico non fu il primo ad avere questa intuizione dell’eliocentrismo del sistema solare; così come né lui né Galileo riuscirono a portarne alcuna prova scientifica (che arriverà solo nel 1851).
Nella storia l’ipotesi della rotazione terrestre, in opposizione a quella geocentrica di Tolomeo (sec. II d.C.), era stata già più volte avanzata, ad esempio da Aristarco di Samo (sec. III a.C.) e perfino da alcuni pitagorici (sec. V a.C.).
Nel Medioevo convivevano le due prospettive (geocentrica ed eliocentrica), non essendoci appunto prova sicura né dell’una né dell’altra.
Che fosse la Terra a ruotare su se stessa, e non il cielo a ruotare attorno alla terra, fu convinzione già di Giovanni Scoto Eriugena (810-877, monaco, teologo, filosofo irlandese), di S. Alberto Magno (1205-1280, v . poi) e dello stesso S. Tommaso d’Aquino (1225-1274, v. poi), il quale nonostante la sua enorme stima per la filosofia aristotelica, riteneva invece provvisoria la teoria aristotelico-tolemaica.
Furono favorevoli all’ipotesi eliocentrica, ad esempio, Guglielmo di Conches [1080-1154; filosofo e teologo della Scolastica francese, nonché studioso della natura, appartenente alla celebre “Scuola di Chartres” (v. poi); già studioso dei classici latini e greci, sostenne il principio dell’autonomia di ricerca della scienza empirica]; Nicola di Oresme (1320-1382; teologo, scienziato e vescovo di Lisieux – v. poi), Campano da Novara (?-1296; matematico, astronomo e medico) ed il celebre cardinale tedesco Nicola Cusano [in tedesco Nikolaus Krebs von Kues (o Nikolaus Chrypffs), Niccolò da Cusa (1401-1464), teologo, filosofo, umanista, giurista, matematico e astronomo!], che insegnava proprio a Roma l’ipotesi eliocentrica!
Come possiamo notare, quasi tutti gli scienziati sopra menzionati erano pure degli ecclesiastici.
[Cfr. in proposito: Francesco Agnoli e Andrea Bartelloni, Scienziati in tonaca (da Copernico, padre dell’eliocentrismo, a Lemaitre, padre del Big Bang), La Fontana di Siloe (TO)2013]
L’ipotesi copernicana godrà poi della simpatia e incoraggiamento, oltre a quanti appena sopra ricordati, ad esempio di Diego di Zuniga (1536-1589; frate agostiniano di Salamanca che nel 1584 pubblicò a Toledo un’opera di esegesi favorevole al sistema copernicano), Paolo Antonio Moscerini (1565-1616; scienziato carmelitano).
La centralità dell’uomo nella creazione dell’universo – ben chiara nella Bibbia (cfr. Gn 1,26-31) ma persino nella scienza contemporanea (l’homo sapiens sapiens è il culmine dell’evoluzione e molti scienziati e astrofisici sostengono addirittura il “principio antropico” secondo cui l’universo sembra fatto e si è evoluto apposta in vista dell’uomo, come dice ad esempio il premio Nobel per la Fisica 1977 Sir Nevill Mott) – è per sé slegata dalla questione della centralità o meno della Terra nel sistema solare.
Lo affermava addirittura Bacone nel XIII sec. (v. poi) ma perfino già S. Ambrogio nel IV sec. [nel suo Esamerone riconosce apertamente che la questione della centralità della terra è secondaria, perché la centralità (nella creazione divina del cosmo) è dell’uomo, non del pianeta].
La discussione tra sistema geocentrico (tolemaico) ed eliocentrico (copernicano) – anche quest’ultimo insegnato in quasi tutte le Università della Chiesa – non ha quindi una valenza teologica e neppure metafisica ma solo scientifica [nel Processo del 1633 a Galileo si potrebbe dire addirittura solo disciplinare, non essendosi attenuto ad una promessa formale fatta anni prima (vedi dossier punto 5.2 e documento domande 11-12-14-15-18)].
Rimane però vero che, specie dal punto di vista psicologico, la questione dell’eliocentrismo copernicano poteva acquisire, e così fu, una valenza “rivoluzionaria” persino dal punto di vista antropologico e addirittura sociale!
Fino all’inizio del pensiero moderno, infatti, “rivoluzione” era un termine essenzialmente astronomico (ancor oggi così chiamiamo l’orbita terrestre attorno al Sole).
Kant, a proposito della sua Critica della ragione pura, parla già di “rivoluzione copernicana”, per esprimere come ormai ci si debba concentrare sul soggetto della conoscenza e sulle sua condizioni di possibilità invece che sull’oggetto, cioè l’essere (già smarrito con Cartesio) … e da questo labirinto il pensiero moderno non riuscirà più a trovare la via d’uscita, come sopra ricordato!
Non a caso, quindi, proprio il termine “rivoluzione” designerà, com’è noto, i grandi sconvolgimenti sociali dal XVIII al XX secolo (vedi), da quella americana del 1776 a quella francese del 1789, per arrivare a quella bolscevica del 1917 e persino a quella del 1968 (persino “sessuale”, vedi).
Infatti, scienza, filosofia e teologia, pur se distinte e autonome, influiscono comunque non poco tra loro e soprattutto sulla stessa vita dell’uomo e delle società.
Se, come ora osserveremo meglio, la scienza moderna non poteva che nascere dalla visione cristiana della Natura come “Creato” (opera di un Dio unico, trascendente e intelligente), così l’abbandono della fede cristiana, anche in Europa, sta provocando preoccupanti ritorni a visioni cosmologiche del passato, sia pure fatte passare come modernità (vedi).
È in questo senso significativo che, proprio al termine del Medioevo (Rinascimento), si assista già ad una rinascita (fatta passare ovviamente per “modernità” e “libero pensiero” vedi) di cosmologie incentrate di nuovo su visioni non solo panteistiche (la “dea Natura”) e persino antropomorfiche (la “Madre Terra”*), ma addirittura magiche, superstiziose, esoteriche e perfino diaboliche. Il caso Giordano Bruno (vedi dossier sull’Inquisizione, n. 6.3) è in questo senso paradigmatico: questo ex-frate domenicano (non era neppure più chiaro se lo fosse ancora!) non a caso pensa che l’eliocentrismo copernicano possa offrire una preziosa occasione, da lui auspicata e predicata, per un imminente ritorno della religione magica degli antichi Egizi, come per rinnovate pratiche esoteriche! E questo viene tuttora celebrato dai laicisti (specie dalla massoneria: da loro venne innalzato il monumento a Campo de’ Fiori) come “libero pensiero“, cioè finalmente staccato dalla fede cattolica!
* È incredibile che, sotto il falso pretesto di rispetto per le culture locali, persino nella Chiesa si tenti di valorizzare e persino ripetere certi inquietanti riti dell’antichità magica, esoterica, panteistica e addirittura satanica [vedi – all’interno di questo documento – foto e filmati inerenti ai riti, compiuti addirittura in Vaticano e nella basilica di S. Pietro, nell’ottobre 2019, alla Pacha Mama, cioè alla Madre Terra, una divinità pagana della fertilità (un’inquietante donna incinta) e persino diabolica, a cui peraltro le popolazioni indigene amazzoniche e andine offrivano innumerevoli vittime umane, compreso cuori ancora pulsanti estratti da bambini per questo sacrificati!]
È peraltro eloquente come proprio in questi anni l’Occidente, mentre è scosso silenziosamente da una sostanziale apostasia dalla fede in Cristo, vada incontro a nuove forme non solo ideologiche ma panteistiche (Madre Natura, da venerare, persino a scapito dell’uomo) fatte passare per “rispetto della Natura“ (ecologismo – cfr. documento).
Che il pensiero filosofico influisca anche nella modernità sul pensiero scientifico (o sedicente tale), lo si vede non solo nelle ideologie politiche [ad es. il marxismo, attuato nel socialismo-comunismo, si autodefiniva una visione “scientifica” della realtà, un materialismo dialettico “scientifico” che risentiva ovviamente dell’assurda dialettica storica di Hegel; persino Nietzsche (che più coerentemente riporta ad una visione pagana e circolare della storia: l’eterno ritorno dello stesso) si accorge che tutto ciò è ancora una falsa “teologia camuffata”, perché se Dio non c’è e non c’è uno sbocco metastorico, la storia non può andare da nessuna parte, tanto meno se affidata al caso: perché dovrebbe andare verso il meglio? Non a caso anche il comunismo è un “messianismo” che tradisce pure le origini ebraiche di Marx], ma nelle stesse impostazioni scientifiche. Non è ad esempio difficile cogliere dietro le idee, persino “a priori” ed assai poco “scientifiche” dell’evoluzionismo di Darwin, la radicale impostazione idealistica e storicistica ancora del pensiero hegeliano [vedi dossier (punto 1.2) e documento (domanda 6)].
Per concludere… Che si possa parlare di “rivoluzione copernicana” anche per descrivere il cammino filosofico, culturale, sociale e persino politico della modernità (vedi), ci viene suggerito, col il solito tragico sarcasmo ma anche lucidità profetica, non priva peraltro pure di valenze poetiche, ancora da Nietzsche. Ascoltiamo in proposito questo suo lucido brano, che ci fa vedere in modo chiaro come “da Copernico in poi” (cioè dalla nascita del pensiero moderno) l’uomo non abbia più avuto un centro e precipiti sempre più nel nichilismo:
“Da Copernico in poi l’uomo scivola dal centro verso una x” (Frammenti postumi 1885-1887). Infatti, “non è forse, da Copernico in poi, in un inarrestabile progresso l’auto-diminuirsi dell’uomo, la sua volontà di farsi piccolo? La fede, ahimè, nella sua dignità, unicità, insostituibilità nella scala gerarchica degli esseri è scomparsa – è divenuto animale, animale, senza metafora, detrazione o riserva, lui che nella sua fede di una volta era quasi Dio (figlio d’Iddio, Uomo-Dio) […] Da Copernico in poi, si direbbe che l’uomo sia su un piano inclinato – ormai va rotolando, sempre più rapidamente, lontano dal punto centrale – dove? nel nulla? nel trivellante sentimento del proprio nulla […] Ogni scienza si propone oggi di dissuadere l’uomo dal rispetto sinora avuto per se stesso, come se questo altro non fosse stato che una stravagante presunzione […] autodisprezzo per l’uomo […] la vittoria di Kant sulla teologia dogmatica concettuale (Dio, anima, libertà, immortalità) […] Similmente chi potrebbe ormai biasimare gli agnostici se costoro, in quanto veneratori dell’ignoto e del misterioso in sé, adorano ora come Dio lo stesso punto interrogativo?” (Genealogia della morale).
Una nota sul Big Bang
Un’ultima osservazione su fisica, metafisica e teologia …
in riferimento al tema del Big Bang (anche se si tratta di una questione recente)
Come abbiamo sopra ricordato, se la metafisica e la teologia devono astenersi da dare risposte scientifiche (che questo effetto abbia questa causa è compito della ricerca scientifica e non della metafisica, così come la Bibbia, cioè Dio, non vuole rispondere a questi quesiti, lasciati alla ricerca della nostra intelligenza), così pure la scienza deve astenersi da dare risposte metafisiche o teologiche [quando ad esempio uno scienziato dicesse che è “ateo” – cosa rara, perché, contrariamente a quanto si crede, la maggior parte dei più grandi scienziati della storia e del presente sono credenti (vedi qui di seguito, cfr. pure il documento, domanda 3) – non lo direbbe in quanto scienziato, ma per motivi personali o perché vuole fare il filosofo, che non è suo compito].
Anzi, la scienza, progredendo sempre più nella scoperta dell’incredibile ordine che è inscritto (persino matematicamente!) nella Natura, ci offre non solo sempre maggiori conferme dell’intuizione di Platone (l’ordine del kosmos dipende da un pensiero, cioè da un Logos trascendente. che l’ha tratto dal Kaos), ma dell’ancor più alto pensiero che scaturisce dalla Bibbia e si è sviluppato nelle teologia e filosofia cristiana (cfr. ad es. la 5^ “via” di S. Tommaso d’Aquino, che proprio dall’ordine risale a Dio come Intelligenza suprema trascendente e creatrice), secondo cui il Logos creatore e trascendente ha creato “dal nulla” tutte le cose (vedi, specie domande 2.3 e 2.4)!
Significativa in tal senso la celebre frase di Louis Pasteur, uno dei grandi scienziati del XIX sec. (uno dei padri della microbiologia, che smentì tra l’altro definitivamente l’idea di “generazione spontanea” della vita) e fervente cattolico (partecipava quotidianamente alla S. Messa!): “Un po’ di scienza potrebbe allontanare da Dio, ma molta scienza riconduce invece a Lui”!
Ci sono però degli ambiti, nella scienza contemporanea, che davvero più che mai fanno toccare (senza confonderle) scienza, metafisica e teologia. Uno di questi è la questione del cosiddetto Big Bang, trattandosi appunto dell’inizio dell’universo intero (circa 13,4 miliardi di anni fa) e tenendo presente che il concetto stesso di “inizio assoluto” è in sé contraddittorio, in quanto presupporrebbe che il Nulla assoluto possa generare qualcosa, il che farebbe cadere in blocco tutta la scienza (basata sul principio di causalità) (vedi catechesi su Dio, punto 2.3).
È quantomai significativo che lo scienziato che ebbe per primo l’intuizione di questo punto iniziale dell’universo fu il fisico e sacerdote gesuita belga Georges Lemaître (1894-1966). Proprio a partire dalla velocità di fuga delle galassie le une dalla altre giunse a ipotizzare a ritroso il punto iniziale dell’universo (compreso quindi l’inizio del tempo come dello spazio, che sono dimensioni dell’universo stesso fisico), che chiamò “atomo primordiale” (poi, quasi per deriderlo, da parte dei suoi detrattori fu chiamato “grande scoppio”, appunto Big Bang). Molti, compreso lo stesso Einstein (erano contemporanei, colleghi e in ottimi rapporti), pensavano che tale idea del Big Bang fosse stata in lui condizionata dal fatto di essere anche sacerdote, in quanto troppo simile al racconto biblico [Gn 1,1, oltre ad indicare che tutto (cielo e terra) viene da Dio, parla esplicitamente (ed è la prima parola della Bibbia, come non a caso la prima parola del Vangelo di Giovanni) di un “in principio”, per indicare che c’è un ‘inizio e dunque un’età dell’universo, creato dunque da Dio “ex-nihilo” (cioè dal nulla); tra l’altro è pure significativo che Gn 1,2 ponga la “luce” come prima cosa creata; in effetti il Big Bang sta appunto ad indicare un “inizio” di tutte le cose (l’universo dunque non è eterno neppure per l’astrofisica contemporanea) e il primo avvenimento da cui tutto si evolverà è proprio un lampo di “luce”].
Strano che molti pensino (lo insegnano persino ai bambini!) che il Big Bang contraddica la Creazione biblica (e dunque l’esistenza di Dio Creatore), quando invece la conferma! In realtà è diventata l’ipotesi più accreditata (e persino confermata sperimentalmente, ad esempio con la scoperta della cosiddetta “radiazione di fondo”, che è una sorta di eco elettromagnetica di quello scoppio iniziale); lo stesso Einstein se ne convinse, visto tra altro che confermava addirittura la sua “teoria della relatività”.
Quello del Big Bang è davvero un punto limite di incontro tra fisica, metafisica e teologia (fede). Qualcuno dice che la scienza conduce qui fin “sulla porta del mistero”, senza poterla certo valicare (non essendoci oltre neppure lo spazio-tempo e quindi più nulla da poter sperimentare direttamente); ma è invece non solo la fede ma la stessa ragione a poter e persino dover valicare quella porta, in base appunto al principio assoluto che “il nulla non fa nulla”: al di là non c’è il Nulla (tutto sarebbe ancora nulla, cioè non ci sarebbe l’universo), ma Dio, l’Essere supremo, Causa prima e Creatore di tutte le cose (che in Cristo ci si è pienamente rivelato coma Amore infinito e ci ha chiamato a partecipare eternamente alla Sua stessa Vita)!
Ad esempio il fisico italiano prof. Carlo Rubbia (1934-vivente), premio Nobel per la Fisica 1984, cattolico, appartenente pure alla Pontificia Accademia delle Scienze, afferma in proposito: “Che la scienza oggi ci dica che l’universo ha 13,4 miliardi di anni … non fa che confermare l’idea della creazione dell’universo, un’idea quantomai precisa ed obiettiva”!
Solo la fede cattolica ha permesso e generato la scienza
Questa espressione potrebbe sembrare un pregiudizio, un giudizio “di parte”, visto nell’ottica di un’esaltazione del Cattolicesimo (oggi peraltro assai raro). In realtà, come ora vedremo brevemente, si tratta di una dato storico obiettivo ed inequivocabile.
La scienza, anche quella moderna sperimentale, ha trovato in Europa, e specialmente in Italia, la propria culla e il proprio molteplice sviluppo. E ciò a motivo proprio della fede cristiana, specie cattolica.
Si potrebbe dire, come vedremo tra poco, che la scienza nasca da quella visione della realtà che emerge proprio dalla Bibbia (fin dalle sue prime parole di Genesi, cioè dall’Antico Testamento; quindi dall’Ebraismo; ma in realtà la cultura ebraica non aveva avuto quella diffusione e incidenza mondiale che ha invece avuto il cristianesimo, che ne rappresenta pure il culmine, il compimento e il superamento).
Abbiamo già osservato quale fecondità culturale abbia permesso e promosso la fede cattolica durante il Medioevo, dai monasteri alle Università, tanto da costituire il fondamento ed il motore stesso della civiltà occidentale; così abbiamo pure osservato, già nei monasteri, che se questa promozione culturale aveva investito particolarmente il ramo umanistico (Filosofia, Teologia, Lettere, Diritto), come doveroso, non aveva trascurato ma anzi favorito anche il progresso scientifico (medicina, farmacia) e persino la tecnica (abbiamo osservato nei monasteri stessi: idraulica, meccanica, agricoltura e allevamenti).
Come osserva ancora lo studioso americano T. Woods (op. cit., p. 12 e p. 75 e segg.), la maggior parte degli storici della scienza oggi sa come non sia casuale che la scienza moderna sia nata e si si sia sviluppata in ambiente cattolico, che ci sia quindi un nesso profondo tra la scienza e la fede cattolica e che la scienza debba infatti molto alla Chiesa Cattolica. E ciò proprio a motivo della concezione di Dio come Logos trascendente e Creatore; mentre tutta la realtà, proprio in quanto “creata”, non viene più intesa come se fosse dipendente da spiriti irrazionali, capricciosi e addirittura malefici (come è nella maggior parte delle religioni pagane o extra-bibliche); allo stesso modo proprio la fede cristiana ha fortemente sottolineato il valore della ragione (che ci fa ad immagine di Dio) e della sua capacità (che doveva essere rigorosa ma lasciata libera di indagare) di scoprire la logica stessa del mondo. Tutto ciò è sostanzialmente sconosciuto nelle altre civiltà.
Perché?
Soprattutto per 2 motivi …
1) Per la fiducia nella ragione
Anzitutto per la fiducia nella capacità della ragione. Secondo la fede cattolica, la ragione, dopo la vita, è il più grande dono “naturale” di Dio, che rende l’uomo “a Sua immagine e somiglianza”. La Chiesa Cattolica ha per questo sempre valorizzato la ragione, come pure le ha sempre garantito quella libertà e persino autonomia di ricerca, così da rendere possibili indagini non solo filosofiche ma anche scientifiche pienamente autonome e indipendenti, sia pur raccordate giustamente con ciò che Dio stesso ha rivelato e la teologia ha elaborato, in accordo pure con le più profonde filosofie.
Certamente la ragione è stata indebolita (ma non distrutta) dal “peccato originale”, come talora è offuscata dalle passioni e dai peccati personali, ma viene invece vivificata, purificata e innalzata dalla “grazia” di Dio. Mentre il sostanziale “pessimismo” antropologico dell’eresia protestante ritiene la natura e ragione umana definitivamente corrotte dal peccato originale.
Non poteva quindi esserci alcuna reale opposizione tra vera scienza e vera fede, perché – oltre al fatto che la Verità è “una” e possono esserci verità tra loro complementari ma non opposte (vedi) – Dio è uno ed è sia il Creatore della Natura che l’autore (ispiratore) della Bibbia.
Dice lo stesso Galileo: Dio ha scritto due libri, la Bibbia e la Natura; l’autore è il medesimo; non può quindi esserci contraddizione tra ciò che Dio rivela nella Bibbia e ciò che la scienza scopre indagando sulla Natura.
Però Dio ci rivela soprattutto quelle verità che sono “via al Cielo”, cioè per la nostra salvezza; mentre lascia alla nostra ragione la scoperta di quelle verità che riguardano ad esempio “come funziona il cielo” (espressione attribuita a Galileo ed è invece del cardinal Baronio diretta proprio a Galileo – cfr. dossier, 5.2)
È evidente che la nascita della mentalità razionale cristiana sconfigge la superstizione pagana del mondo e crea il presupposto della mentalità scientifica (F. Agnoli, op. cit., p. 23).
Sulla bellezza, fecondità e necessità del rapporto tra autentica fede e vera ragione, si ricordi ancora l’Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (1998).
Abbiamo già sottolineato come questa fiducia nella ragione emerga soprattutto dall’autentica fede cristiana, cioè “cattolica”, e sia invece sostanzialmente assente nell’eresia protestante, specie nei primi tempi della Riforma.
[cfr. anche il dossier su Galileo, spec. 2.1.1, 4.1, 4.2, 4.3, 5.3.2, 5.4]
Infatti il Protestantesimo, specie all’inizio, ha profondamente avversato l’apporto della ragione, pensando così di rendere la fede ancora più pura, in realtà rendendola razionalmente “cieca” e quindi fragile. La dottrina luterana del peccato e della “grazia” (intesa non più come una medicina che risana ma una coperta che nasconde il peccato) – che con Calvino diventa addirittura la terrificante dottrina della doppia “predestinazione” (all’inferno o al paradiso) – la dottrina della “sola grazia”, della “sola Bibbia”, della fede ridotta in modo soggettivo, sentimentale (un solo “sentire”) o volontaristico (moralismo), ha infatti svalutato e persino condannato l’apporto della ragione. Ragionare sarebbe per Lutero un “adulterare” la fede, considerata tanto più pura quanto più cieca.
Non a caso, specie all’inizio, la Riforma protestante si oppose sia al rapporto della fede con la filosofia come al sorgere e svilupparsi della scienza sperimentale.
Purtroppo questa grave ed eretica visione della fede cristiana negli ultimi decenni si è infiltrata anche all’interno della Chiesa Cattolica, deformando e mettendo in pericolo la fede cattolica (e la salvezza eterna delle anime). Non a caso già il Concilio Ec. Vaticano I (1870) condannò questo “fideismo” e chi negava la possibilità anche razionale di conoscere Dio. Giovanni Paolo II intervenne autorevolmente in merito, con una della sue più importanti Encicliche (Fides et ratio, 1998), in cui tra l’altro condanna non solo quella visione sentimentale e irrazionale della fede oggi sempre più diffusa (però di fatto “non cattolica”!), ma anche quel certo “biblicismo autoreferenziale” (cfr. n. 55), cioè quel “basta la Bibbia”, divenuto persino di moda in molte comunità cattoliche ma che tradisce appunto un’impostazione fideistica protestante.
2) Per la visione della realtà come “Creato“
Fu soprattutto fondamentale, per la nascita della scienza, la concezione della Natura, della realtà, del cosmo, come Creato, cioè come opera libera e intelligente del Creatore (Logos), che ha dato alle cose e al cosmo intero delle leggi, addirittura esprimibili in termini “matematici” e che anche la ragione umana può progressivamente conoscere (“leggi naturali” che Dio ha creato ma che in genere Egli stesso mantiene e rispetta, tranne in quelle eccezioni che chiamiamo “miracoli”).
Soffermiamo ancora un poco la nostra attenzione su questo tema, per sottolineare come proprio tale visione della realtà già nel tardo Medioevo abbia creato quella “cultura” (e talora già persino interessanti scoperte) idonea per il sorgere stesso della scienza sperimentale.
“Per questo la scienza nasce in Europa, perfino già dal Medioevo”
[Francesco Agnoli, Scienziati, dunque credenti (come la Bibbia e la Chiesa hanno creato la scienza sperimentale), Siena 2012, p. 11]
Che Dio sia il Creatore di tutto, “del cielo e della terra” (cioè delle cose “visibili” e di quelle “invisibili”, degli esseri corporei e di quelli spirituali), è talmente un contenuto fondamentale della fede cristiana (e prima ancora di quella ebraica), che emerge già dalle primissime parole della Bibbia (Gn 1,1: “In principio Dio creò il cielo e la terra”), e sta all’inizio anche di quelle prime, solenni, fondamentali e perenni formulazioni sintetiche della fede (il Credo vedi) che sono sia il “Simbolo apostolico” (“Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”) che quello “niceno-costantinopolitano” del IV sec. (“Credo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”). Bello che venga ricordato anche nella Benedizione del Vescovo [“Sit Nomen Domini benedictum (Sia benedetto il Nome del Signore); R: ex hoc nunc et usque in saeculum (ora e sempre). Adiutorium nostrum in Nomine Domini (il nostro aiuto è nel Nome del Signore); R: qui fecit coelum et terram (Egli ha fatto cielo e terra). Benedicat vos Omnipotens Deus +Pater et +Filius et +Spiritus Sanctus (Vi benedica Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo)”].
Ciò rappresenta già un’enorme ed inedito passo avanti rispetto a tutte le religioni e persino rispetto alla filosofia classica greca. Infatti, se già in Platone e Aristotele si riconosceva una “dipendenza” del cosmo da un Dio unico, trascendente e intelligente, manca in loro, pur ai vertici della storia del pensiero antico, l’idea della “creazione”, cioè che proprio tutto abbia avuto un inizio e sia stato fatto esistere dal nulla dalla potenza creatrice di Dio.
Il cosmo inteso come Creato, come emerge dalla fede cristiana, detronizza così la Natura da ogni pretesa divina, religiosa, magica, superstiziosa, persino capricciosa se non malvagia.
Queste credenze erano comuni a tutti i popoli dell’antichità, compresi quelli barbari europei prima dell’evangelizzazione del continente, come quelli indigeni americani, africani, asiatici e australiani. Tali popoli, culture, religioni – contrariamente a quanto la visione illuminista, purtroppo riemergente ora in Occidente, esalti “il buon selvaggio” e la bellezza delle culture indigene primitive – avevano certo le loro divinità (non è mai esistita una civiltà atea!), ma si sentivano oppressi dai loro Dèi, cui si sentivano costretti ad offrire persino innumerevoli sacrifici umani per poter renderseli propizi! Per questo per loro l’’incontro con il Vangelo, con la novità e bellezza della fede cristiana (Dio ci ama infinitamente e ci salva eternamente in Cristo!) fu ed è una grande “liberazione” e persino l’inizio del loro sostanziale e continuo progresso.
Questa idea della Natura, mentre veniva detronizzata da ogni pretesa divina ma elevata alla dignità di opera creata da Dio secondo la Sua sapienza, cioè secondo “leggi” stabilite da Dio (Logos), che Egli stesso normalmente mantiene e rispetta e che la mente umana può investigare e scoprire, costituisce la base teologica e filosofica che ha permesso il sorgere della scienza moderna sperimentale, cioè la possibilità di studiare razionalmente la natura, cosa appunto assente in tutte le altre civiltà, filosofie e religioni dell’umanità!
Ecco dunque ancora alcune sottolineature che testimoniano il dato e il motivo della nascita della scienza in area cristiana, specie cattolica, nel continente europeo (‘in primis’ in Italia), e le proprie basi culturali addirittura già nel Medioevo, quindi nei secoli precedenti allo stesso Galileo e allo sviluppo massiccio del moderno metodo sperimentale.
Abbiamo già osservato che per sé alcuni concetti fondamentali, come quello di “creazione”, siano ovviamente già ebraici, giudaici [della creazione di tutte le cose “in principio” si parla appunto già nel primo versetto del primo libro biblico dell’Antico Testamento (Genesi, che in ebraico è intitolato appunto BeReshit, cioè In principio). Però la religione e cultura ebraica, nonostante le presenza di Ebrei in molti Paesi, già nell’antichità, non riusciva o non voleva uscire dalla ristretta cerchia etnica del popolo eletto d’Israele (un’identità precisa, segnata nei maschi addirittura dal rito della “circoncisione”; e tutti gli altri popoli erano “non circoncisi” ed esclusi dall’alleanza divina). Con Gesù Cristo (vedi), culmine e pienezza della Rivelazione divina, Logos stesso fatto carne, e la conseguente nascita del nuovo popolo di Dio (vedi), la Chiesa Cattolica (aperta a tutti popoli: “cattolico” significa infatti “universale”), ha permesso non solo una rapida e costante diffusione del cristianesimo (e della salvezza eterna a tutti offerta) in tutto il mondo, ma appunto la stessa diffusione universale dei contenuti fondamentali e originali dell’ebraismo, che trovano in Cristo e nella fede cristiana il proprio completamento e perfezionamento (cfr. Mt 5,17).
Nel già spesso citato testo di Woods, How the Catholic Church built western civilization, Washington D.C., 2001 (trad. it., Cantagalli SI, 2007: “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale”) troviamo ad esempio (p. 83 e segg.) questa testimonianza dell’importante storico della scienza, il padre benedettino ungherese (poi USA) Stanley Jaki (1924-2009; filosofo, teologo, fisico, saggista e docente universitario alla Seton Hall University nel New Jersey):
Le idee cristiane, soprattutto il concetto di “creazione” (ad opera di Dio ed “ex nihilo”), furono la base culturale che permise il sorgere della scienza in Europa, già nel Medioevo.
Questa cosmologia biblica (un universo razionale e creato, cioè distinto dal Dio Creatore e trascendente) è pressoché assente nelle altre civiltà; per cui in esse, al di là delle capacità anche di osservazione del cielo (come ad esempio nella civiltà babilonese, nonostante la raccolta di significativi dati astronomici e lo sviluppo persino dell’algebra), non ha permesso il sorgere e lo sviluppo della scienza come invece è storicamente avvenuto nel cristianesimo (potremmo dire che anche quando altrove pare nascere la scienza, essa nasce “morta”).
Non troviamo infatti la nascita e lo sviluppo della scienza nelle civiltà araba, babilonese, cinese, egiziana, greca, hindu, maya, …
Esse pensavano ancora il divino come “Immanente” (e quindi operante continuamente senza leggi da lui fissate e mantenute) e la Natura come un essere vivente, cioè una concezione animista e comunque panteista [presente peraltro persino nell’ateismo (che è poi costretto a “credere” che la pura casualità possa creare l’ordine cosmico) e nel moderno culto ecologista della Natura (intesa come Madre natura, Madre Terra).
Evidentemente queste visioni cosmologiche impediscono la scienza, che non può sussistere senza un ordine stabile del cosmo e studiabile dalla ragione.
Mancando loro l’idea di creazione, i fenomeni naturali non sono ancora intesi come frutti di “leggi naturali” pensate da un Dio trascendente e creatore (che normalmente Egli stesso rispetta*) e quindi immutabili, studiabili e prevedibili.
* Come abbiamo già sopra osservato, nella autentica fede cattolica, il “miracolo”, in senso fisico, è invece un intervento straordinario di Dio, possibile ma eccezionale; altrimenti non sarebbe neppure possibile la scienza, che studia invece la regolarità dei fenomeni e delle loro cause.
In quelle civiltà extrabibliche si crede invece che i fenomeni abbiano una volontà propria (siano quindi spiriti o addirittura divinità) e quindi non siano regolari e studiabili con la scienza.
Persino Platone, che pur fa dipendere l’ordine cosmico da Dio (Logos), considera l’universo come eterno (Dio avrebbe solo messo in ordine un Kaos, rendendolo Kosmos) e non sa spiegare né la materia né il divenire e ricorre ad un mitico intermediario operativo (Demiurgo). Anche Aristotele, che pur fa dipendere il divenire cosmico da Dio (Primo Motore Immobile), l’universo è considerato ancora eterno e quindi non si capisce ultimamente da dove derivi il suo essere.
Persino Platone e Aristotele credono ancora ad un’anima del mondo (pur riferendolo a Dio) (cfr. F. Agnoli, op. cit., p. 18)
Strano che non nasca e si sviluppi la scienza neppure nell’Islam, cioè nella civiltà musulmana, che pure è l’unica grande religione nata dopo il cristianesimo (VII sec.), che risente persino molto dell’Antico Testamento biblico (monoteismo assoluto, Dio trascendente, Creatore, ecc.). Una religione che si è subito diffusa (soprattutto militarmente) in tutto il mondo allora conosciuto e tuttora con 1,5 miliardi di seguaci ormai nei 5 continenti. Nonostante che la culla dell’Islam sia stata (e ancora è prevalente) la civiltà e cultura araba (Maometto pensa una religione particolarmente adatta proprio al mondo arabo, anche se da portare a tutti, e lo si coglie infatti anche da molti suoi precetti, persino alimentari) – una cultura che ha avuto una notevole importanza per la matematica (i numeri sono tuttora universalmente quelli arabi e l’algebra nasce nel mondo arabo fra l’VIII e il IX sec.) e che ha pure conosciuto nell’XI-XII sec. una provvisoria apertura alla filosofia aristotelica (1) – eppure l’Islam non ha conosciuto il sorgere della scienza come quella moderna nata dalla civiltà cristiana europea e diffusasi nel mondo intero.
(1) cfr. i commentatori arabi di Aristotele Avicenna e Averroè, di cui tiene conto persino S. Tommaso d’Aquino, tanto la filosofia cristiana medievale era capace, come abbiamo osservato, di vero “dialogo”!
Avicenna [(980-1037), fu un filosofo persiano (i persiani non sono arabi, ma furono occupati dagli arabi musulmani nel 637, ed hanno fondamentalmente abbandonato lo Zoroastrismo per aderire all’Islam). Si è occupato anche di matematica, fisica e persino di medicina (però si limitò ad ordinare sistematicamente le dottrine mediche di Ippocrate e Galeno e quelle biologiche di Aristotele, senza contribuire ad un sostanziale progresso di tali scienze].
Averroè [1126 Cordoba (Spagna, allora resa califfato dall’invasione musulmana) – 1198 Marrakech (Marocco)] è considerato il più influente filosofo musulmano del Medioevo; fu anche medico e matematico, oltre che esperto nel diritto.
Però l’Islam, nella sua assolutizzazione della trascendenza divina (a scapito dell’immanenza) e della (presunta) rivelazione a Maometto (proibito discuterne, ragionarvi sopra e all’inizio s’è persino ritenuto che il Corano non dovesse essere tradotto dall’arabo in altre lingue, perché ciò avrebbe rappresentato già una contaminazione e perfino un tradimento all’assoluta fedeltà ad Allah,) ha sostanzialmente rifiutato ogni elaborazione razionale e quindi anche ogni possibilità di vero dialogo – come vediamo purtroppo ancor oggi (checché l’Occidente relativista pensi ad una possibile loro integrazione sociale) – ed ogni possibilità stessa di fare scienza [il Mutakallimum islamico dirà espressamente che è un affronto ad Allah enunciare una legge fisica (le leggi naturali sono considerate come semplici nostre abitudini).
Si veda in proposito la celebre (anche se immediatamente strumentalizzata dai media occidentali, con pericolose possibili reazioni nel mondo da parte di gruppi islamici) “lectio magistralis” tenuta da Benedetto XVI il 12.09.2006 all’università di Regensburg/Ratisbona, dove da giovane professore insegnò, dal titolo “Fede, ragione e università – Ricordi e riflessioni”].
Se qualcuno obiettasse che anche la Bibbia (in quanto Parola di Dio, certo infallibile) e soprattutto il Vangelo (addirittura il Logos incarnato, Gesù “Via, verità e vita”, Gv 14,6) pretendono l’assolutezza della verità e quindi l’obbedienza totale dell’uomo, si consideri invece che:
1) ci sono motivi ragionevoli per riconoscere che Dio si è già effettivamente rivelato agli Ebrei nell’A. T. (vedi, domande 3.7/3.12) (progressivamente e secondo categorie anche umane che gli esegeti e l’ermeneutica possono studiare e decifrare, come infatti accadde e accade in Teologia) e soprattutto che Gesù di Nazaret ci offre motivi ragionevoli (la sua vita, la sua predicazione, i suoi miracoli strepitosi e soprattutto la sua Risurrezione, seriamente documentati) per credere alla Sua divinità (vedi catechesi n. 4);
2) al di là di una fede semplice che aderisce con totale obbedienza alla Parola di Dio (fedelmente annunciata e interpretata dalla Chiesa Cattolica, secondo l’autentica e bimillenaria Tradizione) – fede semplice che può essere già molto meritoria ed ottenere la salvezza eterna (se uno non ha dubbi e non ha soprattutto la possibilità di approfondire; perché altrimenti sarebbe grave “peccato di omissione” non farlo se uno ne avesse le possibilità) – proprio la storia bimillenaria della Chiesa Cattolica dimostra, come vediamo anche in questo documento, che l’autentica fede cristiana cattolica permette un approfondimento razionale (teologico, filosofico, culturale) di dimensioni immense e in grado quindi di alimentare, sostenere, purificare, innalzare il lavoro della ragione, in tutti i campi del sapere e appunto persino in quello scientifico, che appunto non a caso nasce e si sviluppa nella civiltà cristiana!
Ascoltiamo ancora una considerazione di F. Agnoli (cfr. op. cit., p. 51):
La concezione cosmologica ebraico-cristiana (universo inteso come “il creato”) supera non solo quella dei presocratici, di Parmenide, di Democrito, degli stoici, e persino di Platone e Aristotele, ma anche dell’induismo, del buddismo, del manicheismo, dell’Islam, come quelle riemerse addirittura nella modernità (Giordano Bruno*, Spinoza, Hegel, Marx e persino in ancora molte parti del pensiero di Einstein)!
* Come abbiamo già osservato, col Rinascimento (v. il caso Giordano Bruno, vero cultore della magia e dell’esoterismo, pur essendo un frate! – cfr. dossier sull’Inquisizione, punto 6.3) si assiste invece ad una tragica rinascita della divinizzazione della Natura, dell’esoterismo, della magia (Giordano Bruno pensa pure all’eliocentrismo come imminente ritorno della religione magica degli antichi Egizi, che auspicava).
Nelle religioni non cristiane, antiche e moderne, dietro ogni evento naturale c’è invece sempre un’anima, uno spirito (da scongiurare e a cui sacrificare per propiziarseli).
Nell’Europa precristiana …
“La religione germanica (e scandinava) era infestata di streghe, gnomi, folletti, elfi, nani, lupi mannari ed altre creature spaventose che rendevano minacciosa la natura e la storia”. “Anche i Sassoni avevano queste divinità naturali a cui sacrificare animali e uomini”.
[Non a caso Carlo Magno proibì tutte queste credenze superstiziose dei primitivi popoli europei].
“Le regioni baltiche erano infestate di credenze del genere”; così gli i popoli slavi.
Nell’America precristiana …
Anche i popoli indigeni delle Americhe (Maya, Aztechi, Incas) erano oppressi da queste credenze religiose (divinità, spiriti, diavoli; compreso la Pacha Mama (Madre Terra), cui offrivano persino migliaia e migliaia di sacrifici umani, addirittura cuori ancora pulsanti estratti dal corpo anche di bambini vivi!).
Evidentemente una natura così intesa, divinizzata, magica, caotica, capricciosa, una religione animista, panteista, politeista e persino crudele … non avrebbe mai permesso la nascita della scienza! Infatti queste civiltà non cristiane mai la generarono!
Ancora qualche testimonianza in merito, da scienziati contemporanei:
Melvin Calvin (1911-1997 – Premio Nobel per la Chimica 1961): “Il monoteismo della Bibbia (già l’A. T.), con una cosmologia che considera l’universo regolato da un unico Dio e non dal capriccio di molti dèi, è il fondamento storico della scienza moderna”.
Robert Andrews Millikan (1868-1953, premio Nobel per la Fisica 1923 e sostenitore dell’accordo tra scienza e fede): “la causa del sorgere della scienza sperimentale è la Bibbia, cioè la Rivelazione del Dio vero, non un Dio o dèi stravaganti e capricciosi, ma un’Intelligenza che opera secondo delle leggi”.
Sul perché la scienza moderna sia nata esclusivamente all’interno della civiltà cristiana e specialmente cattolica (non a caso in Italia e in Europa), ecco la testimonianza del famoso scienziato italiano prof. Antonino Zichichi *:
* (1929-vivente) siciliano – dottore in Fisica, ha lavorato presso il Fermilab di Chicago e il CERN di Ginevra (dove nel 1965 ha diretto il gruppo di ricerca che osservò per la prima volta l’antideutone, in contemporanea con l’analoga scoperta di un team americano), ha guidato il gruppo di fisici dell’Università di Bologna durante i primi esperimenti sulle collisioni materia-antimateria presso i laboratori nazionali di Frascati. È stato presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dal 1977 al 1982 e nel 1978 è stato presidente anche della Società Europea di Fisica. Per poco nel 1979 non è riuscito a diventare direttore del CERN di Ginevra – nel 1980 incomincia la costruzione dei Laboratori nazionali del Gran Sasso, dei quali è stato uno dei principali fautori e ideatori – di dichiarata fede cattolica. è stato anche in ottime relazioni con Giovanni Paolo II]
“Mai una legge scientifica è stata infatti scoperta al di fuori della civiltà cristiana”. “La scienza è nata in casa cattolica con Galileo Galilei, per un atto di fede in Dio Creatore e nel Creato. E Galileo fu il primo a cercare le impronte del Creatore studiando anche gli oggetti <volgari>, cominciando perfino dalle pietre e dal loro moto di caduta, sapendo che la Sapienza infinita di Dio aveva scritto il libro della Natura con una logica (la Logica del Creato), anzi con caratteri matematici, e la scienza ha come obiettivo di capire ciò che Dio ha scritto, usando proprio il rigore della matematica. Per questo con Galileo nasce la scienza moderna, proprio comprendendo che le leggi fondamentali della natura sono espresse da precise equazioni matematiche. Galilei voleva semplicemente leggere il Libro della Natura, scritto con caratteri matematici. Dire nel XVII secolo che bisognava seguire questa strada per scoprire le leggi fondamentali della natura, non era il risultato di un discorso logico ma un atto di fede in Dio Creatore. La scienza nasce da questo atto di umiltà intellettuale, dalla consapevolezza che nasce dalla fede cristiana: in ciascun oggetto doveva esserci l’impronta della sapienza del Creatore, che è un <Intelletto Matematico>”. “Per questo stesso motivo fede e scienza non potevano per Galileo contraddirsi, perché Bibbia e Natura sono due libri scritti dallo stesso Autore, che è il Creatore”. “Fede e scienza non si contraddicono. Se vivessimo davvero nell’era della scienza queste verità sarebbero patrimonio culturale di tutti. I persistenti e propagandati pregiudizi contrari nulla hanno a che vedere con la scienza” [A. Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore (MI) 1999].
Del resto, per concludere, così scriveva lo stesso Galileo (che, nonostante il suo caratteraccio che lo portò a litigare quasi con tutti e le sue debolezze morali, che lo portarono ad avere a Padova una relazione con una donna, da cui ebbe 3 figli, per poi presto abbandonare tutti 4, era comunque un uomo di fede e così volle anche morire, tanto da essere sepolto in S. Croce a Firenze) (cfr. documento, domanda 2):“Procedono di pari dal Verbo divino la Scrittura Santa e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio”; “il mondo sono le opere di Dio e la Scrittura sono le parole del medesimo Dio”.
Galileo ne era talmente convinto, da esagerare perfino. Come quando si oppose alla scoperta delle orbite ellittiche di Keplero, dicendo (sbagliando) che le orbite dovevano essere circolari, in quanto il cerchio è più perfetto dell’ellisse e Dio fa le cose in modo perfetto (oggi sappiamo tra l’altro che in astronomia l’orbita ellittica è infatti più perfetta di quella circolare, tant’è vero che facciamo fare questo tipo di orbite anche ai nostri satelliti e stazioni spaziali).
La storia della scienza è tra l’altro piena di scienziati non solo credenti, cattolici praticanti e particolarmente devoti, anche di Beati e Santi, ma di religiosi (frati, monaci) ed ecclesiastici (sacerdoti, vescovi, cardinali e persino Papi).
Si veda in proposito l’interessante (già citato): Francesco Agnoli e Andrea Bartelloni, Scienziati in tonaca (da Copernico, padre dell’eliocentrismo, a Lemaitre, padre del Big Bang), La Fontana di Siloe (TO)2013.
Si osserva invece che “a parte qualche pastore protestante, non troviamo tra gli scienziati ministri di altre religioni: nessun rabbino, imam, sciamano, bramino indù, monaco buddhista, ecc.” (op. cit., p. 7).
Una Nota … sull’origine della vita
Non vogliamo né possiamo entrare qui nel merito della questione. Si veda in proposito il dossier su Darwin (e l’evoluzionismo) al punto 3.
F. Agnoli, nel testo citato (p. 73 e segg.) sottolinea …
Mentre per Aristotele non solo l’universo ma anche la vita esistono da sempre, per la Bibbia sia l’universo che la vita hanno avuto un inizio (creati da Dio). Oggi la scienza dice che Aristotele si sbagliava.
Se poi ci chiediamo: da dove ha origine la vita?
Per generazione spontanea?
Già Francesco Redi (1626-1697, uno dei più grandi biologi di tutti i tempi, cattolico e allievo dei Gesuiti) e Niccolò Stenone (1638-1686, vescovo cattolico danese, padre della geologia e stratigrafia) avevano sottolineato la sostanziale differenza tra materia inorganica e materia organica. Negarono la generazione spontanea Lazzaro Spallanzani (1729-1799, sacerdote, monaco; grande scienziato ucciso dai seguaci della rivoluzione francese), Thodor Schawann (1810-1882 – cattolico allievo dei Gesuiti e docente all’università di Lovanio in Belgio) e soprattutto Louis Pasteur (1822-1895; uno dei padri della microbiologia e fervente cattolico).
In realtà, nessuno è in grado di spiegare come si possa passare dalla chimica inorganica a quella organica e alla biologia; nonostante si conosca praticamente tutto di una cellula vivente (componenti) e come “funzioni” (fisiologia), nessuno sa davvero spiegare davvero cosa sia la vita (e di conseguenza la morte) e come possa essere sorta. [Non parliamo poi di quel particolarissimo essere vivente e pensante, culmine dell’evoluzione cosmica e biologica) che è l’uomo! vedi, parte 4]
Chi si ostina a negare la creazione divina (un nuovo intervento diretto di Dio, come per la nascita dell’universo e poi per la nascita di ogni singolo essere umano, cioè di ogni singola anima spirituale) assai spesso si arrampica sugli specchi e persino sulle ipotesi “fantascientifiche” (da un altro pianeta, da alieni?).
Già il tentativo di spiegazione del sorgere della vita “per caso” (“caso” è poi una semplice parola, da credere ciecamente e senza alcuna prova, per nascondere in fondo la propria ignoranza o la propria ostinazione aprioristica nel negare Dio) – come Jaques Monod [(1910-1976), biologo e filosofo francese, premio Nobel per la Medicina 1965; ma il suo Caso e necessità, presentato dalla cultura specie di stampo comunista come “la Bibbia degli atei” (!), ebbe ad esempio l’immediata risposta del grande biologo Vittorio Marcozzi, con Caso e finalità] o Clinton Richard Dawkins [(1941 – vivente) etologo, biologo, divulgatore scientifico, saggista e attivista britannico, considerato uno dei maggiori esponenti contemporanei della corrente del neodarwinismo nonché del “nuovo ateismo” – si scontra poi sempre più con serie difficoltà, offerte persino dal calcolo delle probabilità [cfr. John C. Eccles (1903-1997), Nobel per la Medicina 1963: “solo per fare a caso un aminoacido ci vorrebbe un tempo superiore all’età dell’universo!”; così C. Wickramsinghe (“l’età dell’universo sarebbe ridicolmente insufficiente!”) e persino l’ateo F. Hoyle.
Ancora … Francis Crick (con J. Watson scoprì la struttura elicoidale del DNA; premio Nobel 1962): “la nascita della vita non è giustificabile senza l’intervento di un’intelligenza”. Erwin Chargaff (uno dei padri della biologia molecolare): “parlare del caso per il sorgere della vita è un’idiozia”. Francis Collins (direttore della ricerca sul “genoma umano”, che parla del DNA come del “linguaggio di Dio”): “oggi nessuno scienziato serio oserebbe affermare di essere prossimi ad una spiegazione naturalistica dell’origine della vita”. “Se l’universo era improbabile, la nascita della vita ancor più, quella dell’uomo il massimo dell’improbabilità. Parlare di pura casualità è ridicolo”!
Fin dall’inizio del cristianesimo …
Fin dai primi pensatori cristiani e Padri della Chiesa emerge chiaramente la nuova visione della Natura, assai diversa e superiore, rispetto a tutte le cosmologie precedenti.
È ormai evidente che non solo la Natura non è ovviamente Dio – visto che ovviamente c’è un solo Dio (Santissima Trinità), trascendente e creatore, che ha in mano il governo del mondo (sia pur in genere rispettando le leggi che Egli stesso vi ha immesso e che quindi noi possiamo studiare con la nostra intelligenza – ma non è neppure un vivente (la Madre Natura) né è abitata da spiriti (come le civiltà antiche credevano).
Se per la fede cristiana esistono gli spiriti, buoni (angeli) o cattivi (demoni, cioè angeli decaduti) e anime dei defunti, essi non influiscono sugli eventi e sulla natura al di fuori o al di sopra del volere divino (semmai l’uomo, nell’obbedienza a Dio e con il potere che viene da Lui, deve evitare possibili influssi malefici e soprattutto il peccato).
È dunque possibile fare scienza, cioè scoperte razionali sui fenomeni naturali e sulle loro cause.
Si potrebbero citare in questo senso …
Atenagora (Apologeta del II sec.: “la materia non è Dio ma obbedisce a Dio”)
Origene (II sec.: “il Sole obbedisce alle leggi di Dio”)
S. Giustino [(100-165), primo filosofo cristiano e martire (vedi)]
Lattanzio [(240-320), Apologeta cristiano: “gli astri non possono uscire dalle loro orbite prestabilite perché non sono dèi”]
S. Ambrogio [(334-397) (vedi); aveva già nettamente superato la visione cosmologica di Platone e Aristotele (dualismo cieli-terra) e aveva già sottolineato, come abbiamo osservato, che fosse di poca importanza per la fede la posizione della Terra, perché la centralità, nella creazione del cosmo, è dell’uomo, non del pianeta]
S. Agostino [(354-430) (vedi); aveva già lucidamente indicato come il tempo sia cominciato col cosmo (con la creazione), perché lo spazio e il tempo non sono recipienti dentro cui ci sono le cose (concezione quantomai concorde con l’astrofisica contemporanea!); Dio è in un eterno presente. Agostino fu anche uno strenuo oppositore della astrologia*, magia e superstizione; fu anche uno dei primi ad usare l’espressine “legge della Natura” o naturale].
* L’opposizione della Chiesa Cattolica all’astrologia fu chiara anche in S. Alberto Magno, S. Tommaso d’Aquino, come nello stesso S. Francesco d’Assisi); e si evidenzia anche nei Penitenziali medievali, dove sono indicate le “penitenze” da comminare a coloro, pentiti, che l’anno praticata o fruita.
La negazione dell’eternità del mondo è poi già affermata da pensatori medievali quali: Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, John Peckham (Vescovo filosofo teologo inglese della seconda metà del XIII sec.), Tommaso di York (XI sec., arcivescovo di York , francescano, metafisico aristotelico della scuola di Oxford), Matteo d’Acquasparta (1240-1302, cardinale, teologo, filosofo), Pietro Olivi (Pèire de Joan-Oliu, 1248-1298, teologo francescano francese), san Bonaventura (1221-1274).
Scienziati medievali
Si tratta di un titolo che è già una provocazione!
La “scienza” non è nata nel XVII sec. con Galileo?
Sono esistiti scienziati prima di Galileo?
Esisteva la scienza nel Medioevo?
Cade un altro mito illuminista (creduto ancora da tutti)?
[cfr. ad esempio il testo di Edward Grant (docente di “Storia e filosofia delle scienze” all’Indiana University, Bloomington, USA), trad. it., Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi 2001]
Se certamente l’interesse prioritario della cultura europea medievale, come poi delle università che nella seconda metà del medioevo sono nate, a motivo della entusiasta e generale adesione a Cristo e alla fede cattolica che ovunque regnava, era certamente quello della teologia e della filosofia, come pure del diritto (canonico e civile), in realtà, come abbiamo sopra sottolineato, tutto il campo del sapere era razionalmente investigato; e le diverse discipline si sviluppavano anche con una propria autonomia e libertà di ricerca.
Oltre a quanto già ricordato sull’incremento non solo culturale ma persino scientifico e tecnico posto in atto nei monasteri (cfr. parte 2), si ricordi che “i monaci, oltre a trasmettere il sapere medico dell’antichità, furono ottimi farmacisti, abilissimi nello studiare le virtù terapeutiche delle piante e delle erbe medicinali (v. Camaldoli), unguenti, pomate…
Ricordiamo ancora i progressi tecnici attuati nel Medioevo, specie appunto a partire dai monasteri, nell’agricoltura (persino un nuovo tipo di aratro o la rotazione triennale delle coltivazioni) e nelle tecniche idrauliche (per l’irrigazione, nei mulini, nei nuovi macchinari utilizzati all’interno stesso dei monasteri), nella tessitura, nell’artigianato, nell’edilizia, nelle strade, persino nelle miniere e nella metallurgia.
Possiamo dunque parlare di antesignani della scienza moderna (persino in senso di scienza sperimentale) anche riguardo a molti studiosi medievali, quindi nel millennio che precede Galileo!
Alcuni esempi, in ordine cronologico …
Il monaco Dugal (IX secolo), maestro nella Schola di Pavia, aveva studiato la regolarità delle eclissi solari.
Questo fu chiaro già a S. Anselmo [1034-1109 (vedi)] come e ancor più a S. Tommaso d’Aquino. La base della scienza era fornita: Dio trascendente ha creato tutte le cose, ma ha dato alle creature leggi proprie (che normalmente sono fisse e quindi studiabili).
La scuola della cattedrale di Chartres (XI-XII sec.)
La natura è intesa come autonoma, cioè che opera in base a leggi fisse date da Dio e che la ragione può scoprire; ovviamente senza escludere la possibilità del soprannaturale e del miracolo.
Così Guglielmo di Conches (1080-1154; filosofo della Scolastica francese, studiò le opere dei classici latini e greci e sostenne il principio di scienza empirica) e Teodorico di Chartres (Teodorico il Bretone, in latino Theodericus Brito, in francese Thierry de Chartres; ? – 1156?; filosofo, teologo e scrittore francese, uno dei più importanti maestri della scuola di Chartres (forse fratello minore di Bernardo); lo storico della scienza Thomas Goldstein dice che “può essere riconosciuto come uno dei fondatori della scienza occidentale”!).
S. Alberto Magno [1205-1280 (vedi)], domenicano, professore a Parigi (ebbe tra gli alunni S. Tommaso), è considerato giustamente uno dei precursori della scienza moderna (non a caso è il “patrono degli scienziati”), in quanto insisteva sull’importanza di iniziare le ricerche anzitutto dall’osservazione sistematica dei fenomeni. Dominava tutte le branche del sapere: nei suoi studi di fisica, biologia, psicologia e geologia, associa all’osservazione diretta dei fenomeni lo studio critico delle loro cause.
S. Tommaso d’Aquino [1225-1274 (vedi), uno dei più grandi se non il più grande genio della teologia cristiana di tutti i tempi ma anche dell’autentica filosofia (detta “perenne” non perché non passibile di sviluppi ma perché, essendo una filosofia dell’essere, fornisce le basi sicure del sapere stesso – come la certezza metafisica che non ci possano essere verità contraddittorie ma semmai complementari).
Peter Peregrinus (XIII sec.), frate, (che Bacone considerava un maestro): il suo De magnete fu il primo trattato di magnetismo di tipo sperimentale (in cui si riconosceva l’esistenza dei due poli magnetici, inseparabili) e rimarrà un testo fondamentale fino al 1600.
Ruggero Bacone [Roger Bacon (1220-1292), frate francescano* inglese docente ad Oxford), chiamato significativamente “Doctor mirabilis”. Ammirato anche nei secoli seguenti per i suoi studi di matematica e ottica, viene considerato uno dei precursori del metodo scientifico moderno, perché sottolineò fortemente l’importanza della “sperimentazione” nelle conoscenze scientifiche. Con lui si superò chiaramente, in Fisica, il dualismo Cieli-Terra, diffuso nell’antichità (alla luce proprio del biblico “Dio creò il cielo e la terra”). Anche la questione della centralità della terra è da lui giustamente considerata non rilevante dal punto di vista teologico, in quanto la centralità nella creazione è dell’uomo, non della Terra (come appunto già precisato da S. Ambrogio).
* E’ impressionante che questo “luminare” francescano sia nato quando S. Francesco era ancora vivo! Eppure nello stesso secolo XIII esistevano in tutta Europa già innumerevoli conventi francescani (si dice 30.000 frati!), appunto anche in Inghilterra! Altrettanto significativo è che, nonostante l’iniziale ritrosia di S. Francesco per i grandi studi (non per disprezzo della ragione ma per timore della superbia), la sapienza francescana abbia immediatamente generato anche questi luminari del pensiero teologico, filosofico e persino delle diverse scienze. Non a caso già S. Bonaventura (leggi), uno dei più grandi teologi medievali, coetaneo del confratello inglese Bacon, aveva studiato all’università di Parigi, poi fu dottore e maestro, quindi fu alla guida dell’Ordine (Ministro Generale) ed eletto persino vescovo e fatto cardinale.
“I grandi Scolastici hanno fornito le basi stesse non solo del pensiero moderno ma della stessa scienza sperimentale. Già nei monasteri si associava alla osservazione diretta dei fenomeni lo studio critico delle loro cause. Studiosi come Ruggero Bacone e Raimondo Lullo precorsero persino Leonardo da Vinci coi loro progetti di complesse macchine e sistemi mnemotecnici” [F. Cardini, Processi alla Chiesa, pp. 225/228 (anche contro le falsità de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, anche in riferimento a Bacone ed altri)]
Roberto Grossatesta [Robert Grosseteste (1175-1253) – davvero nomen omen! – fu cancelliere dell’università di Oxford e poi vescovo di Lincoln (allora la più grande diocesi dell’isola britannica)].
Considerato uno degli uomini più eruditi del Medioevo, oltre che illustre teologo, lo si considera pure precursore del metodo scientifico, in quanto fu tra l’altro il primo “ad aver messo per iscritto una serie completa di passi necessari alla realizzazione di un esperimento scientifico”.
Per Grossatesta l’universo è da intendersi come “mundi machina”, con una causa puramente materiale, di cui Dio è la Causa prima. Non è quindi da intendersi come se fosse un grande organismo vivente, ma appunto come una grande macchina, regolata da precise leggi intrinseche. Si supera così decisamente la concezione platonica (forze intese come enti divini) e aristotelica e persino la cosmologia araba (cfr. Averroè), come del resto la visione anche di Dante, che ritenevano che i cieli fossero mossi da intelligenze motrici.
Sottolinea inoltre come Dio abbia creato l’universo “secondo numero e misura”; da cui la possibilità di esprimere le leggi della natura in termini matematici! Sarà infatti il metodo vincente della nuova scienza galileiana!
A lui si deve anche la prima intuizione che l’universo sia sorto da un puntino di luce (interessante che sottolinei la “luce” come primo atto creativo!), anticipando per così dire l’intuizione del Big Bang (scoperto dal fisico e sacerdote gesuita Lemaître nel 1927; tuttora ad Oxford, che si gloriano di aver avuto tale maestro agli esordi della loro università, peraltro allora cattolica, Grossatesta viene considerato “precursore del Big Bang”). Si evidenzia così meglio come l’universo sia sorto, per potenza creatrice divina), dal nulla (creatio ex nihilo), al di là dello spazio-tempo. Dio invece è in un eterno presente (come disse già S. Agostino). Negò per questo l’idea aristotelica di un universo eterno (temporalmente infinito) o quella platonica di una materia preesistente e caotica che Dio avrebbe solo messo in ordine. Per Grossatesta, infine, lo sviluppo dell’universo e le leggi che lo regolano, non richiedono un ulteriore intervento “diretto” del Creatore; ed anche questa regolarità, stabilita da Dio (come appunto una “macchina”) ma da Dio stesso rispettata (tranne la possibilità certo del miracolo) pone appunto le basi della scienza moderna.
Mondino de’ Liuzzi (1275-1326), medico anatomista, devoto credente, fu il primo, all’università (papale) di Bologna, a sezionare cadaveri per la ricerca anatomica (si veda il suo Anathomia del 1316).
A proposito dell’Anatomia …
Nonostante i contributi del pensiero greco (Galeno) l’anatomia moderna nasce con lui Mondino de’ Liuzzi (preceduto da un testo di chirurgia del chierico Guglielmo da Saliceto del 1270). Al testo del de’ Liuzzi, che fa scuola per anni, segue quello di Girolamo Manfredi e quello di Gabriele Zerbi, docente di Anatomia a Roma (sotto Innocenzo VIII) , che getta e basi dell’anatomia comparata. Importante anche il testo di Alessandro Benedetti, fondatore della scuola anatomica di Padova. Opera poi fondamentale sarà quella Andra Vesalius (1543).
Nonostante il rispetto cattolico dei cadaveri, solo in Italia ci fu la possibilità così vasta per gli studiosi di sezionare cadaveri, permettendo un grande avanzamento dell’anatomia (specialmente a Padova, seguita da Roma). Si tratta di un’altra delle possibilità scientifiche (studiare un cadavere) assente nelle altre culture e religioni.
Giovanni Buridano [(1290-1358) pensatore appartenente alla tarda Scolastica, fu professore all’università di Parigi]
Come già in Grossatesta e superando lo stesso pensiero aristotelico, per Buridano l’universo non è assolutamente da intendersi come un vivente, uno spirito, ma come una “macchina” omogenea (orologio) creata da Dio e regolata da una “meccanica celeste”, perfino matematica. Dio è il Creatore dell’universo e, senza nulla togliere al Suo potere sul cosmo, egli l’ha dotato di “leggi meccaniche autonome”. E’ così chiaro che noi possiamo studiare tali leggi (regolari) e quindi fare scienza!
Con Buridano si ha persino una prima anche se imperfetta formulazione della prima legge di Newton (moto inerziale): “una volta che Dio ha creato il mondo non ha più bisogno di muoverlo, se non come influsso generale” (non c’è più bisogno di motori angelici, cosa creduta ancora persino da Dante).
Purtroppo sia Cartesio che Newton cercarono il più possibile di censurare questo loro “padre” medievale (impossibile parlare bene del Medioevo) (cfr. F. Agnoli, op. cit., p. 30).
Tra i grandi precursori della scienza potremmo citare anche il vescovo Alberto di Sassonia (Alberto di Rickmersdorf, 1316-1390), filosofo tedesco della tarda Scolastica, che fu anche il primo Rettore dell’Università di Vienna.
Nicola d’Oresme [(1323-1382), teologo, filosofo, matematico e astronomo francese; dopo aver studiato Teologia all’università di Parigi, diviene Gran Maestro al Collège de Navarre, Canonico della cattedrale di Rouen, quindi (dal 1378 alla morte) vescovo-conte di Lisieux; fu stimato dal re Carlo V e consultato spesso dal re Giovanni II; parlò a lungo col Papa Urbano V ad Avignone]. Scriveva anche in volgare (francese) e tradusse in francese l’intera Bibbia (cade così un altro mito della modernità: che prima di Lutero non ci fossero traduzioni della Sacra Scrittura in lingua volgare o che la Chiesa Cattolica le avversasse)!
Come teologo scrisse ad esempio il De comunicatione idiomatum, in cui analizza con acribia il rapporto tra gli attributi della natura umana e quelli della natura divina di Cristo.
Come filosofo, rappresentante della tarda Scolastica, non solo studiò con precisione Aristotele, ma fece ottime traduzioni commentate delle sue opere in francese.
Nicola d’Oresme divenne presto assai noto anche nel campo delle scienze naturali (Filosofia naturale, Fisica, Matematica). Oltre a tradurre in francese diverse opere greche e arabe e a battersi contro l’astrologia, compì studi astronomici che permisero enormi passi avanti in direzione della scienza moderna.
Ad esempio, nella traduzione commentata (addirittura dal latino al francese; ed è la prima volta che un’opera scientifica appare in francese!) del De caelo di Aristotele (tradotto nel 1377 e intitolato “Trattato del cielo e del mondo”), lo critica nella sua visione di un universo eterno (sulla scia di Grosseteste, ipotizza invece un momento iniziale dell’universo e del movimento degli astri, come l’attuale ipotesi del Big Bang afferma), conferma l’idea (già di Grossatesta e Buridano) di un universo come una “macchina” (un orologio creato da Dio e funzionante secondo le leggi che Egli gli ha dato); ma fa anche emergere, 150 anni prima di Copernico (!) un’eccezionale osservazione a favore della rotazione terrestre (attorno al proprio asse): afferma infatti che, se fossero gli astri a ruotare attorno alla Terra (sistema geocentrico aristotelico-tolemaico), vista la rotazione completa in 24 ore, i più lontani dovrebbero raggiungere una velocità impossibile!
La sua importanza nell’astronomia è confermata pure dal fatto che un cratere lunare porta i suo nome.
In fisica si deve a lui la prova geometrica del teorema della velocità media (che porta appunto il nome di “Regola di Oresme”), che sarà decisivo per lo sviluppo della fisica moderna (forse il più straordinario contributo medievale alla storia della fisica matematica).
La genialità poliedrica di questo grande vescovo francese medievale si nota addirittura in economia ed in numismatica. Il suo De mutationibus monetarum, subito tradotto in francese, viene considerato una pietra miliare nell’economia, nella scienza del denaro.
Nicola Cusano [(1401-1464) Niccolò da Cusa (in tedesco: Nikolaus Krebs von Kues o Nikolaus Chrypffs), era un Cardinale] Fu teologo, filosofo, umanista, giurista, matematico e astronomo (insegnava proprio a Roma l’ipotesi eliocentrica!). A lui si deve pure l’invenzione dell’igrometro.
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Cade dunque, alla prova dei dati storici, un’altra leggenda illuminista sul Medioevo come “secoli bui”
Due Note
1) L’Italia cattolica fu protagonista mondiale della cultura, dell’arte e della scienza
Non è una pura coincidenza, ma è un vero rapporto causa-effetto, che l’Italia in genere e Roma in particolare (centro mondiale della Cristianità, sede di Pietro) conoscano, già nel Medioevo e poi ancora per 4 secoli, il trionfo non solo della fede cattolica e dell’eccezionale santità di molti suoi figli, ma della cultura, dell’arte (l’Italia ha il più insigne patrimonio culturale del mondo!) e della scienza.
Nella Roma dei Papi (nel senso che i Papi erano anche i capi politici), oltre al trionfo dell’arte (una bellezza invidiata dal mondo intero) e della cultura, troviamo addirittura l’avanguardia della scienza stessa, specie dell’astronomia [già nel XVI sec., cioè prima di Galileo, Roma possiede il primo osservatorio astronomico del mondo (la Specola vaticana, tuttora esistente, con osservatorio negli USA), il Collegio romano dei Gesuiti (che pur nato da poco era già un’incredibile fucina di scienziati e astronomi) e Papa Gregorio XIII diede al mondo e alla storia il Calendario gregoriano, da lui promulgato dopo attenti studi astronomici e che per la precisione astronomica, mai raggiunta prima, sarà valido per tutti e per sempre (cfr. dossier su Galileo, cap. 3 e documento, domande 4 e 5)].
Inutile negare che invece dopo il Risorgimento e la presa di Roma (1870) da parte delle forze anticattoliche (massoniche), l’Italia ha conosciuto una progressiva e drammatica perdita non solo della propria vitalità religiosa e culturale, ma della sua stessa incidenza nella storia europea e mondiale (cfr. cap. “Qualcosa sul nuovo Regno d’Italia” nel dossier sul Risorgimento e domande 18.20-23/30 nel documento). L’attuale capitolazione e perdita progressiva di sovranità (anche monetaria, a causa dell’€), nei confronti della UE e dei più o meno occulti potentati USA (sta sparendo persino la lingua italiana, oggettivamente la più bella del mondo, a favore di un forsennato uso dell’inglese a casa nostra, persino in politica), sta compiendo l’opera!
Del resto la stessa Europa occidentale, a seguito della sua lampante e persino violenta apostasia dal cristianesimo, conosce il tentativo, da parte dei “poteri forti”, di colmare questo vuoto (nichilismo) culturale ed esistenziale, con nuove assurde ideologie (coperte ovviamente da belle parole, quali “tolleranza”, “antiproibizionismo”, “non discriminazione”), con la droga, con gli spettacoli, con eventi sportivi, soprattutto con l’immigrazione selvaggia. Ma è una folle corsa, se non ci sarà un ritorno alle vera fede cristiana (qualche segno si scorge già), verso un’inesorabile autodistruzione (perfino profetizzata già da Nietzsche 150 anni orsono)!
2) All’apostasia (cristiana) dell’Occidente segue il ritorno dell’adorazione pagana della Natura
Com’è noto, nell’animo umano alberga un horror vacui, una terribile anche se talora inconscia “paura del vuoto”! Perché l’essere umano non può vivere senza un significato! (Non a caso Gesù risponde a Satana, che propone solo “pane”, cioè risposte materiali, che “non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, v. Mt 4,1-4)
Come colmare il vuoto dell’Occidente lasciato dall’abbandono di Cristo? Dopo il tentativo di farlo in modo violento con le ideologie della modernità (vedi), già tragicamente fallito, o con l’esoterismo di qualche religione orientale (buddismo) od occidentale (nuove sette, New Age, Next Age, ecc.), che pare però abbiano cominciato ad annoiare anche i pochi adepti, anche le idolatrie del progresso (ora in picchiata), della droga (un suicidio), del sesso (è sempre l’ultima carta di una vuota “civiltà di fine impero”; vissuto però senza regole e significato è non solo “alienante”, e quindi utile al potere, ma distruttivo della persona, dell’amore e provoca persino quel suicidio demografico, che per l’Europa e particolarmente per l’Italia toglie ormai ogni possibilità di futuro!), si cerca ora di riempire il vuoto con un nuovo “paganesimo”, nel senso proprio specifico del termine: l’adorazione della Natura, come divinità a cui sacrificare tutto, anche l’uomo (cfr. il documento sull’ecologismo).
Se già la superstizione è un magari inconscio sostituto della religione (non a caso è un “peccato mortale” contro il I Comandamento, vedi), come del resto la magia (di ogni tipo) e ogni rito para-spirituale e fino a quelli satanici (assai più diffusi di quel che si pensi!), anche l’apparentemente innocuo gran ritorno alla Madre Natura (peraltro senza più alcuna distinzione tra l’uomo e gli animali!) ha un tono chiaramente “panteista” (come filosofia) e “pagano” (come religione). Oltre a permettere presto nuove infinite ed autodistruttive “restrizioni” da parte della politica.
Si presenta oggi come una modernità, persino una moda, addirittura una necessità (per garantire il futuro? di chi?). Invece è un regredire, persino volontario ed auspicato, di millenni nella storia della civiltà umana, come qui abbiamo un poco osservato.
Siamo all’ultimo passo, se non ci pensasse la guerra totale o qualche virus inventato (e relativo vaccino), prima della distruzione totale? Inutile nascondersi che è proprio ciò che Satana desidera da sempre (ed anche certi “poteri forti”, che fondamentalmente a lui sono asserviti)!
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Postilla: Un elenco (parziale) di scienziati cristiani (dopo il Medioevo) …
[cfr. il documento su Galileo, domande 1-3]
A parte la già menzionata fede cattolica di Galileo, mantenuta con fervore fino alla morte, nonostante la non proprio encomiabile sua vita privata, facciamo ancora solo questa sottolineatura (rimandando per il resto al dossier e documento relativi).
Quando Galileo venne a Roma la prima volta nel 1611, fu accolto con molto entusiasmo dalla Chiesa, anche alle più alte sfere, ed in particolare dai sacerdoti-scienziati dell’ancora giovane Ordine religioso della Compagnia di Gesù (Gesuiti) (v. l’importanza culturale e scientifica del loro Collegio Romano, futura Pontificia Università Gregoriana, la più importante università dei Gesuiti ed una delle più prestigiose università del mondo, tuttora presente a Roma). Di quella visita romana, così scrisse lo stesso Galileo ad un amico: “Sono stato ricevuto e accolto con favore da molti illustri cardinali, prelati e principi di questa città”. Galileo ebbe addirittura una lunga udienza col Papa Paolo V e fu ricevuto con entusiasmo dal Collegio Romano dei Gesuiti, che organizzarono addirittura una Giornata apposita per celebrare molte sue scoperte (già confermate da molti astronomi gesuiti), dove furono invitati pure cardinali, studiosi e intellettuali secolari di spicco (Galileo ne fu entusiasta). I Gesuiti aspettavano con ansia che Galileo trovasse le prove del sistema copernicano, che invece non vennero (se non dopo oltre due secoli)! Tra i Gesuiti che avevano già confermato le sue scoperte astronomiche (ricordiamo che tra i Gesuiti del Collegio Romano ci furono ben 35 astronomi, i cui nomi sono stati dati ad altrettanti crateri lunari da loro studiati!), troviamo ad esempio padre Grienberger (eminente astronomo, inventò un particolare telescopio e confermò le scoperte galileiane delle lune di Giove), padre Clavio (matematico, aveva presieduto la commissione per il Calendario gregoriano, entrato poi in vigore dal 1582). Nel 1612, quando Galileo pubblicò gli studi sulle macchie solari, Galileo ricevette le congratulazioni del card. Maffeo Barberini (futuro Urbano VIII).
La Compagnia di Gesù (Gesuiti) è l’ordine religioso che ha dato il maggior numero di sacerdoti cattolici scienziati. A motivo dei loro studi e competenze, la sismologia fu detta la “scienza dei Gesuiti”*; così la meteorologia. Nel ‘700 fecero molte importanti scoperte nel campo della Fisica (“la Compagnia di Gesù fu la singola entità che più contribuì allo sviluppo della fisica sperimentale nel XVII secolo”, afferma J. I. Heilbron, University of California): pantografi, barometri, telescopi e microscopi a riflessione, sviluppo degli orologi a pendolo, studiosi del magnetismo, ottica, elettricità. Incrementarono gli studi sulla circolazione sanguigna, sulla possibilità teorica del volo, studiarono le maree, misurarono persino i flussi del Po e dell’Adige. Introdussero la logica simbolica, persino nuovi segni nella matematica. Scoprirono gli anelli di Saturno, la nebulosa di Andromeda. Registravano inoltre tutti i dati scientifici scoperti in poderose Enciclopedie (“ebbero il maggior merito nella promozione della collaborazione scientifica”, così lo storico W. Ashworth). Introdussero la scienza occidentale in India e Cina (con traduzioni in lingua cinese). Poi anche in Africa e quindi in America. Nella lista dei maggiori matematici dal XVI al XIX secolo 16 sono Gesuiti.
* Nel campo della sismologia nel 1908 i Gesuiti, oltre ad aver scritto persino il primo testo sismologico americano, ebbero negli USA anche il merito – possedendo un vasto sistema di collegi e università – di collegare tutte le loro scuole dotate di stazioni sismografiche, così da formare il “Servizio Sismologico USA” dei Gesuiti.
Furono Gesuiti ad esempio (solo per rimanere nel XVII-XVIII sec.) …
p. Giambattista Riccioli; (1598-1671) fu il primo a misurare l’accelerazione di un corpo in caduta libera, cioè la costante di gravità. Produsse l’Enciclopedia astronomica Almagestum novum, imponente e talmente importante che nessun astronomo del tempo poteva ignorarla. Un cratere lunare porta il suo nome. Con Riccioli collaborò anche …
p. Francesco Maria Grimaldi, lo scopritore della “diffrazione della luce”;
p. Athanasius Kircher (1602-1680), il padre dell’egittologia;
p. Ruggero Boscovich: (1711-1787) matematico (fu professore di matematica al Collegio Romano), astronomo (studiò le macchie solari, i passaggi di Mercurio), fisico (studiò anche le aurore boreali), archeologo (guidò gli scavi di Frascati); ma è soprattutto chiamato il “padre della teoria atomica moderna”. Sarà ammirato anche da Faraday, Mendeleev e Maxwel. Secondo Sir Harold Hartley, membro della prestigiosa Royal Society, fu “una delle più grande figure intellettuali di tutti i tempi” e “il più grande genio che la ex-Jugoslavia abbia avuto”. Per la vastità dei suoi interessi fu paragonato a Leonardo da Vinci!
L’astronomo (matematico, medico, biologo) Giovanni Cassini (1625-1712, allievo dei gesuiti Riccioli e Grimaldi) si avvalse delle competenze astronomiche della Compagnia di Gesù e usò l’osservatorio sito nella basilica di S. Petronio a Bologna (solo tra il 1655 e il 1736 furono compiute in S. Petronio 4.500 osservazioni astronomiche)
Anche le basiliche di Firenze e Roma, come pure Notre Dame a Parigi, funsero nel ‘700 e ‘800 anche come osservatori astronomici, con le loro meridiane e i giochi dei raggi solari al loro interno (come sopra ricordato).
Continuando in una rapida e sommaria panoramica degli scienziati cristiani della modernità possiamo ad esempio menzionare …
(cfr. domanda 3 del documento su Galileo)
Circa Giovanni Keplero (1571-1630), vedi quanto detto in precedenza.
Blaise Pascal (1623-1662). Dovrebbe essere nota la sua profondissima esperienza di fede cristiana cattolica, che sfiora perfino la mistica, emergente anche in quella celebre apologia del cristianesimo che è espressa nei suoi Pensieri (Pensée). Oltre che filosofo, fu eminente matematico (studi di geometria, sull’analisi combinatoria e sul calcolo delle probabilità; a lui si deve pure l’invenzione della “macchina aritmetica”) e scienziato (meccanica e fisica; sviluppò ad esempio gli studi di Torricelli sul vuoto).
Nicolò Stenone (1638-1686). Biologo, anatomista e medico danese, è però considerato pure il “padre della geologia, stratigrafia e paleontologia”. A 29 anni si convertì dal luteranesimo al cattolicesimo, poi divenne sacerdote, teologo e addirittura vescovo; è stato proclamato “Beato” da Giovanni Paolo II. È considerato uno dei maggiori scienziati naturalisti del sec. XVII; i suoi studi di Medicina sono stati così importanti e avvalorati da una rigorosa ricerca anatomo-fisiologica, che in anatomia prende da lui il nome il cosiddetto “condotto stenoniano” e a lui si devono importanti scoperte (stabilendo ad esempio definitivamente che il cuore è un muscolo). È appunto considerato anche il padre della geologia moderna, della cristallografia, della stratigrafia (a lui si deve la prima storia dei sedimenti fossili), i cui principi sono definiti infatti “principi di Stenone”, e della stessa “paleontologia” (a lui si deve la scoperta dell’origine organica dei fossili).
Insieme a Francesco Redi (1626-1697) – medico cattolico, già allievo dei Gesuiti, uno dei più grandi biologi di tutti i tempi – spiegò la sostanziale differenza tra materia inorganica e materia organica, ponendo le basi di quella negazione della “generazione spontanea” dimostrata poi da Pasteur (vedi sotto).
Isaac Newton (1642-1727). Lo scopritore della forza di gravità affermava non solo che tale forza fosse una straordinaria legge che Dio ha posto nell’universo, ma con stupore asseriva che, a motivo di questa interconnessione di forze gravitazionali, “è solo per un intervento divino se i pianeti non escono dalle loro orbite” e che “è la mano di Dio ad impedire che si sfasci l’elegantissima compagine del sistema solare”.
Il fisico svizzero Leonhard Euler (Eulero, 1707-1783), uno dei padri della matematica contemporanea, era un fervente cristiano, sia pur protestante.
Luigi Galvani (1737-1798), uno dei primi e più importanti studiosi dell’elettricità (oltre che fisico era anche fisiologo e anatomista), era un devoto “Terziario francescano”.
Il celebre biologo Lazzaro Spallanzani (1729-1799) era un monaco abate (marianista); fu ucciso dai seguaci della rivoluzione francese, in quanto i rivoluzionari dicevano che “non avevano bisogno di scienziati” (come si vede i “martiri” della scienza non li faceva la Chiesa ma proprio coloro che la accusavano di opporsi al progresso dell’umanità) (vedi).
Renato Justo Hauy (1743-1822), uno dei padri della cristallografia (a lui si deve infatti la scoperta della struttura dei cristalli), era un monaco abate.
Giuseppe Piazzi (1746-1826), matematico e astronomo (a lui si deve la scoperta degli “asteroidi” che sono tra Marte e Giove) era un sacerdote cattolico.
Alessandro Volta (1745-1827), il celebre inventore della pila, era uomo da S. Messa e Rosario quotidiani.
Jean Baptiste de Lamarck (1744-1829), che fu il primo scienziato a formulare l’ipotesi dell’evoluzione e a pensare che potesse essere la funzione a creare l’organo, fu talmente un uomo di fede da dedicarsi inizialmente allo studio della teologia.
André-Marie Ampère (1775-1836), il matematico, fisico e persino filosofo francese che scoprì le leggi della elettrodinamica, fu un convinto cattolico praticante (per lui la religione assume lo stesso grado di certezza della scienza, così da scrivere il libro Prove della divinità del cristianesimo).
Galileo Ferraris (1847-1837), ingegnere di Torino, scopritore del campo magnetico rotante e ideatore del motore elettrico in corrente alternata, era un noto militante cattolico torinese.
Bernard Bolzano (1781-1848), grande matematico e filosofo dell’università di Praga (e che influì molto sul pensiero di Husserl), era un sacerdote cattolico.
Augustin Louis Cauchy (1789-1857), francese, ingegnere e matematico di grande rilievo (fu uno dei padri dell’analisi matematica) era un uomo di profonda fede cristiana.
Léon Foucault (1819-1868), il fisico francese al quale si deve la prima vera prova della rotazione terrestre (mediante il famoso esperimento del “pendolo” nel Pantheon di Parigi), fu un fervoroso convertito al cattolicesimo.
Michael Faraday (1791-1877), il grande genio degli studi sull’elettricità, predicava addirittura il Vangelo per strada.
Angelo Secchi (1818-1878), considerato uno dei fondatori della moderna astrofisica (fu infatti il primo a classificare gli astri in base ai loro spettri), era una padre gesuita.
James Clerk Maxwell (1831-1879), il fisico inglese scopritore dell’elettromagnetismo, fu uomo di palese fede cristiana.
Francesco Faà di Bruno (1825-1888), torinese, fu un grande matematico (a lui si deve il calcolo delle derivate di ordine superiore di una funzione composta) e ingegnere delle costruzioni (particolarmente ingegnoso il suo progetto di un campanile a Torino). Fu un uomo di fede intrepida e di straordinarie opere di carità (fondò addirittura un’opera per la salvezza delle prostitute). Pur essendo uno scienziato stimato in tutta Europa, a motivo della sua fervente e pubblica fede cattolica, fu invece umiliato ed emarginato dalle autorità politiche e massoniche piemontesi. È stato proclamato Beato da Giovanni Paolo II.
A Vittorio Messori il merito di aver prodotto un’interessante sua biografia: Un italiano serio. Il beato Francesco Faà di Bruno (Ed. Paoline, 1990).
È invece forse già noto che uno dei padri della biologia, J. Gregor Mendel (1822-1884), fosse un monaco agostiniano, priore del convento di Brünn (dove fu professore di fisica e scienze naturali, dopo aver compiuto gli studi all’università di Vienna): a lui, com’è noto, si deve una delle più grandi scoperte della biologia, le leggi dell’ereditarietà, avvenuta nel monastero stesso mediante 8 anni di esperimenti di ibridazione di alcuni vegetali (piselli, fagioli, ecc.) e descritta nel 1865 nell’operetta Esperimenti di ibridazione nelle piante
[Fu ignorato per 35 anni (qualche studioso lo imputa al fatto che avrebbe smentito Darwin), ma quando, morto Mendel, i biologi De Vries, Tschermak e Correns poterono compiere le sue stesse scoperte, si riconobbe la validità di quanto l’ignorato abate aveva già scoperto].
Louis Pasteur (1822-1895), uno dei padri della microbiologia (che smentì tra l’altro definitivamente l’idea di generazione spontanea) era un fervente cattolico, che ogni giorno con devozione recitava il S. Rosario e partecipava alla S. Messa. Sua è anche la significativa affermazione: “Un po’ di scienza potrebbe allontanare da Dio, ma molta scienza riconduce invece a Lui”!
Guglielmo Marconi (1874-1937), il celebre italiano scopritore delle onde radio e della radio senza fili, fu un uomo di pubblica fede cattolica. A lui si deve anche la costruzione della Radio Vaticana.
Max Karl Ernst Ludwig Planck (1858-1947), il grande fisico tedesco e premio Nobel per la fisica 1918 (per l’inaspettata quanto fondamentale scoperta dei quanti), affermava – contro il positivismo – che credere in Dio “agevola invece il lavoro dello scienziato, perché scienza e religione hanno bisogno l’una dell’altra, come mostrano del resto Galileo, Keplero e Newton”.
Arthur Stanley Eddington (1882-1944), astronomo e fisico inglese, affermava ad esempio, contro empiristi e neopositivisti, che “la scienza ha bisogno della religione, perché la scienza da sola non riesce a giudicare dei valori”.
Alfred North Whitehead (1861-1947), filosofo e logico-matematico inglese, aveva la profonda convinzione che scienza e religione non possano contraddirsi.
Il noto paleontologo francese Teilhard de Chardin (1881-1955), sia pur con qualche scorrettezza teologica, vedeva addirittura nell’evoluzione cosmica la tendenza verso Cristo, punto originante, centrale e finale del cosmo e della storia.
Georges Lemaitre (1894-1966) (di cui abbiamo sopra parlato) era un sacerdote gesuita del Belgio. Considerato, nonostante le molteplici censure laiciste, uno dei padri della cosmologia contemporanea, fu infatti il primo (qualcuno dice insieme al russo George Gamow, censurato invece dal comunismo) ad avere l’intuizione del Big Bang, quindi dell’inizio del cosmo (a motivo della scoperta della fuga delle galassie, emergente dallo spostamento verso il rosso nello spettro, e quindi dell’espansione dell’universo a partire da un punto iniziale, da Lemaitre chiamato “atomo primordiale”, poi, quasi per derisione da parte dei suoi detrattori, chiamato “grande scoppio”, appunto Big Bang), che costituisce un punto estremo della scienza (come sopra abbiamo osservato), in quanto va a toccare la questione metafisica e teologica della Creazione (come vedeva lo stesso Einstein, suo collega ed amico).
Giuseppe Mercalli (1850-1914), il famoso geologo e sismologo, da cui prende nome anche la nota classifica di intensità dei terremoti, era un sacerdote cattolico.
Non possiamo invece parlare di un’esplicita fede in Dio, nonostante le origini ebraiche, per il grande fisico Albert Einstein (1879-1955), Premio Nobel per la Fisica 1921 (non per il principio della relatività ma per la scoperta delle proprietà quantistiche della luce); possedeva però un marcato senso religioso, che definiva una sorta di “religione cosmica”, nel senso del riconoscimento umile e stupito della razionalità “divina” presente della natura. Ecco ad esempio alcune sue affermazioni:
“Dio non gioca a dadi!”. “Chi si impegna seriamente nella ricerca scientifica finisce sempre per convincersi che nelle leggi dell’Universo si manifesta uno Spirito infinitamente superiore allo spirito umano”. “La domanda più importante non è quella, pur decisiva, <perché esiste qualcosa invece del nulla?>, ma <perché ciò che esiste è comprensibile?> e <perché la nostra mente è fatta in modo da poter penetrare le leggi che reggono il cosmo?>”. “La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Essa è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza. Sapere che ciò che è per noi impenetrabile esiste realmente, manifestandosi come la più alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono comprendere solo nelle forme più primitive, questa conoscenza, questo sentimento, è il centro della vera religiosità”!
Se poi volessimo fare una rapida e sommaria panoramica degli scienziati cristiani attuali potremmo ad esempio menzionare …
Giuseppe Sermonti, (1925-2018) uno dei più grandi genetisti (e studiosi di microrganismi) contemporanei, era profondamente cattolico; fu spesso censurato in quanto scientificamente contrario all’evoluzionismo di Darwin (vedi documento e dossier).
Vittorio Marcozzi (vivente), uno dei più noti biologi e antropologi italiani degli ultimi 50 anni, è un gesuita. Fu tra i biologi decisamente contrari all’evoluzionismo darwiniano (v. dossier, 1.7, 2.2, 2.11, 2.14, 4.2, 4.3, 4.4).
Quando l’ateo (comunista francese) Jacques Monod (premio Nobel per la Medicina 1965) scrisse Caso e necessità (che negli anni ’80 la cultura di sinistra lo propagandava come “Bibbia degli atei”) Marcozzi lo smentì col suo documentatissimo Caso e finalità.
Antonino Zichichi (vivente), uno dei più grandi fisici contemporanei, di nota e pubblica fede cristiana (ne abbiamo parlato sopra).
René Girard (1923-2015) uno dei più grandi biologi e antropologi degli ultimi tempi, intrepido assertore dell’alterità dell’uomo sulla semplice natura, fu uno studioso anche di Teologia.
Jérôme Lejeune (1926-1994), uno tra i più importanti genetisti contemporanei, fu uomo di grandissima fede cattolica (è addirittura in corso la sua causa di Beatificazione)! A lui si deve la scoperta del “trisomia 21” responsabile della “sindrome di Down”; per questo stava per ricevere il Nobel per la Medicina, negato all’ultimo momento per la sua netta opposizione all’aborto! Fu membro della Pontificia Accademia delle Scienze e Giovanni Paolo II lo nominò anche primo Presidente della Pontificia Accademia della Vita.
Enrico Medi (1911-1974), uno dei famosi astronomi italiani del ‘900 (rimase nella memoria degli Italiani per aver commentato in diretta TV l’allunaggio del 20.07.1969), fu un uomo di grande fede cattolica, a tal punto che possediamo persino suoi stupendi libri di meditazione ed è in corso la sua Causa di beatificazione.
Jean Guitton (1901-1989), francese, considerato uno degli uomini più colti del XX secolo (membro della prestigiosa Académie française) e tra i grandi filosofi cristiani del ‘900 [fu chiamato al Concilio da Giovanni XXIII e fu amico e corrispondente di Paolo VI(si vedevano per fecondi lunghi colloqui almeno una volta all’anno, a Castel Gandolfo)].
A proposito del rapporto tra scienza e fede, scrisse tra l’altro nel 1992 un libro (che ebbe grande successo in Francia e fu invece ignorato in Italia), in cui afferma che “le più importanti novità scientifiche sono fatali per il materialismo e postulano Dio”.
Trinh Xuan Thuan (vivente) è un astrofisico americano d’origine vietnamita, che riconosce di essere giunto alla certezza dell’esistenza di Dio proprio a causa dei suoi studi scientifici.
Francis Collins (vivente), uno dei maggiori genetisti al mondo, Direttore dell’Istituto Nazionale di Ricerca sul “genoma umano” e che proprio sotto la sua direzione nell’aprile 2003 s’è completato lo studio della sequenza del DNA umano, chiama significativamente tale genoma “il linguaggio di Dio”; già da giovane, proprio a causa dei suoi studi biologici, si convertì, convincendosi come che “la fede in Dio è più razionale della miscredenza”.
In proposito, una forte eco ha suscitato, anche nell’ambito scientifico, specie negli USA – ne ha parlato tutto il mondo, mentre quasi nulla s’è detto in Italia – il fatto che il filosofo e divulgatore scientifico inglese Anthony Flew (1923-2010) abbia dichiarato (nientemeno che in uno dei più grandi congressi scientifici mondiali tenuto a New York nel 2004) che proprio a causa dei suoi studi sulla struttura del DNA era passato da una perfino ostentata posizione ateistica (insieme a Richard Dawkins ed espressa ad esempio nei libri God and Philosophy e Theology and Falsification) ad una chiara affermazione dell’esistenza di Dio (scrivendo nel 2007 There is a God, dove si contrappone a Dawkins, invece spesso citato in Italia). Riconosce infatti che “la natura è troppo complessa, che la sola struttura del Dna è talmente complessa da risultare impensabile al di fuori di quel «Disegno Intelligente» che presuppone appunto l’esistenza di Dio. Dio deve esistere”; si è convinto che “l’ipotesi di un «Disegno Intelligente» sia l’unica in grado di spiegare le più recenti acquisizioni della scienza”.
Il prof. Carlo Rubbia (1934-vivente), celebre fisico italiano dell’Università di Pisa, premio Nobel per la Fisica nel 1984, è scienziato profondamente cattolico, appartenente pure alla Pontificia Accademia delle Scienze*. Afferma ad esempio: “Che la scienza oggi ci dica che l’universo ha 13,4 miliardi di anni … non fa che confermare l’idea della creazione dell’universo, un’idea quantomai precisa ed obiettiva”!
Il prof. Nicola Cabibbo (1935-2010) è un altro fisico italiano (romano), noto in tutto il mondo e che entrerà nella storia della fisica per i suoi studi e scoperte sulle “particelle” (fu docente di ciò all’Università La Sapienza di Roma). Fu addirittura Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze* ed è intervenuto spesso ed autorevolmente sulle questioni di rapporto tra scienza e fede e tra scienza ed etica.
* A proposito della Pontificia Accademia delle Scienze, riportiamo qualcosa di quanto già indicato nel dossier su Galileo Galilei (punto 3.5), essendo peraltro la gloriosa e principale erede della storica Accademia dei Lincei, nata a Roma nel 1603 sotto gli auspici di papa Clemente VIII. Fu in questo senso la prima Accademia scientifica internazionale della storia mondiale!
Trasformata da Pio IX nel 1847 in Pontificia Accademia dei nuovi Lincei (con sede in Campidoglio) e da Pio XI nel 1936 in Pontificia Accademia delle Scienze, è tuttora un augusto “senato scientifico internazionale”, dove si trovano periodicamente (oltre alle autorevoli pubblicazioni: Commentarii e Scripta varia) i maggiori scienziati viventi del mondo (non è richiesta una esplicita fede cattolica, ma certamente non un’ostilità nei confronti della fede).
Il nostro elenco di scienziati credenti potrebbe proseguire a lungo, smentendo sempre più il dogma scientista e anticristiano dell’opposizione tra scienza e fede, di fatto inesistente, non solo perché la maggior parte degli scienziati sono credenti ma addirittura perché molti lo diventano proprio a motivo delle proprie scoperte scientifiche.
Facciamo ancora solo qualche altro nome di grandi scienziati credenti contemporanei:
Lodovico Galleni (biologo), Giorgio Parisi (fisico), Paolo De Bernardis (astrofisico), Fabiola Giannotti (fisico nucleare del CERN, Centro Europeo per la Ricerca Nucleare, di Ginevra), Luciano Maiani (fu direttore generale del CERN di Ginevra ed anche a lui si deve la costruzione del LHC), Katarina Pajchel (giovane suora domenicana norvegese, già fisico affermato della Università di Oslo è ora ricercatrice al LHC di Ginevra), Massimo Inguscio (fisico, esperto di ottica quantistica e laser), Roberto Timossi (teologo e filosofo della scienza), Francisco José Ayala (biologo e filosofo americano di origine spagnola), John Polkinghorne (fisico teorico delle particelle, è un pastore e teologo anglicano), John C. Eccles (premio Nobel per la Medicina 1963), Paul Davies (cosmologo), Stephen W. Hawking, Owen Gingerich (astronomo dell’Università di Harvard, persona di grande fede), John Polkinghorne (teologo e scienziato), José Gabriele Funes (astronomo e teologo), John D. Barrow (docente a Cambridge, tra i maggiori astrofisici, matematici e cosmologi viventi; per lui il “caso” è una spiegazione assurda), Jen Dorst (professore di zoologia dei mammiferi e degli uccelli, già direttore del Museo Nazionale francese di Storia Naturale, afferma che “le acquisizioni della scienza contemporanea non smentiscono nessuna verità della fede cristiana … anzi, ho incontrato Dio al vertice della scienza”), Jacques Arsac (professore di programmazione informatica, fondatore e direttore del centro di calcolo dell’Osservatorio di Maudon, F), André Lichnerowicz (docente di fisica matematica presso il Collége de France e membro della Pontificia Accademia delle Scienze), Abdré Valenta (“la scienza si apre al mistero e al Creatore; scientismo e materialismo hanno fatto il loro tempo”), Claude Tresmontant (1925-1997: docente di filosofia della scienza alla Sorbona), Julian Huxley, René Oth, Marco Bersanelli (astrofisico; afferma: “la struttura del mondo fisico appare come predisposta a generare condizioni favorevoli per la nostra comparsa“), Gerald L. Schroeder (fisico e teologo israeliano).
Potremmo anche sottolineare la presenza di uomini di profonda fede cristiana anche in rami specifici della scienza, come ad esempio nel campo dell’elettricità (Volta, Ampère, Faraday, Galvani, Ferraris, Foucault), o in quello della matematica* (oltre a Cartesio, Leibniz, Newton, Eulero e Faà di Bruno, abbiamo ad esempio, in tempi recenti, Jacques Binet, Charles Hermite, John Barrow, Bernard Bolzano, Ennio De Giorgi, Giorgio Israel, Lucia Alessandrini, Antonio Ambrosetti).
* Contrariamente a quanto continua ad asserire con grande insolenza (e con gratuite ed offensive dichiarazioni a riguardo dei cristiani, che sarebbero dei “cretini”!) il professore di matematica Piergiorgio Odifreddi, sempre presente sui mass-media italiani, secondo una recente indagine condotta negli USA la categoria di scienziati con la più bassa percentuale di atei è proprio quella dei matematici. Proprio Antonio Ambrosetti, allievo di altri grandi matematici come Giovanni Prodi ed Ennio De Giorgi (entrambi con forte senso religioso), ed eminente studioso di Analisi Matematica, di cui è Ordinario alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (dopo aver ricoperto la cattedra alla Normale di Pisa), ha scritto addirittura un libro intitolato Matematica e Dio (2008), affermando che “la matematica sfiora il mistero”; ha affermato tra l’altro “mi irrita sentir dire che c’è opposizione tra fede e matematica, come fa Odifreddi, perché è falso; e la riprova è il gran numero di matematici credenti, nel passato e nel presente”.
Quante leggende e quanti miti sono stati inventati dai miscredenti…
Non sarebbe l’ora di alzare la voce e di smentirli?
6) Arte, Diritto, Economia, carità e santità
Sesta parte
A conclusione di questa panoramica sul Medioevo, compiamo ancora qualche sottolineatura, per poter ulteriormente osservare come quei 10 secoli cristiani non siano stati affatto “bui”, di “oscurantismo”, come li ha dipinti in modo ideologico l’Illuminismo e come molti purtroppo ancora credono, ma appunto straordinariamente “luminosi”; e non solo per le “anime”, ma persino per l’intera civiltà occidentale e di conseguenza per il mondo intero.
Arte, diritto, economia, carità e santità
Abbiamo già osservato, sia pur nei limiti di un documento come questo, quale sorgente di civiltà abbia rappresentato la Chiesa Cattolica nel Medioevo, a partire dall’Italia (che vi ha il suo centro) e dall’Europa, per estendersi all’intero Occidente e in fondo al mondo intero.
Tutto questo ha avuto la sua matrice, fin dai primi secoli, nell’immensa opera di evangelizzazione compiuta dalla Chiesa Cattolica, su comando dello stesso Signore Gesù (cfr. Mt 28,18-20), nei confronti dei popoli più diversi e il cui scopo prioritario è la salvezza eterna delle anime (la Chiesa non è un’organizzazione a scopi umanitari, pur essendo, come qui rimarcheremo, la più grande opera caritativa della storia e del mondo).
Tale opera di evangelizzazione, cioè di incontro con Cristo non solo delle singole anime ma dei più svariati popoli, ha avuto pure un’enorme valenza culturale, nel senso che il cambiamento dei cuori e delle menti, dei singoli e dei popoli, operato dalla grazia, ha creato appunto un’intera bimillenaria civiltà, che ha avuto come riverbero pure un enorme progresso nei diversi ambiti della vita umana e sociale, come abbiamo un poco visto nelle diverse sezioni di questo documento (monasteri, cattedrali e università, teologia e filosofia, fino allo sviluppo della tecnica e l’inizio della scienza).
Ora, al termine di questo panorama, soffermiamo ancora la nostra attenzione su altri importanti aspetti della vita e della stessa civiltà medievale, che ulteriormente confermano quanto quei dieci secoli intrisi di cristianesimo, tanto denigrati dalla modernità, siano stati in realtà “luminosi” (anche se ovviamente segnati anch’essi dal peccato).
Abbiamo già sottolineato, ad esempio, quanta fecondità non solo spirituale ma culturale e persino tecnica emergeva in quei secoli già dall’enorme diffusione dei monasteri; così che, secondo la sapiente Regola e il noto motto benedettino ora et labora, alla vita contemplativa e di orazione, seguiva un particolare ingegno e dedizione dei monaci nel mondo della cultura, dell’arte e persino delle arti pratiche (agricoltura, allevamenti, edilizia, idraulica, meccanica) e addirittura nei primi importanti passi della scienza (astronomia, geologia, biologia, medicina e farmacia).
A conclusione di questa veloce ma documentata panoramica, diamo ancora uno sguardo, sia pur veloce, all’arte, al diritto e all’economia medievali, per concludere (per ultimo ma non certo ultime, anzi) con alcune brevi sottolineature sulle opere della carità cristiana e soprattutto su alcuni degli straordinari Santi di quel luminoso millennio.
Arte
Abbiamo già citato il celebre scrittore francese contemporaneo André Frossard, membro dell’Académie française, convertitosi dal marxismo ateo e militante (era figlio del primo segretario del Partito comunista francese) alla convinta ed entusiasta fede cattolica, al quale è bastata in fondo una battuta, peraltro di assoluta evidenza, per smascherare la menzogna illuminista sull’oscurantismo medievale: “Ci dicono che furono secoli bui; non lo so; ma quello che ci hanno lasciato è di una luminosissima e stupefacente bellezza”!
Tre secoli di martellamento ideologico anticristiano di stampo illuminista, che con la “rivoluzione francese” (leggi) s’è spinto addirittura a compiere non solo dei veri e propri genocidi (come in Vandea) ma persino distruzioni “fisiche” di straordinarie opere d’arte (addirittura celebri abbazie romaniche o stupende cattedrali gotiche! vedi un esempio proprio in Vandea), non sono però riusciti a distruggere quell’immenso e stupefacente spettacolo di arte cristiana che ancor oggi attira estasiato non solo l’uomo di cultura ma anche il turista più affrettato e superficiale. Appunto, le pietre stesse (oltre a quelle “cattedrali del pensiero” che sono state le Università e le Biblioteche dei monasteri) sono ancora lì, testimoni muti ma di estrema eloquenza, a testimoniarci quanta bellezza artistica sia scaturita nel Medioevo, oltre ovviamente anche nei primi secoli successivi (assai meno oggi!), dalla fede cristiana cattolica!
Solo per rimanere alle chiese e abbazie, si va dalla stupefacente bellezza dell’architettura romanica e gotica, allo splendore non solo della pittura e della scultura ma pure delle immense vetrate policrome. Opere fruibili gratuitamente da chiunque (Biblia pauperum), pulsanti di vita cristiana e non solo pezzi da freddo “museo”, come sarà invece fatto nella modernità. E come non pensare al caldo ambiente umano dei borghi medievali, che, quando ci sono pervenuti, tanto attirano e incantano anche l’uomo di oggi (a confronto poi con l’anonimato grigio e talora disumano delle grandi periferie attuali)!
[Si fa peraltro osservare, anche da parte degli studiosi più disincantati, che 70 anni di comunismo nel secolo XX dell’Europa orientale non sia invece riuscito a produrre una sola opera d’arte degna di questo nome!]
Ancora una Nota sulle cattedrali
Ecco qui, a mo’ di esempio, alcune citazioni di importanti studiosi americani e riportati da Woods nel testo già più volte citato:
[Th. Woods, How the Catholic Church built western civilization, Washington D.C., 2001 (trad. it., Cantagalli SI, 2007: Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale)]
“Nessuno può negare l’influenza della Chiesa nel patrimonio artistico dell’Occidente”.
“La cattedrali medievali europee sono le più alte conquiste conseguite dall’umanità nella storia dell’arte”.
Se abbiamo potuto definire le Università nate nel Medioevo dalla Chiesa come delle “cattedrali del pensiero” e le cattedrali stesse come “teologie in pietra” (v. Chartres!), potremmo ancora osservare che “la fonte della cattedrale gotica è dovuta proprio alla forma mentis della Scolastica, cioè l’idea della sistematicità del sapere (cfr. la Summa); inoltre proprio il “trionfo della matematica e della geometria che in essa si esprime non era che il riflesso della sapienza divina, cioè appunto una teologia applicata alla pietra”.
Se ci chiedessimo perché gli autori di tali opere di straordinaria bellezza e perenne superlativo valore siano quasi sempre rimasti anonimi, potremmo rispondere ad esempio che la costruzione di molte cattedrali ha richiesto in genere secoli di lavori [un’eccezione è appunto la stupefacente cattedrale di Chartres, ricostruita in soli 80 anni dopo l’incendio della precedente (da cui peraltro s’era miracolosamente salvata solo la reliquia del “velo della Madonna”, il che fu visto appunto come uno straordinario segno divino!), che proprio per questo rappresenta forse il gotico più puro]. C’è però una risposta più alta, che è la medesima che avremmo ricevuto se avessimo chiesto ad esempio perché certe statue di grande valore e che avevano richiesto mesi di lavoro, venissero poi collocate magari sul tetto della chiesa, dove nessuno poteva vederle: la risposta era “sono per la gloria e la lode di Dio”, non per il plauso degli uomini!
Inoltre tale arte era sorta per esprimere ma anche sostenere la fede e la preghiera del popolo di Dio (non appunto roba da asettico museo!); e il popolo di Dio sentiva una chiesa – la chiesa di pietra si chiama così perché vi si riunisce per pregare la Chiesa, cioè l’assemblea convocata da Dio – e la stessa cattedrale (cioè la “cattedra” del vescovo) come casa propria. Là si era rinati alla vita eterna col Battesimo (e poiché il non-battezzato ancora non aveva la vita di Dio e quindi non poteva partecipare all’Eucaristia, i gloriosi, storici e artistici Battisteri erano davanti alla porta della cattedrale); là si partecipa ogni domenica al Sacrificio di Cristo (S. Messa) e, se in grazia di Dio, Lo si riceve nell’Eucaristia; là nasce anche la famiglia cristiana col sacramento del Matrimonio; là ci si riconcilia con Dio dopo il peccato attraverso la S. Confessione; là un giorno la nostra salma riceverà l’ultima Benedizione prima della sepoltura (sepoltura che per i Vescovi e per i Santi è nella chiesa stessa; per i normali “fedeli” per secoli la sepoltura era attorno alla chiesa, così da esprimere meglio la “comunione dei santi” tra vivi e defunti in Cristo).
Chi aveva costruito quella cattedrale? Anche il grande artista rimaneva in genere anonimo; il materiale veniva talora donato con gratitudine a Dio dai signori che potevano permetterselo; la manovalanza era spesso offerta gratuitamente dagli uomini del popolo; ed anche l’0bolo della vedova (cfr. Mt 12,42-44) vi contribuiva.
Ecco un esempio, offerto dal celebre e gotico duomo di Milano: il marmo bianco di Candoglia fu regalato dai Visconti alla Fabbrica del Duomo, e il suo trasporto era esente da pedaggi. Significativo che la sigla (AUF: Ad usum Fabricae), indicata sul materiale per la costruzione del duomo e che veniva in genere trasportato sui Navigli, nel linguaggio italiano popolare indichi tuttora un uso gratuito (“a ufo”!). Molta manodopera veniva fornita gratuitamente anche da semplici uomini del popolo, sottraendola persino al proprio lavoro quotidiano, orgogliosi di poter così contribuire all’edificazione di un’opera per Dio tanto bella. Un’altra espressione popolare, specie lombarda, si riferisce tuttora a quell’impresa gigantesca e che richiede peraltro restauri periodici: per indicare un’opera mai davvero terminata, si dice infatti “lungh ‘me la Fabrica del Dom”! (cfr. V. Messori, Pensare la storia, Ed. Paoline, 1992, p. 485)
Qualcuno s’è chiesto: quanto è costata una cattedrale gotica? Quanto costerebbe oggi? C’è chi ha calcolato ad esempio che la cattedrale parigina di Notre Dame (purtroppo ora danneggiata dal furioso incendio del 15.04.2019) sarebbe costata semplicemente come 50 milioni di euro attuali. Cioè meno di uno stadio odierno o addirittura come un quadro di Van Gogh (così è stato recentemente valutato ad un’asta – mentre in vita riuscì a venderne solo uno dei mille dipinti – quota che peraltro, per un solo quadro, può permettersi solo una banca, quindi per tenerlo nascosto come investimento in qualche suo caveau, non goduto da nessuno).
Del resto anche il “Museo”, che è un’invenzione della modernità, costituisce un’involuzione nella storia dell’arte, perché un’opera d’arte non è mai nata per essere catalogata in un ambiente asettico come una sala da museo, sia pur fruibile (in genere a pagamento) dal pubblico. (ibidem, p. 489)
Un’osservazione sull’iconoclastia (eresia)
Attorno ai secoli VIII-IX, l’Oriente cristiano (mondo bizantino) ha invece conosciuto un’improvvisa repulsione per le immagini sacre (eresia iconoclasta o “iconoclastia”), sorta dalla paura di cadere nell’idolatria (infatti nell’Antico Testamento, come recita lo stesso I Comandamento, c’è la proibizione assoluta di farsi immagini di Dio, in quanto Dio è puro Spirito e trascendente – da cui il peccato e la condanna anche del “vitello d’oro” già nell’esperienza del Sinai durante l’Esodo), ma anche a causa di un influsso esercitato dal “manicheismo”, che considera la materia come sede del male.
In realtà proprio il mistero dell’Incarnazione, cioè il fatto stesso, centrale ovviamente per la fede cristiana, che Dio si sia fatto uomo (che il Verbum-Logos si sia fatto caro-sarx, cfr. Gv 1,14), che abbia assunto veramente una natura umana e che fu quindi visibile, udibile, toccabile (cfr. 1Gv 1,1-3), fa sì che sia lecita anche una rappresentazione del divino (se non altro di Cristo stesso, del Crocifisso, di Maria SS.ma, dei Santi), cioè appunto delle sacre “icone”. Ovviamente le immagini non vanno adorate (solo l’Eucaristia, presenza viva di Gesù, va adorata) ma solo venerate; così che siano di aiuto per contemplare il mistero e pregare.
L’iconoclastia verrà infatti subito condannata come “eretica” già al VII Concilio di Nicea (787); gli stessi Bizantini (allora la Chiesa era ancora “Una” e ovviamente “Cattolica”, visto che lo scisma d’Oriente, cioè degli Ortodossi, avverrà nel 1054) non solo l’abbandoneranno già nell’843, ma furono e saranno proprio loro ad avere una particolare devozione, com’è noto, per le icone (la cui ostensione è addirittura davanti all’altare: iconostasi).
L’iconoclastia verrà ripresa nei secoli XII-XIII dalla terribile eresia dei Catari (Albigesi), nella loro radicale opposizione (manichea; “catari” significa “puri”) per tutto ciò che è materia (condannava persino il corpo, vietava il matrimonio, osteggiava ogni istituzione umana) (vedi dossier sull’Inquisizione, punto 4.2; e domanda 10 del relativo documento; vedi pure sintesi News).
Anche i Protestanti attivarono una vera e propria furia iconoclasta (statue, altari, vetrate).
Se ne sente oggi un certo influsso, talora sconcertante, anche in non poche chiese cattoliche moderne (in genere assai spoglie e squallide, nella freddezza di un cemento armato ostentato, senza sacralità e dov’è persino difficile scorgere il tabernacolo, cioè la presenza viva di Cristo)!
L’arte, tipica manifestazione della superiorità umana, ha segnato non solo la storia di ogni civiltà, ma ha proprio offerto sempre il meglio di sé in riferimento alla religione di un popolo. Perché a Dio si dà il meglio e i luoghi di culto sono costruiti per Dio e perché il popolo possa ritrovarsi per pregarLo: dagli altari degli Incas, ai templi pagani, dalle pagode alle moschee, fino appunto alle straordinarie cattedrali cattoliche. Però ovviamente i contenuti della fede determinano anche un diverso tipo di arte. Ad esempio, quella “islamica”, pur talvolta sublime, non ha mai un aspetto “raffigurativo”, proprio a motivo dell’idea univoca dell’assoluta trascendenza di Allah, senza alcuna possibilità di immanenza (“islam” significa “sottomissione” a Dio, senza una vera unione con Lui, nemmeno in paradiso).
Semmai possiamo purtroppo rimarcare, e ciò non fa certo onore all’attuale civiltà occidentale, che proprio in quest’ultimo secolo, nonostante il benessere economico, abbiamo assistito, e purtroppo ancora assistiamo, ad uno squallore talora insopportabile dell’arte cristiana (con qualche lodevole eccezione, come la celebre e ancora incompiuta Sagrada Familia, progettata a Barcellona da A. Gaudì, di cui peraltro s’è aperto il processo di canonizzazione).
Non possiamo qui ovviamente trattenerci ulteriormente sull’arte medievale.
Se volessimo ad esempio fare solo 2 nomi sulla pittura, basterebbe citare il genio di Giotto (1267?-1337) (ma come non citare pure il suo campanile della cattedrale di Firenze, considerato il più bello d’Italia) e già del suo maestro Cimabue (1240-1302).
Se poi volessimo entrare nel cosiddetto Rinascimento …
I Papi rinascimentali furono dei veri e propri mecenati dell’arte. Nietzsche stesso li ammirò (!) e fu estasiato, nel suo soggiorno romano, di ciò che quei Papi realizzarono per le arti anche solo in Roma!
In effetti, ad esempio, Giulio II (pontificato: 1503-1513) finanziò e commissionò Bramante, Michelangelo e Raffaello!
Afferma in proposito L. Gilet, citato da Woods: “Sotto il pontificato di Giulio II l’arte sorpassa se stessa” e “Roma alla fine del ‘500 divenne il luogo di incontro e il centro di tutto quello che vi era di grande nell’arte e nel pensiero” (Woods, op. cit., p. 136).
Così W. Durant, citato nello stesso volume: “sotto il pontificato di Niccolò V (1447-1455), come poi ancora con Leone X (1513-1521), Roma era senza dubbio la corte più raffinata del mondo … non solo per l’arte ma anche per la letteratura. Da un punto di vista della mera quantità culturale, la storia non aveva mai visto nulla di simile, neppure nell’Atene di Pericle o nella Roma di Augusto”. “La sola Pietà di Michelangelo è considerata la più straordinaria scultura in marmo mai realizzata nella storia” (ib., pp. 136-137).
Musica
Se poi entrando in un’abbazia o cattedrale medievale, dove alla straordinaria bellezza artistica è pure sempre associata anche un’ottima acustica (poiché nulla era lasciato al caso, ma tutto era per la lode di Dio), si ha il dono di sentire risuonare il “canto gregoriano” – il canto che regnò sovrano per tutto il Medioevo ed ha fornito le basi stesse della musica – allora alla contemplazione degli occhi si associa quella delle orecchie, per penetrare nella mente e nel cuore ed elevarli più facilmente alla lode di Dio, quasi anticipo della liturgia eterna del paradiso!
[Ecco ad esempio, come già indicato al termine delle II Parte, un assaggio proveniente dalle vivissime comunità monastiche francesi di Fontgombault (vedi) o Le Barroux (vedi; ascolta persino l’Ufficio divino in diretta o differita qui), che a quel canto, come al Vetus Ordo liturgico, sono rimaste indissolubilmente legate; se poi qualcuno ancora pensasse che sia roba da nostalgici del passato e non adatta alla nuove generazioni, potrebbe con stupore constatare di quanti giovani monaci sono invece ricche quelle comunità monastiche!]
Impressionante se non addirittura da scellerati, come riconoscono gli stessi studiosi e appassionati persino non credenti, che un tale immenso, invidiabile e più che millenario patrimonio, non solo sul piano spirituale ma persino in quello culturale, nella stragrande maggioranza delle comunità e liturgie cattoliche degli ultimi decenni sia stato invece celermente buttato al macero, in favore spesso di indecenti caricature musicali, che di sacro, tanto meno di liturgico, hanno in genere ben poco!
A proposito di Liturgia e di canto gregoriano …
La Liturgia è la preghiera ‘ufficiale’ della Chiesa: non è tutta la preghiera (ad esempio il S. Rosario non è preghiera liturgica, pur se importantissimo e perfino raccomandato con insistenza dal Cielo), ma quella che la Chiesa intera, in quanto “Corpo mistico di Cristo”, unita al Suo Capo (Cristo stesso), mossa dallo Spirito Santo, eleva unanimemente al Padre. Si tratta della celebrazione della S. Messa (Eucaristia) e di tutti i Sacramenti, come di quella “santificazione del tempo” che cadenza la giornata che è l’Ufficio divino o Liturgia della Ore [Notturno o Ufficio delle letture, Lodi, Ora Media (Terza, Sesta, Nona), Vespri e Compieta] e che fa particolarmente uso dei Salmi (vedi), insieme agli Inni, antifone e brani della S. Scrittura e scritti dei Padri o maestri dello spirito. Inizialmente elevata alla SS.ma Trinità a nome di tutta la Chiesa soprattutto dai monasteri, di cui tuttora è il cardine (7 ore giornaliere) la Liturgia della Ore è passata anche come preghiera obbligatoria del clero (sia pur in forma più breve, non a caso il libro viene tuttora chiamato “Breviario”) e più recentemente praticata anche da non pochi laici.
[Sulla preghiera, vedi nel sito la sezione “un aiuto per … per pregare” vedi]
Il “canto liturgico” non è dunque semplicemente un canto a soggetto religioso (che potrebbe essere fatto anche in altri ambiti e momenti), ma proprio “preghiera cantata” (“chi canta prega due volte”, dice un celebre adagio di S. Agostino!*); come tale (lo si nota persino in altre tradizioni religiose) ha delle caratteristiche proprie, anche dal punto di vista musicale.
* In proposito, molti autori riconoscono oggi il De musica di S. Agostino come “il più importante trattato estetico del Medioevo” (cfr. Woods, op. cit., p. 129).
Sotto questo aspetto il “canto gregoriano” ha costituito il cardine di tutta la musica sacra medievale; ma anche nei secoli successivi ha rappresentato, sia pur insieme ad altre celebri melodie (e spesso nel patrimonio musicale offerto anche dai più grandi geni della musica), il canto liturgico privilegiato.
Lo stesso Concilio Ec. Vaticano II, nella sua Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nel cap. VI dedicato alla “Musica sacra”, afferma al n. 116: “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale”.
Il canto gregoriano, che ruota con forte intensità spirituale specie attorno a melodiosi vocalizzi (vocali estese anche a diverse note), prende il nome dal Papa San Gregorio Magno (vedi; 540-604, Papa dal 590). Scelto, quasi a furor di popolo, tra i primi monaci benedettini (di Roma; ma prima fu addirittura Prefetto della Città), il grande Papa fu decisivo non solo per la vita della Chiesa (è Padre della Chiesa e Dottore, venerato anche in Oriente), ma per la stessa vita civile e civiltà europea.
Difficile documentare che il canto che da lui appunto prese il nome risalga effettivamente a lui. Certamente si deve invece a lui anche un’importante sistemazione della vita liturgica della Chiesa Cattolica (Latina); gli si attribuisce comunque una celebre raccolta di canti sacri (Antiphonarius Cento).
Nel sito, nella sezione “Un aiuto per … per pregare” (vedi), abbiamo i testi ed anche le riproduzioni sonore di molti celebri canti gregoriani:
S. Messa: Kyrie [ascolta], Gloria [ascolta], Credo [ascolta], Sanctus [ascolta], Pater noster [ascolta], Agnus Dei [ascolta]. Veni, Sancte Spiritus (Sequenza di Pentecoste) [ascolta], Victimae paschali (Sequenza di Pasqua) [ascolta], Lauda Sion Salvatorem (Sequenza del Corpus Domini) [ascolta]
Allo Spirito Santo: Veni Creator Spiritus [ascolta], Veni Sancte Spiritus (v. sopra)
A Maria Santissima: Ave Maria [ascolta], Salve regina [ascolta], Sub tuum præsidium [ascolta], Alma Redemptoris Mater [ascolta], Ave, Regina caelorum [ascolta], Regina caeli [ascolta], Magnificat [ascolta], Tota pulchra [ascolta], Memorare [ascolta], Stabat Mater [ascolta].
Il nome delle note
Persino il nome (internazionale; significativo che in tutto il mondo molte delle indicazioni musicali siano rimaste in italiano!) delle note musicali, deriva da un canto gregoriano. Nascono infatti da prime sillabe dell’inno dei Primi Vespri della solennità di S. Giovanni Battista (23 giugno sera), che salgono infatti di un tono alla volta.
Ecco la prima strofa, con evidenziate le sillabe che danno il nome alle note musicali [l’Ut verrà chiamato do; il si è aggiunto in seguito, in riferimento a Sancte Ioannes, probabilmente quando si è passati dal tetragramma (le 4 righe musicali del gregoriano) al pentagramma (attuale rigo musicale)]:
Ut queant laxi / resonáre fibris / mira gestórum / famuli tuórum / solve pollúti / labii reátum / Sancte Ioánnes.
Ecco lo spartito (in gregoriano), con le sillabe indicate che salgono di un tono una dall’altra, da cui appunto le note:
Tale “invenzione”, che segna un passaggio decisivo nella storia della musica, si deve al monaco benedettino Guido Monaco o Pomposiano (cioè dell’abbazia di Pomposa), più noto come Guido d’Arezzo (991-1033), che fu appunto un importante teorico della musica.
Letteratura
Ci siamo già soffermati sul dato storico oggettivo che, se possediamo tutto il patrimonio letterario e filosofico dell’antichità classica greca e latina, ciò sia dovuto soprattutto all’arte “amanuense” (copiatura minuziosa e spesso miniata dei testi), fortemente attiva nei monasteri medievali.
Risulta poi evidente, anche dai numerosissimi manoscritti che ci sono pervenuti, che la maggior parte della produzione letteraria medievale, oltre alle opere teologiche, filosofiche, liturgiche, agiografiche e spirituali, ruoti ancora quasi totalmente attorno alla fede cristiana e alla vita della Chiesa Cattolica. Questo è riscontrabile in tutta l’Europa medievale.
Se poniamo poi lo sguardo sulla nascita della Letteratura italiana, nel senso cioè dell’uso letterario della nuova lingua “volgare”, facciamo solo una ben nota accentuazione.
Nonostante che nel XII sec. appaia già qualche anonimo versetto in lingua volgare a Firenze e a Bologna (qualche dotto della celebre università si dilettò, specie nel campo del diritto, a tradurre certi testi latini anche in lingua volgare), così come nel XIII secolo troviamo qualche elemento in Sicilia (Federico di Svevia), comunemente il primo documento letterario in lingua italiana di cui sia noto l’autore è considerato il Cantico delle creature di S. Francesco d’Assisi (1182-1226, vedi)
Visto che oggi più che mai siamo di fronte ad una caricatura (ecologista, animalista, pacifista, irenica, persino interreligiosa) della figura di S. Francesco d’Assisi, particolarmente accentuata, persino nella Chiesa, e al limite del ridicolo anche dal punto di vista culturale e alla luce dei reali dati storici (ma le ideologie, anche quelle nuove, non si confrontano mai con la realtà, perché, com’è noto, se la realtà smentisse l’ideologia sarebbe la realtà a sbagliarsi!), si potrebbe ad esempio osservare che il celebre Cantico delle creature, scritto dal grande Santo alla Verna nel 1224 (mosso non da un’estasi romanticheggiante – era tra l’altro preda di un momento di grande sofferenza fisica e psicologica – ma da un ancor più intenso amore per il Creatore), non citi alcun animale, ma sottolinei invece l’importanza di sopportare ed offrire a Dio tribolazioni e infermità e soprattutto della necessità di morire “in grazia di Dio” (“ne le tue santissime voluntati”), per non andare incontro alla vera morte (“ka la morte secunda no ‘l farrà male”), cioè alla dannazione eterna!
[dalla versione originale]
«Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole… de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle …
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo …
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua …
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu …
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra …
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate»
Poco dopo la morte di S. Francesco, sarà Jacopone da Todi (1230?-1306, Beato) a portare la poesia religiosa ai suoi vertici (con un latino già frammisto di volgare umbro). Tra le sue numerose “laudi”, eccelle il Pianto della Madonna (Donna de Paradiso) e soprattutto la celebre Stabat Mater (vedi nel sito, nella Via Crucis), che ancora è presente nella liturgia e nella pietà cristiana e che ha avuto un’enorme risonanza nella storia della musica classica fino ai nostri giorni (Pierluigi da Palestrina, Vivaldi, Scarlatti, Pergolesi, Haydn, Salieri, Rossini, Schubert, Liszt, Dvořák, Verdi, Perosi, Bartolucci).
Prima a Bologna e poi soprattutto a Firenze, tra il XIII e il XIV sec., si sviluppò quel raffinato movimento poetico (e filosofico) che va sotto il nome di Dolce Stil Novo.
Di questa nuova lirica si avvale com’è noto Dante Alighieri (1265-1321).
Inutile sottolineare il suo genio, che, oltre che porlo tra i principali “padri” della stessa lingua italiana, con la sua Comedìa (divenuta celebre come Divina Commedia), abbiamo la più grande opera scritta in lingua italiana ed uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale. Dovrebbe essere anche inutile sottolineare quanto essa, al di là e attraverso gli artifici e fantasie di un’opera comunque letteraria, sia profondamente intrisa di autentica teologia cattolica, senza la conoscenza della quale, come purtroppo oggi spesso accade, la stessa densità di contenuti del testo rimarrebbe in gran parte non pienamente comprensibile. Si pensi, per fare un solo esempio, che la presentazione di Maria Santissima, nel XXXIII Canto del Paradiso, di eccezionale densità teologica a partire dal mistero dell’Incarnazione, è entrata addirittura nella Liturgia della Chiesa (Inno dell’Ufficio delle letture di Maria SS.ma):
[riportata anche nel sito, vedi, al termine delle preghiere mariane]
Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore
per lo cui caldo ne l’eterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia, ed a te non ricorre,
suo disianza vuol volar sanz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.
Diritto
Il cristianesimo non ha compiuto delle rivoluzioni sociali mediante lotte, tanto meno violente; però la nuova visione di Dio, della realtà e dell’uomo scaturita dalla fede in Cristo Signore ha permesso il sorgere di una nuova cultura, società e civiltà, promotrice del vero bene dell’umanità (oltre ovviamente, ed è la finalità principale, la salvezza eterna delle anime). Lo abbiamo qui ricordato, in riferimento a molteplici settori della vita umana e sociale, come per i vasti campi della cultura e persino per la nascita della scienza.
Ora diamo uno sguardo al campo del Diritto.
L’Impero Romano aveva già goduto in questo campo di una delle più autorevoli luci del mondo antico: il Diritto Romano.
Nonostante ciò e pur essendo erede dell’altissima cultura greca e latina, la società mostrava di non avere ormai più un solido fondamento e, minacciata pure dalla continue scorrerie di nuovi e spesso feroci popoli (barbari), era ormai prossima al tracollo totale.
In questo frangente, e nonostante le atroci persecuzioni subite, il cristianesimo ha mostrato di saper prendere saldamente in mano le redini della società e della storia, e di saper fondare una civiltà che è stata fondamentale per l’umanità intera.
Proprio la nuova ed insuperabile concezione di Dio e dell’uomo (e di conseguenza anche della società e persino della politica) che emerge dal Vangelo ha gettato le fondamenta stesse di una nuova civiltà, ma ha permesso pure straordinari progressi e novità anche nel campo della giurisprudenza. Proviamo ad analizzarle un poco. Vi possiamo trovare molte luci anche per il presente (perché in fondo non siamo ancora usciti dalla “statolatria” illuminista, anzi …).
1) Dalla nuova e più elevata concezione di Dio
Un primo elemento di straordinaria novità e importanza, proveniente dalla fede cristiana (cioè dal culmine della Rivelazione divina all’umanità avvenuta in Cristo, Dio stesso fatto uomo) fu soprattutto la nuova e più elevata concezione di Dio stesso: unico e trascendente, Creatore di tutto e di tutti, ma che lascia una relativa autonomia alla realtà creata, che pur da Lui dipende.
Come abbiamo osservato (vedi), ciò ha costituito il presupposto culturale anche per la nascita della scienza stessa: la “natura” viene spogliata di ogni valenza divina, panteista, animista, casuale, capricciosa o addirittura cattiva, per rivestirsi di quella razionalità, cioè viene intesa come regolata da leggi che il Creatore ha immesso in essa e che poi in genere Egli stesso rispetta, permettendo così il loro studio, cioè la ricerca e scoperta scientifica.
Analogamente, ogni potere umano (appunto il campo del diritto e della politica), viene spogliato dalla fede cristiana di ogni pretesa divina (mentre chi comanda le sorti dei popoli l’ha spesso rivendicata!), senza per questo abbandonare l’umano consorzio (società) e la res publica in una visione “anarchica” (nessun potere) o in una falsa concezione di “democrazia”, in cui si pretende addirittura di far dipendere il diritto e persino la morale, cioè la distinzione del bene e del male, dai voti e dalla maggioranza (che invece può ancora gravemente errare, come capisce chiunque: se 7 persone su 10 dicono che la Terra non si muove e 3 su 10 dicono che essa ruota attorno al Sole, non ha ragione la maggioranza, nemmeno se fosse l’unanimità), perché la verità e il bene non dipendono dal consenso!
Il potere, sia che sia gestito da un sovrano come che sia “deputato” dal popolo, non può quindi essere considerato “divino”, cioè creatore dei valori (del bene e del male); ma può essere considerato come un “mandato” (un compito, un servizio, cioè un “ministero” – non a caso si chiamano così anche i centri di governo), ricevuto da Dio, per il bene della società, laddove è necessario e solo fin dove è necessario, cioè senza eccessive invasioni nella vita dei singoli e dei “corpi intermedi” (vedi nn. 14-15: “principio di sussidiarietà” e di “solidarietà”), e che ancora a Dio deve e dovrà render conto in eterno!
Un dato evidente già nei primi due secoli dell’era cristiana, anche nell’Impero Romano, è che in fondo i cristiani erano dei cittadini modello, e con le loro virtù (al di là dell’ovvia presenza ancora del peccato, ma è almeno combattuto, a cominciare da se stessi) erano persino superiori alle più nobili leggi del Diritto Romano; ma non potevano accettare di “adorare l’Imperatore”, cioè il potere politico (perché appunto non può pretendere di essere Dio, che è uno!), anche a costo del martirio di decine di migliaia di cristiani!
E questo, tanto allora come oggi, è ciò che indispettisce di più il potere politico; ma è ciò che garantisce il vero bene dell’uomo e della società.
Oggi il potere non chiede certo di bruciare materialmente “qualche grana d’incenso davanti alla statua dell’Imperatore”, come chiedeva ad esempio Nerone, ma in fondo dalla “modernità” in poi (vedi), e persino già da Niccolò Machiavelli (quindi fin dalle porte d’uscita dal Medioevo), viene chiesto, anche alla Chiesa, di “non disturbare il manovratore”, cioè di non “interferire” nella gestione della “cosa pubblica”, neppure sulle scelte morali (ma gran parte del diritto invece ne dipende!), che devono invece regolare una società che non voglia diventare anarchica e disumana; perché ciò, secondo questa logica moderna, sarebbe un’inammissibile “ingerenza” della Chiesa o della fede nella politica, che ci riporterebbe appunto al Medioevo!
È vero, come abbiamo già detto, che, analogamente alla “relativa autonomia” delle leggi scientifiche che regolano i fenomeni naturali, anche il diritto e la politica possono e devono godere di una relativa autonomia nello stabilire concretamente di volta in volta quale sia il modo migliore e più efficace per garantire l’autentico bene dell’umana convivenza e talora anche di qualche aspetto della vita privata (ad esempio uno Stato può obbligare ad un minimo di istruzione scolastica o di essere in auto con la cintura di sicurezza, garantendo così dei propri beni personali); da cui la possibilità di discutere (Parlamento, leggi, votazioni) di questi mezzi; non è invece ammissibile che si mettano ai voti il bene e il male [un assurdo “relativismo”, che poi degenererebbe in “anarchia”, nella “società del più forte” (economicamente, politicamente, nei mezzi di informazione di massa) o in una “dittatura del relativismo”].
La verità infatti (come la morale e di conseguenza pure il diritto), non dipende dal consenso. Tanto più che il consenso oggi è facilmente pilotato dagli strumenti di comunicazione di massa, già saldamente in mano al potere!
Non a caso, anche in una moderna democrazia, al di là delle leggi di volta in volta stabilite, c’è un punto di riferimento fisso, non dipendente appunto dalle mutevoli maggioranze, che è la Costituzione.
Per questo, ogni Presidente e Ministro di Governo giura all’inizio del proprio “mandato” di agire in ossequio alla sovranità del popolo (quanto il popolo e persino i singoli Paesi sono oggi ancora sovrani?!) e lo fa sulla Costituzione e in totale obbedienza ad essa. Anche il Presidente della Repubblica deve fare questo all’inizio del proprio mandato. [Il Presidente USA, all’inizio del proprio mandato, giura addirittura sulla Bibbia (sia pur in genere protestante e persino massonica)!]
In questo senso la fede cristiana, contrariamente a quello che avveniva nell’Antico Testamento con gli Ebrei o tuttora avviene in gran parte dei Paesi musulmani, non vuole attuare una “teocrazia” (dove cioè ogni legge divina diventa automaticamente legge dello Stato), ma non vuole neppure abbandonare la società e lo Stato né in un’impossibile e tragica visione anarchica (ciascuno faccia quello che vuole!), né in una visione falsa di laicità (che relega non solo la fede ma la morale solo ad un fatto privato, di coscienza, senza alcuna incidenza sociale), come ha voluto la modernità (vedi), il Risorgimento italiano (vedi, cfr. Cavour e la sua idea di “libera Chiesa in libero Stato”) o una laïcité alla francese (cfr. ad es. News del 9.94.2021).
La famosa espressione di Gesù “rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mc 12, 13-16), così spesso invocata da chi vorrebbe estromettere la Chiesa dall’umano consesso (specie laddove si prendono decisioni importanti per la vita di un Paese e persino per il mondo intero!), non va infatti intesa come se la fede cristiana fosse appunto solo un fatto interiore, intimistico, di coscienza, senza alcuna incidenza sociale. A parte il fatto che tutto “è di Dio” ed a Lui tutti un giorno dovranno rendere conto (con conseguenze eterne!), è poi evidente che soprattutto è di Dio la “legge morale” (a cominciare dai Comandamenti; anche se la “conoscenza del bene e del male” è anche razionalmente fondabile) [la rivolta degli angeli ribelli, come il “peccato originale” e la radice di ogni singolo peccato, è dovuta sostanzialmente al rifiuto di questa sovranità di Dio, che è il Creatore di tutto]. Ora dovrebbe essere evidente che il Diritto, e di conseguenza anche la politica, pur avendo dei margini di autonomia e di discutibili decisioni su singoli mezzi e modalità per attuare certi beni o scongiurare certi mali, non possa assolutamente prescindere dalla morale, tanto più dalle principali leggi morali (oggi invece sempre più apertamente avversate anche nelle cosiddette “democrazie occidentali”)! Già una presunta “neutralità” su questo, come ostenta una certa idea di laicità, è un inganno, perché è impossibile: non c’è nulla che non abbia una valenza etica, tanto più quando sono in gioco i valori fondamentali, come oggi! Infatti risulta oggi sempre più evidente come dietro certe presunte o formali “democrazie”, si nascondano ma operino con forza certi poteri occulti che si prefiggono proprio lo stravolgimento dell’autentica morale (così oggi si è passati dall’autonomia da Dio alla rivolta contro Dio)!
Risulta sempre più evidente, oggi persino a livello transnazionale, che, al di là del permesso di discutere infinitamente su tanti particolari (così pare di essere ancora in democrazia, nel pluralismo e che regni la tolleranza), il grande potere vuole proprio un ossequio religioso, persino che certi nuovi comandamenti (decisi da lorsignori in chiara antitesi a Cristo Signore) siano indiscutibilmente accolti ed obbediti e che sia vietato ogni dissenso, con tanto di pene, multe, reclusioni, emarginazioni o embarghi per chi osi opporvisi o anche semplicemente compiere altre scelte!
[cfr. nel sito l’articolato documento sulla Dottrina sociale della Chiesa; vedi anche alcuni temi specifici nella sezione Fede & morale, come pure nelle molteplici News, vedi in Archivio]
Messori fa notare che anche le grandi culture orientali (Cina, Giappone) hanno questa visione “divina” del potere. (cfr. V. Messori, Pensare la storia, E. P., 1992, pp. 251-254)
Del resto, per il Giappone ufficialmente ancor oggi l’imperatore è una divinità. E se l’attuale Presidente cinese non usa certo questo termine, essendo capo supremo di un Paese sottomesso ad un’ideologia comunista atea, non ha però mancato di attribuirsi tali caratteristiche divine e pretendere persino l’ossequio domandato dal 1° Comandamento biblico esclusivamente per Dio (cfr. News, 2.03.2020).
Se già con l’imperatore Costantino (313) si riconosce come in fondo senza la religione, ed in specie la fede cristiana, non si possa reggere l’impero ed unificare davvero i popoli, con Carlo Magno (800) non solo ciò è esplicitamente riconosciuto e sta alla base del Sacro Romano Impero, costruito per tutto il Medioevo sull’identità cristiana, ma significativamente è proprio il Papa ad incoronare l’imperatore.
Altrettanto significativo, ma di segno opposto, che nella modernità Napoleone, sia pur ancora davanti al Papa, si sia invece incoronato da solo (1804)!
Tutta la “modernità” cammina invece progressivamente verso una visione assoluta dello Stato, una vera “statolatria“, che nelle ideologie del XX sec. ha già condotto l’umanità alla follia delle grandi dittature, di destra o di sinistra, e nel baratro di due Guerre Mondiali.
Ora tale diabolico programma (lo Stato al posto di Dio!) non è affatto tramontato; s’è invece raffinato e meglio mascherato, potendo avvalersi di strumenti anche economici e tecnologici da cui è difficile sfuggire, ed è in grado di “includere” il mondo intero e organizzare l’assalto decisivo.
Quanto è fondamentale, per la salvezza stessa dell’umanità: che Cristo Signore torni a regnare, anche nella società! Non tema l’Erode o il Pilato di turno: non si tratta di un “concorrente”, non vuole scalzarli dal trono, ma si tratta di quel regno della “verità” (cfr. Gv 18,36-38), senza la quale ogni regno (e l’umanità intera) potrebbe più che mai crollare su se stesso!
2) La centralità dell’uomo
Un altro elemento che emerge dalla fede cristiana e che acquisisce progressivamente fin dai primi secoli una particolare importanza nella costruzione della società cristiana medievale, è la centralità dell’uomo. Proprio perché ogni singolo uomo è creato da Dio “a Sua immagine e somiglianza”, è amato da Lui, redento da Cristo e, se battezzato e rimasto fedele al Battesimo, inserito fin d’ora nella vita stessa della Santissima Trinità, ogni essere umano, se ha l’obbligo morale di cercare, trovare e vivere nella Verità (che Dio ha pienamente rivelato e donato in Cristo e su cui un giorno sarà giudicato, con conseguenze eterne!), gode di enorme importanza, non può mai essere ridotto ad anonimo “mezzo” per raggiungere scopi sociali, ha diritto alla libertà (appunto nella verità), gode di una sostanziale uguaglianza (in dignità, non che tutti abbiano le stesse capacità e possibilità).
Come si può osservare, questa “centralità” dell’uomo ha cominciato ad essere equivocata già con l’Umanesimo e il Rinascimento (sparisce progressivamente il riferimento a Dio e a Cristo Redentore dell’uomo), così che i singoli aspetti (ragione, volontà, sentimento, individualità, socialità) perdono il loro nesso col fondamento e tra loro; e con la modernità (vedi) e con la rivoluzione francese (vedi) diventano nuovi assoluti e come tali disumani, distruttori della società e in contraddizione tra loro (ad esempio: liberismo e comunismo). Oggi vediamo ad esempio esasperarsi fino alla follia il concetto di “uguaglianza”, con i relativi presunti e sempre nuovi “diritti” e “non discriminazioni” (tra poco si sentirà dire che è discriminante non far guidare un’auto e persino un autobus ad un “diversamente vedente”, “non vedente”, cioè a un “cieco”…). [cfr. documento, n. 6]
Dopo la grande eredità fornita dal Diritto Romano (decaduto con l’impero ma trasmesso come al solito dai monaci) senza dubbio il Diritto canonico ha contribuito non poco alla nascita e maturazione del Diritto occidentale, dei Diritti civili e penali degli Stati moderni, così come, specie dopo la scoperta delle nuove terre, pure del Diritto internazionale. [Woods, op. cit., p. 199]
Il valore attribuito alla “ragione” dalla fede cristiana cattolica e dai grandi pensatori medievali (cfr. S. Anselmo, S. Tommaso d’Aquino e l’intera Scolastica), come abbiamo osservato (cfr. qui, III Parte), fu fondamentale anche per il riconoscimento dei cosiddetti “diritti naturali”; e gli effetti di ciò si fecero sentire ampiamente almeno fino al ‘700.
Troviamo persino il concetto di “diritti insiti nella natura umana” e quindi anteriori e superiori al potere politico (non sono favori benevolmente concessi dal potere) già nel XII sec., ad es. nel Decreto del monaco Graziano, che costituisce una pietra miliare nella storia del Diritto.
Non è vero, come comunemente si dice, che l’idea di “diritti “naturali”, cioè insiti nella natura umana, provenga dall’Illuminismo; anzi, semmai proprio la progressiva perdita del fondamento divino [fino alla Carta dei diritti dell’ONU (Dichiarazione Universale dei Diritti umani, 1948), dove la parola “Dio” non compare neppure] ha indebolito e perfino privato di fondamento tali diritti.
Le moderne Dichiarazioni dei diritti dell’uomo (e perché non anche dei “doveri”?), da quella del 1789 a quella dell’ONU del 1948, proprio in quanto non più fondate su Dio ma sull’uomo, sui popoli, sul consenso, sono in realtà fragili e relativiste (cfr. V. Messori, op. cit., pp. 326-338).
Nel Diritto medievale troviamo già …
Rispetto alle consuetudini romane (ammesse o tollerate dal Diritto romano), con l’avvento del cristianesimo vengono ad esempio soppressi gli spettacoli dei gladiatori, l’infanticidio e persino il ricorso al suicidio; vengono riconosciuti molti diritti delle donne; viene regolamentato il matrimonio, … [cfr. Woods, op. cit., p. 201 e segg.]
Nel Diritto medievale si sottolinea soprattutto che il potere politico debba essere sottomesso alle leggi morali (convinzione che sparisce invece già con Machiavelli), che debba rispettare non solo i singoli cittadini, ma le stesse istituzioni e corporazioni intermedie (quello che poi verrà definito “principio di sussidiarietà”, vedi DSC, n. 15), come pure ad esempio la proprietà privata [cfr. Papa Innocenzo IV, (1195) 1243-1254].
Contrariamente a quanto predicato dall’Illuminismo in poi (e tuttora creduto da tutti come crudele realtà storica e vergogna della Chiesa!), un enorme progresso nel campo della Giustizia (ripristino di un ordine perduto o danneggiato) e della stessa Giurisprudenza fu raggiunto, a partire dal XII secolo, proprio dal Tribunale dell’Inquisizione, (sorto a garanzia della fede autentica e senza alcuna giurisdizione su chi non fosse Cattolico, quindi nessuno era obbligato alla fede cattolica!), specie in riferimento alla correttezza della “procedura processuale” e ai diritti garantiti all’imputato (accuse circostanziate e certe, diritto ad un giusto Processo, garanzie di difesa, verbalizzazione, persino importanza dell’intenzionalità dell’atto, riparazione, pene).
A proposito dell’Inquisizione
Essendoci occupati altrove nel sito di tale spinosa questione, su cui molti storici seri hanno finalmente cominciato a far luce, al di là dei miti e delle “leggende nere” anticattoliche tuttora diffuse (già dalla scuole, nel mondo del cinema e dello spettacolo, persino attraverso falsi musei), rimandiamo ai relativi documenti prodotti (cfr. Dossier, documento e News-documento). Riportiamo, a mo’ di esempio, solo qualche osservazione…
Dal dossier sull’Inquisizione, punto 5.4: Il Processo
Il primo livello del Processo si svolgeva nell’area dove l’imputato viveva; e a questo livello non si poteva normalmente infliggere alcuna condanna definitiva.
L’imputato aveva diritto di avvalersi di un avvocato difensore, scelto fra tre da lui proposti, e nel caso non potesse permetterselo a causa delle proprie condizioni economiche poteva averne uno pagato dal Tribunale stesso. L’avvocato non poteva ovviamente entrare nel merito della questione teologica, se cioè una dottrina fosse autenticamente cattolica oppure eretica, ma solo difendere l’imputato dall’accusa di eresia.
Il Processo non doveva mai essere sbrigativo, ma neppure eccessivamente lungo (è in genere rapido ed efficiente), nella consapevolezza che una procedura lunga poteva danneggiare l’imputato ed essere gravemente infamante (se poi addirittura alla fine risultasse innocente) [quanto ciò sarebbe ancor oggi auspicabile e doveroso anche in Italia!].
Superato il primo livello, il Processo doveva essere trasferito e rifatto a Roma (e ugualmente i tempi non dovevano essere lunghi). Lì veniva istituita una Giuria, composta anche da 50 “probi viri”, che analizzava tutti gli atti processuali e dava il proprio parere sulla sentenza e la pena da infliggere. Se sorgeva una contraddizione di testimonianze, il Processo ricominciava da capo. Presa visione degli Atti processuali e ascoltato il parere della Giuria, il giudice dell’Inquisizione emetteva quindi la sentenza, dando il proprio giudizio sui fatti e, in caso di condanna, infliggendo le pene relative (ma aveva anche facoltà di ridurle).
L’imputato risultato innocente veniva ovviamente assolto. Se invece risultava effettivamente eretico, si distinguevano queste possibilità, già individuate: se era caduto in eresia per ignoranza, una volta chiarito l’errore e se fosse tornato nella retta fede, veniva rilasciato. Anche se si riconosceva colpevole, ma poi abiurava dal proprio errore, veniva ugualmente rilasciato semmai con l’obbligo di porre in pratica lievi penitenze. Se era un laico, cioè un uomo con famiglia a carico, riceveva pene con particolare clemenza. Se invece si ostinava nel proprio errore (era cioè recidivo), e tale eresia fosse stata particolarmente grave e persino socialmente pericolosa, veniva consegnato al “braccio secolare”, ovvero alla giustizia penale (secolare) che applicava le pene previste dalle leggi civili contro l’eresia (normalmente era previsto il rogo). Non tutte le condanne a morte venivano di fatto eseguite; tanto più che fino all’ultimo momento bastava che il condannato abiurasse dalla propria eresia per essere graziato.
La straordinaria correttezza giuridica dell’Inquisizione, innovativa e ad autentica garanzia dell’imputato
Oggi molti storici (anche non cristiani) riconoscono ormai apertamente come tale procedura processuale – al di là della questione teologica, allora sentita rilevante non solo per la vita ecclesiale ma anche per quella sociale (e che la sensibilità moderna fatica invece a cogliere) – con tutte queste innovazioni e garanzie, fosse non solo esemplare ma rappresenti un enorme passo avanti nella storia dello Diritto, a quel tempo invece altrove lontanissimo anche solo dall’idea di una tutela dell’inquisito.
Contrariamente alla giustizia penale secolare, caratterizzata allora assai spesso da arbìtri e violenze, il Tribunale inquisitoriale era assoggettato invece a precise norme procedurali, che tutelavano l’inquisito e prevedevano un Processo in fondo esemplare (contemplando persino punizioni anche molto dure per i giudici che avessero errato o anche solo ecceduto nei loro poteri).
Ecco alcuni attuali giudizi (alternativi) degli studiosi in merito …
“A confronto dei delitti comuni e di come venivano trattati gli imputati nella giustizia secolare, qua siamo di fronte ad un modello di diritto processuale” (L. Negri).
Tutte quelle norme che il Diritto penale secolare introdurrà infatti molto tempo dopo (ad esempio in Inghilterra si cominciò ad adottarle solo nei primi decenni dell’Ottocento), l’abbiamo invece già in atto nell’Inquisizione Romana (anzi, moltissime sono addirittura già presenti nell’Inquisizione Medievale)!
Insomma, studiando obiettivamente l’Inquisizione Romana (come ha fatto ad esempio John Tedeschi, il più lucido e aggiornato storico in merito) e “uscendo finalmente dal quel macabro alone di mistificazioni sviluppato dalla “leggenda nera” illuministica-massonica-marxista – si pensi che l’Inquisizione Romana, quella cioè alle strette dipendenze dal Papa, in 500 anni ha portato a Roma ad una sola condanna a morte (nel 1600: il caso Giordano Bruno, vedi, n. 6.3) – si evince che essa non fu quel Tribunale arbitrario, quel tunnel degli orrori o quel labirinto giudiziario da cui era impossibile uscire, che normalmente ci viene descritto; anzi, non è temerario affermare che essa ha rappresentato, nel fosco quadro che emergerà invece della giustizia europea dal XVI al XVIII secolo (quella modernità che tanto denigra la Chiesa Cattolica e l’Inquisizione!), una vera e propria oasi, di rispetto dell’imputato, di rigore procedurale, di moderazione, di trasparenza e di correttezza, di collegamento fra organi periferici e organo centrale di controllo, che costituisce una geniale anticipazione di norme garantiste che la giustizia laica raggiungerà solo molto più tardi” (John Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Studi sull’Inquisizione Romana, Vita e pensiero, 2003).
Così lo storico medievalista F. Cardini: “Gli storici più seri (ad es., oltre a Tedeschi, Prosperi, Ginzburg, Bennassar, Merlo, Firpo, Musca ed altri) cercano anzitutto di collocare la vicenda nell’ottica anche giuridica del tempo. Essi sono d’accordo nel sostenere che, se come tutti gli Istituti giudiziari del mondo anche l’Inquisizione commise senza dubbio errori e delitti, i suoi processi furono però condotti con equità e rigore. La repressione dell’eresia fu certamente, a partire dal XII secolo, un obiettivo del Papato, ma condiviso sostanzialmente dalla società civile del tempo; tanto è vero che nessun governo “laico” del tempo (fino al ‘700) ostacolò mai questi processi (lo fecero di più certi vescovi), anzi cercarono di condizionarli, collaborando all’esecuzione delle pene”.
Sul raro e mite uso della “tortura” in tali indagini, si veda il punto 5.4.1
Ecco in proposito ancora il giudizio autorevole di F. Cardini riguardo a quei “Musei della tortura (o dell’Inquisizione)”, che troviamo oggi in giro per l’Europa, a scopo denigratorio della Chiesa Cattolica: “I cosiddetti Musei della tortura o dell’Inquisizione, presenti in molte città, sono in realtà dei baracconi antistorici! “
Ugualmente antistorica è la solita leggenda sugli “orrori dell’Inquisizione”, scritta ad esempio da C. Invernizzi o da Bagent e Leight (The Inquisition), che spesso si rifanno alla polemica anticattolica e antistorica di Lea (History of Inquisition)”.
Alcuni temi specifici del Diritto medievale …
Sulla schiavitù
Se dunque non c’è stata nei primi secoli una rivendicazione sociale, tanto meno una lotta, ad esempio per abolire la “schiavitù”, proprio la fede cristiana, con la nuova antropologia sopra indicata, ha gettato le basi perché ciò presto avvenisse (lo vediamo ad esempio nella Lettera di S. Paolo a Filemone, vedi, con cui gli rimanda uno schiavo pregandolo di trattarlo come fratello perché diventato anch’egli cristiano e battezzato, e allo schiavo raccomanda di svolgere bene il proprio servizio al padrone anche se ormai fratello nella comune appartenenza a Cristo Signore).
Si preparava così a livello spirituale e culturale quella che poi sarà l’abolizione della schiavitù come istituzione.
Se troviamo ancora la schiavitù non solo in tante culture indigene, ma persino in non poche pratiche attuate da cristiani nei secoli anche della modernità (ad esempio nella colonizzazione delle Americhe), come abusi condannati però dalla Chiesa, non occorre molto ingegno per scorgere anche nella modernità e persino nel tempo presente, non solo dietro vecchie e nuove ideologie, ma persino dietro belle parole, la “schiavitù di fatto” di intere popolazioni o gruppi di persone [cioè non solo sotto poteri dittatoriali, specie comunisti (v. Cina e Corea del nord), ma anche in casa nostra, v. ad es. l’incoraggiamento di un “immigrazionismo” selvaggio che si ricopre di buoni nomi come accoglienza ed inclusione ma di fatto produce spesso nuovi “schiavi” – cfr. ad es. News 29.12.2020 e 10.05.2021)].
Sul riposo festivo
Com’è noto, nell’Antico Testamento (Rivelazione di Dio agli Ebrei, in preparazione alla venuta di Cristo) il “riposo festivo settimanale” è il 7° giorno (il “sabato”; tuttora festa settimanale ebraica); è talmente importante, da avere Dio stesso come modello nella creazione (cfr. Gn 2,1-3); sarà poi anche il giorno della memoria e celebrazione della Pasqua, cioè del “passaggio” del Mar Rosso (liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, alleanza con Dio sul Sinai e ingresso nella Terra promessa), celebrata solennemente una volta all’anno e ricordata settimanalmente in quel giorno. L’importanza del riposo e della celebrazione in quel giorno della settimana è sottolineato addirittura dal 3° comandamento (cfr. Es 20,8-11; Dt 5,12-15); divenne persino ossessivamente osservato (v. polemiche di Gesù sul sabato, cfr. Mt 12,1-14).
Il trasferimento non solo della Pasqua annuale ma anche di quella settimanale dal 7° giorno (sabato) al 1° giorno della settimana (domenica) – sbagliato quindi chiamare questo giorno “week-end”! – è ovviamente dovuto al fatto della risurrezione di Cristo, nuova e definitiva Pasqua, avvenuta il giorno dopo il sabato (il 3° giorno dalla morte in Croce, il venerdì, che è invece giorno penitenziale).
I giorni feriali della settimana conservano in genere ancora il riferimento pagano o astrale (Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere); in molti Paesi della tradizione latina già il 7° giorno aveva ricevuto il nuovo nome di origine ebraica (abbandonando il riferimento a Saturno, ancora presente in molte lingue moderne, per riferirsi appunto al riposo ebraico o shabbat). Ancor più il 1° giorno della settimana, prima dedicato al Sole (e un tale riferimento rimane anche in alcune lingue moderne), sarà presto chiamato “il giorno del Signore” (Dominica dies), in quanto appunto giorno della Risurrezione del Signore, nuova Pasqua annuale e nuova piccola Pasqua e quindi festa settimanale (da santificare).
Dunque il cristianesimo ha insistito il più presto possibile sul “diritto al riposo” (per partecipare all’Eucaristia settimanale, modo insostituibile per “santificare la festa”!) in questo giorno; assai presto lo si chiederà per tutti i lavoratori, persino per gli schiavi!
Potremmo dire che è la prima rivendicazione sindacale della storia …
Troviamo questo diritto al riposo della domenica già sottolineato dall’imperatore Costantino nel 321 e ripreso da molti Concili seguenti.
Nella modernità (vedi), specie nel suo furore anticristiano espresso specialmente con la rivoluzione francese (vedi) e sovietica (vedi), ma anche nel nazismo e nel fascismo italiano (si pensi all’enfasi del “sabato fascista”), e in fondo nell’attuale arruolamento fin dai ragazzi nelle attività sportive proprio la domenica mattina (al posto della S. Messa), s’è fatto di tutto per desacralizzare e persino per abolire la domenica (visto che dobbiamo prestare attenzione al fatto che sempre le ideologie, come Satana, gioca coi nomi per determinare un cambiamento di mentalità, dobbiamo prestare anche molta attenzione al cambiamento di nome delle feste cristiane, dal “week-end” al “Ferragosto”).
[Sulla laicizzazione o impostazione ideologica dei nuovi Calendari, cfr. documento]
La rivoluzione francese volle passare dalla “settimana” (anche “7” ha una valenza sacra di origine ebraica) alla “decade”: ma in questo modo il riposo festivo ogni 10 giorni lo riduceva di 1/3!
La rivoluzione industriale, specie all’inizio, ha imposto alla classe operaia, formata anche da poveri ragazzi, ritmi degni della peggiore schiavitù (non solo per le condizioni di lavoro, ma anche per gli orari: anche 12 ore quotidiane e senza riposo festivo!), pena il licenziamento! Anche a questo, ad esempio in Italia soprattutto nella Torino ottocentesca, la Chiesa ha saputo far fronte, soprattutto con straordinarie opere nate dal genio di grandi “Santi sociali”, in primis S. Giovanni Bosco per i ragazzi! Non a caso la prima “Opera per il riposo festivo” fu fondata a Torino nel 1859 e di cui era vicepresidente don (San) Giovanni Bosco e promotore/ segretario il (Beato) Francesco Faà di Bruno. Seguirono innumerevoli analoghe iniziative da parte delle Opere cattoliche.
Dopo la cosiddetta “unità d’Italia”, fatta appunto dai Piemontesi, bisognerà attendere il 1907 (governo Giolitti) per veder riconosciuto il diritto al riposo festivo settimanale, ma neppure per tutte le categorie di lavoratori. (cfr. V. Messori, Pensare la storia, E. P., 1992, pp. 251-254).
Sulla guerra e i soldati
Gesù ci dona la pace, quella vera (non come la dà il mondo: cfr. Gv 14,27); ma fin dall’inizio è segno di contraddizione (cfr. Lc 2,34-35), porta anche divisione, una spada (cfr. Mt 10,34-36 ).
Il cristiano è dunque “pacifico” (cfr. Mt 5,9), ma non “pacifista”! Sa anzi che fin dal “peccato originale” (cfr. Gn 3) c’è nell’uomo una ferita che inclina al male (e le cui conseguenze si fanno sentire persino nel Battezzato, che ne è stato guarito), una forza avversa che va combattuta o quanto meno dalla quale difendersi. Ecco perché sono moralmente lecite e persino doverose le forze dell’ordine, militari e civili, le armi e, in casi estremi e solo a determinate condizioni, anche le guerre (cfr. documento sulla Dottrina sociale della Chiesa, n. 35).
Se il singolo uomo, pur essendo moralmente lecita la “legittima difesa”, può anche decidere eroicamente di non reagire al male procuratogli, la difesa degli altri, se minacciati o attaccati nei propri diritti fondamentali, è invece persino “doverosa”. Tale intervento è moralmente lecito e persino doveroso, però a determinate condizioni (come ad esempio la proporzione rispetto al danno subito, la possibilità di successo, evitando mali peggiori di quelli a cui si vorrebbe porre rimedio). Però, a livello sociale e addirittura nazionale, tale obbligo di difesa non è lasciata al singolo (se non in casi estremi ed immediati) ma è deputata alle forze dell’ordine o militari.
Anche nel Medioevo, la Chiesa, pur consapevole dei peccati degli uomini e talora della necessità di intervenire in modo forte per evitare i danni (persino eterni!) provocati dal male, cercava il più possibile di limitare le proporzione e i danni degli scontri, delle lotte e persino delle guerre, o quanto meno di regolamentarne a questo scopo le forme di attuazione.
Non essendoci quella “statolatria” tipica della modernità (vedi), la guerra medievale non era mai un fatto “di popolo”; essa era fatta da mercenari, cioè da agenti pagati per questo (da cui il concetto di “soldato”, cioè pagato). “Il Medioevo era fortemente smilitarizzato” (F. Cardini, op. cit.)] Nessuna idolatria dello Stato, nessun esercito regolare dello Stato (cioè formato da tutti i giovani cittadini maschi*), nessun arruolamento coatto, nessun elogio delle virtù militari. Se molto di questo esisteva nella cultura antica pagana, sparì quasi del tutto nel Medioevo cristiano.
* L’obbligo di leva e l’arruolamento coatto di tutti i giovani “abili” (coscrizione obbligatoria) è un’invenzione della statolatria moderna, a cominciare dalla “rivoluzione francese” (Decreto sulla Nazione armata); fu usata in modo spietato da Napoleone (arruolamento obbligatorio per 5 anni dai 20 ai 25 anni).
In Italia la leva obbligatoria fu immessa immediatamente dopo l’unità d’Italia (1861) ed è durata fino al 2004, cioè ai nati prima del 1.01.1986 (operativa del 1.01.2005; essendo sospesa e non abolita, le liste di leva riguardano tutti i cittadini maschi dai 17 anni; in caso di emergenza, un governo può riattivarla immediatamente!).
Nazioni ufficialmente neutrali e pacifiche, come la Svizzera, hanno in realtà ingenti armamenti e forze belliche ed una “leva” obbligatoria molto pesante, con richiami costanti negli anni!
La Chiesa Cattolica si oppose alla “leva di massa”: ad es. 40 vescovi nel Concilio Vat. I (1870) e lo stesso Pontefice Leone XIII nel 1894.
Interessante osservare certi limiti che la “guerra” comunque possedeva durante il Medioevo. Le battaglie erano proibite la domenica (giorno della risurrezione del Signore), il giovedì (giorno dell’Eucaristia) e il venerdì (giorno della morte del Signore), in Avvento e nei giorni di Natale, come per tutta la Quaresima e nei giorni pasquali (in pratica quindi non rimanevano molte possibilità). Dovevano comunque durare al massimo solo per poche ore diurne e cessare di notte. I prigionieri dovevano comunque essere trattati con rispetto e poi liberati a Pasqua.
(cfr. V. Messori, op. cit., pp. 605-608)(cfr. ancora Franco Cardini (a cura di), Processi alla Chiesa, PIEMME 1994, pp. 221-228 (contro le falsità di Umberto Eco ne Il nome della rosa
Nota sulla Crociate, l’Islam e il cristianesimo
[cfr. nel sito il relativo dossier e il documento]
[Sull’etica e le Regole degli Ordini cavallereschi, v. poi nel capitolo sulla “Carità”]
dal dossier sulle Crociate riportiamo qui, a mo’ di esempio, il punto 1.6
(Una guerra di difesa):
Dobbiamo anzitutto osservare come la rapidissima ed enorme espansione dell’Islam, nato 6 secoli dopo Cristo, è dovuta soprattutto a continue guerre di conquista: lo stesso Maometto invase con eserciti l’Arabia Saudita e nell’arco di un secolo i suoi seguaci invasero militarmente la Palestina, tutto il Medio Oriente, la Turchia e l’Africa settentrionale (dove esistevano fiorenti e importanti comunità cristiane), per cercare poi di invadere l’Europa (giungendo fino a conquistare la Spagna ad occidente ed i Balcani ad oriente). Per arrestare la terribile avanzata militare islamica in Europa, furono decisive le battaglie di Poitiers (11.10.732) e, già nell’epoca moderna, quella navale di Lepanto (7.10.1571) e quella di Vienna (12.09.1683).
Si potrà discutere sulle degenerazioni delle Crociate e sugli interessi che vi sono subentrati, ma non si può negare che esse sono anzitutto guerre di difesa, per difendere appunto da questi attacchi musulmani l’Oriente cristiano e le terre e le comunità cristiane della Palestina e in difesa della stessa Europa, seriamente e più volte minacciata dall’avanzata militare musulmana.
Le Crociate non si sono mai prefisse di conquistare alla fede cristiana popoli non cristiani (tanto meno i musulmani), mentre l’invasione armata dei musulmani si prefigge proprio la conquista del mondo all’Islam!
dal punto 2.1 (chi fu Maometto):
Maometto (Muhammad, che significa “il degno di lode”) era un arabo nato alla Mecca (Arabia Saudita), città creduta fondata da Abramo, nel 571 d.C. (o 569). Venuto a contatto con comunità giudaiche e cristiane, e forse anche con alcuni “monaci del deserto” della cristianità, conosceva dunque qualcosa della Rivelazione biblica, di cui si sentì poi il continuatore ed il culmine. Pare però che fosse analfabeta.
A 25 anni sposò una ricca vedova, più anziana di lui di 15 anni e di cui era l’amministratore dei numerosi beni, dalla quale ebbe 7 figli (3 maschi, che moriranno tutti in tenera età, e 4 femmine, delle quali l’ultima, Fatima, fu la prediletta); per questo poté condurre una vita agiata.
Durante uno dei suoi abituali ritiri in solitudine e preghiera, il 26-27 del mese di “ramadan” del 610, disse di avere avuto la Rivelazione dall’Arcangelo Gabriele, che gli parlò di Dio e della missione “profetica” che Dio voleva affidargli. Si sentì così sulla scia della rivelazione biblica, e quindi nel solco dell’ebraismo e del cristianesimo. Il Dio (Allah, in lingua araba) è infatti inteso come ancora quel Dio che parlò per mezzo dei profeti nell’Antico Testamento (degli Ebrei) e di cui Gesù di Nazareth non fu che il penultimo profeta, prima dell’ultimo, supremo e definitivo Profeta che sarebbe appunto Maometto stesso. Questo è infatti il cuore della fede musulmana: Allah è l’unico Dio e Maometto è il suo Profeta. Queste rivelazioni si protrarranno lungo tutto il resto della sua vita (cioè dal 610 al 632).
Poiché, a parte la prima moglie ed alcuni amici, nessuno credeva a questo suo contatto con Dio, tale fede fu fieramente avversata dai potenti arabi locali, che lo consideravano un pazzo.
Maometto si ritirò allora a 350 km a nord della Mecca, in quella città che si chiamerà Medina (che significa “la città”, cioè la città per antonomasia). Il suo arrivo a Medina, dove riesce a far fare pace tra due tribù arabe in lotta tra loro, il 16 luglio 622 d.C. (anno dell’Egira) è considerato l’inizio dell’era musulmana e quindi del conteggio musulmano degli anni.
La sua prima moglie morì nel 619. Secondo l’uso del tempo, Maometto prese diverse mogli (12 o forse addirittura 15, assai di più di quante ne permetterà la sua stessa dottrina), di cui alcune erano ancora bambine (una non aveva compiuto neppure 9 anni!), altre erano figlie di suoi consiglieri ed una era forse addirittura una sua nuora (moglie di un suo figlio)! Maometto si vantava di questa sua predilezione per le donne; diceva infatti che “dopo Dio, le donne e il profumo erano le cose che gli stavano più a cuore”.
Maometto, oltre a definirsi il Profeta, assunse anche il potere politico [nell’Islam non ci sarà infatti distinzione tra potere religioso e potere politico] e fu anche un vero e proprio capo militare.
Negli ultimi 10 anni di vita (622-632) da Medina, con i suoi primi seguaci (che si consideravano dei guerrieri) iniziò dapprima delle razzie e poi vere e proprie guerre di invasione dei territori vicini.
Maometto comandò personalmente 9 guerre e ne ordinò 26! Nel 630 attaccò e vinse La Mecca e, dopo aver conquistato e coinvolto nella sua dottrina le molteplici e nemiche tribù nomadi della penisola arabica, conquistò lo Yemen e molti altri paesi arabi.
L’anno della sua morte (632) Maometto fece un pellegrinaggio alla “Pietra Nera” della Mecca (era un uso arabo già precedente, ma diventerà con Maometto addirittura uno dei 5 obblighi della vita musulmana). Tornato infine ormai ammalato a Medina, vi morì il 8.06.632.
Come si può constatare, con tutta onestà e obiettività, non solo la personalità ma la stessa vita morale di Maometto è imparagonabile con l’assoluta perfezione morale e l’infinito amore di Gesù di Nazareth (una perfezione unica e irripetibile, riconosciuta perfino dai non cristiani)!
dal punto 5.1 (invasioni islamiche e Crociate):
Le Crociate non furono dunque “guerre di religione”, perché i cristiani non volevano fare guerra all’Islam né tanto meno convertirli con la forza. Erano certamente rimasti attoniti di fronte alle rapide conquiste militari dell’Islam in tutto il mondo allora conosciuto (Paesi arabi, Medio Oriente, Turchia, Persia e tutta l’Africa settentrionale, giungendo ad invadere già l’Europa ad occidente, con la conquista della Spagna e il tentativo di invadere la Francia, e ad oriente, con la conquista di notevoli territori nei Balcani). Non si trattava dunque di una minaccia immaginaria o di poco conto per l’Europa e per la stessa sopravvivenza della civiltà cristiana (che già, come abbiamo ampiamente visto, era entrata col Medioevo nel pieno della sua prorompente vitalità). Né di un vago pretesto per giustificare le Crociate!
Particolarmente dolorosa era stata già avvertita l’invasione della Terra Santa, cioè la terra di Gesù e dei primi cristiani, quindi delle memorie storiche (riportate già alla luce con Costantino, come poi oggi dalle straordinarie scoperte archeologiche), già meta di pellegrinaggi da tutta Europa!
Ufficialmente nei territori occupati militarmente dai musulmani i cristiani non erano obbligati a convertirsi all’Islam (questo il Corano non lo prevede, mentre prevede certamente la conquista anche militare del mondo intero, considerato terra degli “Infedeli”, da sottomettere all’Islam); però certamente la vita dei cristiani nei territori invasi dai musulmani diventava assai difficile se non impossibile: perdita di quasi tutti i diritti sociali, esagerata pressione fiscale (esorbitanti tasse per i non musulmani, da cui sarebbero stati esonerati solo convertendosi all’Islam), divieto di manifestare la fede cristiana pubblicamente e di annunciarla ad altri. Per questi motivi, se erano sopravvissuti all’attacco armato della conquista musulmana dei loro territori, i cristiani erano di fatto costretti o a convertirsi all’islam (abiurando da Cristo e quindi perdendo eternamente la loro anima) o ad espatriare!
Ricordiamo ad esempio che tutte le fiorenti comunità cristiane già sorte non solo in Egitto (con importanti Vescovi e Padri della Chiesa, e coi famosi “monaci del deserto”) ma in tutta l’Africa mediterranea (basterebbe pensare a S. Agostino!) di fatto sparirono per sempre (rimane oggi qualche traccia solo nei “Copti” egiziani).
Le Crociate dei secoli XI-XIII non riuscirono a liberare la Terra Santa dall’Islam e neppure gli altri territori mediterranei conquistati militarmente dai musulmani (neppure la Spagna, che rimarrà Califfato di Cordoba fino al XV sec.)!
Anzi, l’invasione musulmana della Turchia si costituì in Impero Ottomano (uno dei più vasti della storia, specie nel XVII sec., durato dal 1299 al 1922!) e nel 1453 giunse a conquistare Costantinopoli (il 2° centro della cristianità, trasformando in moschea la stessa basilica di S. Sofia), nonostante la recente parentesi “laica” (nel 1924 il presidente Ataturk creò ufficialmente uno Stato laico) oggi tenta abbastanza esplicitamente di ridiventare un califfato musulmano (come abbiamo già ricordato in questo documento e pure nelle News del 2.10.2018, 5.12.2019, 5.03.2019 e 24.10.2021).
Nell’immaginario popolare italiano, se lungo le coste si ricorda bene l’incubo rappresentato dai “saraceni” (pirati musulmani che aggredivano via mare le coste italiane), anche nel linguaggio comune, “turco” è rimasto una sorta di sinonimo di incivile e minaccioso (“cose turche”, “bestemmiare” o “fumare come un turco”).
Al di là di questo, rimane comunque vero che con tutta probabilità se l’avanzata musulmana (inutile nascondersi che oggi prosegue in altro modo …) non fosse stata bloccata soprattutto dalla vittoria delle forze cristiane cattoliche (persino papali) nella battaglia di Lepanto (1571) o di Vienna (1683), l’Europa e la stessa cultura occidentale non sarebbe stata più la stessa, tantomeno cristiana (anche se ora l’Occidente, con la sua apostasia dal cristianesimo, s’è inflitto da solo questo tracollo, questo suicidio culturale, sociale e persino demografico)!
Comunque c’è chi, anche tra autorevolissimi storici contemporanei (come R. Grousset), riconosce che “con le Crociate la Chiesa ha ricoperto un ruolo enorme per garantire il bene dell’Occidente e del mondo intero. Ha ritardato infatti di tre secoli, e per certi versi in modo determinante per l’Europa e per l’Occidente, l’invasione musulmana (turca) con la sua sostanziale incapacità di garantire una autentica libertà religiosa e una distinzione tra potere religioso e potere politico”.
Chiesa, società e potere politico
È fuor di dubbio che, dopo il crollo dell’Impero Romano e fino alla nascita della modernità, fu la Chiesa Cattolica ad essere non solo l’anima della società civile ma il punto di riferimento per la stessa vita pubblica. Fu la Chiesa a garantire non solo l’unità spirituale e culturale dell’intero continente europeo, pur nel rispetto delle diverse identità popolari e nazionali.
Il potere politico, specie da Carlo Magno in poi, ne era talmente consapevole che si fece esso stesso garante di tale patrimonio spirituale, culturale e sociale.
Non sono certo mancati però gli attriti, le invasioni di campo (assai più da parte del potere civile su quello ecclesiastico che viceversa), la non piena consapevolezza delle legittime autonomie, sia pur nella gerarchie dei valori e dei poteri. Se da un lato l’autorità ecclesiastica (Papa, Vescovi, Abati) assumerà perfino rilevanza politica (ne è un segno ad esempio il “vescovo-conte” o, in Italia, il sorgere e permanere dello “Stato della Chiesa”) – tra l’altro proprio per la fiducia accordata dal popolo* (rimasto peraltro privo di autorevoli e sicuri punti di riferimento dopo il crollo dell’Impero Romano) – dall’altro non mancarono certo le invasioni di campo da parte dell’autorità politica (come dimostra ad esempio la “lotta per le investiture”, tra il XII e XIII sec.).
* Avevamo già osservato (cfr. cap. 2) come il popolo non fosse solo attirato e sostenuto dalla vita ecclesiastica, dai monasteri, da ciò che ruotava attorno alle cattedrali (dalle arti alle scuole e università e perfino agli ospedali), ma collaborava attivamente (anche col proprio lavoro e sostegno economico) al loro sorgere, come al loro sviluppo, persino lasciandoli eredi dei propri poveri o grandi beni.
Nota su: Lo Stato della Chiesa
Roma è il centro mondiale del cristianesimo, in particolare della Chiesa cattolica: non solo perché nei primi secoli del cristianesimo era ovviamente anche il centro dell’Impero Romano (quindi del mondo), ma perché S. Pietro, il capo visibile della Chiesa (secondo il volere stesso di Cristo, cfr. Mt 16,18-19), ne fu il primo vescovo, vi morì martire e vi è sepolto (come S. Paolo e molti altri Apostoli). Così tutti i vescovi di Roma, in quanto successori di S. Pietro, sono anche guide di tutta la Chiesa, cioè Papi.
Roma, e di conseguenze l’intera Italia, rivestono quindi un ruolo del tutto particolare nella vita della Chiesa (di cui forse oggi gli italiani e i romani stessi non sono consapevoli).
Dopo il crollo dell’Impero romano (d’occidente), della società e della religione pagana, in fondo di un’intera civiltà, mentre si affacciavano minacciosi i nuovi popoli barbari, solo le fede cristiana e la Chiesa furono in grado di gestire la società ed anche la “cosa pubblica”, di raccogliere il meglio del passato e del presente e di purificarlo ed innalzarlo con l’annuncio del Vangelo e la grazia di Dio, e di generare, come abbiamo visto, una nuova e straordinaria civiltà, fondata sulla fede in Cristo e capace di armonizzare le diverse identità in una superiore unità e qualità di vita. In questo frangente, in tutta Europa, ma anche in Italia, il popolo stesso riconobbe nella Chiesa Cattolica e nelle sue autorità (Papa e vescovi) non solo le massime guide spirituali, ma anche i saldi punti di riferimento per la stessa vita civile. Da questo frangente storico sorsero anche i “vescovi-conte”. Le stesse residue autorità civili (imperatori e sovrani) avevano chiaro che la Chiesa era l’anima della vita sociale e senza di essa nulla di solido e di efficace si poteva costruire (come qui abbiamo ampiamente sottolineato).
Se ovunque, come abbiamo anche sopra ricordato, il popolo vedeva nella Chiesa il proprio punto di riferimento, anche per la vita civile, ed esprimeva la propria gratitudine anche con generosi lasciti, spesso anche i possidenti e la stessa autorità civile avvertiva l’obbligo morale di sostenere anche economicamente la vita della Chiesa, non solo per i suoi meriti spirituali (donava la vita eterna, liberava da Satana e dai peccati, incrementava l’amore e unità delle famiglie, della società e dei popoli) ma per lo stesso decisivo ruolo sociale (persino di “supplenza“) che rivestiva. Interi territori venivano affidati o donati ai monasteri e alle cattedrali.
In particolare, non solo a Roma ma anche nei territori dell’Italia centrale, venne addirittura a costituirsi pian piano un vero e proprio “Stato della Chiesa” (fu chiamato “Stato Pontificio” solo nel XIX sec.), guidato dal Papa, che durò per 11 secoli (756-1870)! Come riconoscono gli storici seri, il suo costituirsi progressivo mediante lasciti e donazioni (e non per conquista militare) rappresenta un caso unico nella storia mondiale!
Nella modernità, le crescenti forze ostili alla Chiesa Cattolica, specie estere ma culturalmente infiltratesi anche in Italia (con la massoneria), vedevano questo cosiddetto “potere temporale” come un ostacolo ai propri progetti e al progresso della società e dell’umanità (in realtà al proprio potere e alle proprie ideologie). Si crearono quindi quei “miti” e leggende sul “malgoverno” dello Stato della Chiesa, sulla sua arretratezza, sul suo opporsi al progresso. Persino quando nella politica internazionale militarmente lo appoggiavano (non solo gli Asburgo ma la stessa Francia), di fatto si andò incontro a vere e proprie incursioni (il caso Napoleone è emblematico, essendosi spinto non solo ad incamerare i beni della Chiesa e ad annettere lo Stato Pontificio all’impero francese, ma addirittura a rapire il Papa Pio VII e portarlo in Francia)! La massoneria inglese esercitò poi enormi pressioni in tal senso, fino a finanziare direttamente le imprese di Garibaldi (che gridava: “Roma o morte! Morte ai preti!” e chiamava il Papa Pio IX “un sacco di letame!”).
Durante il cosiddetto Risorgimento (vedi e vedi) – nonostante che il papa Pio IX fosse favorevole ad un’unità d’Italia che si costituisse per “federazione” dei diversi stati che la componevano (come del resto fece la Germania e la Svizzera) e non volendo peraltro venire a battaglia con l’ultimo impero cattolico europeo (asburgico) presente nel Lombardo-Veneto (persino oggi si può non a caso notare, nonostante la laicizzazione in corso da tempo, una maggiore vitalità cristiana proprio in quelle regioni) – fu di fatto il Piemonte, sostenuto dal potere massonico europeo, ad invadere l’Italia! E lo fece, al di là talora delle diplomatiche parole (perché comunque a Roma c’era il Papa e il centro della cattolicità mondiale!), con un livore anticattolico pari o persino superiore a quello già visto quasi un secolo prima con Napoleone: man mano che il Piemonte avanzava, incamerava immediatamente i beni ecclesiastici, specie quelli degli Ordini religiosi (da loro subito soppressi); e, dopo la presa di Roma (il fatidico 20.09.1870) passò ad incamerare tutti i beni della Chiesa (dal Quirinale, dove abitava il Papa, all’ultimo monastero o casa religiosa presente nel cuore mondiale della Cristianità). Quel potere, ostile alla Chiesa, assunse il governo di tutta la vita pubblica italiana, senza alcun conforto popolare (pseudo votazioni con diritto di voto del solo 5% della popolazione), e senza nessun vero anche se reclamizzato volere degli Italiani (si ammise infatti, com’è noto, che “fatta l’Italia, si dovesse procedere a fare gli Italiani”)!
Solo l’11.02.1929, coi Patti Lateranensi, si riuscì in qualche modo a compensare un poco tale terribile usurpazione, con alcune garanzie di rapporto tra Stato e Chiesa Italiana (Concordato) e con la costituzione poco più che simbolica dello Stato della Città del Vaticano [il più piccolo Stato del mondo (soli o,4 kmq), ma tale da non essere territorio italiano e garantire alla Sede di Pietro, centro della Chiesa cattolica di tutto il mondo (1,4 miliardi di persone!), una propria autonomia, persino a livello di rapporti diplomatici tra gli Stati].
Rimane però, nell’immaginario collettivo indotto dalla propaganda laica e statalista, una “separazione” (se non opposizione!) tra Stato e Chiesa, come appunto se fossero due Stati (questo semmai riguarda solo la Città del Vaticano; si parla simbolicamente delle “due sponde del Tevere”), mentre i Cattolici (che anagraficamente sono tuttora oltre il 90% della popolazione italiana!), cioè la Chiesa (che è l’insieme di tutti i Battezzati), sono cittadini italiani a tutti gli effetti (ci mancherebbe!) e quindi parte fondamentale e persino maggioritaria dello stesso Stato Italiano!
Diritto internazionale
La questione di una regolamentazione del rapporto tra gli Stati (diritto internazionale) emerge ovviamente soprattutto con la modernità, cioè con la scoperta delle Americhe, con la questione della colonizzazione [spesso ideologicamente confusa con quella dell’evangelizzazione e fino all’attuale cancel culture, che vede in questa grande epopea dell’Europa occidentale (specie Spagna, Francia ed Inghilterra) la causa di tutti i mali del mondo] [Woods, op. cit., p. 141 e segg.]
Qui non ci occupiamo di tali vicende storiche e neppure delle “leggende nere” che ricoprono queste enormi vicende storiche (ed in particolare la vita della Chiesa Cattolica e delle sue missioni), non trattandosi appunto del Medioevo.
Vediamo solo pochi significativi dati …
Fu proprio la Chiesa Cattolica, a costo di scontrarsi con la stessa politica coloniale spagnola, a meglio formulare e declinare l’idea di “diritto internazionale”, anche in ordine alla difesa dei popoli indigeni.
Il domenicano (frate, sacerdote) spagnolo Francisco de Vitoria (1483-1546), docente in diverse università spagnole e uno dei maggiori rappresentanti della scuola filosofica di Salamanca, è considerato uno dei padri fondatori del Diritto internazionale.
Il domenicano (frate, sacerdote) spagnolo Antonio de Montesinos (1475-1540) osò presentare le proprie critiche al re Ferdinando per quanto gli spagnoli compivano nelle nuove terre. Non fu avversato ma ascoltato: emersero di conseguenza le Leggi di Burgos (1512) e quelle di Valladolid (1513), poi ancora nuove Leggi nel 1542, tutte per disciplinare a nome del Re gli ufficiali spagnoli nella loro interazione con gli indigeni americani.
Soprattutto ebbe vasta eco la dura critica che il vescovo spagnolo Bartolomeo de Las Casas (1484-1566) rivolse contro certe derive della colonizzazione spagnola dell’America Latina; se considerava giusto cercare di sottrarre gli indigene alle terribili e macabre pratiche delle religioni indigene (come i sacrifici umani, anche dei bambini), si oppose ad esempio al filosofo e teologo Juan Ginés de Sepúlveda, che considerava umanamente inferiori quegli indigeni e che si dovessero reprimere anche con la forza tali arcaiche e macabre loro usanze.
Come abbiamo osservato, proprio la concezione cristiana cattolica della centralità dell’uomo nella creazione e della sostanziale uguaglianza di dignità di tutti gli uomini (amati da Dio e redenti da Cristo; anche se “figli di Dio” e “fratelli in Cristo” si diventa solo col Battesimo, non dunque “fratelli” in senso generico e massonico a partire dalla semplice umanità, come oggi si tende a dire) ha permesso il “rispetto” di ogni uomo (unitamente al diritto e dovere di ogni uomo di cercare la verità e di trovarla in pienezza in Cristo!) e l’idea appunto di “legge naturale” (inscritta nella natura umana) e conseguenti diritti e doveri (non donati ma riconosciuti dallo Stato e da ogni potere umano).
Se ogni coscienza, in cui comunque un poco almeno parla già la “voce di Dio”, ha il diritto e il dovere di cercare la verità e l’unico vero Dio (pienamente rivelatosi e donatosi a noi in Cristo!), nessuno può essere forzato ad aderire alla fede cristiana, tanto meno ad altra fede religiosa (non vera o non pienamente vera), anche perché una tale fede non nascerebbe dalla coscienza e quindi non sarebbe autentica. Questo è il vero concetto di “libertà religiosa”!
Tale libertà, intesa quindi in senso vero, era addirittura già stata evidenziata nel Concilio di Toledo del 633 (nessuno può essere forzato ad aderire a Cristo) e rimarcata da S. Tommaso d’Aquino. Nessuna civiltà o religione, seppur vera e superiore, poteva essere imposta ai nuovi popoli!
Questo non significa affatto, come oggi si intende a causa del “relativismo” dominante, che tutte le religioni siano uguali (solo in Cristo, Dio-fatto-uomo, morto e risorto per noi, c’è salvezza!) o che tutte le civiltà abbiamo la stessa dignità e sempre valori autentici. Oggi addirittura, sulla scia del “buon selvaggio” di stampo illuminista, si tende persino a considerare tutte le culture e religioni indigene addirittura superiori alla fede cristiana o comunque non da cercare di convertire alla fede cristiana (che è invece il mandato e il comando di Cristo stesso)! Se è vero che si debbano anche valorizzare certi aspetti di verità e di bene che possono già albergare nelle religioni e culture indigene o primitive (come appunto la Chiesa ha fatto nel Medioevo coi popoli barbari), purificandoli pure da aspetti invece erronei e nocivi, rimane ancor più vero che nell’incontro con Cristo (Logos stesso fatto carne) tutti quei semi del Verbo (Logos spermatikos) che possono eventualmente essere presenti in tali culture e religioni trovano appunto in Cristo il loro pieno compimento, senza del quale (specie se c’è stata la possibilità di conoscerLo) non c’è salvezza eterna!
Vediamo comunque che anche in questo caso – come per le eresie che richiedono nella risposta un ulteriore approfondimento della verità – che l’esigenza di armonizzare evangelizzazione e colonizzazione dei nuovi popoli, soprattutto nel rispetto dei loro diritti fondamentali, ha permesso una più profonda declinazione del “diritto internazionale” (emerso non a caso proprio dai teologi cattolici spagnoli e nelle università cattoliche spagnole, proprio in risposta a certi abusi di non pochi colonizzatori loro connazionali).
Venne soprattutto rimarcata l’idea fondamentale, emersa appunto dalla fede e cultura cristiana cattolica – mentre quella protestante farà invece più fatica a farlo, così come diversa fu la loro colonizzazione rispetto a quella dei Paesi cattolici (basti pensare alla differenza tra America latina e America settentrionale e persino tra costa atlantica e pacifica dei futuri Stati Uniti) – che ogni singolo uomo ha una tale dignità che il potere (Stato, politica, economia, commercio) deve riconoscere come inalienabile e dunque lo Stato e la stessa economia debbano essere sottomessi a criteri oggettivi di moralità (cosa assente in ogni altra civiltà e nel cristianesimo già inizialmente smarrita con Machiavelli e con la modernità).
Economia
Normalmente si fa risalire l’economia, intesa come disciplina di studio, al XVIII sec., con Adam Smith. In realtà anche l’economia ha le proprie radici nel Medioevo, nella Scolastica.
Ritroviamo infatti il già menzionato Giovanni Buridano (1290-1358), dell’Università di Parigi (professore e rettore), non solo per la sua visione dell’universo come “macchina” e per l’intuizione del “moto inerziale”, ma anche tra i primi a comprendere che il valore del denaro (cioè il prezzo di un prodotto), più che dalle ore di lavoro richieste (come vorrà ancora l’analisi del Capitale di K. Marx nel 1867!), ma dal rapporto tra domanda ed offerta.
Un’idea questa, quella del cosiddetto “valore soggettivo” del denaro, che troviamo già nel frate francescano Pierre de Jean Olivi (1248-1298), nella poliedrica genialità del già citato vescovo Nicola d’Oresme (1323-1382), forse anche per questo consultato spesso dal re di Francia, nel pensiero del grande santo e teologo francescano Bernardino da Siena (1380-1444), nel Cardinal Caetano [o Gaetano (in quanto di origine di Gaeta), già frate domenicano Tommaso De Vio (1469 – 1534)] e in tanti pensatori ed economisti cattolici successivi, come il teologo gesuita spagnolo Luis de Molina (1535-1600) o il Cardinale gesuita Juan de Lugo (1583-1660).
Non sono pochi gli economisti che oggi considerano quanto ci avrebbe guadagnato l’economia e quanto vi avrebbero beneficiato i popoli, se essa si fosse mantenuta sui binari di questi studi medievali cattolici.
[cfr. Woods, op. cit., pp. 171-173]
C’è invece chi vede nella dottrina protestante (specie in Calvino e nella orrenda idea di predestinazione), la radice teologica e antropologica del più spietato capitalismo emerso poi nel XIX sec. (un segno della predestinazione alla salvezza eterna sarebbe addirittura il successo economico ottenuto?). Comunque il Protestantesimo rimane ancorato alla idea di valore del denaro conseguente solo al lavoro richiesto per l’opera.
[Non entriamo poi nel merito della visione economica del mondo ebraico, presente in genere nella più alte sfere dell’economia occidentale, con priorità data al denaro spesso fino al limite dell’idolatria e dell’usura].
Anche in merito all’economia lo storico del Medioevo Franco Cardini è fortemente convinto che certe strutture e garanzie dell’economia (quelle “libertates” che hanno reso possibile la diffusione dell’impresa e del benessere stesso della società) trovano nelle organizzazioni delle arti e delle corporazioni medievali le proprie radici (“Se c’è stato un tempo in cui merci e beni culturali potevano circolare liberamente nell’area mediterranea e nel continente europeo, fu il periodo fra il XII e XIII secolo”).
Carità
Impossibile, tantomeno in poche righe, riassumere le innumerevoli opere (non solo dei singoli, ma ecclesiali e sociali) che la carità cristiana ha suscitato durante il fecondo e luminoso millennio medievale.
La Chiesa Cattolica costituisce la più grande istituzione caritativa del mondo e della storia. Non ci sono paragoni possibili con qualsiasi altra civiltà e religione della storia! Si tratta di una dato storico oggettivo ed inequivocabile. Non solo quantitativamente, cioè per l’incalcolabile numero di opere caritative attuate ovunque dalla Chiesa Cattolica, ma anche qualitativamente, cioè per il tipo elevato e sincero di carità posta in atto, nei confronti di ogni tipo di bisogno umano incontrato.
Questo emerge con chiarezza e forza anche nel periodo medievale.
La radice di ciò è appunto la fede in Cristo.
Se il primo e fondamentale “bisogno umano” è quello della salvezza eterna della propria anima – e questo è infatti lo scopo primario dell’Incarnazione di Dio e il primo compito che Gesù affida alla Chiesa, inviandola nel mondo e nella storia (cfr. Mt 28,18-20) e fornendole gli strumenti soprannaturali per farlo (fede e sacramenti) – la risposta a questo bisogno è anche la prima e fondamentale “carità”!
Se poi, come Gesù stesso insegna, non è possibile disgiungere l’amore totale per Dio dall’amore del prossimo (cfr. Mt 22,37-39), è ugualmente vero che Egli si identifica in qualche modo anche in ogni uomo che si trova nel bisogno (cfr. Mt 25,31-46); tenendo presente che esistono non solo bisogni materiali ma anche spirituali, morali, psicologici (vedi nello “schema dell’esame di coscienza”, le “opere di misericordia corporale e spirituale”).
La vera “carità” è poi quella che da Dio scaturisce (perché Dio è Amore) e a Dio ritorna, abbracciando anche gli altri. Si dice infatti per questo che è una “virtù teologale” (come la “fede” e la “speranza”) (cfr. Enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est). Non si tratta di semplice filantropia, umanitarismo emotivo od opzione volontaria (volontariato).
La Chiesa, fin dai primi giorni e sempre nella storia, ha avuto per questo una particolare attenzione d’amore a chi si trova in qualsiasi genere di bisogno, dai più poveri e indigenti agli infermi anche più gravi e persino infettivi, e perfino nei confronti dei più peccatori* (pur condannando il peccato). Non a caso sinonimo di carità è anche il termine “misericordia” (e in alcune regioni d’Italia si chiamano ancora così persino i centri di assistenza, anche laici, e le ambulanze).
* Significativa in tal senso è la particolare attenzione d’amore avuta sempre, da parte della Chiesa Cattolica, nei confronti dei “carcerati”, ma addirittura per il recupero nei confronti delle prostitute, dei drogati, dei delinquenti …
In fondo sono categorie di persone che sono sempre state scartate, in ogni civiltà e persino in ogni religione.
Basterebbe pensare ad esempio all’invalicabile sistema di “caste” fondate proprio sull’induismo, nell’immensa India. Si pensi in tal senso quanto sia stata “rivoluzionaria” ancora nell’epoca attuale l’opera di carità, proprio a cominciare da Calcutta, della santa Madre Teresa!
Questa rivoluzione d’amore fu sconosciuta anche nelle zone più ricche e progredite del mondo antico, come nella Grecia classica o nella Roma imperiale.
Circa il Medioevo, avevamo ad esempio già osservato (nella II Parte) da dove nacque la straordinaria idea ed opera di carità cristiana costituita dagli Ospedali.
Come dice il nome stesso, erano realtà caritative, nate, inizialmente attorno ai monasteri e alle cattedrali, per “ospitare” pellegrini, viandanti o comunque bisognosi di momentaneo “ricovero” (significativo che si usi ancor oggi questo termine per una degenza ospedaliera!), rifugio, aiuto o soccorso. Altrettanto significativo che in Francia portino pure il nome di “Hôtel-Dieu”, cioè “casa di Dio”!
Fin dal VII secolo Hôtel-Dieu è il nome dato in Francia a strutture edilizie assistenziali situate in genere nei pressi delle cattedrali e posti alle dipendenze del vescovo. Inizialmente destinate quali alloggi per i pellegrini e viaggiatori, assunsero pian piano funzioni più generali di assistenza medica, fungendo dapprima come “ricovero” per anziani e ammalati, per poi trasformarsi nel tempo in ospedali veri e propri.
L’Hôtel-Dieu di Parigi, ad esempio, fu fondato nel 651 dall’arcivescovo san Landerico: è il più antico ospedale della capitale francese e uno dei più antichi ancora in attività. Simbolo della carità e dell’ospitalità cristiana della città medievale, rimase il solo ospedale di Parigi fino al Rinascimento. Tuttora si trova di fronte alla cattedrale di Notre Dame, sull’Île de la Cité (isola della Senna, cuore storico della città), come grande e rinomato ospedale ed è chiamato ancora Hôtel-Dieu.
Dunque, è bene ricordarlo, solo nel breve spazio dell’Île de la Cité (isola della Senna, cuore storico di Parigi), la vitalità, sapienza e carità cristiane emerse dalla Chiesa Cattolica, proprio nei “secoli bui” del Medioevo (come verranno definiti dall’Illuminismo e rivoluzione nati proprio lì, sulle rive della Senna), sorsero, sotto il patrocinio dei Vescovi, la straordinaria cattedrale gotica di Notre Dame, la celebre Schola (che divenne Università della Sorbona) e il grande storico Hôtel-Dieu (ospedale) della città!
Dal XII sec. nacquero dalla Chiesa Cattolica gli ospedali nel senso strutturale moderno, che si distinguevano per professionalità, disciplina e organizzazione, con un’attenzione davvero commovente per gli ammalati.
Comunque, fin dall’inizio della sua uscita dalla clandestinità (IV sec.) la Chiesa Cattolica creò subito ovunque strutture di carità, di assistenza per poveri, vedove, orfani, ammalati.
È il caso ad esempio di Basilio (330-379, vedi), il santo vescovo e “Padre della Chiesa” della Cappadocia (attuale Turchia): oltre che punto di riferimento per il monachesimo orientale già di tipo cenobitico (di cui abbiamo già parlato), ebbe particolare cura dei poveri, delle vedove e degli orfani, come degli ammalati, creando una sorta di ospedale nella sua Cesarea.
A Roma, sempre nel IV sec., troviamo ad esempio il caso della nobile matrona romana di nome Fabiola (Santa), che, di fervente fede cristiana, dopo la morte prematura del marito si consacrò alla preghiera e alla penitenza, ma fondò quello che è considerato il primo grande ospedale pubblico della storia.
Una Nota sugli Ordini cavallereschi
A ridosso delle Crociate (vedi dossier 3.7* e documento), nacquero anche i celebri ordini cavallereschi, militari ed anche ospedalieri, che dopo la Terra Santa dal XII secolo fondarono ospedali in tutta Europa.
Particolarmente importanti furono gli Spedalieri (o “Cavalieri di S. Giovanni”, detti poi Cavalieri di Malta), che, dopo la prima e principale sede proprio a Gerusalemme, costruirono e diressero ospedali in tutta Europa [il loro Decreto di Le Puy (intitolato “Come in nostri signori ammalati devono essere ricevuti e serviti”) divenne una pietra miliare nello sviluppo dell’ospedale]; tuttora reggono un importante ospedale anche a Roma.
Così l’Ordine di San Lazzaro di Gerusalemme, che a Gerusalemme si occupava proprio dei lebbrosi; passò da Ordine cavalleresco ad Ordine ospedaliero nel 1255.
Celebri, anche se discussi, furono poi i celebri Templari (soppressi già all’inizio del XIV sec.).
Ci furono poi ordini militari, cavallereschi e ospedalieri cattolici anche di stampo nazionale, come l’Ordine di Santa Maria dei Teutonici (tedeschi, inizialmente ospedalieri in Terra Santa) o i Cavalieri di S. Tommaso Becket, inglesi.
* (dal dossier sulle Crociate, cfr. punto3.7):
Gli Ordini cavallereschi cristiani e i Crociati
Un altro elemento storico che dobbiamo tenere presente, in ordine ad un giudizio sulle Crociate, è offerto dall’istituzione degli Ordini Cavallereschi, tipico dello spirito medievale.
Lo spirito cristiano, pur fondato sulla legge dell’amore, non era così ingenuo da non capire che oltre certi limiti il male nella società vada combattuto, anche con la forza, così come i deboli vadano difesi, anche con la forza, dai violenti che vorrebbero saccheggiarli o ucciderli.
Se era (ed è) dunque lecito talora anche armarsi e pure lottare contro i soprusi al diritto (personale e sociale), si deve però sempre vigilare affinché tale diritto e persino dovere della difesa non degeneri e non abbiano il sopravvento passioni e cattiverie che nulla hanno a che fare con tale impegno civile, militare e appunto caritativo. Per questo devono sorgere delle regole ben precise che ne determinino i confini. Esse costituiscono per così dire un’etica cristiana dell’intervento armato. Questo fu lo spirito cristiano che diede origine ed animò gli Ordini religiosi cavallereschi del Medioevo.
Già nella prima Crociata, oltre ai veri Crociati, che obbedivano a quell’etica dell’intervento armato sopra citata, si associarono anche componenti rozze (anche barbare, come i Normanni da poco convertiti) e mercenari, persino briganti in cerca di avventure, magari abili nella spada ma non addestrati ad una disciplina morale. Questo portò a degenerazioni che certo poco hanno a che fare con la morale cristiana ed anche con l’autentico spirito delle Crociate.
Per questo, anche se tali mescolanze si ripeteranno pure nelle altre Crociate, dopo la prima sorsero ufficialmente i “codici cavallereschi” e chi voleva aderire a tali Ordini cavallereschi veniva educato per anni prima di essere ritenuto pronto anche a combattere, se fosse stato necessario, ma in modo degno di un cristiano.
Chi aderiva a tali Ordini cavallereschi cristiani doveva avere una fede forte ed essere un uomo di fervida e costante preghiera. Se si trattava di nobili, dovevano imparare ad esercitare l’umiltà, svolgendo anche umili servizi nei confronti dei più poveri. Mai dovevano essere mossi da spirito di possesso e dovevano sottostare solo ai comandi militari che fossero motivati dalla giustizia e dalla pietà. Dovevano sottostare ad una disciplina non solo militare ma morale, così che all’abilità della spada (se fosse stato necessario) si unisse anche quella della carità. In caso di lotta armata, mai si doveva scordare il fine per cui si svolgeva (mai doveva essere compiuta per altri interessi egoistici o fine a se stessa), mai ci si doveva abbandonare alla foga del combattimento o farsi accecare dall’ira o dall’odio, mai doveva coinvolgere civili, donne, bambini, anziani, poveri o ammalati (che anzi, si dovevano soccorrere, anche se nemici, anche a costo di lasciare la battaglia). Oltre al divieto di uccidere i civili, vigeva pure il divieto assoluto di torturare o anche solo umiliare il nemico. In caso di duello, si doveva combattere sempre con correttezza, senza ricorrere a trucchi, senza mai colpire alle spalle, accettando sempre la richiesta di grazia da parte del nemico, e smettendo di combattere con coloro che non avevano più armi indosso.
Non a caso forse ancor oggi diciamo “essere cavaliere” per significare gentilezza e rispetto, oltre che capacità di aiutare e difendere il prossimo.
Gli appartenenti a quelli che saranno gli ordini cavallereschi [Templari, Ospedalieri (Sovrano Ordine di Malta), Cavalieri di S. Lazzaro, Cavalieri Teutonici, Cavalieri di S. Tommaso (Becket)] venivano educati duramente per anni prima di poter arrivare a combattere, con questa etica (e senza quegli abusi già purtroppo registrati in molti combattenti).
Anche il vero Crociato doveva attenersi a tali principi.
Col XVI sec., la Chiesa Cattolica ha visto poi rifiorire veri e propri Ordini religiosi Ospedalieri, quasi sempre sorti dal carisma di grandi Santi, i cui nomi ancor oggi sono propri degli Ospedali che trovano in loro le proprie radici (e in certi casi tenuto ancora, magari in parte, da tali Ordini religiosi)! [vedi S. Giovanni di Dio/ Fatebenefratelli (così chiamati a partire dall’abituale invito del Santo) o S. Camillo de Lellis (Camilliani)]
Santità
A conclusione di questa panoramica sul Medioevo, fatta solo di poche pennellate ma forse già sufficienti per comprendere quanta falsità ideologica regni dietro quel pregiudizio illuminista e anticattolico che definisce quei mille anni “oscurantismo” e “secoli bui”, mentre ad uno sguardo anche solo minimamente disincantato e libero da pregiudizi ideologici brillano invece di particolare “luce” e fecondità umana e spirituale, compiamo un’ultima sosta per dare un piccolissimo sguardo al rifiorire di “santità” che nei suoi molteplici aspetti e carismi ha profumato di Dio quel fluire di secoli.
Questo “ultimo sguardo” è in realtà il primo, non solo per importanza e per i riflessi eterni che spande sulla vita terrena, ma proprio perché è il “motore” vero e nascosto che alimenta tutti gli altri aspetti di vita, umana e sociale, su cui ci siamo qui brevemente soffermati e che hanno permesso di edificare una civiltà tanto alta e profonda da sostenere il cammino non solo dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, ma, alla luce dei reali dati storici e culturali, dell’umanità intera.
Normalmente, quando studiamo storia, fin dalle più verdi età, ci fanno soffermare sulle decisioni e imprese dei potenti, sulle battaglie e le guerre, sulle lotte di potere e semmai solo in parallelo di qualche conquista scientifica e tecnica. Difficile che uno studente sia invitato a studiare la vita e le opere di qualche Santo, neppure quando enorme è stata la sua incidenza non solo spirituale ma sociale e culturale, per l’umanità intera [talora – perchè Dio è capace anche di queste meraviglie! – persino senza essersi mai spostato (com’è il caso di S. Benedetto da Norcia), oppure quando nell’orto rinchiuso di un monastero ha compiuto per primo pure enormi scoperte scientifiche (com’è nel caso del monaco e abate Mendel)].
Eppure, come tutti ben vedranno un giorno, ma come possiamo e dobbiamo comprendere un poco fin d’ora, sono i Santi che hanno fatto la storia, quella vera. [Di altri, anche tra i più potenti e famosi, potremmo ancora chiederci “fu vera gloria?”, come sussurra il Manzoni]. Questo non perché quegli uomini o quelle donne, che hanno profumato di Cristo la terra (cfr. 2Cor 2,14-16), siano stati sempre particolarmente dotati di doni irripetibili od eroici, ma perché come attraverso un cristallo più nitido o nelle mille sfaccettature e riflessi di luce di un diamante, attraverso di loro s’è manifestata più chiaramente la luce di Dio e il senso vero della vita.
È dunque una grande saggezza mettersi “sulle orme dei Santi” (così abbiamo intitolato una sottosezione del sito, vedi), non tanto per poterli copiare (anche se ciò non è da escludere: anche un giovane S. Agostino o S. Ignazio di Loyola, leggendo le storie dei Santi, si sono chiesti “se loro sono riusciti, con la grazia di Dio, perché non io?”), ma per dar lode a Dio e per poter ricevere qualche intuizione importante anche per il proprio cammino spirituale.
Lasciamo però che a parlare brevemente ma saggiamente di qualche Santo medievale sia il Papa Benedetto XVI, che ai Santi ha dedicato molte catechesi nelle Udienze generali del mercoledì (vedi alcune).
Ecco i rimandi (di alcuni, abbiamo già fatto cenno in questo documento):
Se non possiamo ufficialmente inserirli già nel Medioevo, riesce però difficile non citare almeno l’eccelso teologo, filosofo e vescovo S. Agostino d’Ippona (354-430, vedi), per la cui conversione ha inciso non poco anche l’aver ascoltato a Milano il grande vescovo S. Ambrogio (334-397, vedi).
Nella II Parte, dedicata al monachesimo, abbiamo già fatto riferimento al “Padre del monachesimo occidentale” (e per questo anche Patrono d’Europa) S. Benedetto da Norcia (480-547): vedi la catechesi che gli ha dedicato Benedetto XVI (che significativamente ha assunto da Papa il nome di questo grande santo).
Il monaco e missionario irlandese S. Colombano (543-615 – vedi) raggiunse, oltre la Francia, la Germania e la Svizzera anche l’Italia, dove fondò il celebre monastero di Bobbio (PC) e dove morì.
Nel secolo IX furono invece i santi fratelli Cirillo e Metodio (vedi) ad evangelizzare i popoli slavi del centro-est Europa (e persino di dotarne molti di quella scrittura e caratteri che proprio da “Cirillo” prendono il nome) (ne abbiamo fatto cenno qui nella III Parte).
S. Bruno (1030-1101) fu invece il fecondo fondatore dell’ordine monastico dei Certosini, dal primo monastero francese da cui prende il nome l’Ordine (Grande Chartreuse, presso Grenoble, F), all’ultimo, dove morì e tuttora abitato dai monaci (Serra S. Bruno, in Calabria – vedi l’omelia tenutavi da Benedetto XVI il 9.10.2011).
Nel rigoglioso albero del monachesimo occidentale non possiamo non sottolineare l’importanza di S. Bernardo di Chiaravalle (1090-1153, vedi), che predicò e fondò numerosi monasteri in tutta Europa (anche a Milano).
Tra le grandi Sante del Medioevo – crolla così anche un altro mito anticattolico, quello della “donna” non rispettata e valorizzata dalla Chiesa, tanto più nel Medioevo! – troviamo, oltre a S. Chiara (v. sotto), ad esempio S. Elisabetta d’Ungheria (1207-1231, vedi), S. Brigida di Svezia (1303-1373, vedi; Compatrona d’Europa) e S. Caterina da Siena (1347-1380 – vedi), proclamata Dottore della Chiesa (!), Patrona d’Italia e Compatrona d’Europa; svolse infatti un ruolo decisivo sia per la vita civile d’Italia (riuscendo persino a pacificare diverse città italiane in lotta tra loro) che per quella della Chiesa universale (riuscendo addirittura a riportare il Pontefice da Avignone a Roma)!
[Sulla tormentata vicenda di S. Giovanna d’Arco (1412-1431, vedi), la giovanissima donna, Compatrona di Francia, che liberò militarmente il suo Paese dagli Inglesi, vedi anche nel Dossier sull’Inquisizione (questione 6.3) e nel relativo documento (domande 33-34)]
Agli inizi del XIII sec. lo Spirito Santo fece sorgere anche nuovi e fecondi carismi, soprattutto i nuovi cosiddetti Ordini mendicanti (che sono però anche Ordini di predicatori itineranti) (vedi catechesi di Benedetto XVI del 13.01.2020): Francescani e Domenicani.
Sul celeberrimo S. Francesco d’Assisi (1182-1226), anche se spesso non ben conosciuto e persino equivocato nella sua vera identità e predicazione, vedi la catechesi di Benedetto XVI e persino sui scritti (sul suo Cantico delle creature s’è accennato sopra). Il nuovo ordine religioso da lui fondato (Frati Minori, detto anche dei Francescani) ebbe subito un’enorme diffusione, che ancor oggi, dopo 8 secoli, coinvolge nel mondo molti giovani; tra i primissimi suoi seguaci troviamo com’è noto S. Chiara (1193-1253, vedi), ma anche S. Antonio di Padova (Lisbona 1195 – 1231, vedi); alla guida dei Francescani, poi eletto vescovo, troviamo anche il grande teologo S. Bonaventura da Bagnoregio (1218-1274, vedi).
S. Domenico da Guzman (1175-1221, vedi) è invece il fondatore del grande Ordine di predicatori (da lui detto dei Domenicani), che ebbero un ruolo decisivo per la difesa dell’autentica fede cattolica, già contro i pericolosi attacchi eretici dei Catari (vedi dossier sull’Inquisizione, parte 4, e documento, domande 10-11). Tra i primi Domenicani troviamo anche il grande Doctor Angelicus S. Tommaso d’Aquino (1225-1274, vedi) con ragione considerato da molti il più grande teologo e filosofo di tutti i tempi, mentre la Chiesa stessa lo indica come sicuro punto di riferimento teologico, filosofico e dottrinale.
Tra i vertici della sapienza cristiana medievale, di cui abbiamo già parlato nel presente documento, prima di S. Tommaso e S. Bonaventura, troviamo anche il grande vescovo, teologo, filosofo e mistico S. Anselmo (1034-1109, vedi), originario di Aosta, poi monaco in Normandia e quindi arcivescovo di Canterbury.
Quando le prime grandi università medievali (cfr. qui, IV Parte), nate dalla Chiesa Cattolica, oltre ad essere straordinarie fucine di cultura, sfornavano anche grandi Santi, troviamo pure che un giovane tedesco del XIII sec., venuto a studiare all’università di Padova e presto entrato nel neonato Ordine dei Domenicani, proseguì poi gli studi in quella di Parigi, dove divenne professore (ed ebbe tra gli allievi nientemeno che Tommaso d’Aquino, giovane domenicano proveniente dal centro Italia); raggiunse quindi Colonia, dove aprì un importante Studio teologico (seguito pure dall’allievo Tommaso d’Aquino); fu poi pure consigliere del Papa e quindi vescovo di Ratisbona; concluse quindi la sua vita a Colonia. Stiamo parlando di S. Alberto Magno (1205-1280, vedi), uno dei più grandi maestri della teologia medioevale (non a caso chiamato e venerato col titolo di “Grande”), ma anche eccelso nel vasto campo della cultura e persino delle “scienze naturali”, di cui non a caso è Patrono!
Che lo Spirito Santo susciti anche nel nostro travagliato tempo e in quest’Europa, specie occidentale, in gran parte apostata dalla vera fede cristiana, privata di ogni vero alimento spirituale, di autentici valori, inutilmente sostituiti da nuove subdole e vuote ideologie, sostanzialmente nichilista e persino in crisi demografica, uomini e donne così, pastori saggi e santi, comunità cristiane animate da così viva e feconda spiritualità, non disincarnata ma capace di generare, come avvenne nel Medioevo, anche una vera cultura, una nuova società, l’unità autentica dei popoli … persino un’intera e così feconda civiltà!